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Academic year: 2022

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diScienze

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Mucche allo stato ebraico, di Riccardo Canesi

La mentalità del principiante, di Jonathan G. Koomey Le curve celebri, di Luciano Cresci

Rischio mercurio, di Roberto Miniero Prima lezione sul colore, di Mauro Boscarol

Storia del colore da Pitagora a Newton, di Mauro Boscarol

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a cura di Alessandra Anichini

Ripensare la scuola

Oltre il Covid

TARKA

Testi di Alessandra Anichini, Daniele Barca, Rudi Bartolini, Gabriella Benzi, Stefania Cornacchia, Franco Lorenzoni

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Alessandra Anichini (a cura) Ripensare la scuola

con scritti di: Alessandra Anichini, Daniele Barca, Rudi Bartolini, Gabriella Benzi, Stefania Cornacchia, Franco Lorenzoni

Tutti i diritti riservati Prima edizione: marzo 2021

© 2021 Tarka edizioni srl Piazza Dante 2 - Mulazzo (MS) www.tarka.it

ISBN: 979-12-80246-08-0

Questo libro è disponibile anche in versione ebook (ISBN: 979-12-80246-09-7) Impaginazione ed editing: Monica Sala

Finito di stampare nel mese di marzo 2021 presso Mediagraf SpA - Noventa Padovana (PD)

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Indice

Introduzione 1

Se questa è scuola… di Alessandra Anichini 5 Senza scuola 5

Ma la scuola c’è sempre stata? 10 La scuola necessaria 16

Per saperne di più 18

Ripensare al tempo nell’educazione di Franco Lorenzoni 21 La necessità di un tempo pieno per la scuola 21 Il tempo della “non scuola” 24

Importanza del tempo perso 26 Gli insegnamenti della pandemia 30 E … riconfigurare lo spazio di Daniele Barca 33

Un’idea di scuola… Spazi aperti e Laboratori per i talenti 33 Spazi ai tempi della pandemia 37

In continuità con ciò che avevamo 40 Comunità 40

Curricolo 40 Digitale 41 Spazi 42 Tempo 43

Valutazione 44

Parliamo di DADE piuttosto che DAD… e elearning 44 Per saperne di più 48

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VI rIpensarelascuola

Rileggere il curricolo di Stefania Cornacchia 49 Una piccola premessa sul curricolo 49 Il curricolo di scuola a Montecastrilli 51 Gli invarianti di Montecastrilli 52

Collegare l’assoluto e il questo qui 52 Nessuno impara da solo 53

Gli intrecci 54

Farsi opera di se stesso 55 La sceneggiatura 56 Ma poi con la DaD? 58

A partire dai bambini 59

Le differenze fanno la differenza 59 A ognuno la sua risposta 61

I feedback e la valutazione formativa, quello che ci ha insegnato la DaD 62

L’essenzializzazione e l’autoproduzione 64 Il peer to peer 65

I compiti di relazioni e la cittadinanza 65 E dopo la DaD? 68

Per saperne di più 70

Riflettere sugli strumenti di Alessandra Anichini 71 Del libro di testo… 71

… e di altri strumenti 75

Come cambiano le relazioni di Gabriella Benzi 81 Professioni di aiuto e non solo 81

Costruire ponti per poter accedere alle sponde 84 Affrontare l’imprevisto e imprevedibile 87 Mantenere la relazione 89

Collaborare con le famiglie 93 Il ruolo attivo degli studenti 96 Per finire 100

Per saperne di più 104

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IndIce VII Nuovi patti per la formazione di Rudi Bartolini 107

Fra nuove distanze e antichi legami 107 Territorio, comunità e ruolo della scuola 112 Non una scuola della distanza ma una scuola

della prossimità: spunti per nuove alleanze 115 Per saperne di più 121

Conclusioni 125

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L’insegnante che pensa in modo corretto riesce a trasmettere agli educandi che una delle cose belle del nostro modo di esistere nel e con il mondo, in quanto esseri storici, consiste nella capacità di conoscerlo intervenendo su di esso [...] Insegnare, apprendere e ricercare hanno a che fare con due momenti del ciclo gnoseologico:

quello in cui si insegna e si apprende la conoscenza già esistente, e quello in cui si lavora all'elaborazione della conoscenza che ancora non esiste.

– Paulo Freire, Pedagogia dell'autonomia

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Introduzione

31 gennaio 2020, una data che segna, nella mia, nella nostra memoria, l’inizio di un periodo che non avremmo immaginato di vivere. A Roma sono stati isolati i primi due casi di Coro- navirus, due cittadini cinesi in vacanza in Italia che sembrano aver traghettato anche nel nostro paese il terrore che fino a quel momento ha scosso solo una città del lontano Oriente. In realtà, apprenderemo più tardi come quello stesso virus albergasse già nella nostra nazione, così come nel resto d’Europa, e attendesse solo di essere riconosciuto. Ha inizio da lì un’epoca drammatica che ancora oggi stiamo vivendo. Mesi di lutto e di disperazione, di disorientamento, di cambiamento radicale di molte abitudini, di desiderio di recuperare una normalità, tra tentativi di rimozio- ne e adeguamenti alle regole, tra sfiducia e speranza nella scienza, tra dubbi sul futuro.

Nel momento in cui questo evento imprevisto ha interrotto il suo flusso ordinario, la nostra quotidianità ha dovuto essere ripen- sata. Abbiamo avuto modo di rivedere consuetudini che, nell’arco di pochi giorni, sono venute a mancare. Piccoli riti, routines, così come esperienze portanti della nostra esistenza. Tra queste vi è la scuola. Intorno a essa molto si è discusso, molto si è riflettuto;

mentre ci si adoperava per riorganizzarla e si cercava di farla vivere, comunque. Abbiamo anche sperato che il dramma che stavamo attraversando servisse almeno ad aggiustare alcuni difetti che, da anni, avevamo ben chiari. Non sappiamo ancora quali saranno i frutti della riflessione forzata che gli eventi ci hanno costretto ad affrontare. Potremo verificarlo solo tra un po’ di tempo; intanto proviamo a mettere nero su bianco alcuni spunti che abbiamo trat- to da questi lunghi mesi di emergenza.

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2 RIPENSARE LA SCUOLA

Nelle pagine che seguono sono raccolte una serie di testimo- nianze, punti di vista che tentano di affrontare aspetti specifici della scuola che abbiamo vissuto in questi mesi di emergenza.

Riguardano il vissuto, ma soprattutto la riflessione che ne è emer- sa e che dovrebbe durare e dare i suoi frutti quando, si spera, l’emergenza sarà finalmente conclusa. Abbiamo scelto di trattare una serie di aspetti significativi che costituiscono il focus dei sin- goli interventi, con la precisazione che in ognuno di essi emerge, comunque, una prospettiva a tutto tondo sul tema della scuola.

Ogni intervento segue un’ipotetica scaletta di tre punti: cosa ab- biamo vissuto durante la pandemia, quali problematiche abbiamo dovuto affrontare e come sono state risolte (se lo sono state), quali insegnamenti l’esperienza ci ha lasciato, che potremmo mettere a frutto per il futuro. Gli aspetti che sono stati discussi in maniera più specifica (seppure in connessione gli uni agli altri) sono: il tempo della scuola, gli spazi ad essa destinati, le relazioni interne ed esterne tra docenti, discenti, famiglie e tutti gli attori di questa che è una comunità a tutti gli effetti, le materie e il curricolo, gli strumenti, le problematiche sociali, il rapporto tra scuola e terri- torio. Temi che potremmo analizzare, per capire quanto è cambia- to in questi mesi e quanto rimane fermo e saldo per il futuro di una scuola migliore.

Dalle nostre parole vorremmo far emergere la voglia di guar- dare la scuola con gli occhi di chi ha temuto, per un momento, di perderla, nelle sue forme costituite, quelle forme che sono si- curamente da rivedere, da correggere, ma che contengono anche ingredienti da difendere, da recuperare, attraverso un’analisi lucida quanto appassionata.

Nelle pagine che seguono sono raccolte testimonianze di una scuola che non si ferma e che si impegna a cercare soluzioni, in bilico tra passato e futuro, tra voglia di difendere ciò che di buono la storia ci ha consegnato e nel tentare di immaginare soluzioni diverse. Tenendo fermi gli obiettivi, la visione, il senso di un’azione che è prima di tutto sociale.

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INTRODUzIONE 3

In un intervento di qualche anno fa, Umberto Eco, parlan- do della forma libro come oggetto destinato a durare nei secoli a dispetto di tante innovazioni tecnologiche, lo paragonava alla forchetta, uno strumento ormai datato, ma ancora oggi il più ade- guato a mangiare con facilità tanto spaghetti come carne o insala- ta… la stessa cosa vale per la scuola, un’istituzione che diamo per scontata, che forse potrebbe essere rimpiazzata da qualcosa di me- glio, ma che fino ad ora ha tentato di svolgere bene il suo compito e continua a rappresentare qualcosa di insostituibile.

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Ripensare al tempo nell’educazione

Franco Lorenzoni

Franco Lorenzoni ha insegnato nella scuola primaria per 40 anni, di cui 35 nel paese di Giove. A Cenci, nella casa-laboratorio che dirige assieme a Roberta Passoni, organizza dal 1980 corsi di formazione e campi scuola per bambini e ragazzi ispirati alla pedagogia dell’ascolto elaborata nel Movimento di Cooperazione Educativa e alla didattica della matematica elaborata da Emma Castelnuovo. È autore di diver- si libri, tra cui I bambini pensano grande e I bambini ci guardano, editi da Sellerio e di Cinque passi per una scuola inclusiva scritto con Roberta Passoni per la Erickson. Ha girato due documentari sul suo lavoro: “Elementare” ed “E’ meglio che tu pensi la tua”, disponibile su Raiplay. Nel 2021 ha ricevuto lauree ad honorem dall’Università di Palermo e di Milano Bicocca.

La necessità di un tempo pieno per la scuola  

In questo momento, in ogni scuola italiana, si stanno facendo grandi sforzi per fronteggiare la nuova situazione che ha cambiato comportamenti, organizzazione, tempi, spazi, insomma la vita in- tera della scuola.

In molti casi la riduzione dell’orario, con la rinuncia alla mensa e ore che talvolta si sono ridotte, oltre alla difficile alternanza tra presenza e distanza, hanno portato a limitare drasticamente il tem- po e il contatto diretto a scuola, il che non può non destare grandi preoccupazioni. Chiudere per così tanto tempo le scuole è stata, credo, la più sbagliata e pigra delle soluzioni. Ci sono state tante e tanti insegnanti che si sono impegnati con convinzione a ricer-

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care come realizzare una didattica attiva anche a distanza, ma chi ha continuato a riproporre da casa la vecchia pratica della lezione frontale, non ha colto l’opportunità di ripensare a fondo metodi e contenuti in una situazione di oggettiva emergenza.

L’idea di sottrarre tempo e accelerare le attività didattiche osta- cola l’approfondimento, l’ascolto reciproco e il dialogo che, dopo tanta sofferta distanza, dovrebbe essere il principale modo per ri- trovarsi e riprendere una costruzione corale della conoscenza capa- ce di coinvolgere tutti.

Il tempo nell’educazione svolge un ruolo determinante e, a questo proposito, vale la pena tornare a una storia di mezzo secolo fa, che potrebbe ancora oggi insegnarci qualcosa su come affron- tare le povertà educative, che il tempo della “non scuola” ha accre- sciuto a dismisura.

Esattamente 50 anni fa, nel 1970, in sei scuole della periferia di Torino un gruppo di maestre e maestri impegnati e visionari chiesero al Comune di intervenire per trasformare radicalmente il doposcuola. Non più assistenza allo svago degli alunni e un som- mario aiuto per i compiti al fine di organizzare i pomeriggi dei figli di operaie e operai impegnati in fabbrica, ma la moltiplicazione per due del tempo scuola: un’estensione che assegnava lo stesso ruolo e pari dignità a maestre e maestri del mattino e del pomeriggio.

La scuola elementare e media passavano da 24 a 40 ore setti- manali. Una vera rivoluzione, già prevista dal 1962 con l’avvio del- la Scuola Media Unica, ma mai attuata per la maledizione italiana di lasciare spesso le riforme a metà.

Settanta operatori del Comune furono formati per divenire a pieno titolo insegnanti e contribuire a realizzare una scuola del tutto nuova.

Nel tempo raddoppiato, infatti, c’era la possibilità di estendere a tutte le classi le sperimentazioni audaci e radicali che docenti del Movimento di Cooperazione Educativa come Daria Ridolfi e Fiorenzo Alfieri sperimentavano da anni: la tipografia in classe ispirata a Freinet per stampare giornali scritti dai ragazzi, labora- tori scientifici con allevamento di animali insieme ad attività che

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coinvolgevano il corpo, a tanta arte e teatro, ispirato in quegli anni da sperimentazioni di partecipazione, portati nella scuola da un re- gista come Franco Passatore. Tutti metodi efficaci per affrontare il grande problema della lingua in quartieri abitati quasi totalmente da famiglie del Sud, giunte a Torino nella grande migrazione che portò milioni di meridionali a lavorare nelle fabbriche del Nord.

Della qualità di quella scuola attiva si accorse un regista sen- sibile come Luigi Comencini, che volle concludere “I bambini e noi”, una lunga e documentata inchiesta televisiva sulle condizioni dell’infanzia, intervistando i ragazzi della scuola “Nino Costa” di Torino.

A riguardare oggi quei filmati sorprende la padronanza di lin- guaggio acquisita in quelle classi, ben descritta da uno studente di Brindisi, con nove fratelli, che racconta d’essere stato bocciato due volte perché non capiva l’italiano, prima di incontrare un maestro

“che ci fa discutere molto e io più parlo, più riesco a trovare le parole”.

Sulla scorta del successo dell’esperienza torinese finalmente, l’anno seguente, il tempo pieno divenne legge dello stato trasfor- mando profondamente la scuola elementare, che la portò a livelli di eccellenza ammirati in Europa.

Ma ancora una volta la rivoluzione rimase a metà, anzi a un terzo, perché un inghippo inficiava la piena realizzazione della ri- forma fin dall’origine. Il tempo pieno fu infatti proposto per legge à la carte, solo su richiesta delle scuole, limitando drasticamente la sua diffusione al 32% delle classi e penalizzando totalmente le aree interne e le regioni meridionali. Nelle restanti classi continuò a dominare una soluzione che sottraeva molte ore al tempo scuola e con esse la possibilità di organizzare laboratori e immaginare una scuola diversa da quella della rigida scansione oraria disciplinare.

Per affinare la lingua in un costante dialogo che alleni ad arti- colare pensieri e connessioni, per moltiplicare i linguaggi favoren- do l’inclusione di tutti ci vuole tempo, tanto tempo, e ricchezza e varietà di proposte culturali come si sperimentò con successo a Torino 50 anni fa e come in molte scuole si continua a fare.

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Sempre più a fatica. Molte organizzazioni del terzo settore im- pegnate oggi a contrastare la dispersione scolastica riunite nella rete EducAzioni, insieme al Forum Disuguaglianze Diversità, a Saltamuri e a diverse associazioni di docenti ci avvertono che la scuola così com’è, da sola, in troppe situazioni non ce la può fare.

Servono nuovi patti territoriali e maggiori aperture e collaborazio- ni con le forze vive del territorio.

Ancora una volta un ruolo chiave lo gioca proprio il tempo.

Si tratta di aumentare da subito il tempo di apertura delle scuole, che possono avere l’ambizione di trasformarsi in centri di crea- zione culturale sempre aperti, capaci di promuovere e diffondere cultura attraverso processi di aggregazione e crescita di comunità già sperimentati, se si ha il coraggio e la lungimiranza di investire massicciamente in formazione.

Il tempo della “non scuola”

La scuola ha bisogno di tempo, di un tempo lento e significati- vo, che può includere anche “tempi morti”, dedicati alla sosta e all’approfondimento.

Tempi distesi per poter dare a tutti il modo di capire, per solle- varsi dall’ansia di dover fare in fretta e subito.

Che cosa accade, che cosa è accaduto nel tempo che io chiamo di “non scuola”? La didattica a distanza ha sottratto all’educazione uno dei suoi elementi portanti, cioè l’incontro corpo a corpo tra i bambini, tra i ragazzi, e tra loro e gli insegnanti.

La didattica a distanza cambia le relazioni così come cambia lo spazio della scuola, dal momento che i bambini si trovano a fare attività restando a casa, con tutte le interferenze negative date da ambienti familiari molto diversi tra loro. Durante la quarantena la scuola è stata vissuta talvolta come un’intrusione che invadeva spazi privati, altre volte è stata sentita come un’apertura possibile, un modo per accogliere nella propria abitazione l’insegnante e i compagni. Tuttavia, questa strana occasione di ingresso nelle case

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degli altri, qualche volta ha permesso ai docenti di comprendere qualcosa di più dei loro alunni.

Questa modalità di fare scuola ha influito necessariamente sull’attenzione degli alunni, sulla loro capacità di stare dentro le cose e dedicarsi alle attività di apprendimento, ma lo ha fatto in modi molto diversi. Alcuni bambini e ragazzi hanno sperimenta- to capacità maggiori di concentrazione, lontani dai diversivi della scuola in presenza, mentre la maggioranza ha certamente faticato di più. È avvenuto anche che alcuni insegnanti, trovandosi nella condizione di non dover gestire direttamente certe irrequietezze dei ragazzi, abbiano incontrato minori difficoltà nel gestire le in- quietudini del gruppo che in classe. Ma malgrado le tante con- traddizioni messe in luce da questa esperienza, c’è un punto che dobbiamo sottolineare: nella scuola si realizza sempre un intrec- cio tra le attività didattiche in senso stretto e la ricca e composita rete di relazioni che si stabiliscono tra i compagni, tra i ragazzi e l’insegnante, tra i ragazzi e gli oggetto di conoscenza. A distanza questo intreccio è largamente inficiato e trasforma inevitabilmente il modo di incontrare il sapere. La “non scuola” cambia anche la relazione con il tempo e la percezione che ne abbiamo.

In questi mesi di chiusura il tempo si è esteso perché è stato privato di alcune consuetudini e riti quotidiani: non devi vestir- ti, prepararti, prendere i libri per recarti a scuola. Il tempo a tua disposizione in casa si dilata regalandoti in apparenza un tempo tutto tuo. All’inizio, a coloro che potevano permettersi il lusso di vivere in case accoglienti, questo carnevale che rovesciava ogni cosa li poteva anche far godere di un curioso tempo nuovo. All’inizio raramente le scuole hanno proposto a distanza un orario completo e le ore sono state spesso ridotte, in alcuni casi anche di molto. Del resto, specie per i più piccoli, era impossibile mantenere inalterato l’orario e chi lo ha fatto ha rasentato la follia anche alle superiori, perché non è possibile considerare il tempo passato di fronte allo schermo alla stessa stregua di quello trascorso in aula.

Qualcuno sostiene che si debba distinguere tra i diversi ordini di scuola. Che per i più grandi il problema sia meno sentito e che

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la scuola a distanza alle superiori si possa accettare, ma io non credo sia così.

Segnali sempre più preoccupanti parlano di tanti adolescenti che non vogliono più uscire di casa, che si trascinano tra il letto e gli schermi grandi e piccoli che li circondano. I più “fortunati”

hanno almeno una stanza in cui rintanarsi nella loro solitudine, ma molti si trovano a condividere spazi angusti con i loro familiari.

E stare troppo tempo isolati o in convivenza forzata con gli adulti di casa non è certo un’esperienza allegra.

Aumentano esponenzialmente depressioni, stati d’ansia, episo- di di autolesionismo. E troppi sembrano volersi rintanare e finan- co annullare in un limbo dove il corpo è sottratto, negato. Il corpo come esperienza, comunicazione diretta e fonte di desiderio negli anni in cui esplodono le attrazioni reciproche. Come può tutto ciò non alterare la relazione con la conoscenza e le scoperte relazionali e culturali che si fanno nella scuola e fuori?

Di nuovo, anche in questa situazione le discriminazioni au- mentano. Chi ha interessi, cultura e capacità di ricerca trova nel web modi di arricchire le sue passioni, chi è povero di risorse e stimoli per i più diversi motivi, diviene ancora più spesso e per più tempo ostaggio del peggio che circola in rete in mancanza della scuola in presenza. Se poi gli insegnanti riproducono, attraverso lo schermo, il triangolo sempre uguale di spiegazioni frontali, studio sul libro e poi verifiche e interrogazioni, è chiaro che rischia di rompersi il tenue filo che lega chi è meno motivato al desiderio di apprendere ciò che la scuola gli offre.

Importanza del tempo perso

Il tempo della scuola è vario perché intreccia tanti elementi. Quel- lo che potrebbe apparire come tempo perso, perché dedicato alle distrazioni e al sottile tessuto delle relazioni che continuamente si compongono e scompongono in una classe, è spesso straordinaria- mente formativo.

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