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2. Strumenti di comunicazione d identità della marca

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Academic year: 2022

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Indice

Introduzione

1. Concetto di marca

1.1. Il mondo della marca 1.2. Marketing esperienziale 1.3. Marketing relazionale 1.4. Heritage marketing

2. Strumenti di comunicazione d’identità della marca

2.1. Comunicazione Istituzionale

2.2. Comunicazione Interna 2.3. Comunicazione Finanziaria 2.4. Comunicazione Commerciale

3. Il Museo come strategia comunicativa

3.1. Introduzione

3.2. Lo scenario Italiano 3.3. Il Museo Storico Perugina

Conclusioni

Appendice Bibliografia

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Introduzione

Nella mia tesi ho voluto analizzare un fenomeno sviluppatosi in Italia nell’ultimo decennio e la cui importanza viene, a mio avviso, ancora sottovalutata: i Musei Aziendali. I Musei Aziendali vengono definiti come musei organizzati per conto di singole industrie o imprese, dunque nella quasi totalità di gestione privata, e raccolgono materiali e documenti sull’attività delle industrie medesime1.

La situazione in Italia è paradossale, infatti non esiste un museo nazionale del design, né un museo nazionale della moda, né un museo nazionale delle arti decorative: in compenso esistono circa 180 tra musei e collezioni aziendali, quindi esclusivamente private, nate dalla volontà e lungimiranza di un imprenditore e in grado di raccontare, per certi versi, la storia del Made in Italy2. Visitati da oltre un milione di persone ogni anno, i Musei Aziendali sono sparsi in tutta Italia con una forte concentrazione nel Nord. Creati, nella maggior parte dei casi, a partire dal desiderio dell’imprenditore di lasciare una traccia del proprio lavoro, i musei aziendali o musei d’impresa, come vengono indifferentemente chiamati, sono la grande novità del panorama museale italiano di questi ultimi dieci anni.

Identificati e censiti alla fine degli anni Novanta, sono divenuti ben presto l’asse portante del turismo industriale. Negli ultimi anni si è assistito all’espansione numerosa di questo fenomeno, che rappresenta una realtà in continua evoluzione.

Nella prima parte della tesi ho focalizzato la mia attenzione sull’analisi del concetto di marca, la cui immagine ed identità sono veicolate nel museo.

Ho messo poi l’accento su strategie di marketing che sono pienamente

1 M. Amari, I musei delle aziende, Franco Angeli, Milano, 2001.

2 www.radio24.ilsole24ore.com, testo di un programma radiofonico a cadenza settimanale sui Musei Aziendali.

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incluse nel museo come il marketing relazionale, il marketing esperienziale e infine l’heritage marketing. Il Museo aziendale è solo uno degli strumenti che l’azienda può utilizzare per comunicarsi e nel secondo capitolo ho voluto creare una panaromica dei modi in cui l’azienda può comunicare se stessa. Esistono principalmente quattro tipi di comunicazione aziendale:

interna, esterna, istituzionale e commerciale. Nell’ambito della comunicazione commerciale ho focalizzato la mia attenzione su alcuni strumenti che mi sembravano maggiormente collegati al museo: le sponsorizzazioni, la distribuzione commerciale ed il visual merchandising, il design dei prodotti, il packaging e la grafica. Nel terzo capitolo, mi sono concentrata sull’argomento principale della tesi, descrivendo brevemente le funzioni del museo aziendale, facendo una panoramica su quest’esperienza e su quella italiana in particolare. Tra i molti esempi riportati, l’azienda presa come case history nello strutturare tutta la mia tesi è stata la Perugina, in quanto emblema di tutto il mio discorso e in quanto il suo museo, il Museo Storico Perugina, svolge attivamente una comunicazione interna ed esterna a pieno ritmo soprattutto nell’ambito del radicamento e della promozione territoriale e didattica. Ho quindi visitato il museo e contattato la curatrice per avere con lei un interessante colloquio che ha dato una risposta concreta alle mie domande e curiosità permettendomi l’importante, utile e significativo confronto con un a caso reale e perfettamente riuscito di comunicazione aziendale attraverso lo strumento museo.

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1. Il concetto di marca

1.1. Il mondo della marca

Costrutto essenzialmente immateriale, la marca non esiste se non attraverso le modalità d’espressione che le assicurano visibilità: forme, colori, e tutte quelle che possono essere identificate come manifestazioni comunicative. Questa forza simbolica, questa capacità di evocare immaginari e costruire mondi possibili, fanno della marca un vero soggetto narrativo, un dispositivo capace di attivare molteplici discorsi e comunicare con pubblici differenti3. A lungo considerata come un fatto esclusivamente economico e commerciale, la marca è ormai un fenomeno di comunicazione complesso, che oltrepassa il contesto dei mercati, per investire discorsi concernenti vari ambiti del sociale come l’arte, l’educazione, la cultura, ecc.

Ogni marca crea un discorso proprio in base ai suoi prodotti, alla sua storia, ai suoi progetti. Si tratta di un discorso autonomo che si configura in un mondo totalmente immateriale ma che si propone di essere veramente intrigante e seducente per il consumatore, per il quale invece rappresenta una realtà ben precisa. Non può essere dunque considerato come un

«simulacro», inteso secondo l’accezione datane da J. Baudrillard4, ma qualcosa di estremamente concreto perché dotato di grande ricchezza e densità comunicativa e che stabilisce un rapporto continuativo con il

3 M. Lombardi, Il dolce tuono, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 49.

4 Nel 1977 J. Baudrillard scrive un libro intitolato Dimenticare Foucault. Tocca un punto essenziale, quello della dimensione simbolica e rituale del potere, quando afferma che

«Foucault smaschera tutte le illusioni finali o causali riguardo al potere, ma non ci dice nulla sul simulacro del potere stesso». La questione del simulacro, inteso come copia che si sostituisce all’originale, diveniva centrale nell’analisi del potere cinico dei media.

Quest’ultimo produce infatti una simulazione talmente credibile della realtà da essere più reale del realtà materiale, un iperrealtà che si pone ormai come l’unico orizzonte di senso rigenerante il tessuto sociale. Le società postmoderne sono società di simulazione, nelle quali ad essere determinante non è più il possesso dei beni di produzione quanto l’appropriazione parodistica di codici identitari nell’iperrealtà del mondo cibernetico e della pubblicità: questo è il nucleo della riflessione di Baudrillard a partire dal suo lavoro forse più influente, Simulacri e simulazioni (1981).

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consumatore che ne è complice nella costruzione. La marca è emersa come uno strumento aziendale fondamentale durante l’epoca d’oro della pubblicità moderna, ovvero gli anni ‘80, quando si è compreso che non era più sufficiente valorizzare un prodotto ma diventava necessario associare a questo un potente soggetto simbolico, la marca appunto, dotato di una ben definita identità. Proprio la crescente importanza che ha assunto, ha fatto sì che essa abbia progressivamente ampliato le sue connessioni con il mercato e con il sociale.

Siamo dunque sempre più di fronte ad una Marca Network, il cui scopo primario è essere costantemente in relazione con ciò che si trova al suo esterno, con gli individui, le istituzioni, gli stakeholder, ecc. che la circondano5. Da questo dipende la sopravvivenza dell’azienda, che in un mercato competitivo come quello attuale, nel quale il ciclo di vita dei prodotti è sempre più breve e la capacità innovativa ha orizzonti sempre più vicini, deve saper cogliere il più possibile gli input che provengono dal suo network di riferimento, così da poter anticipare le richieste del mercato e rimanere al passo con i bisogni dei consumatori. Tutte le marche svolgono oggi un ruolo sociale rilevante che va oltre il campo economico e le funzioni tradizionali (tra cui quelle di identificazione, orientamento, garanzia, ecc.), ma possono essere considerate attori chiave dei principali processi di trasformazione sociale: non sono soltanto in grado di influenzare il nostro modo di vivere, bensì tendono a plasmare la struttura della società.

Abbiamo quindi una serie di valori “deboli” e stili di vita dettati dalle marche, con Nike che rappresenta l’individualità nelle gare sportive e la ricerca dei propri limiti per superarli, Barilla che “educa” le nuove generazioni con i valori della famiglia e dell’ospitalità, Nutella a rappresentare il valore dello stare insieme, solo per fare alcuni esempi.

Inoltre, per capire l’importanza della marca, non bisogna dimenticare che

5 M. Lombardi, op. cit., p. 69.

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viviamo nel pieno della società del consumo, di cui le marche sono gli attori decisivi. Basti pensare all’invasione in atto di molti luoghi tradizionalmente estranei alla comunicazione pubblicitaria: alberghi, ristoranti, aeroporti, luoghi per l’ascolto della musica, cinema, musei, sono ormai “tappezzati” di cartelloni e messaggi pubblicitari e negozi, perché ogni occasione è buona per acquistare e sentirsi parte di un mondo marca. Tali fenomeni, inoltre, si sono intensificati negli ultimi anni in conseguenza del crescente orientamento delle imprese verso il marketing relazionale ed esperienziale.

A causa della sempre maggiore saturazione dei mercati oggi le aziende, per differenziarsi, devono saper dare un valore aggiunto (intangibile) che prima di tutto sorprenda il consumatore proprio nei luoghi in cui non se lo aspetta, luoghi in cui la soglia del livello percettivo è più alta, ovvero le persone sono più attente agli stimoli esterni e non possono difendersi magari cambiando canale come quando appare la pubblicità in tv. «L’obbiettivo delle imprese non è più quello di vendere lo stesso prodotto al maggior numero possibile di consumatori, ma di stabilire una relazione profonda e duratura con questi ultimi, per poi offrire loro il maggior numero di prodotti e servizi»6. La marca è costretta a comunicare in modo diverso, più completo, con un misto di precisione e seduzione, proprio perché il cliente con cui ha a che fare è un individuo che interagisce e decide per sé, un individuo consapevole che trasferisce nell’atto dell’acquisto tutta la ricchezza della propria personalità e della cultura alla quale appartiene.

Passiamo ora al concetto d’identità di marca, caratterizzato da una maggior concretezza e precisione. Mi sembra importante, prima di tutto, distinguere la nozione d’identità da quella d’immagine di marca, concetti che potrebbero essere confusi. Mentre l’immagine ha a che fare con la ricezione dei messaggi da parte dei consumatori, col modo in cui i segni di marca sono decodificati, letti, interpretati, l’identità ha a che fare con

6 V. Codeluppi, Il potere della marca, Bollati Boringhieri, Torino, 2004, pp. 11-13.

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l’emissione di senso da parte della sfera di produzione della comunicazione da parte dell’azienda7. Detto questo, rimane più semplice capire come l’identità di marca sia il modo con il quale una marca si rende visibile e concretamente presente nei discorsi che gli attori sociali si scambiano:

l’identità della marca consiste nella creazione, da parte dell’azienda, di un mondo possibile, all’interno del quale si dispiegano i valori fondatori della marca e tutti gli elementi che contribuiscono alla “collocazione” di tali valori nella mente del consumatore. Tale mondo rimane virtuale fino al momento in cui non è riconosciuto da un pubblico disponibile ad assumerlo e comprenderlo, permettendo appunto la creazione dell’immagine che l’azienda ha voluto indurre con la comunicazione della propria identità8.

«La marca è, in quanto vettore di senso, un principio astratto che prende forma incarnandosi in supporti reali e sensibili. Tutti i sensi possono incarnare l’identità di marca: il tatto, l’udito, l’odorato, la vista e il gusto. La grana dei pellami Louis Vuitton è parte integrante della sua identità, come la sonorità del motore BMW e la fragranza di Chanel n. 5 o il gusto di Golia»9. Acquistando un prodotto i clienti non acquistano solo un logo, una confezione, un nome di marca (elementi primari dell’identità), ma il

«fascino sensoriale ed affettivo»10 che circonda il prodotto, creato ad esempio dal design di un punto vendita e l’esperienza che questo offre.

Questa considerazione ha dato oggi vita ad una branca del marketing che è stata definita marketing esperienziale.

7 G. Fabris e L. Minestroni, Valore e valori della marca: come costruire e gestire una marca di successo, F.Angeli, Milano 2004, p. 183

8 L’immagine dell’azienda è un obbiettivo facilmente perseguibile attraverso il museo, il quale può esaltare elementi determinanti: dalla tradizione alla competenza, dalla serietà all’affidabilità, dalla qualità all’innovazione.

9 A. Semprini, La marca, Lupetti, Milano, 1996, p. 125.

10 M. Ferraresi, B. H. Schmitt, Marketing esperienziale, FrancoAngeli, Milano, 2006.

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1.2. Il marketing esperienziale

Mentre il marketing tradizionale si focalizza in maniera limitante sugli attributi e benefici dei prodotti, il marketing esperienziale si focalizza sui contesti d’uso e di consumo e su tutti gli stimoli che i clienti ricevono in qualsiasi punto di contatto con l’azienda. Teorizzato da Bernd Schmitt, il marketing esperienziale rappresenta la rinnovata attenzione per la sfera del sensibile, anche nell’ambito del marketing. Il Marketing Esperienziale, perciò, si basa più sull’esperienza del consumo che sul prodotto in sé; per intenderci, non è ritenuto importante il prodotto “shampoo”, ma l’esperienza

“lavarsi i capelli con quello shampoo”. Obiettivo primario della strategia di marketing sarà allora quello di individuare che tipo d’esperienza valorizzerà al meglio il prodotto. Secondo Schmitt esistono cinque diversi tipi di esperienza: SENSE experiences ovvero esperienze che coinvolgono la percezione sensoriale; FEEL experiences coinvolgono i sentimenti e le emozioni; THINK experiences ovvero esperienze creative e cognitive che fanno appello al pensiero convergente e divergente dei clienti attraverso la sorpresa, l’intrigo e la provocazione e che richiedono al fruitore una vera e propria operazione di decodifica e creatività intellettuale; ACT experiences coinvolgono la fisicità e gli stili di vita mostrando ad esempio modi di agire alternativi, ne sono da esempio la maggior parte delle campagne che di prodotti per il fitness; ed infine RELATE experiences, esperienze che risultano dal porsi in relazione con altri individui, altre culture o con il proprio sé ideale. Il manager potrà costruire per i consumatori queste esperienze mediante il communication mix, ovvero l’insieme degli strumenti che parlano della marca, inclusi siti internet, punti vendita, personale ed eventualmente museo aziendale. È infatti stato dimostrato che il 95% delle scelte dei consumatori sono dettate dall’inconscio11. Quindi per vendere un

11 www.aziende.economia.alice.it

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prodotto è necessario attirare il suo inconscio, attraverso un’esperienza (di consumo) che produca nella sua mente una sensazione piacevole, di curiosità, di stimolo, ecc. perché le esperienze di consumo sono spesso dirette al il raggiungimento di fantasie, sentimenti e divertimento. Questo non significa che i clienti non agiscono mai razionalmente, ma che i due modi di agire sono altrettanto frequenti e importanti da tenere in considerazione, senza per forza scartarne uno a priori. Quali strumenti sono effettivamente usati dal Marketing Esperienziale? A differenza delle metodologie analitiche, quantitative e verbali del marketing tradizionale, il Marketing Esperienziale si proietta verso strumenti più intuitivi e qualitativi e solo in un secondo momento si preoccupa di quanto la metodologia sia attendibile, valida o sofisticata. L’attivazione dei cinque tipi di esperienza avviene attraverso quegli strumenti chiamati da Schmitt «fornitori di esperienza», ovvero comunicazione, identità visiva e verbale, presenza del prodotto in diversi ambiti, co-branding, spazi espositivi, media elettronici, personale.

Nell’ambito dell’identità visiva e verbale possiamo, per portare un esempio, considerare i così detti “nomi esperienziali”: Schweppes, richiamo onomatopeico all’effervescenza della bibita, o Kodak richiamo onomatopeico del rumore che si crea nel momento dell’apertura della macchinetta fotografica per il cambio del rullino.

Nell’ambito degli spazi espositivi, mi sembra particolarmente valido come esempio di “fornitore di esperienza”, l’utilizzo dei mezzi di trasporto, perché nel momento in cui si prende la metropolitana, il treno, l’aereo, si è particolarmente ricettivi nei confronti della realtà che ci circonda. Un esempio particolarmente riuscito mi pare essere quello del volo da New York a Roma dell’estate 1998. Una promozione combinata di Alitalia e Baci Perugina ha permesso la creazione dell’aereo “Baci dall’Italia”, colorato di blu e bianco come l’involucro delle scatole dei cioccolatini. I baci sono poi stati offerti ai passeggeri a bordo e slogan romantici ed emozionanti erano

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stati applicati, in inglese e italiano, all’interno di tutto l’aereo12. Chi ha fatto quel viaggio ancora oggi probabilmente collega le due marche ad una piacevole e romantica esperienza.

Anche il Museo aziendale può essere utilizzato come strumento attivo in una strategia di marketing esperienziale e nell’ambito di altre strategie di comunicazione e marketing come il marketing relazionale e l’heritage marketing. Queste saranno brevemente introdotte nei paragrafi successivi, in riferimento al ruolo dei Musei Aziendali all’interno di esse, portando come case history quello del Museo Perugina.

1.3. Il marketing relazionale

Per una visione più ampia delle strategie di marketing utilizzate oggi mi sembra doveroso affrontare il tema del marketing relazionale che, rispetto a quello esperienziale il quale concentra maggiormente la sua azione nel momento specifico del consumo, ha la capacità di accrescere la relazione dell’azienda con il cliente attraverso la sua fidelizzazione nel lungo periodo.

Il marketing relazionale potrebbe essere descritto come quella disciplina che si occupa della creazione, dello sviluppo, del mantenimento e dell’ottimizzazione delle relazioni tra clienti ed azienda, così da dar vita ad un rapporto continuativo nel tempo stimolato dall’azienda con eventi e soprattutto informazioni ed input sempre nuovi verso il cliente.

Si sviluppa durante la seconda metà degli anni Settanta nell’ambito del settore dei servizi e dei beni industriali, settori in cui le teorie di marketing management utilizzate in quel periodo (e rivolte soprattutto al prodotto) risultavano inutili ed inadeguate. Il marketing relazionale andrebbe inteso come management delle relazioni, rivolto a creare un network di rapporti di

12 M. Ferraresi, B. H. Schmitt, Marketing Eperienziale, Franco Angeli, Milano, 2006, p. 95.

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lungo periodo. L’obbiettivo di sopravvivenza dell’impresa è perseguito, secondo questo nuovo approccio, attingendo al patrimonio relazionale. Dei due ambiti (settore dei servizi e settore dei beni culturali) in cui questo tipo di marketing si sviluppa, quello di mio interesse è proprio quello dei beni industriali. Negli anni Settanta un gruppo di ricercatori svedesi ha condotto una ricerca empirica sugli approcci di marketing seguiti nel settore dei beni industriali13. La ricerca rivelava come nei due terzi delle imprese analizzate i dieci massimi clienti rappresentavano più dei due terzi del fatturato globale.

Nell’ambito dei mercati dei beni industriali, infatti, le relazioni stabili di lungo periodo rappresentavano la modalità di rapporto più diffusa e quindi da sviluppare. Questa intuizione si tradusse nel cambiamento d’orizzonte di analisi del mercato e in una conseguente ridefinizione del compito stesso di marketing, visto non più solo come una leva operativa (concezione degli anni Ottanta), ma parte integrante della strategia aziendale (come dimostrano i recenti sviluppi)14. Inoltre, mentre prima la strategia aziendale era tutta concentrata in termini di prodotto e fatturato, adesso, con l’approccio relazionale, gli obbiettivi, la struttura operativa e la funzione di marketing sono stabiliti in funzione dei principali clienti, considerati ognuno come un mercato a sé. I rilevamenti empirici ottenuti nell’ambito dell’IMP hanno determinato una revisione dei processi di scambio che caratterizzano i mercati dei beni industriali. Sono state scoperte nuove variabili che influenzano le transazioni e nuove modalità e strumenti per influenzarle. Il marketing relazionale nasce quindi nell’ambito di un mercato business to business, ma è oggi pienamente usato anche nei mercati business to consumer15.

13 Si tratta del progetto IMP – Industrial Marketing and Purchaising Project, sostenuto dall’università di Uppsala, Svezia. Bottinelli L., La nascita e lo sviluppo del marketing relazionale, “Quaderno di ricerca n.5”, Copyland, Pavia, 2004, in http://economia.unipv.it/ric-az/Quaderno%205.pdf

14 Bottinelli L., La nascita e lo sviluppo del marketing relazionale, “Quaderno di ricerca n.5”, Copyland, Pavia, 2004, in http://economia.unipv.it/ric-az/Quaderno%205.pdf

15 Ibidem.

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Ad esempio in un’azienda come la Perugina, il marketing relazionale è sicuramente una delle strategie adottate anche nel momento in cui si rivolge al consumatore finale. Basta entrare nel sito e al consumatore si presentano possibilità di sentirsi parte dell’azienda e parte di una relazione assolutamente personalizzata: scuole di cucina, ricette fai da te, storia dell’azienda presentata in parallelo alla storia d’Italia, (questo in particolare alimenta nell’utente italiano la sensazione di appartenenza, poiché la storia dell’azienda è anche la storia della propria famiglia, dei propri antenati, del proprio paese). Stessa cosa succede entrando nel Museo: i packaging dei prodotti che si sono susseguiti nel corso degli anni rappresentano (con molta probabilità) frazioni della vita passata d’ogni singolo consumatore, anche occasionale, ed è così che il cliente sente già l’azienda parte di se stesso ed è così creato un rapporto stabile. Questo rapporto è poi alimentato e rinnovato dalle varie collaborazioni del Museo e dell’Azienda con eventi ed Istituzioni; ad esempio l’Eurochocolate o il recente festeggiamento del centesimo anno di vita dell’azienda in cento piazze d’Italia. Infatti l’approccio network, derivante dall’esperienza di ricerca nell’ambito del progetto IMP che abbiamo precedentemente citato, sostiene che le relazioni che si possono sviluppare tra due soggetti (in questo caso azienda e consumatore finale) siano sempre condizionate da quelle che questi già intrattengono con terze parti (nel caso particolare il Comune di Perugia o gli altri comuni d’Italia che hanno messo a disposizione le loro piazze con quello che rappresentano per i cittadini).

In conclusione, la filosofia di marketing relazionale indica chiaramente che la sopravvivenza dell’impresa, soprattutto in un contesto competitivo e in continuo cambiamento in cui il ciclo di vita dei prodotti è sempre più schiacciato e la capacità innovativa deve far riferimento ad orizzonti sempre più brevi, dipende sempre più dalla sua capacità di interazione e cooperazione con il network di riferimento e dalla sua capacità di adattarsi e apprendere dalle molteplici e complesse interazioni tra i soggetti che ne

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fanno parte16. L’importante relazione tra l’azienda e il territorio che la circonda (in particolare ricorrendo all’identità storica dell’azienda come contatto con l’identità storica collettiva del gruppo sociale in cui essa è nata e si è sviluppata), viene messo in risalto da un altro tipo di strategia di marketing: l’heritage marketing.

1.4. Heritage marketing

Per comprendere cosa s’intende con Heritage Marketing bisogna innanzitutto risalire al termine anglosassone heritage che può essere interpretato come «il patrimonio complesso costituito da tutto ciò che il passato ha trasmesso all’oggi e che definisce l’idea di un territorio, di una popolazione, di un gruppo sociale»17. È questa una definizione di heritage molto ampia, ma ciò che m’interessa estrapolare è il recupero del passato che avviene attraverso i musei d’impresa, che possono essere considerati a pieno titolo come strumenti dell’heritage marketing. È lo stesso criterio utilizzato dai ristoranti storici, che ricreano un’idea di patrimonio condiviso, ereditarietà attraverso un clima che dal menù, alla conservazione dell’arredo rimanda ad una storia di tanti anni fa. L’heritage marketing ammette per la prima volta in modo ufficiale come sia possibile utilizzare il patrimonio e la cultura industriale come contenuto privilegiato di una forma di comunicazione. «L’approccio dei musei d’impresa in Italia è generalmente di stampo anglosassone, quindi vi è una maggiore attenzione per la narrazione di una storia, alla sua contestualizzazione, che spesso ha come protagonista l’impresa e la comunità che rappresenta»18. La struttura museale ha quindi il compito di dimostrare che chi sta dietro a quel nome

16 Ibidem.

17 M. Montemaggi F. Severino, Heritage Marketing, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 81.

18 Ibidem, p. 94.

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garantisce qualità, originalità, il valore di una storia che pur avendo le sue radici nel passato guarda verso il futuro. Questo si associa pienamente al concetto di neotradizionalismo, il quale risponde al mondo dei consumi sempre più complesso e mutevole valorizzando ciò che è stato selezionato dall’evoluzione della storia, nella consapevolezza che è sempre più raro incontrare delle vere novità e che è quindi meglio rivolgersi a ciò che è già noto e ha saputo resistere all’effetto di usura provocato dal tempo. Gli strumenti dell’Heritage Marketing sono innanzitutto il Museo d’Impresa, gli eventi heritage e il merchandising storico. La questione dei musei d’impresa sarà ampliamente affrontata nel terzo capitolo. Mi voglio occupare, in questo paragrafo, dei due secondi strumenti.

«L’evento heritage può essere considerato la condivisione di un’azione da parte di un gruppo di persone, più o meno grande, che utilizza un linguaggio e un codice simbolico comune, in un tempo limitato e presente»19. L’evento heritage è quindi un’esperienza di comunità. In base al tipo di comunità a cui è rivolto, può essere di tipo istituzionale o di fidelizzazione del cliente. Nel primo caso l’azienda soddisfa domande, acquisisce o rinforza una posizione, costruendo una relazione con i soggetti sociali del proprio territorio come le istituzioni pubbliche, le altre aziende presenti, o le persone che ci vivono. Un tipico esempio di evento istituzionale sono le domeniche denominate Porte aperte e che consistono nell’aprire l’azienda alle persone del territorio circostante permettendo di visitarla e magari offrendo un pranzo, un piccolo souvenir o ospitando gli eventi speciali della comunità. Nel caso invece di un evento di fidelizzazione, è giusto parlare brevemente delle dinamiche che si creano tra l’azienda portatrice di un determinato messaggio o valore-bene e i potenziali clienti di riferimento, e quindi più in generale delle dinamiche fra l’individuo e l’esperienza sociale. Dal punto di vista antropologico questo

19 M. Montemaggi F. Severino, op. cit., p. 135

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tipo di evento può essere visto come un rito (occasione in cui l’individuo rinsalda il proprio legame con la comunità)20. Il rito rappresenta il bisogno dell’uomo contemporaneo di aderire a linguaggi, valori, icone condivise, che possono essere facilmente rappresentate, anzi lo sono sempre più, da un prodotto o da un marchio. «A un immaginario moderno, fatto di sradicamento individuale, vediamo opporsi un immaginario postmoderno costituito da tentativi di “ri-radicamento”, rappresentati per esempio dalla ricerca ecologica o dai movimenti no global»21. Il progresso diventa quindi in un certo senso “datato” e “tradizionale” e a far sognare è oggi quel mondo perduto che viene idealizzato. Una parte del mondo imprenditoriale italiano percependo la valenza di questa particolare forma di marketing (Tribale)22, e la possibile applicazione del tema heritage, ha facilitato la creazione di un linguaggio condiviso tra i partecipanti permettendo a tutti di riconoscersi nell’evento. Il patrimonio d’impresa può essere considerato come un serbatoio dei riferimenti utili: offre un luogo in cui sviluppare l’evento (che può essere sia la stessa fabbrica di produzione che un “luogo di culto” che rappresenti la logica e l’estetica del marchio) ed offre icone, ovvero gli oggetti più evocativi e riconoscibili del marchio, capaci di diventare veri e propri totem dell’evento. Anche tutta la comunicazione deve essere perfettamente in sintonia con il clima heritage, coerente con la situazione in ogni minimo particolare, dai comunicati stampa al personale operativo. In conclusione gli eventi possono avvalersi della ricchezza della cultura storica

20 B. Cova, Il Marketing Tribale. Legame, comunità, autenticità come valori del Marketing mediterraneo., Il sole 24 ore, Milano, 2003, pag. 47. «La ritulizzazione è vista come il processo che inventa le tradizioni nella nostra società, processo che il marketing cerca di comprendere e decodificare e a cui cerca di associare una strategia di costruzione dell’unicità»

21B. Cova, Il Marketing Tribale. Legame, comunità, autenticità come valori del Marketing mediterraneo.,Il sole 24 ore, Milano, 2003, pag.9.

22 ibidem, pag. 12, «Il marketing Tribale cerca non tanto di stabilire un legame personale con il cliente, quanto di creare e mantenere il legame fra i clienti stessi, aiutandoli a condividere le loro passioni grazie a un prodotto o un servizio che abbia valore di legame, cioè che esprima la capacità di costruire, sviluppare o perpetuare il rapporto con la clientela».

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aziendale (fatta di miti, di linguaggi, di valori simbolici ed estetici) rendendoli così più interessanti e densi di significati.

L’altro strumento di comunicazione heritage da analizzare è l’heritage merchandising. Questo strumento sfrutta i segni di una cultura condivisa e già introiettata dalle persone, per creare nuovi prodotti più o meno identici ai vecchi o di merchandising evocativo, ovvero prodotti editoriali, souvenir o copie di prodotti storici in scala (come i modellini). I prodotti seriali (cartoline, calendari, tazze, orologi, portachiavi, abbigliamento), sono quelli che rappresentano la forma più banale di heritage merchandising, ma anche la più venduta. Un’altra tipologia è costituita dai prodotti editoriali heritage come il più classico catalogo della collezione o altre pubblicazioni dedicate ad un aspetto specifico della cultura aziendale o ad un particolare periodo legato alla storia dell’impresa. Ci sono poi anche i prodotti dell’azienda estromessi dal loro contesto ed utilizzati come souvenir, come ad esempio il Pistone da gara della Ferrari posizionato su una piccola base di carbonio e venduto come prestigioso oggetto da tavolo; in ultimo copie di prodotti storici come modellini in scala di alcuni prodotti aziendali famosi. La produzione di questi oggetti può rivelarsi un’arma a doppio taglio, infatti per mantenere un’esclusività nella vendita alcune aziende utilizzano una modalità di produzione limitata e numerata. Inoltre questi prodotti hanno una loro naturale collocazione all’interno del museum store, negozio che diventa il prolungamento del percorso museale, offrendo ai visitatori di terminare la visita acquistando la riproduzione, le foto in catalogo, ecc. di un oggetto appena visto.

In conclusione possiamo sostenere che l’utilizzo del patrimonio storico industriale è una risorsa strategica concretamente utilizzata ed utilizzabile dalle aziende a supporto delle politiche di marketing, branding e comunicazione dell’azienda, valorizzando proprio la tradizione e la cultura d’impresa che in Italia certo non manca alle aziende, le quali producono da decenni oggetti industriali di fascino mondiale grazie alla secolare

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tradizione produttiva e artigianale, ormai sedimentata nell’immaginario come brand Made in Italy. Tutto questo trova spazio e massima celebrazione proprio nel Museo d’Impresa.

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2. Strumenti di comunicazione d’identità della marca

Prima di addentrarmi nel pieno del discorso sui Musei Aziendali, che è lo specifico di questa tesi, mi è sembrato opportuno dedicare un capitolo alla più ampia valutazione dei tanti strumenti che la marca e l’azienda hanno a disposizione per comunicare se stesse alle istituzioni, alle persone, ai consumatori reali ed eventuali.

Tra tutti gli strumenti di comunicazione a disposizione dell’azienda (pubblicità su media, riviste o cataloghi aziendali, annual report, nome, logo e codici di marca, prodotto e design, packaging, sponsor, co-branding, eventi e sponsorizzazioni, product placement, spazi espositivi, siti web e media elettronici) mi è sembrato utile distinguere tra comunicazione istituzionale, comunicazione interna, comunicazione finanziaria e comunicazione commerciale, parlando di volta in volta degli strumenti più consoni per ogni tipo di comunicazione che l’azienda può portare avanti.

2.1. Comunicazione Istituzionale

Una prima area di comunicazione d’impresa da analizzare è la Comunicazione Istituzionale. Le campagne di comunicazione istituzionale puntano non direttamente a vendere un bene o un servizio, ma a costruire, rafforzare o modificare l’immagine di un’intera azienda affermando la posizione dell’impresa, guadagnando fiducia e affidabilità negli ambienti finanziari e facendosi conoscere presso l’opinione pubblica. La strategia di comunicazione istituzionale si sviluppa nel lungo periodo attraverso una serie di messaggi che fluiscono con regolarità e tempi adeguati attraverso differenti canali di comunicazione. Tra gli strumenti che possono essere utilizzati per questo tipo di comunicazione, c’è innanzitutto il medium stampa, veicolo principale per trasmettere messaggi sia a pubblici selezionati (tramite stampa di settore o specialistica) che a pubblici più vasti

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(come quotidiani e riviste ad alta tiratura). Come arriva l’azienda alle testate giornalistiche? Il mezzo di collegamento più rapido è il comunicato stampa che permette di veicolare informazioni, idee, proposte dell’impresa verso gli esponenti del mondo della carta stampata, radio e televisione. I comunicati vanno indirizzati ai diversi redattori e alle agenzie d’informazione – ad esempio in Italia rappresentate da Ansa, Agenzia Giornalistica Italiana, AdnKronos, ecc. – che a loro volta trasmettono le notizie più interessanti e significative alle rispettive reti di informazioni. Non bisogna dimenticare che le notizie che arrivano ogni giorno sono tantissime, quindi il comunicato stampa delle aziende dovrebbe cercare di colpire il giornalista, giudice insindacabile della validità di una notizia. Il comunicato deve quindi contenere una notizia che possa colpire, limitandosi ad esporla in forma sintetica, facendo in modo cioè che il comunicato non assomigli ad una lettera ma abbia già un taglio giornalistico. Poi è importante, per l’efficacia della comunicazione, selezionare accuratamente i giornali e i giornalisti, in funzione dell’argomento trattato e del target a cui si vuole arrivare.

Un altro strumento di collegamento valido tra azienda e mezzi d’informazione è la conferenza stampa, il cui obbiettivo generale è di trasmettere ad un pubblico prevalentemente di giornalisti, una o più notizie di vitale importanza per l’azienda stessa come cambi al vertice, affari di particolare rilevanza economica conclusi dall’azienda, apertura di nuovi stabilimenti produttivi. Tenendo sempre conto che, come il comunicato stampa, anche la conferenza stampa ha come obbiettivo principale la comunicazione sui media, occorrerà stabilire data e luogo dell’evento e progettare e spedire inviti, evitando la sovrapposizione con altri eventi e fatti importanti. Scegliere persone con sufficiente prestigio personale, così da richiamare un numero elevato di giornalisti, garantirà il successo della

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conferenza stampa, sempre a dimostrazione di come sia importante, per la marca, il network di persone che la circonda23.

2.2. Comunicazione Interna

Se l’importanza di una comunicazione esterna (come quella Istituzionale descritta nel paragrafo precedente) non è mai stata messa in discussione e comunque sempre valorizzata delle aziende, bisognerà invece attendere gli anni Ottanta, periodo in cui si assiste ad una messa in discussione e alla conseguente evoluzione delle tradizionali strutture organizzative imprenditoriali, per vedere la nascita e l’applicazione del concetto di Comunicazione Interna. Si comprende finalmente l’importanza di motivare i dipendenti e di promuovere l’immagine dell’impresa nei confronti di questi, in seguito alla comprensione del fatto che ogni dipendente di una qualsiasi impresa svolge il ruolo di vero e proprio testimonial attivo della propria azienda. Infatti ognuno di essi, in quanto lavoratore, ha mille occasioni ogni giorno di parlare della società o dell’ente per il quale lavora ai propri conoscenti, amici, parenti, diffondendo anche involontariamente, critiche, commenti, anticipazioni che raggiungono così, di volta in volta, un pubblico sempre più vasto. Nel momento in cui un dipendente non conosce bene ciò che riguarda l’organizzazione per la quale lavora, c’è il rischio di trasmettere informazioni errate che corrispondono ad un’immagine dell’azienda non corretta e che si può facilmente trasformare in “cattiva pubblicità”. Un’efficace comunicazione interna è quindi importante anche per creare un maggiore coinvolgimento e coltivare un maggiore senso di appartenenza. Questa usa strumenti come giornali aziendali (pubblicazioni normalmente bimestrali che diffondono informazioni sulla vita dell’azienda,

23 M. Morelli, L’immagine dell’impresa, Franco Angeli, Milano, 2002, pp 113-147.

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sui risultati raggiunti, sul mercato, sui prodotti, ecc.), bacheche aziendali (poco utilizzate in Italia) e soprattutto riunioni aziendali. Le riunioni aziendali sono una modalità molto utilizzata in Italia e consistono in occasioni in cui i dipendenti sono chiamati, durante il proprio orario di lavoro, ad incontri guidati da un moderatore/organizzatore che fornirà informazioni, sensibilizzerà i partecipanti su specifiche problematiche richiedendo anche opinioni e pareri, si prenderanno delle decisioni e in alcuni casi si dibatteranno anche idee e proposte di tipo creativo (brainstorming)24.

2.3. Comunicazione Finanziaria

Altro tipo, invece, di comunicazione esterna è la Comunicazione Finanziaria. Gli strumenti a disposizione del comunicatore in questo caso sono le assemblee degli azionisti e, primo tra tutti, il bilancio societario (strumento previsto per legge), presentato annualmente all’assemblea dei soci azionisti, un’importante occasione di comunicazione finanziaria a disposizione dell’azienda. In questo caso i pubblici di riferimento appartengono ad entrambe le categorie di pubblici (interni ed esterni), e sono gli azionisti, i dipendenti, i fornitori, i consulenti dell’impresa, i clienti, le istituzioni, le banche e gli istituti di credito, le società assicurative, gli opinion leader, i gruppi d’opinione, la stampa economica, ecc. L’obbiettivo di comunicazione di queste assemblee è quello di controllare e gestire il flusso delle informazioni verso i pubblici di riferimento, in funzione delle strategie di sviluppo e business che l’impresa intende perseguire. Il bilancio annuale diviene un vero e proprio strumento di comunicazione, accompagnato da un insieme di dati e argomentazioni che illustrano le

24 M. Morelli, L’immagine dell’impresa, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 166-167.

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strategie d’impresa con dati, diagrammi, immagini, rendendo il tutto più evidente e più attraente e facilitandone la lettura. Questi momenti rappresentano l’occasione nella quale il management dell’azienda dà conto della sua attività e redditività a coloro che vi hanno investito il proprio denaro e che, se la comunicazione sarà efficace, saranno magari spinti a rifarlo25.

2.4. Comunicazione Commerciale

Passiamo infine all’ultimo tipo di comunicazione: la Comunicazione Commerciale. Per parlare di comunicazione commerciale bisogna innanzitutto introdurre il concetto di marketing che le sta dietro. L’attività di marketing di un’impresa non coincide con le funzioni di vendita o realizzazione di programmi pubblicitari, consiste piuttosto nello stabilire quali saranno i bisogni del pubblico, in modo da poterli anticipare con il lancio di un determinato prodotto e la sua immissione sul mercato come risposta alle loro necessità. Tutto questo per arrivare ad una pianificazione della strategia di comunicazione commerciale dell’azienda e del prodotto, che consiste nel darsi visibilità in modo appropriato, contestualizzato, coerentemente con i valori aziendali, diversificandosi rispetto alla concorrenza e offrendo al consumatore prodotti di qualità in piena sintonia con le strategie aziendali. Come negli altri tipi di comunicazione d’impresa, anche la comunicazione commerciale ha i suoi strumenti di lavoro: tra i più importanti possiamo annoverare sponsorizzazioni, distribuzione commerciale, merchandising, design di prodotto, packaging e grafica.

Le sponsorizzazioni permettono al nome dell’azienda di apparire magari sulla maglietta dei giocatori di una squadra di calcio, ricoprire con mille

25 M. Morelli, L’immagine dell’impresa, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 175-180.

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etichette ogni centimetro quadrato delle auto di Formula 1, finanziare mostre, spettacoli e praticamente qualsiasi tipo di evento, fino ad una assoluta pervasività della vita quotidiana. Lo sponsor può assumere la forma di supporto finanziario all’attività sponsorizzata, di supporto tecnico o tecnologico (mettendo a disposizione il proprio know how per la realizzazione dell’evento), organizzativo, professionale. L’attività di sponsorizzazione aiuta soprattutto l’azienda nello sviluppo della propria immagine e collegandola all’attività sponsorizzata le permette di entrare in un particolare segmento di mercato di suo interesse26.

Altri strumenti della comunicazione commerciale sono la grafica, il design e il packaging dei prodotti, che aiutano la visibilità del prodotto all’interno del punto vendita (il successo di vendita del prodotto, logicamente, dipende anche da molti altri fattori come la sua notorietà determinata dalla pubblicità e la motivazione del cliente determinata per esempio dal prezzo). Ma prima di arrivare al punto vendita il prodotto deve essere distribuito ai vari negozi. Il sistema distributivo può articolarsi secondo tre modalità principali che sono il canale lungo (impresa, ingrosso, dettaglio, cliente finale), il canale corto (impresa, dettaglio, cliente finale), il canale diretto (impresa, cliente finale). Nei tre tipi di canali le variabili in gioco sono il prezzo del prodotto e la sua disponibilità: più il canale si accorcia, più l’impresa deve possedere un sistema logistico in grado di raggiungere tutti i singoli punti vendita per il rifornimento dei propri prodotti.

Nel momento in cui il prodotto raggiunge il negozio si comincia a parlare di merchandising, ovvero l’insieme di tecniche, strumenti e regole la cui applicazione permette la corretta visibilità dei prodotti, stimolando soprattutto l’acquisto d’impulso. Le modalità espositive dei prodotti sono pianificate sulla base di tre elementi fondamentali: la corretta esposizione,

26 M. Morelli, L’immagine dell’impresa, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 199-208.

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l’adeguata rotazione, il profitto ricavabile da ciascuno di essi. I prodotti vicini possono essere legati ad un certo tema specifico, per il tipo d’utilizzo, in base alla loro categoria merceologica, oppure risalendo, grazie agli scontrini, a come vengono acquistati (con che frequenza, in quali occasioni o in base all’effetto di traino che alcuni prodotti possono avere su altri). I prodotti possono essere esposti poi in base alle modalità di movimento che i clienti adottano all’interno del negozio nel quale, proprio come avviene per le strade della città, si vengono a creare percorsi preferenziali. Anche i diversi livelli nel quale lo scaffale può suddividersi possono determinare l’acquisto di questo o l’altro prodotto: il livello suolo è poco visibile e difficile da raggiungere, mentre il livello occhi è ottimale in quanto i prodotti sono immediatamente visibili al consumatore e per prenderli non è richiesto alcun movimento se non quello del braccio. Fa parte del merchandising anche il visual merchandising, ovvero l’insieme di strumenti di comunicazione non verbale ulteriormente utilizzati per promuovere il punto vendita e i prodotti. Questi strumenti comprendono cartelloni, totem, colori, suoni, luce e qualsiasi altra manifestazione in gradi di attrarre il pubblico. Ad esempio il visual merchandiser dovrà tener conto del fatto che oggi l’età media dei consumatori che si recano nel punto vendita tende ad aumentare: una persona anziana può avere una vista non più perfetta ed ha quindi bisogno di più luce e scritte più grandi. Con questo argomento ci stiamo avvicinando man mano al campo d’applicazione di altri strumenti di comunicazione commerciale, che sono la grafica, il packaging ed il design, strumenti che possono in ugual misura determinare la preferenza d’acquisto.

«Il design può svolgere una funzione comunicativa in grado di mettere in relazione gli oggetti con il pubblico dei consumatori»27. Dal punto di vista dell’immagine degli oggetti stessi, il design può influenzare e stimolare gli atteggiamenti e i comportamenti dei pubblici e svolge un ruolo

27 M. Morelli, L’immagine dell’impresa, FrancoAngeli, Milano, 2002, pag. 221.

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fondamentale di diversificazione di un oggetto rispetto a tutti gli altri esistenti sul mercato, sotto il profilo culturale, estetico, simbolico. Ad un certo punto l’interesse di ciascuno si dirige verso prodotti che possono soddisfare altri tipi di bisogni (oltre a quelli primari), e il cui soddisfacimento è sentito come irrinunciabile: bisogno del bello, del ricercato, del famoso, dell’unico, in pratica di tutto ciò che può servire a dar spazio ad emozioni e sentimenti. La ricerca dell’oggetto firmato, dell’abito disegnato da un famoso stilista, del ristorante famoso è, quindi, anche conseguenza dell’epoca nella quale viviamo e del livello di benessere diffuso a cui si è giunti. Sono proprio le reazioni emotive quelle a far pendere la bilancia dell’apprezzamento, della buona valutazione di quegli oggetti da parte dei consumatori: il primo attributo che viene in mente vedendoli appoggiati sullo scaffale di un negozio è che sono belli, non occorre in generale averne bisogno per acquistarli, basta poterli avere per tenerli a casa propria e magari mostrarli agli amici o utilizzarli sapendo di essersi “trattati bene per una volta” e sentirsi soddisfatti dal punto di vista emotivo. È questa la forza dell’oggetto di design che, essendo un oggetto con una spiccata personalità (prestigioso, speciale, allegro, simpatico) fa sentire anche chi lo utilizza più prestigioso, speciale, allegro, importante.

«L’oggetto preferito è un simbolo, qualcosa capace di provocare in noi atteggiamenti mentali positivi, è il ricordo di momenti piacevoli o spesso, l’espressione di noi stessi»28. Gli oggetti della nostra vita quotidiana sono qualcosa di più di semplici proprietà materiali e ne andiamo orgogliosi non necessariamente perché ci permettono di vantare ricchezza, ma per il significato che rivestono nella nostra esistenza29.

Una seconda cosa che attira l’attenzione nei confronti dell’oggetto in esposizione è la sua confezione, ovvero il suo packaging. Il packaging è

28 D. A. Norman, Emotional design, Apogeo, Milano, 2004, p. 4.

29 R. Bartoletti, La narrazione delle cose. Analisi socio-comunicativa degli oggetti., Franco Angeli, Milano, 2002.

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sempre stato utilizzato per contenere e proteggere i prodotti. Negli ultimi due secoli si è verificato un grande sviluppo di questo strumento di comunicazione: oggi il packaging è infinitamente più raffinato e ricercato che in qualsiasi altro periodo della sua storia. E’ oggi possibile sostenere che la distribuzione e la vendita al dettaglio dipendono completamente dal packaging, mezzo necessario per muovere e proteggere le merci nel passaggio dal luogo della produzione a quello del consumo. La confezione di un prodotto, per certi versi scontata, opportunamente corredata può diventare uno strumento d’informazione, un medium pubblicitario portatile e quindi parte del prodotto stesso30. Ma non è stato sempre così: all’inizio del Novecento la confezione proteggeva il contenuto durante il trasporto e lo presentava all’ipotetico acquirente con un vestito elegante, che esaltava la forma e soddisfaceva a pieno il desiderio visivo. La bellezza è una prerogativa assolutamente necessaria per l’involucro, che è però sentito ancora come un oggetto totalmente indipendente dal contenuto: l’uno da consumare, l’altro da collezionare. La vera trasformazione che investe in modo radicale il mondo del packaging risale al dopoguerra e in particolare agli anni Cinquanta, momento in cui anche l’Europa conosce il consumo di massa e soprattutto i sistemi moderni di distribuzione, tra i quali la vendita self-service. E’ proprio questa a modificare la realtà dei prodotti, che hanno il dovere e il diritto di possedere una confezione per entrare nel circuito commerciale. A questo punto il packaging è protagonista di un ampio processo di significazione che soprattutto nel settore alimentare assume un aspetto particolarmente rilevante, in quanto ha a tal punto modificato il rapporto col cibo da lasciare tracce nella psicologia degli individui: oggi esistono cibi che non potrebbero essere quello sono senza l’imballaggio. Il packaging dei prodotti alimentari ha in particolare modo il compito di

30Bertani S., Il Packaging, Perugia, in

http://www2.unipr.it/~arte/Docenti/bianccibo/Stefania%20Bertani/Bertani.htm, ultimo acceso novembre 2007

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raccontare le qualità dell’alimento, perché c’è bisogno di percepire la freschezza, la genuinità, magari anche il sapore del cibo che si acquista senza vedere, toccare o annusare. L’alone semantico che rimanda all’antico e alla tradizione, per esempio, è stato proposto ormai con mille sfumature, dalle vecchie cascine ai paesaggi incontaminati di un tempo fino agli antichi luoghi di ritrovo e di lavoro, un codice identificativo per tutti quei prodotti che hanno scelto la tradizione come valore dominante (gelati, zuppe, minestroni, biscotti, ecc.). «L’imballaggio ha in questo modo costruito una

“messa in scena”, ove il consumatore potrà attuare un dinamico processo d’identificazione, riconoscendosi in uno dei miti proposti dalla confezione o leggendo nell’immagine del prodotto i segni della propria condizione sociale, età e personali scelte di vita»31. In Italia, tra i pionieri indiscussi dell’imballaggio vi sono la Perugina e i suoi numerosi imballaggi strategici che hanno spinto il suo prodotto di punta, gli omonimi Baci. Il 1922 è l’anno storico che vede la nascita del prodotto più celebre, quello con cui ancora oggi è identificata l’azienda: il Bacio. Il nome, il famoso cartiglio e la scatola stessa con la sagoma dei due innamorati scelti da Seneca in esplicita relazione con il quadro di Hayez (Il bacio, 1859) hanno contribuito a creare un immaginario pienamente condiviso intorno al cioccolatino, diventato un messaggero d’amore capace di superare negli anni tendenze e mode. Il packaging è stato uno strumento basilare per il successo della Perugina, la quale ha saputo creare anche confezioni alternative in base alle congiunture storiche e ai differenti bisogni dei consumatori. «Negli anni Settanta nascono i fortunati Bacetti, cioccolatini da banco offerti in scatoline, ideali per l’acquisto d’impulso e personale. Poi nel 1981 appare il ben più rivoluzionario tubo con lo scopo di raggiungere nuovi consumatori, i giovani, e di proporre un prodotto storico come il Bacio in una veste coerente con il target. Gli anni Ottanta, segnati dall’estetica e

31 Ibidem.

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dall’affermazione di sé, sono soprattutto gli anni dei giovani, soggetti difficili da interpretare e a cui bisogna rivolgersi con il linguaggio che gli appartiene, sebbene spesso possa apparire incomprensibile. “Tubiamo?”, scaturito dalla forma della nuova confezione, diventa, nel gioco implicito tra lo scambiarsi i cioccolatini e l’amoreggiare come fanno i piccioni, un messaggio particolarmente adatto a tradurre il modo libero e scanzonato con cui l’amore è sentito dalle ultime generazioni»32. Nei manifesti è riservato alla scatola uno spazio di primo piano grazie al quale essa diventa veicolo autonomo per la diffusione del messaggio: simbolo del prodotto stesso che non ha bisogno di nessun altro elemento per essere riconosciuto. Il packaging ha quindi raggiunto in alcuni casi un livello di protagonismo tale da superare in capacità evocativa ed emozionale il prodotto.

Il packaging è direttamente collegato ad un altro importantissimo strumento di comunicazione commerciale: la grafica, che comprende tutto il materiale a stampa prodotto sia a fini interni sia esterni. «[…]una lettera ben impaginata, con un logo chiaro e ben visibile, indicazioni relative ad indirizzo o ai telefoni/fax costituiscono un formidabile strumento di sviluppo dell’immagine d’impresa, un vero e proprio biglietto da visita che comunica al cliente che si sta avendo cura di lui, che ci si sta preoccupando di fare al meglio tutto ciò che può metterlo in relazione con l’impresa»33. La presentazione grafica dell’azienda è uno strumento di comunicazione tra i più importanti, perché riguarda l’impatto con l’azienda anche nei minimi particolari. Tanto più importante sarà poi curare materiali più complessi come riviste, newsletter, poster ed altri materiali che le aziende usano per diffondere informazioni sulla propria attività o per promuovere i propri prodotti. Chi si occupa di comunicazione all’interno di un’azienda, qualunque sia l’attività istituzionale di questa, deve sempre occuparsi di fornire all’audience, non solo esterna ma anche interna, ciò che questa si

32 Ibidem.

33 M. Morelli, L’immagine dell’impresa, FrancoAngeli, Milano, 2002, pag. 256.

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attende di ricevere in termini di dati e soprattutto informazioni, con coerenza ed unitarietà, caratteristiche che permettono alla marca di essere riconosciuta in ogni sua manifestazione. Un esempio che voglio riportare, di perfetta coordinazione d’immagine, è quello per la Biblioteca San Giovanni, affidato allo studio DolciniAssociati. Il progetto parte dal contenuto da esprimere che, per una biblioteca, più che da un sistema d’oggetti come libri, è rappresentato da un’attività quale la lettura. Questo contenuto è stato perfettamente tradotto e comunicato dal logo della biblioteca, che rappresenta la traduzione grafica dell’attività di lettura: dal primo modo di abbinare le lettere e comporre prima le sillabe e poi le intere parole da leggere. Da questa riflessione attinge l’intero progetto in cui si collocano anche tutte le altre scelte progettuali. Il logo in particolare, strutturato come la combinazione di lettere e sillabe, gli atomi e le molecole della comunicazione, è una logica deduzione del processo progettuale appena descritto. Tutta la segnaletica interna ed esterna, tutti gli strumenti di comunicazione della biblioteca come la brochure, le cartoline d’invito, i dépliant, il calendario delle presentazioni dei libri e il programma delle mostre presenti in biblioteca sono progettate con una coerenza d’immagine, formale ed estetica, la cui corretta riproduzione è garantita dalla presenza di un manuale d’applicazione del progetto. E’ questa, a mio avviso, un’esperienza che dovrebbe essere presa da esempio da molte altre aziende.

Prima di addentrarmi completamente nell’analisi di questo museo, di come nasce e si sviluppa all’interno dell’Azienda e di come l’aiuta a comunicarsi al suo pubblico, mi sembra doveroso parlare in generale dei Musei Aziendali, partendo dalla nozione che ne sta, secondo me, alla base ovvero quello della museificazione dei prodotti commerciali.

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3. Il museo come strategia comunicativa

3.1. Introduzione

Le marche che stanno ottenendo oggi un maggiore successo sono quelle che comunicano i prodotti come qualcosa di unico, unito ad una forte strategia di marketing esperienziale e relazionale. Queste marche creano un immaginario intorno ai loro prodotti, facendo entrare il cliente in veri e propri luoghi in cui identificare la marca e in cui il cliente identifica se stesso in base ai valori espressi. I luoghi di vendita si stanno letteralmente

“museificando” e i beni vengono anch’essi progressivamente “museificati”, ovvero sempre più connotati dal punto di vista tattile, estetico e spettacolare, a discapito, a volte, di quello funzionale. «I grandi negozi della Nike denominati Nike Town sono esemplari a tale proposito, perché appaiono come luoghi adatti più all’esposizione che alla vendita, sembrano musei interattivi e centri d’informazione sullo sport. I commessi in uniforme se ne stanno educatamente al loro posto come se fossero i custodi di un oggetto prezioso in un museo, mentre i consumatori studiano in silenzio le dimostrazioni dei prodotti»34. È a partire dalla metà dell’Ottocento che è in atto un processo di spettacolarizzazione del consumo che ha conosciuto la sua apoteosi nelle Esposizioni Universali. «Queste ultime non si sono limitate a promuovere e a celebrare l’innovazione tecnologica, i prodotti e la comunicazione commerciale, ma hanno avuto un ruolo centrale per l’immaginario collettivo, nel divulgare lo spirito delle macchine, la seduzione delle merci e della loro messa in scena, le mitologie moderne del progresso, le forme espressive della cultura di massa e della società dello spettacolo»35.

34 M. Lombardi, Il dolce tuono, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 74.

35 Ibidem, p. 195.

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Possiamo affermare quindi che il museo aziendale può essere considerato come un diretto discendente delle esposizioni universali e rappresenta il monumento culturale dell’impresa. I musei industriali si sono dimostrati come i dispositivi moderni che accelerano i processi di conoscenza, articolano le forme del sapere, chiariscono attitudini e potenzialità delle varie nazioni. Moltiplicando e proseguendo stabilmente le possibilità dell’esposizione, permettono di partecipare al mondo dell’oggetto e della produzione. Ma soffermandoci sulla dimensione dinamica del museo scopriamo che, oltre al rapporto tra arte e industria, il museo rappresenta un momento di promozione e alta visibilità del livello di progresso industriale della nazione e diffonde indistintamente a tutti i fruitori alcune cognizioni base necessarie per conoscere l’avanzamento che riguarda la produzione e la ricerca industriale del proprio paese. Questo è il concetto di base seguito da Museimpresa, associazione italiana che riunisce musei, architetture, archivi d’impresa. L’associazione nasce il 15 ottobre del 2001 in occasione del convegno I saperi dell’impresa (Musei d’impresa, design industriale e innovazione) tenutosi a Milano. I soci fondatori che firmano il Manifesto d’Intenti e che dal 1999 hanno partecipato attivamente alla creazione del progetto di costituzione dell’Associazione e ne hanno condiviso le finalità sono quindici. Si tratta delle seguenti aziende, strutture espositive e di conservazione: Museo Alessi, Archivio storico Barilla, Museo dell’olivo e dell’olio Fondazione Lungarotti, Museo Salvatore Ferragamo, Archivio/Galleria Reale/virtuale delle Aziende Guzzini, Museo Kartell, Archivio Storico Olivetti, Archivio Storico e Museo Birra Peroni, Museo Piaggio, The Zucchi Collection Museo, Museo Ducati, Museo del vino/Fondazione Lungarotti, Archivio Storico Industrie Pirelli, Museo Rossimonda della Calzatura d’autore, Museo Alfa Romeo. Oggi Museimpresa consta di trentasette associati, quindi si sono aggiunti:

Assolombarda (Associazione Industriale Lombarda), Confindustria (Confederazione Generale dell`Industria Italiana), Aboca Museum, Museo

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di Storia della fotografia, Museo della Liquirizia Giorgio Amarelli, Archivo storico Banca Intesa, Museo del Cappello Borsalino (Alessandria), Museo del Cavallo Giocattolo (Como), Fratelli Branca Distillerie (museo in corso di costituzione), CID Museo Territoriale della Bassa Friulana (Torviscosa), Fondazione Dalmine (Bergamo), Archivio Storico ENI (Roma), Galleria Ferrari (Maranello), Gruppo Ferrovie dello Stato, Archivio Storico Fiat (Torino), Museo Martini di Storia dell'enologia (Torino), Museo Nicolis dell'Auto, della tecnica, della meccanica (Villafranca di Verona), Museo della Paglia e dell'Intreccio Domenico Michelacci (Signa, Firenze), Galleria Guglielmo Tabacchi (Safilo, Padova), Spazio Museo Sagsa (Milano). A questi si aggiungono Federturismo, Museo dell'Orologio da Torre G. B Bergallo, Bardino Nuovo, Savona e Consorzio BAICR Sistema Cultura, Roma nel ruolo di sostenitori istituzionali.

L’Associazione Italiana dei Musei e Archivi d’Impresa vede l’impresa come uno dei principali agenti di progresso e modernizzazione. In quest’ottica, infatti, si può considerare come l’impresa generi innovazione e trasmetta segni immateriali e valori, a pieno titolo beni culturali.

«L’Associazione si propone di promuovere la politica culturale dell’impresa attraverso la valorizzazione di elementi come il museo e l’archivio d’impresa. Persegue lo scambio e la diffusione di conoscenze ed esperienze con la comunità museale, le imprese, le istituzioni e il grande pubblico.

Svolge altresì attività di ricerca, formazione, sviluppo e approfondimento nel campo della museologia e dell’archivistica d’impresa»36.

Come si intuisce anche dalle affermazioni di Museimpresa, il museo d’impresa è considerato a tutti gli effetti un museo, che contaminandosi con il mondo aziendale acquista motivazioni e funzioni proprie, parzialmente coincidenti con quelle del museo classico, di stampo storico o artistico. Per questo quando si parla di come i musei siano cambiati oggi, in una

36 www.museimpresa.it

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prospettiva nuova e moderna, non si può fare a meno di citare anche le innovazioni e i contributi che i musei aziendali, e più in generale quelli tematici, hanno portato. «Per la loro caratteristica di entità più contenute di quelle dei grandi musei multidisciplinari, sono evidentemente anche più selettivi, più mirati all’attenzione di particolari settori di pubblico, e per questi stessi motivi, sono di più facile gestione e capaci di un più agile aggiornamento dei contenuti e degli allestimenti»37. Nel museo moderno si cerca di soddisfare tutte le necessità dei visitatori: allestire collezioni interessanti e facilmente leggibili, un negozio dove poter comperare bei oggetti, avere un punto di ristoro, spazi di decompressione e altri dedicati all’intrattenimento dei bambini, l’archivio, la biblioteca ed un centro di documentazione. A supporto di questo discorso porto l’esempio dell’ampliamento del Geffrey Museum di Londra, museo di storia dell’arredo domestico borghese inglese. Nel 1998 con la creazione della nuova ala, oltre alle sale dedicate agli arredi del XX secolo, si sono aggiunti anche servizi come una luminosa caffetteria, una libreria con gift-shop, spazi per la didattica e un design centre, laboratorio per la ricerca sul prodotto d’arredo e di disegno artigianale e industriale con annessa una sala per le esposizioni temporanee38.

Nel momento in cui il museo e l’impresa si fondono, anche le due rispettive mission, quella culturale e quella del profitto economico (apparentemente antitetiche), trovano una reciproca utilità. Il museo diventa strumento di asset aziendale, ovvero con una effettiva utilità nell’ambito del marketing e della comunicazione. Sicuramente le caratteristiche primarie della creazione di un museo aziendale derivano da una disponibilità di materiale creata da una storia aziendale sedimentata e una sensibilità dell’imprenditore verso il tema del museo come strumento di

37 L.B. Peressut, M.di Puolo, M. Mastropietro, V. Minucciani, M. C. Ruggieri Triboli, 73 musei d’arte, archeologici, etnografici, naturalistici, scientifici e tecnologici, religiosi, tematici, aziendali, ecomusei, Lybra, Milano, 2007, p. 83.

38 Ibidem, p. 90.

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comunicazione attraverso cui rafforzare la visibilità ed i valori del marchio aziendale e strumento operativo che interagisce con le funzioni aziendali. Le motivazioni che stanno all’origine della realizzazione di un Museo Aziendale sono molteplici e possono coesistere secondo una distribuzione equilibrata di diversi fattori, oppure con la netta prevalenza di alcuni.

Identificare le possibili motivazioni aiuterà ad identificare le funzioni che al museo possono essere attribuite in base alle politiche e alle inclinazioni dell’azienda e dell’imprenditore.

La creazione del museo, che solitamente parte dalla volontà dell’imprenditore di raccontare una storia imprenditoriale, personale o familiare, vede in questo una funzione prevalentemente storico-istituzionale, che riguarda il fissare e istituzionalizzare questa storia, dettata da un insieme di fatti e informazioni non sempre riportati in modo univoco e spesso confinati in una dimensione mitica. Questa funzione può essere legata ad una volontà di riposizionamento e rafforzamento del marchio.

Se il museo nasce come un luogo in cui organizzare attività culturali e non profit, come uno strumento di comunicazione dei valori aziendali, o come strumento di Internal Marketing39, la sua funzione principale sarà rappresentare l’azienda verso terzi. La sistemazione è in questo caso molto importante: il museo può essere disposto nel cuore dell’azienda o in un altro luogo, ma sempre fortemente connotato per donare una sensazione di felice straniamento dalla realtà, imprimendo così una connotazione emotiva palpabile. Un esempio è il Museo Mercedes Benz di Stoccarda40, inaugurato

39 Per Internal Marketing si intende quel complesso di azioni rivolte al personale, e in generale alla comunità aziendale, per motivarlo e coinvolgerlo nelle strategie e nel perseguimento degli obiettivi da queste indicati.

40 http://www.archi-europe.info/Archinews/032006/newsletter03_it.htm Il Museo è stato progettato da una grande firma dell’architettura Ben van Berkel e Caroline Bos che hanno fondato nel 1998 e dirigono UN Studio, uno degli studi di architettura più creativi del momento in Europa. UN sta per United Net, o rete unificata, in riferimento alla rete multidisciplinare di specialisti di urbanistica, statica, simulazione al computer, grafica, fotografia o gestione che lavorano in gruppi flessibili. Tra i loro progetti più ambiziosi e rappresentativi posso citare il ponte Erasmo (Rotterdam, 1990-96), la stazione centrale di

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