• Non ci sono risultati.

La storia di un umanità senza volto

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "La storia di un umanità senza volto"

Copied!
7
0
0

Testo completo

(1)

L A   N U O V A   E U R O P A   6 2 0 1 5

Grande mostra al Maneggio

La storia di un’umanità senza volto

Da ormai qualche anno, in occasione della festa dell’Unità popolare (inventata con poca convinzione il 4 novembre, per sostituire la festa della Rivoluzione del 7 novembre), l’immenso spazio espositivo del Maneggio, nel centro di Mosca, ospita grandiose mostre storiche di taglio «imperiale», dedicate di volta in volta al casato dei Rjurikidi, dei Romanov... Quest’anno è giunto alla ribalta l’impero sovietico, con al centro il colosso Stalin.

Giovanna Parravicini

L

A G R A N D E P I A Z Z A a ntista nte il Maneggio è tutta transennata secondo un percorso rigidamente fissato (pro- babilmente pensando alle grandi masse di visitatori attese), con militari schierati ogni 50 metri che ti guardano le spalle, ricordan- doti che potresti essere ad ogni istante un bersaglio (solo qualche giorno prima, la scia- gura aerea sul Sinai e i timori – poi trasfor- matisi in certezza – che si trattasse di un atto terroristico, hanno creato anche nella capi- tale un clima di paura serpeggiante). E sullo sfondo un gigantesco striscione dai colori inquietanti, con un groviglio di edifici in rovina e di figure che si agitano senza un punto focale su cui lo sguardo possa fermarsi, e la scritta: «La mia storia. XX secolo. 1914- 1945. Dai grandi sconvolgimenti alla Grande Vittoria». I «grandi sconvolgimenti» sono la prima guerra mondiale e il crollo dell’impero

russo, nel ‘17, cui seguono le «grandi con- quiste», ovvero il gigantesco incremento del- la potenza sovietica, fino all’apoteosi della vittoria del 1945.

Questa piazza, questo striscione sono un’im- magine-simbolo della Russia di oggi, in cui si percepisce acutamente un senso di incertezza, nonostante lo sfoggio esteriore di grandezza e potenza di cui la Piazza Rossa imbandierata a festa e la mostra sono l’ennesimo emblema.

Un’incertezza determinata innanzitutto dal vuoto di significato che neppure la Chiesa, curatrice del progetto attraverso il Consiglio per la cultura del Patriarcato di Mosca, sem- brerebbe oggi in grado di colmare. Lo docu- mentano, meglio di qualsiasi commento, le parole del comunicato stampa con cui la mostra è stata presentata sul sito ufficiale del Patriarcato di Mosca: «Le proporzioni e l’in- tensità degli avvenimenti che si abbatterono

o p i n i o n i

70

(2)

L A   N U O V A   E U R O P A   6 2 0 1 5 71 sulla Russia nella prima metà del XX secolo

sono senza precedenti, eccezionali. Due guer- re mondiali, tre rivoluzioni, la rottura di con- suetudini secolari, repressioni di massa, cru- deli esperimenti sociali... Ma nello stesso tempo questa fu un’epoca di grandi speranze, di entusiasmo senza pari, di lavoro creativo, un tempo di imponenti scoperte e conquiste nel campo dell’industria, della scienza, della cultura, della letteratura e dell’arte»1. Un’affermazione che nella sua pretesa «neu- tralità» cancella con un colpo di spugna la tragica vicenda di un popolo depauperato attraverso violente repressioni delle sue forze migliori (clero, intelligencija, esercito, classe contadina, minoranze nazionali…), di una Chiesa martirizzata attraverso persecuzioni fisiche e morali; un’affermazione che irride, in ultima analisi, il sangue versato da milioni di vittime innocenti e da migliaia di martiri che hanno offerto la propria vita a imitazione di Cristo.

Come si possono scrivere queste cose a ven- t’anni dalla pubblicazione di Arcipelago Gulag, che non ha semplicemente denun- ciato le violenze perpetrate dal sistema, ma

ha dimostrato la sistematica distruzione da esso operata nei confronti del popolo e delle sue risorse? E tutto questo con un budget fia- besco a disposizione (si parla di 800.000 dol- lari, contro i 200.000 che erano costate le precedenti), e la benedizione dello stesso patriarca, che ha presenziato insieme a Putin all’inaugurazione e nel suo discorso ha reite- rato esattamente questa tesi.

A proposito di Solženicyn e di Arcipelago Gulag, troviamo la foto dello scrittore e una sua famosa frase citata in bella evidenza, ma troncata in modo da suonare come un elogio ai tempi di realizzazione del canale Mar Bianco-Mar Baltico, mentre in realtà denun- cia lo spietato sfruttamento e annientamento di migliaia e migliaia di «schiavi» nel corso della sua costruzione: «Il canale di Panama, lungo 80 km, venne costruito nel corso di 28 anni, per quello di Suez – lungo 160 km – occorsero 10 anni, e il canale mar Bianco- mar Baltico di 227 km l’abbiamo costruito in meno di 2 anni». Per contro, all’ingresso, quella che in un primo momento, nella mia ingenuità, mi è sembrata un’installazione: una grande icona circondata di fiori, e lì accanto

1. http://www.pravoslavie.ru/86794.html

o p i n i o n i a c o n f r o n t o

(3)

72

e benediva chi si avvicinava all’icona per ren- derle omaggio. Confesso di non avere avuto il coraggio di compiere questo gesto di vene- razione che amo molto fare: quello che vede- vo – con buona pace dei visitatori ignari e in buona fede – mi è semplicemente sembrato un sacrilegio nei confronti di una memoria cinicamente stravolta e calpestata.

Entrando nella mostra vera e propria, l’effet- to è di una gigantesca sala giochi rutilante di luci e di slot machines, con un formicolio di migliaia di lampadine che si accendono e spengono, un fitto intrico di immagini e scritte («una mostra di tag», ho sentito dire da una ragazza a pochi passi da me) su pan- nelli fissi alternati a immagini che scorrono su schermi, nel mescolarsi di canti patriottici, di voci di cronisti che in filmati d’epoca scan- discono slogan di partito, riportano statisti- che ed eventi bellici, e di musiche liturgiche nella penombra della sezione riservata ai

«martiri e confessori del XX secolo»... Un approccio che decisamente non fa leva sui fatti storici né sull’intelligenza e la ragione dei visitatori, ma che cerca di far presa sul sentimento, di scaldare il cuore in petto e rinfocolare idee di grandezza patria.

«Mistificazione» può sembrare una parola grossa, ma non è un’esagerazione, di fronte alla fiumana di citazioni incontrollate e incon- trollabili, che nell’intento degli organizzatori vorrebbero probabilmente dimostrare un plu- ralismo di posizioni e quindi l’obiettività della concezione. Oltre alla già ricordata citazione del Gulag, mi limito a riportare una frase attri- buita all’arcivescovo Luka Vojno-Jaseneckij (di cui in una didascalia al piede dell’immagi- ne si legge: «Subì repressioni, 11 anni di deportazione staliniana»): «Stalin ha conser- vato la Russia, ha mostrato che cosa essa signi- fichi per il mondo. Per questo io, come cri- stiano ortodosso e come patriota russo, mi inchino profondamente a Stalin».

cata una sezione della mostra, peraltro molto rarefatta e stemperata, senza particolari sto- rici e biografici troppo crudi, con personaggi ridotti a icone atemporali, diventano para- dossalmente una delle «conquiste» dello sta- linismo: in fondo – si sarebbe portati a con- cludere seguendo la logica dell’esposizione – senza le persecuzioni messe in atto dal regi- me, la Chiesa oggi non potrebbe vantare tut- ta questa ricchezza di santità…

In realtà, una concezione mi sembra che que- sta mostra ce l’abbia, e tutt’altro che ingenua o ambivalente. Il suo ideatore, il neovescovo Tichon Ševkunov, additato come padre spi- rituale di Putin e da alcuni anni segretario del Consiglio per la cultura, autore di un best- seller recentemente pubblicato anche in Italia, Santi di tutti i giorni, che presenta un’or- todossia edulcorata e miracolistica, ripete qui un esperimento già realizzato alcuni anni fa con il film La lezione di Bisanzio: la storia rimo- dellata a piacere, con somma disinvoltura sto- rica, per ricavarne una metafora ad usum regni.

E la metafora è la grandezza dell’impero: la leggiamo a chiari caratteri nella mostra, espressa tanto da Stalin («Siamo arretrati di 50-100 anni rispetto ai paesi all’avanguardia.

Dobbiamo correre per coprire questa distanza in dieci anni. O ci riusciamo, o ci schiacce- ranno»), quanto da Putin («Chi non si dispia- ce per la caduta del l’Unio ne Sovietica è senza cuore; chi vuole ripristinarla nella forma del passato è senza testa»).

Nella mostra, come nel film di Ševkunov, ci sono tutti gli ingredienti necessari: la sotto- lineatura della peculiarità della Russia e della sua missione (lo dice perfino Stalin, in un cartellone: «Non ci illudiamo che la gente si batta per noi. Si batte per la madre Russia»);

la presenza dei nemici che da sempre la insi- diano, l’Occidente e gli USA (con qualche tocco di antisemitismo); l’identificazione della libertà con anarchia, arbitrio, debolezza,

L A   N U O V A   E U R O P A   6 2 0 1 5

(4)

73 corruzione (mentre ancora Stalin ci rassicu-

ra: «Sono le masse stesse a voler essere gui- date, cercano una mano forte che le guidi»);

una presentazione caricaturale di ogni genere di opposizione; il richiamo ai valori tradizio- nali che, guarda caso, rinascono proprio negli anni ‘30, come si legge in un dettagliato pan- nello: «Il potere rinunciò alla liberalizzazione delle relazioni coniugali e familiari caratteri- stica degli anni ‘20, alle comuni. Avvenne una trasformazione in direzione dei valori

“eterni”, “tradizionali”. Nel 1936 fu adottata una serie di provvedimenti legislativi volti a consolidare la famiglia e la responsabilità dei

genitori per l’educazione dei figli. Fu intro- dotto il divieto di abortire in vigore prima della rivoluzione (ad eccezione degli aborti terapeutici), divenne più restrittiva la pro- cedura del divorzio, vennero aumentati gli alimenti spettanti ai figli. Il mancato paga- mento poteva comportare fino a 2 anni di detenzione. Furono aumentati di una volta e mezzo gli assegni familiari. Venne decretato reato il rifiuto di assumere al lavoro una don- na incinta». Tutte queste preoccupazioni negli anni in cui venivano spazzate via cen- tinaia di migliaia di famiglie e creati milioni di orfani.

L A   N U O V A   E U R O P A   6 2 0 1 5

NON CANCELLIAMO LE SOFFERENZE, E TUTTAVIA… • Patriarca Kirill Mosca, Sala del Maneggio 4 novembre 2015

Q

uante sofferenze, quante pene, quante prove abbiamo attraversato! Ma siamo rimasti un paese grande e forte, e non solo, un paese che ha preservato la propria essenza. Non ci siamo dissolti nep- pure nello spazio mediatico globale, non abbiamo perso né stiamo perdendo la nostra identità, come stanno facendo paesi grandi e forti del continente europeo. Noi crediamo che la Protezione della Vergine è su di noi. E per questo diciamo a tutti gli avversari della Russia, interni ed esterni: «Lasciateci stare!

La Protezione della Vergine è su di noi!».

La mostra è dedicata a pagine difficili della nostra storia. Noi ben sappiamo che il periodo post-rivolu- zionario ha visto caos, scontri di classe, scontri tra interessi sociali, politici, economici, tentativi di distruggere il paese; è stato versato molto sangue, a milioni sono stati cacciati dalla nostra patria.

Sappiamo che non sono stati facili neppure gli anni ‘30: molto sangue, molta ingiustizia, e tutto ciò non dovrà mai uscire dalla nostra memoria, come non si possono minimizzare queste sofferenze.

E tuttavia, la Russia contemporanea non esisterebbe se non ci fosse stato l’eroismo delle generazioni che ci hanno preceduto, le quali negli anni ‘20 e ‘30 non hanno semplicemente arato il terreno (cosa pure molto importante) ma hanno creato l’industria, la scienza, la potenza difensiva del paese. I successi di uno o l’altro nostro capo di Stato che stanno all’origine della rinascita e della modernizzazione del paese non vanno messi in dubbio, anche se un certo capo di Stato ha commesso delle efferatezze. Là dove abbiamo visto volontà, forza, intelletto, fermezza politica noi diciamo: «Sì, sono di sicuro dei suc- cessi», com’è stato per la vittoria nella Grande guerra patriottica. Là invece dove ci sono stati sangue, ingiustizia, sofferenze, diciamo che ciò è inaccettabile per noi uomini del XXI secolo. Affidiamo le per- sonalità storiche al giudizio di Dio. Ma mai gli aspetti negativi debbono darci il diritto di rifiutare tutto quello che di positivo è stato fatto. E viceversa: quanto di positivo è stato fatto da varie persone non deve escludere un giudizio critico verso i delitti da esse perpetrati.

Spero vivamente che questa mostra ci aiuterà a comprendere la bellezza dell’eroismo del nostro popolo negli anni ‘20, ‘30, ‘40. Ci aiuterà a guardare anche le pagine difficili e a capire che per amare la patria non bisogna escludere dalla memoria storica nessun periodo, ma che bisogna recepirlo in modo ragio- nevole e con chiaro senso morale, allora la verità sarà separata dalla menzogna, e il bene dal male. Il Signore aiuti l’intera patria nostra a raccogliersi, concentrarsi, a superare le difficoltà del passato e a tendere avanti. Oggi abbiamo tutte le possibilità e le basi per farlo.

Fonte: http://www.patriarchia.ru/db/text/4263139.html o p i n i o n i a c o n f r o n t o

(5)

dente: «Chi non si dispiace per la caduta dell’Unione Sovietica è senza cuore; chi vuole ripristinarla nella forma del passato è senza testa».

Sotto: il sacerdote all’ingresso della mostra porge ai visita- tori la croce da baciare.

(6)

75

Sopra: il pannello con la frase attribuita all’arcive- scovo Luka: «Stalin ha con- servato la Russia, ha mostrato che cosa essa si- gnifichi per il mondo. Per questo io, come cristiano ortodosso e come patriota russo, mi inchino profonda- mente a Stalin».

(© foto pravoslavie.ru)

(7)

omissioni e falsificazioni storiche. Ma quello che colpisce, in questa mostra, è l’assoluta mancanza del volto, della persona umana, di una storia personale. Masse, folle in movi- mento, da un lato, e dall’altro una ripetizione reiterata, ossessionante, di Stalin – padre e padrone, spietato ma saggio e lungimirante nei terribili sacrifici che esige (qualcuno ha proposto di riformulare così il titolo: «Stalin.

Dai grandi sconvolgimenti alla grande vitto- ria»): se ne evince che il tritacarne è uno strumento necessario della storia, che macina dolorosamente ma al servizio del bene e del progresso della nazione, della potenza del- l’impero. Quanto alla Chiesa, ampiamente presente attraverso vescovi e prelati pluride- corati al merito nel dopoguerra, oppure attra- verso le ieratiche icone dei martiri del XX secolo, non compare mai in veste di educa- trice, cioè di portatrice di una ragione illu-

che è stoltezza agli occhi del mondo; in veste, cioè, di testimone del Volto autentico, a immagine del quale la persona umana è stata creata.

«Manca l’uomo», dice a Cristo il paralitico impossibilitato a scendere da solo nella pisci- na in cui poter trovare la guarigione: è un’im- magine ripresa da Dostoevskij e in tempi più recenti da padre Šmeman per descrivere la condizione della Russia – e più in generale dell’umanità. Ma anche quando viene meno l’uomo resta l’Uomo, che opera il miracolo in cui il paralitico aveva ormai rinunciato a sperare. Restano le domande, inestirpabili, che ho visto sorgere nei visitatori che mi passavano di fianco alla mostra, resta la den- sità del dramma e della testimonianza che traspaiono anche da una storia tanto deva- stata e su cui oggi più che mai è necessario far leva.

L A   N U O V A   E U R O P A   6 2 0 1 5 76

Riferimenti

Documenti correlati

In definitiva, il principio costituzionale del buon funzionamento della giusti- zia penale, nella disfunzionale applicazione che oggi se ne fa, viene utilizzato dalla

A ottocento anni dalla sua firma, rileva Rodotà, il “non metteremo né faremo mettere la mano su lui” sancito nella Magna Charta Libertatum (articolo 29), come rifiuto di ogni

Già padre Antonio Gois aveva mandato ragazzi alla scuola missionaria in Santa Isabel do Rio Negro. Anche padre Schneider si attenne, sul prin­. cipio, a questa

SE AVESSERO FINITO, SAREBBE STATO LUNGO 20 KM E SAREBBE STATO IL PIÙ LUNGO TUNNEL DELLA ROMANIA.ANCORA OGGI NON SI CONOSCE LA RAGIONE PER LA QUALE FU CHIUSA QUESTA APERTURA

I bambini da qualche anno a questa parte sono abituati a film d’animazione sempre più coinvolgenti e realistici, così andare al cinema diventa per loro (ma anche per

Ritengo che l’organizzazione dei tre volumi realizzati da Claudia Bernardi ed Eric Vanhaute metta pienamente in risalto l’impostazione dello studio alla storia

È di questa impunità che alcuni, ahimè di sinistra, vorrebbero far beneficiare Bashar al- Assad, il principale responsabile del disastro, di questi oltre dieci milioni di

● Vedere gli occhi che penetrano al tempo stesso il cuore di Dio, il cuore di ogni essere umano e il cuore di ciascuno di noi.. ◦ Sono gli occhi di Gesù che fanno sì che questa