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Contributi - In genere - Personale dipendente da Ente Scuola Comunale di Musica - Contributi di malattia - Obbligo di versamento all'inps -

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Contributi - In genere - Personale dipendente da Ente Scuola Comunale di Musica - Contributi di malattia - Obbligo di versamento all'INPS - Sussistenza -

Legittimazione passiva dell'Istituto nelle controversie aventi ad oggetto detti contributi - Sussistenza.

Corte di Cassazione - 9.1.2004, n. 166 - Pres. Mileo - Rel. Amoroso - P.M.

Sepe (Conf.) - Ente Scuola Comunale Musica T. Mabellini (Avv.ti Sanduli, Fanfani) - INPS (Avv.ti Coretti, Fnzo, Correra).

A seguito della riforma sanitaria attuata con la legge 23 dicembre 1978, n. 833, l'INPS è subentrato a tutti i precedenti Enti mutualistici nella gestione

dell'assicurazione malattia, sicché ad esso è demandata la riscossione del relativo contributo già spettante agli Enti o alle gestioni soppresse, conseguente legittimazione passiva dell'Istituto nelle controversie aventi ad oggetto detto contributo. (Fattispecie relativa a personale dipendente dall'Ente Scuola Comunale Musica).

FATTO. -

1. Con verbali del 26.11 e 24.12.1990 gli Ispettori dell'INPS di Pistoia accertavano che nel periodo dal 1° gennaio 1980 al 30 giugno 1990 la scuola gestita dall'Ente scuola comunale di musica T. Mabellini si era avvalsa della collaborazione di varie figure professionali

(essenzialmente personale docente) per la gestione della Scuola, attribuendo loro il regime normativo dei rapporti autonomi, mentre tali prestatori avrebbero dovuto essere inquadrati come dipendenti subordinati a tutti gli effetti. Con verbale 18.02.1994, il succitato periodo era stato ulteriormente esteso.

L'ispezione era consistita essenzialmente nell'esame di un regolamento della Scuola e dei modelli fiscali 770 (compensi a terzi) dai quali venivano ricavati i nominativi del personale suddetto e gli importi corrisposti.

A seguito di tali ispezioni l'INPS richiedeva ed otteneva quattro distinti decreti ingiuntivi che venivano ritualmente opposti dall'ente.

In particolare l'opponente sosteneva l'insussistenza del credito sia perché i rapporti di lavoro erano esonerati dalla contribuzione ex art. 13 L. 23 dic. 1992, n. 498, sia perché il rapporto con i docenti aveva natura autonoma e non subordinata. Deduceva poi il difetto di legittimazione attiva dell'INPS in quanto i contributi, a tutto concedere, spettavano all'INPDAP.

Si costituiva in giudizio l'INPS chiedendo il rigetto dell'opposizione.

Con sentenza 14 marzo 1995 il Pretore di Pistoia dichiarava che i rapporti de quibus dovevano comunque ritenersi subordinati; che il motivo d'opposizione consistente nel ritenere l'INPS carente di legittimazione attiva per i contributi IVS era fondato, atteso che legittimata era la CPDEL (ora INPDAP); che però erano dovuti all'INPS i contributi per l'assicurazione contro le malattie.

Questa sentenza veniva appellata dall'ente Scuola comunale che si doleva, tra l'altro, anche del mancato rispetto dell'art. 414 c.p.c. perché non erano stati indicati dall'INPS i nominativi dei pretesi lavoratori subordinati, né si sapeva che ruolo avessero avuto nella scuola.

Si costituiva l'INPS nel giudizio d'appello, chiedendo il rigetto dell'impugnazione principale e proponendo a sua volta appello incidentale con cui chiedeva la condanna dell'appellante a pagare anche i contributi GESCAL.

Con sentenza del 10 ottobre 2000 - 2 febbraio 2001 il Tribunale di Pistoia ha confermato la sentenza del Pretore in punto di carenza di legittimazione passiva dell'INPS in ordine ai contributi IVS; nonché in ordine all'accertamento della natura subordinata dei rapporti de quibus e alla debenza dei contributi di malattia. Inoltre, in accoglimento dell'appello incidentale, riconosceva poi dovuti all'INPS anche i contributi GESCAL, al cui pagamento condannava l'appellante principale.

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Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l'Ente scuola comunale di musica T. Mabellini con quattro motivi di ricorso illustrati anche con memoria.

Resiste l'INPS con controricorso.

DIRITTO. -

1. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1.1. Con il primo motivo l'ente ricorrente denuncia la violazione degli artt. 414 e 101 c.p.c. e 24 Cost.. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché insufficiente motivazione in relazione all'art.

360 n. 5 c.p.c..

In particolare l'ente ricorrente si duole del fatto che nei ricorsi per decreto ingiuntivo e nella memoria di costituzione dell'INPS nei conseguenti giudizi di opposizione, nonché nella memoria di costituzione dell'INPS nella fase di appello, non sono stati mai indicati i nominativi dei

collaboratori il cui rapporto l'INPS pretendeva avere natura subordinata e non autonoma. Tale elenco dei nominativi, a seguito di ordinanza collegiale, è stato finalmente depositato, ma tardivamente rispetto al termine assegnato di 90 giorni dal 12 maggio 2000; dopo di che, senza ulteriori udienze intermedie, la causa è stata decisa all'udienza del 10 ottobre 2000.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso l'ente ricorrente denuncia la violazione dell'art. 6 bis legge n. 67 del 1993 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c..

L'ente ricorrente ribadisce l'appartenenza dei rapporti de quibus alla categoria dei rapporti di collaborazione autonoma sia perché sostanzialmente ed effettivamente autonomi sia perché, in ogni caso, così li ha qualificati la legge con disposizione imperativa (art. 13, L. 23 dic. 1992, n.

498, modificato dall'art. 6 bis, L. 18 mar. 1993, n. 67).

In particolare l'ente ricorrente critica la sentenza del Tribunale nella parte in cui ha ritenuto che alla legge n. 67/93 cit. non poteva darsi l'interpretazione di ritenere la norma diretta ad escludere l'obbligo contributivo delle P.A. tout court e non anche quello di escludere il diritto del

lavoratore alla applicazione delle regole afferenti i rapporti subordinati.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso l'ente ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2094 c.c. e dell'art. 437 c.p.c. in relazione all'art. 360, 3° co., c.p.c.; nonché insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c..

Il Tribunale di Pistoia ha ritenuto provata la sussistenza della subordinazione nei rapporti de quibus unicamente sulla base della esistenza di un "Regolamento della Scuola di musica" che conterrebbe obblighi dei docenti incompatibili coi regimi autonomi. L'ente ricorrente si duole del fatto che il Regolamento suddetto non risulta prodotto in causa, ma solo menzionato dall'INPS;

in tale situazione il Tribunale non poteva porre alla base della sua decisione un documento senza averne la disponibilità effettuale. In secondo luogo l'affermazione che il Comune si è trovato costretto a fare solo in appello e cioè che, in ogni caso, quel regolamento era del tutto desueto ed inosservato e che valevano invece gli accordi individuali sottoscritti dai singoli docenti, non era affatto intempestiva come il Tribunale ha osservato; si è trattato infatti non di una eccezione in senso stretto ma di un mero argomento difensivo.

In tale situazione l'argomento "il Regolamento" perde completamente ogni sua rilevanza e la sentenza perde di conseguenza il suo unico elemento probatorio; si consideri poi che l'INPS non ha fornito né chiesto di fornire alcun ulteriore mezzo istruttorio; inutile rilevare che, in presenza di una contestazione specifica della natura subordinata dei rapporti de quibus, era l'INPS che

doveva fornirne la prova relativa.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso l'ente ricorrente denuncia la violazione dell'art. 414 c.p.c e art. 31, 1° co., legge n. 41 del 1986 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; nonché insufficiente motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c..

Per quanto attiene i contributi malattia l'ente ricorrente - che peraltro rileva che, pur essendo stati pagati con il beneficio del condono previdenziale, sussiste tuttavia l'interesse al ricorso in

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quanto il condono è stato richiesto con riserva di ripetizione - si duole del fatto che il tribunale errando, ha riconosciuto i contributi al servizio sanitario nazionale senza tener conto che tutti i docenti della Scuola avevano un lavoro principale sul quale evidentemente pagavano il

contributo al S.S.N. (art. 31, 1° co., L. n. 41 del 1986) e poiché tale contributo ha un doppio tetto (art. 31, 13° e 14° co.) occorreva accertare il reddito complessivo del soggetto interessato per determinare l'ammontare del contributo dovuto.

2. Il ricorso è infondato.

3. Preliminarmente deve rilevarsi che non si pone nella specie un problema di giurisdizione, di cui in effetti le parti non fanno questione.

E' sufficiente comunque ricordare che questa Corte (Cass., sez. un., 28 ottobre 1998, n.

10728) ha affermato - con riferimento proprio all'attività di insegnamento e di istruzione svolta in regime di subordinazione nei confronti di un ente pubblico non economico - che, per escludere che tale attività rientri negli scopi pubblicistici dell'ente e per sostenere la natura privata dei rapporti di lavoro, occorre accertare nella scuola gestita dall'ente pubblico un'autonoma struttura, con una distinta organizzazione, con proprio personale e specifici mezzi e con autonomia contabile, finanziaria e patrimoniale; circostanze queste che appunto non sono contestate tra le parti.

4. Deve poi considerarsi che il ricorso è ammissibile ancorché il credito contributivo de quo sia stato dall'ente ricorrente condonato con riserva di ripetizione.

Questa Corte (Cass. 21 luglio 2001 n. 9959 (1)) ha infatti affermato che a seguito della specifica nuova disciplina introdotta dall'art. 81, comma 9, legge 23 dicembre 1998 n. 448 - applicabile, quale "jus superveniens", anche ai giudizi in corso - le clausole di riserva di ripetizione, subordinate agli effetti del contenzioso per il disconoscimento del proprio debito, apposte alle domande di condono previdenziale, presentate ai sensi dell'art. 4 D.L. 28 marzo 1997 n. 79, conv. in legge 28 maggio 1997 n. 140, e di altri precedenti disposizioni di legge, sono valide e non precludono la possibilità di accertamento negativo in fase contenziosa della sussistenza del relativo debito.

Conseguentemente la domanda di condono, fatta con riserva di ripetizione, non comporta il venire meno di ogni contestazione sull'esistenza del debito contributivo ed è pertanto ammissibile l'azione dell'interessato diretta all'accertamento negativo del suo debito contributivo (Conf.

Cass. 4 marzo 2003 n. 3198).

5. Sussiste poi la legittimazione passiva dell'INPS quanto ai contributi GESCAL e di malattia (gli unici ai quali si riferiscono la sentenza impugnata ed il ricorso).

Questa Corte (Cass. 5 agosto 1999 n. 8443) ha affermato che il personale di un ente locale, che sia legato a quest'ultimo da un rapporto di pubblico impiego, è assoggettato all'iscrizione presso la CPDEL (ora INPDAP) in relazione all'assicurazione per invalidità, vecchiaia e superstiti, mentre la c.d. contribuzione residua, ossia i contributi per la disoccupazione

involontaria e per la GESCAL, deve essere versata all'INPS, al pari dei contributi per l'indennità economica di malattia (ex artt. 74 legge 23 dicembre 1978 n. 833 e 14 legge 23 aprile 1981 n.

155) e del c.d. contributo sociale di malattia (ex art. 76 della legge n. 833 del 1978).

Successivamente Cass. 10 luglio 2002 n. 10042 (2) ha ribadito che a seguito della riforma sanitaria attuata con la legge 23 dicembre 1978, n. 833, l'INPS è subentrato a tutti i precedenti Enti

mutualistici nella gestione dell'assicurazione malattia, sicché ad esso è demandata la riscossione del relativo contributo già spettante agli Enti o alle gestioni soppresse; né l'obbligo del

versamento dei contributi di malattia (e di maternità) all'INPS viene meno per il fatto che il rapporto del personale di un ente (nella specie Ente Pugliese per la Cultura Popolare e l'Educazione Professionale, la cui natura pubblica o privata si è ritenuta indifferente ai fini dell'obbligo di versamento dei contributi in questione all'INPS) fosse assoggettato all'iscrizione

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presso l'ENPDEP (e ora all'INPDAP), giacché tale iscrizione non comprendeva e non comprende anche la contribuzione residua, quale il contributo di malattia e di maternità.

6. Devono poi essere innanzi tutto esaminati il secondo ed il terzo motivo di ricorso con cui l'ente ricorrente contesta il carattere subordinato dei rapporti di lavoro in questione e quindi nega in radice la sussistenza del credito contributivo dell'INPS. Queste censure incidono infatti sull'an debeatur.

7. Con il secondo motivo l'ente ricorrente contesta nella sostanza l'interpretazione dell'art. 6 bis legge n. 67 del 1993, quale offerta dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 115 del 1994);

interpretazione che ritiene erronea.

7.1. Occorre a tal proposito distinguere in generale tra interpretazione adeguatrice e mera interpretazione non implausibile.

La prima (interpretazione adeguatrice) è quella che la Corte costituzionale accoglie allorché, nel ritenere non infondato il denunciato vizio di incostituzionalità della disposizione come interpretata non implausibilmente dal giudice rimettente, indica - in luogo di emettere una pronuncia

caducatoria o additiva - una possibile diversa interpretazione conforme a Costituzione della medesima disposizione. Tale interpretazione rappresenta, ove operata dal giudice delle leggi, un esito di merito del sindacato di costituzionalità, che non interferisce con il controllo di legittimità di questa Corte, ed ha un effetto vincolante per i giudici comuni (ordinario e speciali) - non esclusa questa stessa Corte - nel senso che essi non possono più accogliere proprio

quell'interpretazione che la Corte costituzionale, seppur con una pronuncia di infondatezza della questione, ha ritenuto viziata, ma semmai possono risollevare la questione di costituzionalità, ove non intendano aderire all'interpretazione adeguatrice indicata dalla Corte, né ad altra

interpretazione che, seppur diversa, essi ritengano parimenti conforme a Costituzione. In tal senso si sono pronunciate le Sezioni Unite Penali di questa Corte (Cass. 24 settembre 1998, Gallieri; in senso conforme già Cass. 13 dicembre 1995, Clarke, nonché - nella materia civile - Cass., Sez. II, 21 marzo 1990, n. 2326, e Cass., sez. lav., 30 luglio 2001 n. 10379 (3)- che hanno appunto affermato che i giudici diversi da quello del giudizio in cui è stata sollevata la questione di costituzionalità poi definita con pronuncia interpretativa "non hanno altra alternativa che sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale, non potendo mai assegnare alla formula normativa un significato ritenuto incompatibile con la Costituzione".

L'interpretazione non implausibile è invece quella operata dal giudice rimettente rispetto alla quale la Corte costituzionale, nei giudizi in via incidentale, si limita a verificare, appunto, la mera non implausibilità al fine di dare ingresso al giudizio di merito sulla legittimità costituzionale della disposizione censurata. L'interpretazione così coonestata, che superi il vaglio di costituzionalità allorché la Corte dichiari non fondata la questione, non ha quell'effetto vincolante tipico

dell'interpretazione adeguatrice, ma rappresenta solo un autorevole precedente; sicché in tal caso il sindacato di legittimità di questa Corte si dispiega pienamente senza preclusione alcuna.

7.2. Nella fattispecie la cit. sent. n. 115 del 1994 della Corte costituzionale reca l'interpretazione adeguatrice della disposizione censurata (della quale in questo giudizio è denunciata la

violazione), e non si limita alla mera verifica di non implausibilità dell'interpretazione offerta dal giudice rimettente.

Pertanto si ricade nell'ipotesi in cui un preciso vincolo deriva all'attività interpretativa di questa Corte: non è possibile accedere all'interpretazione propugnata dall'ente ricorrente perché è proprio quella disattesa dalla Corte costituzionale come contrastante con parametri

costituzionali; è solo possibile semmai investire nuovamente la Corte con l'incidente di costituzionalità, ma non è possibile accogliere proprio quell'interpretazione già ritenuta dalla Corte essere inficiata di vizio di incostituzionalità.

7.3. In concreto poi questa Corte ha già prestato adesione all'interpretazione adeguatrice offerta

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dalla Corte costituzionale.

E' sufficiente ribadire in questa sede la giurisprudenza di questa Corte. In particolare Cass. 25 maggio 1998 n. 5214 (4)ha affermato che l'art. 13 della legge n. 498 del 1992 (modificato dal D.L. n. 9 del 1993 convertito con modifiche in legge n. 67 del 1993 e successivamente abrogato dall'art. 74 D.Lgs. n. 29 del 1993, così come sostituito dall'art. 38 D.Lgs. n. 546 del 1993), che prevede che i contratti d'opera o per prestazioni professionali stipulati da province, comuni o altri enti pubblici sono sottratti agli obblighi derivanti dalle leggi in materia di previdenza e assistenza non ponendo in essere rapporti di subordinazione, è stato ritenuto costituzionalmente legittimo con sent. n. 115 del 1994, cit., nella sola opzione ermeneutica che ne neghi l'idoneità preclusiva dell'accertamento giurisdizionale di una situazione reale di svolgimento del rapporto di lavoro in maniera conforme a quanto stabilito originariamente dai contraenti; tale difetto di conformità tra il "nomen juris" attribuito al rapporto e il reale

svolgimento dello stesso può emergere indifferentemente sia dalla prova diretta dell'elemento della subordinazione, sia da quella indiziaria, ossia relativa alla presenza di indici rivelatori della predetta subordinazione, atteso che, in entrambi i casi, è raggiunto l'identico risultato -

compatibile con la normativa speciale e con la lettura "costituzionale" della norma - della dimostrata subordinazione del lavoratore al potere direttivo e gerarchico del datore di lavoro.

Più recentemente Cass. 12 settembre 2002 ha ribadito che l'art 13 della legge n. 498 del 1992 cit. non preclude affatto l'accertamento in giudizio di una situazione reale di svolgimento del rapporto caratterizzata dalla subordinazione, in contrasto con il contenuto formale del contratto, proprio perché solo questa interpretazione assicura la legittimità costituzionale della disposizione.

Né certo sarebbe ipotizzabile una vincolatività del nomen juris limitata ai soli fini contributivi perché ciò renderebbe in sostanza meramente facoltativo l'adempimento, da parte del datore di lavoro, degli obblighi contributivi con conseguente violazione, ancor più manifesta, del principio di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3, primo comma, Cost.).

Quindi correttamente i giudici di merito hanno proceduto a valutare in concreto la sussistenza, o meno, del carattere subordinato dei rapporti di lavoro in questione.

8. Quanto al terzo motivo - che incide anch'esso sull'an debeatur e che censura proprio questa valutazione in concreto fatta dai giudici di merito - va ulteriormente ribadito in diritto (cfr. Cass., sez. lav., 4 febbraio 2002, n. 1420 (5)) che gli elementi che differenziano, alla stregua dei parametri normativi desumibili innanzitutto dagli art. 2094 e 2099 c.c., il lavoro subordinato da quello

autonomo sono l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro con la conseguente limitazione della sua autonomia e il suo inserimento nell'organizzazione aziendale; a quest'ultimo riguardo è rilevante l'esistenza in tal senso di un diritto del datore di lavoro e, rispettivamente, di un obbligo del lavoratore, derivanti dal contratto, mentre la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella iniziale stipulazione del contratto non è determinante, stante la idoneità, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad esprimere sia una diversa effettiva volontà contrattuale, sia una nuova diversa volontà; invece, elementi quali l'assenza del rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la cadenza e la misura fissa della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva, fermo restando che l'apprezzamento in concreto circa la riconducibilità di determinate prestazioni ad un rapporto di lavoro subordinato o autonomo si risolve in un accertamento di fatto che, ove adeguatamente e correttamente motivato in rapporto ad un esatto parametro normativo, è incensurabile in cassazione.

nella specie il giudice di merito ha ritenuto la sussistenza della subordinazione considerando essenzialmente il contenuto del regolamento scolastico che vincolava l'attività del personale docente. Il quale in particolare doveva osservare un orario di lavoro predeterminato, era soggetto al controllo della presenza dovendo firmare un foglio in entrata ed in uscita, doveva

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giustificare e documentare le assenze; era stabilmente inserito nell'organizzazione scolastica; la retribuzione prescindeva dalla redditività dell'attività scolastica.

Si tratta di un tipico accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità ove - come nella specie - motivato in modo sufficiente e non contraddittorio.

Giova peraltro ribadire che il vizio di insufficiente motivazione di una sentenza sussiste allorché essa mostri, nel suo insieme, una obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto il giudice di merito alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria

motivazione, anche esso denunziabile in cassazione, presuppone invece che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della ratio decidendi, e cioè l'identificazione del

procedimento logico - giuridico posto alla base della decisione adottata; tali vizi non sussistono quando il giudice abbia semplicemente attribuito agli elementi vagliati un significato non conforme alle attese ed alle deduzioni della parte (cfr. ex plurimis: Cass. 2 febbraio 1996 n. 914; Cass.

23 luglio 1994 n. 6868 sulla motivazione contraddittoria; Cass. 7 gennaio 1983 n. 131).

9. Quanto al primo motivo - che riguarda l'esatta individuazione dei dipendenti dell'ente e del loro reddito e che incide quindi sul quantum debeatur - deve considerarsi che il Tribunale ha affermato in particolare come dagli atti di causa (motivazione dei ricorsi per decreti ingiuntivi, motivazione dei provvedimenti monitori emessi, contenuto della comparsa di costituzione dell'INPS nei giudizi di opposizione, motivazione dei verbali di accertamento degli ispettori dell'INPS) "emergeva non solo la quantità complessiva del credito azionato ed il relativo periodo di riferimento, ma anche che il recupero riguardava i rapporti instaurati tra l'Ente e gli insegnanti di musica, il consulente didattico e la segretaria"; ossia - oltre questi ultimi due, singolarmente individuati - la pretesa contributiva dell'INPS riguardava tutto il personale docente.

Ha poi affermato il tribunale: "Quanto poi alla effettiva identità dei lavoratori interessati, è solo da evidenziare che, come si desume dai verbali di accertamento citati, gli stessi erano stati

individuati dall'INPS sulla base dei nominativi risultanti dai mod. 770 forniti dallo stesso Ente Mabellini, ed era quindi ben nota a quest'ultimo".

Deve in proposito considerarsi che la tesi dell'INPS è radicale: tutti i consulenti musicali dovevano considerarsi lavoratori dipendenti. I verbali dell'INPS ed i datori di lavoro

riguardavano "tutti" i consulenti musicali che certamente erano nel modello fiscale 770; sicché semmai il Comune avrebbe dovuto eccepire che nel modello 770 c'erano anche collaborazioni autonome che nulla avevano a che fare con l'insegnamento.

Infine - osserva ancora il tribunale - nel giudizio d'appello l'INPS ha prodotto un prospetto contabile con l'elenco specifico di tutti i lavoratori interessati e con l'indicazione dei rispettivi periodi lavorativi.

Anche le somme richieste per i singoli tributi azionati erano state precisate dall'INPS nel giudizio di primo grado.

A fronte di questa puntuale motivazione del tribunale, la censura dell'ente ricorrente appare pretestuosa. L'ente sapeva bene che la prospettazione dell'INPS era che tutto il suo personale docente dovesse considerarsi operante nel contesto di un rapporto di lavoro subordinato e non già autonomo. L'ente invece considerava la loro prestazione come autonoma e quindi sulla base di tale assunto provvedeva a compilare il modello 770 per le ritenute fiscali. Pertanto i

"consulenti musicali" dell'ente (e gli importi percepiti) figuravano tutti in tale dichiarazione fiscale che è quella presa in considerazione dagli ispettori dell'Istituto e sulla base della quale sono stati emessi i decreti ingiuntivi.

E' vero - come sostiene l'ente ricorrente - che in ipotesi il modello 770 suddetto poteva anche contenere compensi per prestazioni lavorative diverse da quelle dei "consulenti musicali", ma su

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questo punto non c'è stata in realtà una contestazione specifica. L'ente ricorrente si è doluto soprattutto della mancata individuazione nominativa dei consulenti musicali, che effettivamente mancava nel modello 770, recante solo il numero delle (asserite) collaborazioni autonome e l'ammontare delle somme erogate dal datore di lavoro; ma tale individuazione - che comunque non è mancata perché, seppur nel corso del giudizio d'appello, l'INPS ha prodotto un prospetto dei nominativi dei consulenti musicali in questione - non era in realtà necessaria, una volta che la ragione della riconosciuta natura subordinata del rapporto consisteva nella generale osservanza (da parte di tutti i docenti) del regolamento della scuola.

Insomma non risulta prospettata da parte dell'ente ricorrente una differenziazione nell'ambito dei consulenti musicali tale da richiedere un accertamento della subordinazione caso per caso; in questo contesto il numero dei consulenti musicali e l'ammontare delle somme ad essi corrisposte sono stati correttamente valutati dal tribunale come sufficienti ad integrare il requisito di

specificità della pretesa azionata dall'INPS.

Quindi anche il primo motivo va rigettato.

10. Infine il quarto, ed ultimo, motivo è inammissibile perché si tratta di questione nuova.

E' vero che il primo comma dell'art. 31 legge 28 febbraio 1986, n. 41 prevede che la quota di contributo per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale per i lavoratori dipendenti di tutti i settori, pubblici e privati, comprensiva dell'aliquota aggiuntiva prevista dall'art. 4 D.L. 8 luglio 1974, n. 264, conv. in l. 17 agosto 1974, n. 386, è fissata nella misura del 10,95% della

retribuzione imponibile, di cui il 9,60% a carico dei datori di lavoro e l'1,35% a carico dei lavoratori; e che l'aliquota del 9,60% è ridotta, per gli anni 1986 e 1987, rispettivamente al 5,60 e al 7,60% per i datori di lavoro di cui all'art. 3, primo comma, lettera d), D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, conv. in l. 29 febbraio 1980, n. 33; e che inoltre i successivi commi 13 e 14 poi stabiliscono che i contributi per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale di cui ai commi 1, 8, 9 e 11 del medesimo articolo si applicano sulla quota degli imponibili complessivi

assoggettabili a contribuzione non superiore a lire 40.000.000 annue, mentre sulla quota eccedente il suddetto importo, e fino al limite di lire 100.000.000 annue, è dovuto solo un contributo di solidarietà nella misura del 4%. Invece, a fronte di questa articolata disciplina, la sentenza impugnata non tiene conto del reddito dei singoli dipendenti della scuola.

Ma - e ciò è decisivo - non è allegato in ricorso che questa circostanza (dell'incidenza dell'ammontare del reddito dei singoli dipendenti della scuola) fosse stata tempestivamente dedotta, da ultimo nell'atto d'appello, e che non di meno fosse stata pretermessa nella sentenza impugnata, che tale questione non affronta benché minimamente.

Si tratta quindi di una questione nuova, come tale non deducibile nel giudizio di cassazione.

11. Il ricorso deve pertanto essere interamente rigettato.

(Omissis)

(1) V. in q. Riv., 2002, p. 141 (2) Idem, idem, p. 896

(3) Idem, 2001, p, 1253 (4) Idem, 2000, p. 175 (5) Idem, 2002, p. 1256

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