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BASTA VIOLENZA: FACCIAMO RETE INSEDIAMENTO DEL TAVOLO MUNICIPALE

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Academic year: 2022

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BASTA VIOLENZA: FACCIAMO RETE

INSEDIAMENTO DEL TAVOLO MUNICIPALE

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Indice

Introduzione

Titti Di Salvo, Presidente Municipio Roma IX Eur………8

Tiziana Chiattelli, Ospedale S. Eugenio………10 Comando dei Carabinieri Eur

Valeria Fedeli, senatrice………12 Pasquale Fiocco, Polizia di Stato………..13 Angelo Giuliani, Comandante U.O. IX Gruppo “Eur”………14 Monica Lucarelli, Assessora alle Attività Produttive e alle Pari

Opportunità di Roma Capitale………15 Patrizia Magliocchetti, Direttore UOC TSDEE ASL Roma 2,

referente per il DMGGBA della delibera aziendale “Percorso Aiuto Donna”……….17 Eleonora Mattia, Presidente Commissione - Lavoro, Formazione,

Politiche Giovanili, Pari Opportunità, Istruzione, Diritto allo

studio della Regione Lazio……….19 Alessandra Menelao, Responsabile Nazionale Centri di Ascolto

mobbing stalking contro tutte le violenze UIL………...21 Donatella Onofri, Segretaria confederale Cgil Roma Col………….26 Pina Polimeni, docente Liceo Classico – Scienze Umane Plauto…..27 Gabriella Saracino, Direttrice del Municipio IX EUR………28 Tamara Temperini, CAV via Stame………..30 Natascia Tarantino, Ospedale S. Eugenio………31 Fabrizia Giuliani, già deputata, Se non ora quando – libere...…….32

Appendice 1………36

Appendice 2………45

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Introduzione

Titti Di Salvo, Presidente Municipio Roma IX Eur

Abbiamo scelto di ospitare nella sede del Consiglio Municipale la prima iniziativa pubblica della nostra amministrazione. Per il senso di responsabilità che riteniamo le istituzioni debbano assumere nel contrasto della violenza. A tutti i livelli ma soprattutto a livello territoriale.

La violenza maschile contro le donne infatti ha radici profonde, culturali e sociali.

Andare al fondo di quelle radici è la condizione necessaria per contrastarla e sradicarla.

E se è responsabilità di tutti mettere in atto comportamenti coerenti, il compito delle istituzioni è preciso: mettere in rete tutti i soggetti che a vario titolo hanno ruolo nel contrasto alla violenza. Nella prevenzione, nella repressione, nella formazione.

Perché quella rete sia la rete di protezione delle donne. Per non lasciarle sole.

La Convenzione di Instanbul l’ha inscritto nel diritto internazionale: la violenza contro le donne rappresenta innanzitutto una violazione dei diritti umani fondamentali.

Non è un fatto privato: non la si può relegare nella sfera privata o familiare. Anche se la stragrande maggioranza dei femminicidi avviene proprio in quella sfera.

Investe al contrario direttamente la responsabilità pubblica. Chiama in causa la relazione tra donne e uomini, lo squilibrio di potere tra di loro e la necessità di un lavoro educativo che cominci nelle scuole per promuovere il rispetto dei ragazzi verso le persone e la libertà delle donne.

Infatti è potente la relazione tra la violenza sulle donne e il rafforzamento della loro autonomia e libertà e dunque esiste una relazione forte tra la lotta contro la violenza e il contrasto delle diseguaglianze nel lavoro e più in generale degli stereotipi di genere.

Soprattutto nella divisione del lavoro di cura. Perché la condivisione della cura è lo strumento più efficace nel superamento degli stereotipi.

Come mostrano i dati, più che come emergenza la violenza si configura come fenomeno strutturale. Come reazione ancestrale e permanente alla nuova libertà delle donne.

Per contrastarla in modo efficace, per le stesse sue radici, ciò che serve è il contrario degli interventi spot. Abbiamo bisogno sia di simboli forti, che di esempi virtuosi di buone pratiche, cioè di concretezza delle azioni e di politiche di sistema coordinate: sul piano della prevenzione, sul piano della repressione, sul piano della formazione delle forze dell’ordine, delle strutture sanitarie e della magistratura, su quello della specializzazione dei tribunali.

Senza stabilire una gerarchia ma piuttosto una sinergia tra i diversi livelli.

Nel nostro paese oggi non mancano le norme. E’ stato fatto un lavoro importante in questa direzione nel corso della precedente legislatura e in quella attuale. Ma il piano normativo e repressivo è importante, ma non è sufficiente.

Non a caso la realtà quotidiana ci consegna fatti di cronaca agghiaccianti e drammi quotidiani. Certo anche però maggiore consapevolezza diffusa.

Ma quelle 109 donne uccise nel 2021 costituiscono anche il racconto della loro solitudine

sostanziale difronte alla violenza. Anche dopo il coraggio della denuncia. E quindi

rimandano di nuovo alla necessità di un intervento forte e determinato delle istituzioni

accanto alle donne. Sul piano simbolico e della condanna sociale. Senza ambiguità,

neppure nel linguaggio.

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Per questo, come simbolo permanente dell’impegno della nostra amministrazione, abbiamo scelto di verniciare di rosso 30 panchine con una targhetta che riporta il numero di pubblica utilità 1522, distribuite in tutti i 183 Kmq del nostro grande territorio municipale. Alcune di esse sono state verniciate con il coinvolgimento degli studenti del liceo Caravaggio.

Al simbolo uniamo la concretezza dell’azione amministrativa. Perché oggi qui nella sala del Consiglio municipale insediamo un tavolo permanente di coordinamento territoriale.

Per prevenire e contrastare in modo efficace la violenza. Perché la verità è che violenza sulle donne si può prevenire e si può contrastare.

Non riuscirci è una sconfitta per tutti.

Abbiamo chiamato a far parte del Tavolo il mondo della scuola, il sistema sanitario, le

forze di polizia, il sindacato, il centro antiviolenza, le associazioni. E lungo la strada altri

si aggiungeranno.

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Tiziana Chiattelli, Ospedale Sant’Eugenio

Buongiorno a tutte e tutti e grazie alla Presidente Di Salvo per l’invito e per l’opportunità che ci ha dato di affrontare il fenomeno della violenza di genere problematica che mi sta molto a cuore sia come donna che come professionista.

Mi chiamo Tiziana Chiattelli, sono un’assistente sociale della ASL Roma 2 e lavoro da 15 anni presso il Servizio Sociale dell’Ospedale S. Eugenio. Vedo nella sala molte colleghe del Servizio Sociale del Municipio con le quali abbiano instaurato un ottimo e proficuo rapporto di collaborazione.

Mi riallaccio al discorso della collega Natascia e alle procedure della presa in carico multidisciplinare delle vittime di violenza di genere che applichiamo in ASL Roma 2. Il Servizio Sociale in ospedale si occupa di varie problematiche ed è a disposizione di tutti i reparti e del Pronto Soccorso. Il nostro orario di lavoro, a differenza dei colleghi del Pronto Soccorso che lavorano su 24 ore compresi i festivi, è dalle ore 8 alle ore 14. Da circa un anno si è aggiunta una seconda Assistente Sociale e ciò ha contribuito a poter organizzare meglio il nostro servizio.

Noi Assistenti Sociali ospedaliere siamo al servizio e facciano parte della rete che prende in carico le vittime di violenza di genere. Tale percorso inizia in genere al Pronto Soccorso e si snoda secondo un iter definito e condiviso attraverso le fasi dell’accoglienza, delle procedure sanitarie, della raccolta dei reperti per l’autorità giudiziaria, dell’attivazione del servizio sociale e/o psicologico già dall’accesso in ospedale, fino alla dimissione, congiunta all’attivazione delle risorse della Rete Territoriale Antiviolenza per un affidamento protetto e per la presa in carico.

Quando una donna arriva in Pronto Soccorso, grazie ad una specifica formazione che ha avuto tutto il personale infermieristico addetto al TRIAGE, viene identificata come vittima di violenza (anche quando questa non è esplicitatamene dichiarata): il primo obiettivo è di accompagnarla in un luogo riservato, in sicurezza, lontano da possibili intrusioni.

La donna ha paura e non si fida di chi ha di fronte. Subito dopo il Triage la donna è seguita per tutto il percorso clinico-assistenziale da un infermiere in qualità di Case Manager. La formazione di cui parlavo in precedenza è servita a tutti gli operatori che si occupano di donne vittime di violenza di essere sulla stessa lunghezza d’onda, di essere in sintonia: ci ha resi simili nella formazione e nell’approccio a tale utenza. Sicuramente i sanitari erano più bravi di noi a cogliere l’aspetto fisico e le conseguenze della violenza, ma non riuscivano e/o non avevano le competenze per entrare in contatto con i sentimenti e il dramma psicologico che vivevano le donne.

Il nostro intervento in Pronto Soccorso è attivato dal Case Manager che ha in carico la donna. Noi ci rechiamo in Pronto Soccorso e accompagniamo la donna nel suo percorso ospedaliero, non dal punto di vista medico e assistenziale, che i colleghi sanitari sanno fare benissimo attenti a tutte le procedure medico-legali, ma da un punto di vista di sostegno psico-sociale. Instauriamo con la donna un rapporto empatico, non giudicante, basato su un ascolto attivo, non interpretativo, non enfatizzante né minimizzante, di apertura e rispetto. Le facciamo sentire la nostra vicinanza emotiva e la partecipazione alla sofferenza che ha vissuto e sta vivendo ora.

È nostro compito effettuare una valutazione del contesto familiare, amicale e della rete di sostegno potenziale sulla quale può far riferimento la donna, elementi determinanti in merito alla dimissibilità o meno della stessa. In particolare la nostra presenza è opportuna e necessaria nel caso in cui ci siano dei figli presenti in Pronto soccorso o siano a casa o a scuola. Spesso la preoccupazione della donna è: “se io rimango in Pronto Soccorso per la procedura chi va a prendere i miei figli a scuola? A chi li posso affidare?” e questi pensieri e difficoltà, a volte, la portano ad interrompere il percorso in ospedale. Uno dei nostri primi contatti è con le colleghe del Servizio Sociale del Municipio per sapere se già conoscono quella situazione, magari spesso segnalata dalla scuola, e come si possa intervenire. Ci rivolgiamo al Gruppo NAE dove troviamo agenti sempre disponibili e molto sensibili a questo problema. È successo di chiedere l’intervento

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della Polizia di Stato o dei Carabinieri perché era necessario andare a prendere i bambini a scuola per evitare che fossero prelevati dal padre o compagno della madre autore delle violenze.

Condividiamo, passo passo, il percorso con la donna.

Anche per noi, come già detto da Natascia, il grosso problema è il dopo. È vero che predisponiamo follow-up clinici, inviamo la donna al CUR di Via Monza per l’assistenza psicologica e ad associazioni come Differenza Donna, Telefono Rosa ecc. per l’assistenza legale nel caso decida di esporre denuncia. Il vero grosso problema lo abbiamo quando la donna deve essere messa al riparo, al sicuro.

Abbiamo avuto donne che sono state una settimana in Pronto Soccorso perché non avevamo la possibilità di metterle in sicurezza, non avevano nessun parente al quale fare riferimento né potevano fare rientro a casa per l’alto rischio di reiterazione e/o di escalation. Abbiamo avuto e, sono stata quasi una notte intera al Commissariato Esposizione, una mamma con tre bambini che, dopo aver sporto denuncia, hanno trascorso una notte ed il giorno successivo sui divanetti del Commissariato perché non si riusciva a trovare un posto in una casa rifugio. Molto spesso, le donne di fronte a queste difficoltà si scoraggiano e abbiamo avuto dei casi in cui hanno deciso di tornare a casa ed interrompere il percorso legale e/o psicologico.

Per fortuna da settembre scorso abbiamo un CAV qui nel nostro territorio, in via Stame. Con la collega abbiamo avuto modo di conoscere le operatrici che ci lavorano e speriamo di instaurare con loro una buona collaborazione. Questo servizio è una grossa risorsa perché molto spesso le donne che arrivano al nostro Pronto Soccorso provengono anche da zone limitrofe come Pomezia.

Ardea, Torvaianica ed Aprilia. Indirizzarle al CUR di via Monza risulta per loro molto difficile per la lontananza. Avere un CAV facilmente raggiungibile è sicuramente utile per le donne che devono trovare degli spazi accoglienti e qualificati che le accompagnino nel percorso di riconoscimento ed uscita dalla violenza.

Quello che auspico è che tutte queste risorse, soprattutto economiche, che sono arrivate e arriveranno, possano essere usate per aprire una casa rifugio nel nostro territorio.

Mi auguro, inoltre, che l’istituzione di questo tavolo ci porti ad affrontare e trovare soluzioni in modo sistematico e condiviso.

Grazie

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Valeria Fedeli, Senatrice

L'iniziativa promossa dalla Presidente Titti Di Salvo per l'insediamento di un tavolo di coordinamento che a livello territoriale promuova, con tutti i soggetti, le reti, le associazioni, le politiche di sistema necessarie alla prevenzione e al contrasto della violenza maschile sulle donne, ha il merito di tenere insieme la promozione di una giornata simbolo come quella del 25 novembre e la concretezza delle scelte che, chi ha responsabilità pubbliche, a ogni livello, deve sapere mettere in campo.

La potenza dei simboli evocata dalla Presidente deve infatti trovare riscontro nelle azioni che anche le amministrazioni locali sono chiamate ad attuare, per le proprie competenze, nel condividere con gli altri livelli istituzionali, la responsabilità di una battaglia comune per liberare le donne e tutta la società dalla violenza, dagli stereotipi, dalle discriminazioni di genere.

Sono convinta che i Municipi, come enti di maggiore prossimità con le cittadine e i cittadini, possano svolgere un ruolo decisivo. Promuovere spazi e occasioni di incontro, confronto e approfondimento, all'interno di una cornice istituzionale, coinvolgendo adulti e genitori, attraverso la mediazione di figure esperte, nella conoscenza di un fenomeno che può investire in modo più o meno diretto chiunque, in qualunque momento e in modo trasversale, credo possa davvero rappresentare un fondamentale strumento di prevenzione.

Vanno attivati, attraverso i patti territoriali di corresponsabilità tra famiglie e scuole, percorsi formativi che forniscano gli strumenti per sostenere i più giovani, le ragazze e i ragazzi, nella gestione positiva, non distruttiva, delle loro relazioni soprattutto quando queste entrano in crisi.

Vale per gli adulti e vale anche per i ragazzi quando non riescono ad accettare un rifiuto, la fine di una relazione e reagiscono con varie forme di violenza: dal revenge porn, allo stalking, dall'hatespeech alle molestie, dalle aggressioni psichiche, fisiche fino allo stupro.

In troppi, infatti, ancora credono che la violenza sia frutto di un raptus momentaneo, o che sia causata o giustificata da un “amore” così grande da diventare possessivo e violento. Che sia confinata tra le famiglie più problematiche, quelle meno colte o marginali.

Sono idee sbagliate e profondamente radicate, anche tra le giovani generazioni, ma che vanno smontate, perché sono tra gli ostacoli maggiori che abbiamo davanti nello sradicare un fenomeno devastante che distrugge la vita delle persone, delle donne ma anche la coscienza collettiva di un intero Paese.

La violenza non nasce da raptus o da malattie mentali ma trova il suo humus, come gli studi dimostrano, nell’incapacità di costruire una relazione basata sulla pari dignità tra uomo e donna, nel non rispetto della sua identità, della sua autonomia, della sua libera scelta.

Ecco quindi da dove si deve partire per contrastare la violenza: dagli stereotipi e dai pregiudizi diffusi nella società, cominciando dai più piccoli e coinvolgendo in questo impegno gli adulti, i genitori, gli insegnanti che, a loro volta, devono acquisire pienamente la consapevolezza che l'educazione al rispetto è parte fondamentale del progetto educativo complessivo di cui scuola e famiglia, insieme alle istituzioni, sono responsabili nei confronti delle giovani generazioni.

Costruire la parità di genere educando bambine e bambini, ragazze e ragazzi al rispetto delle differenze femminili, che ricordo è uno dei 17 obbiettivi indicati dall'Agenda 2030 dell'Onu, è condizione necessaria per liberare le donne e quindi tutta la società, a cominciare dai nostri territori, dalla violenza e realizzare quell'orizzonte di cambiamento positivo, sostenibile, paritario dei percorsi di sviluppo culturale, sociale, economico.

Considero quindi davvero importante e utile l'insediamento di questo tavolo con tutte le realtà associative, i centri anti violenza, le forze sociali, culturali, sindacali, dell'impresa e le istituzioni scolastiche per concordare e realizzare quelle politiche di sistema che concretamente intervengano per prevenire e contrastare la violenza maschile sulle donne e costruire condizioni di convivenza civile, rispettosa delle differenze, paritaria.

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Pasquale Fiocco, Polizia di Stato

La questione posta dalla Presidente sul riflettere quale sia il motivo per cui i risultati relativi agli episodi di violenze nei confronti delle donne sono in costante, crescente aumento dovrebbe essere interpretata, a mio parere, non nel senso di una “escalation” delle violenze, ma tenendo in considerazione che il fenomeno, ormai da vari anni, sta emergendo, grazie soprattutto alla sempre maggiore attenzione posta dal legislatore. Attenzione che si è concretizzata, in particolare negli ultimi anni, da una crescente emanazione di strumenti normativi di prevenzione e contrasto.

Ciò ha portato ad una maggiore fiducia delle donne nel poter esternare le proprie paure e denunciare i fatti.

Nella realtà vissuta a contatto con donne che hanno subito violenze è emerso però che vi è ancora molta disinformazione ed ignoranza.

Spesso le vittime di violenze non conoscono gli strumenti normativi a loro disposizione, ignorano l’esistenza del numero anti violenza “1522” e soprattutto temono per ciò che può accadere a loro e ai propri figli dopo aver denunciato i fatti.

A volte scopriamo solo attraverso la lettura di referti medici, che i maltrattamenti e le vessazioni vanno avanti da numerosi anni.

A questo punto, nello sforzo comune di prevenire e contrastare il fenomeno, uno dei compiti dell’operatore di Polizia è quello di far rinascere nella donna vittima di violenze quella necessaria condizione di serenità e fiducia nell’affidarsi in questo percorso di “emersione” a tutte le realtà istituzionali, Forze dell’Ordine comprese, che agiscono sul territorio.

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Angelo Giuliani, Comandante U.O. IX Gruppo “Eur”

Grazie Presidente, grazie dell'iniziativa. La ringrazio perché anche se si è informati su tante cose e si partecipa a queste iniziative, la sensibilità e la tristezza prendono comunque il sopravvento.

Lo dico, ed è un invito quello che faccio, a chi ha organizzato questo meraviglioso incontro, di chiamare più uomini, perché devono sapere ciò che accade. Noi della Polizia Locale, bene o male, conosciamo l'ampiezza del fenomeno, ma la maggioranza degli uomini no. Anche perché questa benedetta rete va forse 'cucita meglio' e, glielo dico Presidente, perché abbiamo delle difficoltà soprattutto quando le donne denunciano.

Noi per caso, a volte, veniamo a conoscenza delle violenze. Le grida di aiuto, pur silenziose, noi le sentiamo e cerchiamo con discrezione di essere per loro dei punti di riferimento in un contesto dominato dal terrore. C'è paura, e la paura è generata dal fatto che loro da questa rete non si sentono protette, perché se escono dalla porta e rientrano dalla finestra, come qualcuno sapientemente ha detto, queste donne si ritrovano da sole, perché non vengono protette successivamente.

Ovviamente la donna cade nella disperazione, nella frustrazione, sta zitta, subisce, il più delle volte per proteggere i propri figli, molte volte è così. È ovvio che il nostro taglio di intervento è un intervento in cui c'è qualità, noi collaboriamo con Polizia, Carabinieri, ma soprattutto sotto la spinta e la guida del Pubblico Ministero, al quale trasmettiamo e rappresentiamo: ci sono delle incombenze, dei parametri che vanno rispettati. Poi, parlare dopo che sono intervenute sei donne è difficile per me, credetemi, sei interventi di spessore notevole.

Però quando noi interveniamo e capiamo quel che succede comprendiamo che il materiale è delicato. Quindi cerchiamo di agire non aggiungendo altra violenza. Io guido il Nae in questo territorio che è frutto di un ordinamento che già 15 anni fa nasce per coordinare ed affrontare le esigenze di chi vive nella marginalità, nella difficoltà e mi rendo conto che le donne subiscono da sempre, perché se non aumentiamo la sensibilità negli uomini non ne usciamo. Io non credo di fare violenza in casa mia con mia moglie, con le colleghe, ma se non si comprende l'altro mondo non stiamo capendo ciò che succede e mi scuso come uomo.

Dobbiamo alzare il livello di attenzione, dobbiamo informarne gli uomini di quanto succede.

All'interno del mio gruppo ho questo Reparto, il Nae, ed approfitto per salutare la Capo Reparto Funzionaria Principessa, che mi sta dando grandi soddisfazioni e sono tutte donne. E' un gruppo che nasce sulla volontarietà, non scelgo io il personale perché ci vuole una sensibilità particolare, devi avere una assertività diversa da tutti gli altri reparti; non si tratta di fare Polizia Stradale o Polizia Giudiziaria, lì tratti esseri umani, carne viva, devi stare attento e c'è a chi viene naturale e chi invece come, alcuni miei colleghi, sotto il profilo mentale non sono preparati. E quando ritornano per rapportarsi e confrontarsi con me su certi fatti, vengono con gli occhi gonfi.

Guardate per certi versi subiscono violenza anche loro, sono donne anche loro, vedono gente che soffre, bimbi che soffrono e non è facile Presidente. Io come Dirigente, credo di poter parlare conoscendo bene il Corpo, che tutto il nostro impegno ci sarà sempre, l'unico limite sono le risorse.

Devo fare anche i miei complimenti ai servizi sociali. Forse per loro è più semplice perché lo fanno tutti i giorni, ma insomma c'è accordo, c'è sinergia, c'è empatia. Ma dobbiamo migliorare, quindi grazie dell'invito, grazie di avermi dato la possibilità, come Dirigente, ma soprattutto come uomo, di poter esprimere le mie preoccupazioni, sperando sempre di far bene e di dare il nostro contributo.

Grazie.

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Monica Lucarelli, Assessora alle Attività Produttive e alle Pari Opportunità di Roma Capitale

Grazie Titti, grazie Presidente, tengo moltissimo a giornate come questa e ad iniziative come questa, perché se Roma Capitale non mantiene rapporti molto stretti con il territorio e per i territori, noi non andremo da nessuna parte.

Roma è immensa, lo ricordava la Presidente poco fa parlando dei numeri e delle dimensioni di questo Municipio (IX); ce ne sono quindici a Roma, fondamentalmente ogni Municipio è più grande di una qualunque città media italiana e questo dà l’idea e la dimensione anche della diversità dei problemi che ogni territorio deve affrontare.

Nell’ambito di ogni Municipio ci sono tante realtà; basta spostarsi da un quartiere ad un altro e già si hanno delle condizioni sociali diverse e chi è chiamato al governo del Municipio deve affrontare situazioni diverse.

Noi, come Assessorato, abbiamo cominciato con interventi utili a parlare di differenza di genere.

Ci siamo insediati il 4 novembre, siamo al 26 novembre e ieri ho apprezzato molto la richiesta da parte del Sindaco Gualtieri la delega alle Pari Opportunità insieme alle Attività Produttive, e questo, ricordato dalla Presidente Di Salvo, se non si parla di lavoro, se non si parla di economia, sarà difficile dare risposte alle donne perché dall’indipendenza economica passa tanto per la soluzione dei problemi.

Condivido pienamente quanto è stato detto a proposito di scelte di sistema; se noi non realizziamo tutti insieme un lavoro in sinergia con i territori coinvolgendo centralmente il Campidoglio e con tutte le forze impegnate, dalle forze dell’ordine alle forze della polizia municipale, con le associazioni sul territorio, la sanità, ma anche tutta la rete delle assistenti sociali, i tribunali, noi sostanzialmente non riusciremo mai ad invertire quella curva che purtroppo sta tristemente salendo di anno in anno nonostante si parli tanto delle morti per femminicidio.

Dobbiamo anche ricordarci che quel dato è un dato che fa scalpore; ieri nel mio intervento nell’Aula Giulio Cesare, ho letto un lunghissimo elenco, un nome dopo l’altro, delle donne uccise quest’anno e non finiva mai. Questo è bastato. Già soltanto elencare tutti quei nomi, la gran parte di donne italiane, fa pensare che non è un fenomeno che arriva da chissà dove, ma fa parte della nostra cultura.

Purtroppo dobbiamo dircelo, se non si scardina quella cultura fortemente patriarcale che vede la donna come un possesso dell’uomo, il fatto questo è, e non mi vergogno di dirlo, noi potremmo fare incontri di sistema, potremmo parlarci, farci parlare nelle scuole (tutte penso abbiano partecipato a convegni) ma se non prendiamo coscienza che è un fenomeno culturale, noi questo problema non lo risolveremo mai e non riusciremo ad invertire la curva che vediamo crescere di anno in anno.

Il numero delle donne che vengono uccise, le donne che subiscono violenza ogni giorno la subiscono spesso davanti ai loro figli, si parla di “violenza assistita”, una violenza che non è solo fisica.

Per fortuna abbiamo sdoganato l’immagine della “donna con l’occhio nero”, ci sono le violenze psicologiche, le violenze economiche, molto più sottili e di queste violenza vissute in casa ne siamo un po’ tutti responsabili come gli insegnanti a scuola che non si accorgono del disagio dei bambini o dei ragazzi che vivono quella violenza dentro casa, come Amministratori che non ne prendiamo abbastanza coscienza, come la carenza di formazione delle forze dell’ordine per poter seguire ed accogliere la donna che si rivolge a loro o alle strutture ospedaliere per ricorrere alle cure mediche e denunciare o semplicemente per far comprendere la richiesta di aiuto, fondamentalmente saremmo tutti responsabili di un fenomeno che non si invertirà mai.

E quando un bambino, un giovane, un ragazzo, una ragazza vivono dentro casa una situazione di violenza, matureranno involontariamente una forza a emulare e replicare un modello in cui

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sono cresciuti dove la presenza di figli minori, non sempre dà quella forza in più alle donne di denunciare ma le àncora dentro casa perché non indipendenti economicamente.

E’ per questi motivi che bisogna avere una visione articolata e strutturata.

Sono molto felice che Titti Di Salvo abbia deciso di istituire questo Tavolo; stavo ragionando se replicare questa iniziativa a livello Comunale per creare un incastro di momenti come questo trovo sia molto positivo e che se lavoreremo insieme con impegno riusciremo a replicare Tavoli come questo su tutti i Municipi, riusciremo a fare un passo avanti.

Sarà importante entrare nelle scuole elementari, negli asili nido, per parlare di educazione all’affettività per insegnare ai bambini dei modelli positivi di come bimbe e bimbi possano stare insieme.

Stiamo ancora dimenticando tutto il fenomeno di violenza che riguarda la comunità LGBTQ+ che ci pone di fronte ad un altro tema; anche le donne trans che subiscono anche altri tipi di violenza, spesso vengono rifiutate dalla stessa società dove vivono.

Dobbiamo dircelo, è un problema che riguarda tutti, anche se i numeri non sono elevati non importa perché anche una sola violenza è troppa.

E’ su questo che intendo partire con impegno con l’assessorato, partendo dalla formazione, ad aumentare, come abbiamo già detto ieri con il Sindaco Gualtieri, il numero dei Centri Anti Violenza, ma anche le Case Rifugio perché i numeri ci raccontano che siamo in ritardo aumentando la possibilità di rinuncia da parte delle donne.

Contestualmente non diamo la possibilità alle donne di venir via da un circuito di violenze e indicare loro un percorso protetto nelle Case Rifugio e nelle Case di Semiautonomia, e permettere loro di dare avvio a progetti per la formazione professionale per l’avviamento al lavoro.

Avremmo fatto soltanto un passo del percorso ma non avremmo dato loro gli strumenti per proseguire una strada di autonomia.

Il rischio è che escano da una porta ed entrino da una finestra in una situazione di violenza perché di fronte al fatto di dover dare da mangiare a dei figli, troppo spesso le donne accettano la violenza perché non vengono garantite altre possibilità.

Per questo sta a noi come Amministrazione trovare gli strumenti e le modalità, anche attraverso partnership nel mondo privato per cercare di convogliare fondi che non vengano soltanto dalle casse pubbliche ma anche dalle casse private per trovare delle soluzioni che permettano alle donne di uscire da un circuito di violenze e trovare una propria indipendenza altrimenti sarà inutile parlare di autonomia, di streaming, di empowerment che diventerebbero soltanto delle belle parole scritte sulla carta ma che non saremmo stati in grado di offrire delle opportunità che siano veramente concrete.

Grazie ancora alla Presidente Di Salvo e spero ci saranno altre occasioni di incontrarci ancora molto presto.

Grazie a tutti

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Patrizia Magliocchetti, Direttore UOC TSDEE ASL Roma 2, referente Per il DMGGBA della delibera aziendale “Percorso Aiuto Donna”

Dal momento dell’entrata in vigore del DPCM 24 novembre 2017 che indicava alle aziende sanitarie di istituire un percorso assistenziale per attuazione delle azioni a contrasto alla violenza di genere, la ASL Roma 2, tra le prime, ha messo a frutto le esperienze passate di molti operatori per la creazione di un modello di intervento multi disciplinare e interistituzionale.

Si parte dall’osservazione che a fronte dell’interesse sempre crescente delle istituzioni, il numero di denunce di maltrattamenti ed abusi rimane costante nel tempo, a fronte della numerosità nota del fenomeno. Questo perché le donne hanno timore, e non si sentano sufficientemente protette e ciò crea grande resistenza nel chiedere aiuto, oltre a tutti i meccanismi noti nel persistere all’interno della spirale della violenza.

I dati sono significativi: nei 2 ospedali del territorio della ASL ROMA 2 (Pertini e Sant’Eugenio) dall’inizio del 2021 sono stati effettuati circa 300 interventi su donne vittime di violenza, maltrattamenti e abusi sessuali; lo sportello San Camillo ne riporta circa 400.

Ma tali eventi rappresentano solo la punta dell’iceberg, quando l’accettazione di quanto accade all’interno delle mura domestiche non è più accettabile e la donna teme per la propria incolumità ed eventualmente per quella dei suoi figli.

La violenza di genere si sviluppa in un ambito complesso, che va affrontato a vari livelli: sociale, sanitario, normativo, ciascuno per le proprie competenze, ma con l’assoluta necessità di far fluire il proprio operato in un network interdisciplinare e interistituzionale. La rete è fatta di conoscenza, cioè sapere chi sono gli attori e quello che fanno, onde evitare inutili ripetizioni e spreco di risorse. La rete deve essere costantemente aggiornata e il suo funzionamento verificato, in modo tale per cui tutti gli elementi che la compongono facciano la loro parte e che garantiscano la presenza costante di riferimenti istituzionali specifici.

La ASL ROMA 2 ha istituito e portato avanti un tavolo tecnico durato 2 anni per arrivare a redigere una procedura che mirasse ad evidenziare il ruolo di un’azienda sanitaria nella rete.

Siamo parti da un punto nodale: la formazione. Per contrastare la violenza di genere non basta la

“sensibilità” individuale intesa come ascolto non giudicante e intuizione del disagio, ma occorre soprattutto che gli operatori che in qualche modo vengono a contatto con una vittima di violenza, abbiano gli strumenti tecnici per comprenderlo, a prescindere dall’avere o meno “sensibilità”, poiché spesso i comportamenti delle vittime di violenza sono codificabili ed è necessario saperli riconoscere.

La ASL ROMA 2 ha infatti curato in modo specifico la formazione degli operatori effettuando steps con gradazione di intervento: in prima istanza formazione intensiva del personale dedicato, per esempio dei case manager ospedalieri che dal pronto soccorso accompagnano le vittime di violenza ai servizi del territorio, poi del personale coinvolto e poi del personale interessato; la formazione è continua e viene ripetuta e rivista compatibilmente con i piani aziendali.

In seconda istanza la ASL ROMA 2 ha curato la procedura ospedaliera per fornire all’ autorità giudiziaria materiale probatorio incontestabile, onde evitare errori nella raccolta prove per individuazione inequivocabile del reato (procedura essenziale e specifica: raccolta campione, catena di custodia, conservazione).

In ultimo è stato considerato il momento in cui, dopo l’intervento ospedaliero, la situazione della donna si trasforma e diventa non più emergenziale ma riguarda piuttosto la gestione di una situazione di continuità. La ASL ROMA 2 ha istituito un Centro Unico di Ricevimento (CUR), al quale è stato dedicato un luogo fisico e al quale pervengono le richieste che provengono dai nodi della rete, sia ospedalieri che territoriali, e al cui interno opera una equipe specializzata che offre indicazione di procedure e programmi individualizzati e personalizzati per ciascuna vittima di violenza

Rimane aperta la questione del sommerso, come individuarlo?

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In qualità di direttore e coordinatore dei consultori familiari ASL ROMA 2, che in questo momento sono 21. II loro ruolo è, tra gli altri, quello di fornire assistenza socio-sanitaria di prossimità, ed infatti sono sufficientemente distribuiti sul territorio ed oltre ad offrire assistenza della donne e delle loro famiglie, hanno il mandato di proporre l’offerta attiva per il rilievo dei bisogni di salute, di informazione su stili di vita corretti e di interventi che vanno attuati in comunità; in particolare interventi nelle scuole, che producono attenzione ed educazione all’affettività, al rispetto di genere, di identità sessuale, di provenienza che vanno offerti non solo ai ragazzi ma anche in età molto più precoce; occorre perciò l’implementazione di interventi educativi in collaborazione con istituzioni scolastiche e famiglie.

Appare indispensabile raggiungere le donne nei luoghi dove si riuniscono ad esempio nei luoghi di lavoro. Con le associazioni sindacali si possono organizzare incontri di sensibilizzazione e di informazione.

Ad oggi quello che sembra mancare è il “dopo”: un buon elemento appare la legge approvata nell’anno in corso (n. 134 del 2021) che fornisce un aiuto economico. E‘ infatti fondamentale che venga restituita loro dignità permettendo di rinforzare l’autostima e favorendo una reale fuoriuscita della violenza

Altro elemento cruciale è la violenza assistita: la ASL ROMA 2 ha associato all’interno del centro unico, una procedura per minori, per i figli delle vittime di violenza di genere, vittime anche loro della situazione che li coinvolge come spettatori inermi.

Infine l’auspicio è di un reale scambio di informazioni, e il reale funzionamento della rete e le strategie di intervento per prevenire contrastare e portare allo scoperto la violenza e mostrare che le istituzioni ci sono e che non lasciano indietro nessuno.

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Eleonora Mattia, Presidente Commissione - Lavoro, Formazione, Politiche Giovanili, Pari Opportunità, Istruzione, Diritto allo studio della Regione Lazio

Buongiorno a tutti, sono Eleonora Mattia, sono la Presidente della IX Commissione del Consiglio regionale del Lazio, che si occupa di lavoro, politiche giovanili, pari opportunità, scuola, formazione, diritto al lavoro e diritto allo studio. Ringrazio Titti di Salvo per avermi invitata e voglio salutare e ringraziare le tante donne, amiche, presenti: Fabrizia, Paola, Luisa e Donatella e Titti, naturalmente, perché nelle loro postazioni, ognuna di loro ha portato qualcosa, ha aggiunto quel qualcosa, ha aggiunto quel tassello contro la violenza sulle donne, ma soprattutto per le donne, a favore delle donne. Voglio inoltre salutare le associazioni presenti e le autorità militari e comincio il mio intervento dicendo che Titti ha proprio centrato il punto della questione.

Perché, vedete, ognuna di noi, nella propria postazione, sta cercando di far approvare leggi, emendamenti, mozioni. Poi c’è tutto il lavoro che fanno la parte amministrativa, le procure, le associazioni. Quello che manca davvero è mettere in rete tutto questo. È come se ognuno di noi mettesse quel pezzettino, ma non avessimo mai il quadro completo. Quindi io ringrazio Titti perché oggi ha chiamato tutti e tutte noi a raccolta proprio per formare quel quadro, per mettere insieme tutti quei pezzi.

Noi non siamo ancora usciti dalla pandemia, come ha detto Donatella, i dati che arrivano parlano, i dati che arrivano fanno rumore, i dati che arrivano ci dicono che le conseguenze di questa pandemia non sono state uguali per tutti; chi era fragile, oggi è più fragile. I dati ci dicono che a soffrire di più sono stati i giovani e le donne, giovani e donne. Nell’ultimo anno nella regione Lazio su 47.000 posti di lavoro, 33.000 posti sono stati persi dalle donne. Questo perché è proprio il lavoro delle donne che è stato più colpito. Perché le donne lavorano part time, le donne lavorano nei settori più colpiti dalla crisi, il turismo, la ristorazione. E poi c’è tutto il problema dell’isolamento, dell’uso dei social fatto anche durante l’isolamento e tutto questo ha portato anche ad una forma eccessiva di aggressività.

Ci sono nuove forme di violenza, che sono quelle che avvengono anche attraverso i nuovi mezzi di comunicazione. Anche sui social le donne sono le più colpite e più hanno un lavoro culturale, una posizione sociale alta e più diventano il bersaglio. Basi pensare alle virologhe o le politiche.

Come Regione Lazio in Commissione durante la pandemia siamo stati impegnati a mettere in campo delle misure di resistenza per questa pandemia, il periodo peggiore dal dopoguerra. Tra le varie azioni introdotte in questo ultimo anno e mezzo c’è la legge sulla parità sulla parità salariale, sulla promozione di qualità del lavoro delle donne e il sostegno all’imprenditoria femminile, che mi vede prima firmataria. Questa è una legge fondamentale da citare durante il 25 novembre perché la lotta alla violenza alle donne deve ripartire soprattutto dal lavoro e dal lavoro di qualità. Se una donna riesce ad essere libera economicamente, ad avere una propria autonomia, è anche libera di ribellarsi e di combattere violenza.

Con questa legge, che ha una dotazione di quasi 8 milioni di euro più i fondi strutturali della nuova programmazione europea 2021/2027, noi andiamo a intervenire sull’inserimento, la permanenza e la valorizzazione delle donne nel mercato del lavoro, non solo dipendenti, ma anche libere professioniste. Una donna su due in Italia non lavora e il gender gap nelle professioni raggiunge il 45%, cioè una donna guadagna il 45% in meno di quanto rispetto a un uomo.

Tra le misure previste abbiamo previsto delle premialità alle aziende assumono donne a tempo indeterminato, regole chiare per l’equa rappresentanza di genere nell'accesso agli organi di controllo e nell’affidamento di incarichi esterni a professionisti da parte della Regione, micro- credito per le donne che si trovano in condizioni di disagio sociale. Ma anche delle misure dedicate alle donne che sono in carico nei centri antiviolenza o case rifugio della Regione Lazio, misure dedicate ai Comuni che dimostreranno di applicare la parità di genere.

Un'altra legge fondamentale, perché senza il welfare non possiamo fare nulla, è la nuova legge sul sistema integrato educazione istruzione per l’infanzia. Una normativa che mancava nel Lazio da 40 anni e su cui investiamo 21 milioni di euro, oltre ai 500 milioni del Next Generation Lazio.

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Siamo la prima Regione in Italia ad applicare il d. lgs 65/2017 sul sistema 0-6 anni, rimettendo al centro i diritti delle bambine e dei bambini e combattendo le diseguaglianze. Tutti i dati infatti dimostrano avere la possibilità di frequentare servizi educativi di qualità, pur partendo da una situazione di fragilità economica e sociale, avrà più possibilità di riuscita nella vita. E quindi questa è la vera battaglia.

Ed infine abbiamo raddoppiato i fondi per i centri antiviolenza e concludo con un'iniziativa che mi sta molto a cuore: ho voluto di rifinanziare il premio da portare nelle scuole dedicato a Donatella Colasanti e Rosaria Lopez. Abbiamo recentemente fatto la prima premiazione ed è stato emozionante. I ragazzi e le ragazze ci hanno ringraziato per aver fatto loro conoscere questa storia e il loro entusiasmo si è trasformato in creatività e nei tanti lavori proposti nonostante la Dad e le difficoltà di questo anno scolastico.

Io voglio dedicare queste giornate a Donatella e Rosaria che sono state vittime di uno dei più terribili delitti. Del più forte contro il più debole; del più ricco contro il più povero; dell’uomo contro la donna. Ma soprattutto è stata la battaglia delle femministe che si sono costituite parte civile ed è grazie a loro che oggi il reato di stupro non è più contro la morale, ma contro la persona.

Abbiamo quindi il dovere di ricordarle.

Continuiamo a fare rete, fare squadra. Continuiamo a combattere per regine eroiche come queste due ragazze. La loro tenacia, il loro sacrificio. Combattiamo per tutte le donne che hanno dovuto fare un passo indietro per qualunque motivo.

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Alessandra Menelao, Responsabile Nazionale dei Centri di Ascolto mobbing stalking contro tutte le violenze UIL

Introduzione. Definizione e norme giuridiche

Per analizzare un fenomeno bisogna partire dalla sua definizione. La parola “femminicidio” nella lingua italiana esiste solo dal 2001. Prima di allora ci si riferiva al concetto “omicidio di donne” che poteva essere sovrapposto al tema giuridico di “uxoricidio”, vale a dire l’uccisione del coniuge, dal lemma latino “uxor” che significa “moglie”. Termine, però, che non spiega “l’uccisione della donna in quanto donna”.

Ai fini della nostra trattazione possiamo ritenere che la definizione del femminicidio maggiormente accreditata dai CAV, dalle CR e dai Centri di Ascolto sindacali sia “l’omicidio di una donna in quanto tale da parte di uomini, per motivi quali rifiuto, gelosia e incapacità di accettarne l’autodeterminazione”. Sono donne che sono state private del diritto alla vita.

E’ importante a questo punto fare almeno due precisazioni: la prima riguarda il fatto che non tutti gli omicidi volontari di donne possono essere classificati come “femminicidi”; la seconda precisazione è importante perché bisogna sottolineare che nel nostro Paese non esiste una autonoma figura di reato di “femminicidio” che sanziona l’omicidio volontario di una donna per ragioni di genere.

Da un punto di vista giuridico esistono delle norme sulla violenza di genere volte alla prevenzione del femminicidio e alla protezione delle vittime. I dispositivi di legge che riguardano il femminicidio in senso lato sono tre:

• LEGGE 27 giugno 2013, n. 77, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011. (13G00122) (GU Serie Generale n.152 del 01-07-2013).

Comunemente viene chiamata “Legge sulla Convenzione di Istanbul”;

• LEGGE 15 ottobre 2013, n. 119 (in G.U. n. 242 del 15 ottobre 2013 - in vigore dal 16 ottobre 2013) - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province. (13G00163). Comunemente viene chiamata impropriamente “Legge sul femminicidio”;

• LEGGE 19 luglio 2019, n. 69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. (19G00076) (GU Serie Generale n.173 del 25-07-2019). Comunemente viene chiamata “Legge sul codice rosso”.

Questi dispositivi sono importanti ma non sono ancora del tutto sufficienti visti i numeri quotidiani dei femminicidi nel nostro Paese.

La legislazione italiana prevede anche l’introduzione di un “Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere” che indica la realizzazione di un sistema integrato di azioni per intervenire e prevenire i casi di violenza di genere e di femminicidio sulla base delle 4 P:

• P-Prevenire: misure adeguate di prevenzione

• P-Proteggere: misure adeguare di protezione della vittima

• P-Punizione: misure coercitive adeguate degli autori di reato

• P-Politiche integrate: approccio sistemico e globale dei vari interventi che inglobano gli strumenti normativi, l’attività preventiva, l’attività repressiva, la tutela delle vittime da parte della rete delle associazioni pubbliche e private.

I dati dei femminicidi

Questa indagine raccoglie le evidenze statistiche sulla base delle notizie di femminicidio. I dati risalgono al quinquennio 2017-2021.

L’analisi sui femminicidi è stata strutturata sulla base della definizione che abbiamo scritto in questa trattazione precedentemente: l’omicidio di una donna in quanto tale da parte di uomini, per motivi quali rifiuto, gelosia e incapacità di accettarne l’autodeterminazione.

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Non tutte le uccisioni volontarie di donne possono essere classificate come femminicidi!

Vediamo meglio gli anni del quinquennio 2017-2021 attraverso l’elaborazione eseguita dal Centro di Ascolto Nazione della UIL.

In Italia ci sono stati più di 100 casi l’anno (Figura 1), il calcolo per gli anni dal 2017 al 2020 arriva fino al 31 dicembre, mentre per l’anno 2021 è datato all’8 novembre:

- nel 2017 sono stati 106;

- nel 2018 sono stati 97;

- nel 2019 sono stati 75;

- nel 2020 sono stati 98;

- nel 2021 sono stati 95.

Il fenomeno del femminicidio è diventato strutturale nel nostro Paese. Non ha più nulla di straordinario. Il totale dei femminicidi negli ultimi cinque anni è 471. Nel computo dei femminicidi si sono considerati anche i figlicidi. Sulla nazionalità della vittima si evidenzia una maggiore incidenza per le nostre connazionali:

- Nel 2017 sono state uccise 78 italiane (74%) e 28 straniere (26%);

- Nel 2018 sono state uccise 73 italiane (75%) e 24 straniere (25%);

- Nel 2019 sono state uccise 60 italiane (80%) e 15 straniere (20%);

- Nel 2020 sono state uccise 78 italiane (80%) e 18 straniere (20%);

- Nel 2021 sono state uccise 77 italiane (81%) e 18 straniere (19%).

Nel complesso le donne italiane uccise, nel nostro paese, negli ultimi cinque anni, sono state 366 (78%), mentre le donne straniere sono state 105 (22%). Per quanto riguarda la nazionalità delle vittime straniere si evidenzia una marcata incidenza per le donne immigrate dall’Europa dell’Est (54% nel 2017; 37% nel 2018; 46% nel 2019; 65% nel 2020; 50% nel 2021); seguite dalle immigrate del continente Africano (21% nel 2017%; 25% nel 2018; 40% nel 2019; 20% nel 2020; 22% nel 2021);

dalle donne del continente Asiatico (11% nel 2017; 17% nel 2018; 7% nel 2019; 15% nel 2020; 17%

nel 2021), e dal Centro- Sud America (14% nel 2017%; 21% nel 2018; 7% nel 2019; 11% nel 2021).

La maggioranza delle donne vittime di femminicidio nel 2017, 2020 e 2021 aveva un’età compresa fra i 41 e i 50 anni (rispettivamente 25%; 26%; 23%); nel 2018 aveva un’età compresa fra i 51 e i 60 (22%); nel 2019 aveva un’età compresa fra i 31 e i 40 anni (28%) (tabella 1).

ETA' % 2017 2018 2019 2020 2021

0-10 0 1 5 5 4

11-20 6 8 3 4 5

21-30 20 9 13 7 11

31-40 21 19 28 16 16

41-50 25 17 20 26 23

51-60 7 22 15 15 6

61-70 5 8 5 12 13

71-80 7 9 8 7 15

81 ed oltre 5 7 3 8 7

Età ignota 4 0 0 0 0

Totale 100 100 100 100 100

(Tabella 1: Età vittime in percentuale)

Dalla tabella n. 1 emergono alcuni dati rilevanti rispetto all’età delle vittime. I femminicidi sono un pericolo per le donne di tutte le età. In tutto l’arco della vita le donne possono essere uccise

“in quanto donne”. La maggior parte delle donne che sono state uccise aveva un’età che variava fra i 21 e i 50 anni. Stupiscono, però, alcune classi di età. Cominciamo da quella delle bambine e delle ragazze (0-20 anni). Qui l’analisi del quinquennio mostra un incremento dei figlicidi: il 6%

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propri figli e figlie è il modo che utilizzano gli uomini per “colpire le donne”. La criminologa britannica Elisabeth Yardley li ha definiti “padri sterminatori”: uccidono i propri figli per riacquisire un controllo sulle proprie donne e mogli. In questo inquadramento ci si riferisce a tutti quei padri violenti che uccidono i loro figli per “colpire” le madri e che negano il diritto inalienabile alla vita ai propri figli. Talvolta i padri uccidono durante gli affidamenti che i giudici gli impongono nei casi di violenza di genere o domestica. Questi provvedimenti vengono assunti in aperta violazione della Convenzione di Istanbul, come più volte affermato dalla Commissione femminicidio del Senato. La Convenzione di Istanbul esplicita che i padri violenti non possono essere buoni padri fino a quando commettono azioni violente. Si calcola che negli ultimi 10 anni ci sono stati circa 512 casi, il più noto dei quali è quello del piccolo Federico Barakat di nove anni, avvenuto nel 2009, ucciso, durante un incontro protetto, con 37 coltellate dal proprio padre, poi suicidatosi subito dopo, all’interno della azienda sanitaria locale (ASL) di San Donato Milanese.

Nessuno fu ritenuto colpevole perché nel decreto di affido all’ente non era specificato l’obbligo della protezione fisica del minore durante le visite protette precisando la sola tutela sotto il profilo del recupero del rapporto con la figura paterna. Pochi giorni fa (28 ottobre 2021) è stato presentato il disegno di legge n. 2417, su istanza dell’Associazione “Federico nel cuore onlus” e dell’UDI, d’iniziativa della Senatrice Valente, “Introduzione dell’articolo 317-ter del codice civile, in materia di provvedimenti riguardo ai figli nei casi di violenza di genere o domestica” che si propone, finalmente, l’obiettivo di colmare questo vuoto legislativo: “i soggetti terzi affidatari assumono tutte le responsabilità genitoriali, ivi compresi gli obblighi di protezione del minore, rispondendo per tutto il tempo nel quale il minore è loro affidato, della sua sicurezza ed integrità psicofisica e sono altresì tenuti ad attivare ogni azione di prevenzione e protezione del minore medesimo”.

L’altra fascia di età di particolare rilievo è quella delle donne anziane (70-90 e oltre), la cui percentuale è stata nel 2017 del 12%; nel 2018 del 16%; nel 2019 dell’11%; nel 2020 del 15%; nel 2021 del 22%. Gli uomini anziani si “arrogano” il diritto di uccidere le proprie mogli. Spesso questo tipo di femminicidio si nasconde dietro “al suicidio indotto” o “istigazione al suicidio”

per svariati motivi: economici, salute, possesso. Questo dimostra che l’ambiente familiare sta diventando sempre più rischioso sia per le donne più giovani che per quelle anziane.

Ai fini del seguente studio interessante è notare la relazione che esiste fra l’autore del delitto e la vittima (Tabella 2).

Ad uccidere le donne sono stati prevalentemente i mariti, i compagni e i conviventi: il 45% nel 2017; il 63,93% nel 2018; il 53,35% nel 2019; il 58,18% nel 2020; il 48,42% nel 2021.

I dati fanno emergere che gli ex partner uccidono in misura rilevante le donne con cui hanno avuto precedentemente una relazione affettiva: il 27% nel 2017; il 7,22% nel 2018; il 12% nel 2019;

il 6,12% nel 2020; il 16,84% nel 2021.

La relazione parentale è un potente predittore per i femminicidi. Se aggiungiamo ai casi sopracitati quelli in cui esiste una relazione di parentela fra autore e vittima di reato (figlio, fratello, genero, cognato, nipote, padre, zio) troviamo che la maggioranza delle donne muore in ambito affettivo-domestico-familiare: l’87% nel 2017; il 91,76% nel 2018; il 92% nel 2019; il 92,86%

nel 2020; il 90,05% nel 2021.

Autore del reato 2017% 2018% 2019% 2020% 2021%

Marito/convivente/compagno 45 63,93 53,35 58,18 48,42

Ex 27 7,22 12,00 6,12 16,84

Fidanzato 8 1,03 4,00 1,02 3,16

Amante 0 3,09 5,33 5,10 6,32

Figlio 3 4,12 4,00 10,20 2,11

Fratello 3 1,03 1,33 0,00 3,16

Genero 1 1,03 1,33 1,02 0,00

Cognato 0 1,03 0,00 0,00 6,32

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Padre 0 7,22 9,33 10,20 1,05

Zio 0 1,03 0,00 0,00 1,05

Suocero 0 0,00 0,00 0,00 1,05

Conoscente 4 4,12 4,00 5,10 7,37

Ignoti 4 4,12 2,67 1,02 1,05

Vicino di casa 4 0,00 1,33 0,00 0,00

Coinquilino 0 0,00 0,00 1,02 0,00

Stalker 1 0,00 0,00 0,00 1,05

Totale 100 100,00 100,00 100,00 100,00

(Tabella 2: Autore del delitto)

Dall’analisi sulle modalità dell’omicidio emerge il cosiddetto profilo “primitivo” dell’uomo che commette il femminicidio (Tabella 3). Le armi prevalentemente utilizzate sono state il coltello e l’arma da fuoco. Per quanto riguarda l’arma da taglio, ovvero il coltello, esso richiama l’ambito domestico e l’uso del mezzo che si trova più a portata di mano: nel 2017 il 46% delle donne è stata uccisa dall’arma da taglio; nel 2019 e nel 2020 il 33% rispettivamente; nel 2021 il 37%. L’uccisione tramite arma da fuoco è stata utilizzata in misura prevalente nel corso dell’anno 2018 (30%); 2020 (28%) e 2021 (25%) e in misura più lieve nel corso del 2017 (8%) e 2019 (19%).

I femminicidi avvengono anche attraverso il contatto fisico (calci, pugni, botte): il 16% nel 2017;

l’11% nel 2018 e nel 2019; il 13% nel 2020; 3% nel 2021. L’altra modalità usata frequentemente è lo strangolamento: il 6% nel 2017; il 10% nel 2018; il 12% nel 2019; il 9% nel 2020; 4% nel 2021.

Un’eccezione è l’uccisione tramite oggetti contundenti perché nel corso del 2021 è stata abbastanza frequente (13%).

Tipologia violenza 2017 2018 2019 2020 2021

Arma da taglio 46 27 33 33 37

Contatto fisico 16 11 11 13 3

Arma da fuoco 8 30 19 28 25

Liquido infiammabile 6 1 4 4 2

Investimento 6 0 3 1 0

Oggetti contundenti 6 7 9 6 13

Strangolamento 6 10 12 9 4

Soffocamento 4 7 4 3 7

Spinta (balcone, pozzo) 2 4 4 0 1

Sgozzamento 0 1 1 2 5

Ignoto 0 2 0 0 3

Iniezione letale 0 0 0 1 0

Totale 100 100 100 100 100

(Tabella 3: tipologia della violenza) Conclusioni

Il femminicidio riguarda tutte le donne. Avviene molto frequentemente all’interno delle mura domestiche. Il fenomeno è strutturale. La violenza di genere è una violazione dei diritti umani la cui matrice risiede nella cultura delle relazioni fra generi che relega le donne in ambiti familiari tradizionali subordinandole alla dominanza maschile. Per prevenire il fenomeno bisogna intervenire su 3 grandi macroaree:

Prevenzione:

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• Attraverso le campagne di informazione e sensibilizzazione nelle scuole e in altri luoghi delicati e nelle situazioni delicate.

• Formazione specifica di tutti gli/le operatori/trici (operatrici/tori centri, psicologhe/gi, avvocate/ti, assistenti sociali, magistrati, forze dell’ordine) anche per evitare l’utilizzo di teorie scientificamente non accreditate come la PAS.

Protezione e sostegno:

• Migliorare e implementare le reti presenti ampliando il coordinamento fra tutti i servizi presenti in un dato territorio (CAV, CR, Centri sindacali, servizi sociali, ASL, forze dell’ordine).

Favorendo a livello istituzionale una mappatura di tutti i servizi esistenti per monitorare la qualità del servizio offerto.

• Favorire percorsi di empowerment economico, lavorativo e di autonomia abitativa delle donne.

• Monitorare le strutture e le case famiglie per i minori.

Punizione:

Bisogna garantire la tutela delle donne vittime di violenza.

Valutazione e gestione del rischio.

Favorire i provvedimenti che allontanino l’uomo violento dall’abitazione familiare.

Attualmente è prevalentemente la donna che, in situazioni di pericolo, cerca rifugio nelle case apposite, lasciando la sua abitazione.

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Donatella Onofri, Segretaria confederale Cgil Roma Col

Ringrazio la Presidente Di Salvo per questa importante iniziativa che va oltre, la pur importante celebrazione della giornata del 25 novembre, per definire un tavolo tra istituzioni, asl, forze dell’ordine, associazioni territoriali e sindacati che si adoperi per contrastare la violenza di genere ed aiutare le donne ad emanciparsi e liberarsi.

La prima considerazione da fare è che purtroppo la violenza maschile contro le donne non è un’emergenza, è un fenomeno strutturale, che genera uno squilibrio di genere nelle nostre società.

La maggior parte delle donne molestate, che subiscono violenza, non denunciano, non raccontano, tengono per sé. Non si può colpevolizzare, e nemmeno tacere del silenzio delle donne vittime di femminicidio, del silenzio delle donne di ogni età che tacciono e nascondono molestie, violenze, abusi nel contesto familiare e o amicale, come nei luoghi di lavoro.

Personalmente non credo che siano necessari nuovi codici, pene, leggi, serve applicarle a partire dalla Convenzione di Istanbul e dalla Convenzione 190 dell’Ilo; ma occorre essere consapevoli che la mancanza di parità è la conseguenza, l’origine di un fattore sociale che risiede nello squilibrio di potere tra donna e uomo.

Differenza che è strutturata socialmente, è il patriarcato, è fattore educativo per cui gli ambiti sono ben individuati: la scena pubblica è dell’uomo, la casa, il focolare della donna, per cui è

“legittimo” pensare che le donne siano proprietà di, non soggetti autonomi, ma subalterni. La ragione per cui la parola femminile non è autorevole. Occorre agire sul sistema di educazione e formazione delle nuove generazioni. Aprire le nostre scuole all’educazione sentimentale, formare ed educare al rispetto, al valore della diversità, all’affettività, dell’autodeterminazione. La strada è lunga ma occorre intraprenderla.

La Cgil quest’anno ha deciso di dedicare la giornata del 25 novembre alla ratifica della Convenzione ILO 190 sul contrasto alla violenza e alle molestie nei luoghi di lavoro. Un traguardo importante che adesso deve diventare effettivo anche nel nostro Paese dove si sta discutendo un disegno di legge per il contrasto alle molestie anche sessuali nei luoghi di lavoro. I luoghi di lavoro sono infatti spesso scene di abusi, ricatti, molestie nei confronti delle lavoratrici. Il rapporto di lavoro non è mai paritario tra datore e lavoratore. A questo si aggiunga che, seppur in una fase espansiva come quella che stiamo vivendo, con una crescita del pio al 6%, il lavoro continua ad essere prevalentemente precario e caratterizzato, in Italia, da salari bassi. Sappiamo che la precarietà colpisce soprattutto donne e giovani e questo rende ancora più esposte, ricattabili, vulnerabili le donne che subiscono con sempre maggiore frequenza abusi e molestie nei luoghi di lavoro.

Quest’anno oltre un milione e mezzo di lavoratrici sono state vittime di abusi. Capite quindi come l’emancipazione passi attraverso il diritto ad un lavoro dignitoso, stabile e ben retribuito. Cultura e diritti quindi ma anche azioni concrete a sostegno delle donne vittime di violenza. Ecco quindi che la costituzione di una rete territoriale, come quella proposta dal IX Municipio diventa un importante strumento che genera collaborazione tra i diversi soggetti che, a diverso titolo agiscono sul fenomeno, rafforzandone l’interazione, la conoscenza è quindi la capacità di risposta ed aiuto a chi ne ha bisogno. Spesso la Presidente Di Salvo ci ricorda che questo territorio, così disomogeneo per demografia, densità di popolazione, centro e periferia insieme, ha bisogno di costruire una propria identità, di farsi comunità. Ecco l’iniziativa di oggi va proprio in quella direzione e costruisce un primo fondamentale tassello.

Chiaramente la CGIL c’è si rende disponibile anche perché inevitabilmente, per propria caratteristica, crocevia anch’esso di tante richieste sociali e quindi soggetto politico attento e attivo. Ringraziamo quindi ulteriormente la Presidente e tutti gli intervenuti e ci auguriamo di poter dare un contributo alla costituzione di questo tavolo di questa rete.

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Pina Polimeni, docente Liceo Classico – Scienze Umane Plauto

Come docente mi occupo della formazione dei giovani, formazione che non è solo crescita culturale ma educare anche alle responsabilità di senso civico e coltivare, costruire le coscienze.

Il Liceo Plauto è un liceo ai margini dell’EUR (zona Spinaceto), ha un bacino molto ampio e una utenza variegata. La scuola è conosciuta come una scuola inclusiva, attenta alle politiche sociali, di genere e rappresenta un luogo di riferimento per il quartiere: più volte, in collaborazione con le autorità competenti, ha fatto fronte a situazioni di emergenza.

Diverse sono le attività proposte come forma di prevenzione, tra cui uno sportello di ascolto per genitori e ragazzi. Alcuni percorsi di PCTO sono mirati alla sensibilizzazione del fenomeno violenza femminile: i ragazzi e le ragazze, affiancati dagli operatori, sono stati parte attiva in situazioni di emergenza con l’associazione Telefono Rosa.

Oggi condividendo quanto già espresso dagli altri ospiti, vorrei porre un focus sul fenomeno del cyberbullismo, accentuatosi ancora di più durante il lockdown, forma sommersa di violenza ancora non regolamentata da leggi opportune. Come educatrice non posso non ricordare il caso di Alex Pompa, il ragazzo diciottenne di Collegno che per difendere la mamma dalle violenze, uccise nel 2020 il padre.

Pongo l’attenzione su questo caso a proposito della sentenza emessa giorni fa, la Presidente della Corte di Assise Alessandra Salvatori ha ritenuto opportuno esprimersi per la scarcerazione di Alex in quanto “il fatto non costituisce reato”. La giuria di questo processo era composta dalla maggioranza di donne e il processo è stato basato su prove, sentimenti ed emozioni che solo la sensibilità femminile è in grado di percepire.

Come donna e come madre mi sento mortificata e umiliata pensando che le donne donano la vita ma che a LORO venga tolta.

Ringrazio tutti i partecipanti e in particolare la Presidente Titti De Salvo.

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Gabriella Saracino, Direttrice del Municipio IX EUR

Un pensiero semplice ma efficace è il frutto di questa giornata: costruire ed affiancare azioni simboliche ed azioni istituzionali in ogni territorio di Roma, a partire dal Municipio IX EUR.

Creare un’unica regia su un argomento tanto potente quanto fragile quale è ancora oggi purtroppo la volenza sulle donne, la violenza di genere, la transfobia o quanto attiene ad ogni forma di violenza e di non rispetto della persona.

Questo il messaggio potente attraverso il quale la Presidente Titti Di Salvo riunisce nell’aula consiliare del Municipio IX EUR referenti istituzionali trasversalmente rappresentativi a livello municipale, capitolino, di governo e di settore.

Ascoltare il senso delle sue parole per capirne il fine già espresso in tanti incontri con tutto il personale del municipio dà oggi, in un racconto corale, ha ancora più valore, raggiungendo quella completezza di pensiero che solo l’unione di professionalità e competenze diverse può dare. La potenza dei singoli con la concretezza della Pubblica Amministrazione, garantisce la sistematicità degli interventi, afferma la Presidente.

La Combinazione di una azione Simbolica, espressa dalla pittura di non una ma tante panchine rosse disseminate in diversi punti del municipio, su ognuna delle quali è posta una targa recante un messaggio forte e chiaro per tutti la violenza non è mai amore e un numero di telefono chiedi aiuto chiama il 1522 come sostegno diretto e discreto; e l’istituzione di un tavolo di coordinamento tecnico municipale costituisce l’attuazione pratica di questo pensiero. La caratteristica del tavolo di essere trasversale sia ai livelli Istituzionali che professionali permette di non disperdere i tanti interventi politico/tecnici già avviati sia a livello nazionale che territoriale, per raggiungere quella forza unitaria indispensabile a dare alle donne la possibilità e capacità di superare la paura:

paura della vergogna, paura del senso di colpa, paura di non proteggere i familiari, paura di non farcela e di non essere capita, paura di raccontare, paura di altra paura.

Ed ecco che i racconti delle rappresentanti di governo e delle istituzioni capitoline e municipali mettono a fuoco e testimoniano i tanti aspetti brutali che donne, madri e figli, persone trasgender subiscono, ma anche i tanti interventi messi in campo a livelli diversi: proposte di legge contro le molestie nei luoghi di lavoro, la nascita del Codice Rosa e le diverse forme di accoglienza, nascita di siti di sostegno online, le azioni formative congiunte tra servizi sociali, servizi ospedalieri, forze di polizia e scuola, norme come l’astensione dal lavoro in caso di violenza.

Tutto questo mi fa ricordare e rimarcare quanto come municipio è stato fatto: un protocollo d’intesa tra Servizio Sociale, Polizia Locale e Scuole; l’istituzione di un tavolo tecnico tra Servizio Sociale, Associazioni di sostegno sociale e ASL territoriale, l’adesione a progetti di Associazioni contro la violenza di genere e transfobia, le attività formative con le scuole, la costruzione di seminari online sul mondo LGBT+.

Perché allora nonostante i tanti interventi messi in campo pensati e attivati, quello che prevale ancora oggi nelle donne o persone vittime di violenza è sempre un senso di solitudine e spesso la paura di denunciare?

Voglio unire alle testimonianze qualificate di oggi, fatti conosciuti e considerazioni personali: in un caso di violenza, oltre la donna, ci sono altre vittime? chi sono? Nell’ascolto del racconto della vittima di violenza, quale attenzione viene posta all’uso dei termini nel formulare le domande da parte delle forze dell’ordine, del personale sanitario, degli uomini e donne di Legge quali giudici e avvocati? Come si calcolano gli anni per una pena detentiva? Quale sostegno psicologico viene garantito alla persona e al suo nucleo familiare?

Io sono una sopravvissuta e tutte queste domande sono presenti nella testa e nel corpo. Ci son voluti cinque anni per poter chiamare la violenza subita con il suo nome e poter racchiudere in queste poche righe un evento devastante e che finisce per accompagnare ogni donna o persona che subisca violenza.

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Si può ricominciare a sorridere? Si, se gli interventi sono svolti da professionisti che sulla tempestività e modalità di gestione di casi violenti si sono formati, hanno fatto rete, hanno imparato a sospendere il giudizio personale.

Ecco perché l’evento di oggi 26 novembre 2021 non è solo simbolo di commemorazione di una giornata in ricordo di tutte le donne vittime di violenza ma avvio di un lavoro sistemico e permanente di coordinamento inter territoriale, con l’augurio che diventi volano di un’azione che dal Municipio IX EUR si estenda e coinvolga altri Municipi e sedi istituzionali.

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Tamara Temperini, CAV via Stame

Il centro antiviolenza ha aperto il 29 settembre ed è in via Nicola Stame nel quartiere Spinaceto di fronte al consultorio familiare.

La risorsa del centro antiviolenza è l'ascolto. Quando una donna chiama, già dal primo contatto si percepisce il suo stato d'animo, nell'interazione con le operatrici del Centro, si va a toccare la corda della vergogna. Attraverso i vari colloqui condivisi con la donna si costruisce la fiducia, la donna tende ad aprirsi e si mette in contatto con le operatrici.

I servizi del centro sono: l'accoglienza in cui sono inserite, la coordinatrice educatrice professionale e due assistenti sociali, l'assistenza legale, l'assistenza psicologica, l'orientamento al lavoro, l'orientamento per le emergenze alloggiative, il servizio educativo e psicologico dedicato ai minori vittime di violenza assistita.

Il centro è aperto il lunedì mercoledì e venerdì dalle 10 alle 17 e il martedì e il giovedì dalle 9 alle 17. E’ comunque sempre attivo il servizio di reperibilità H24.

Per promuovere il Centro Antiviolenza, stiamo preparando una brochure che sarà divulgata sul territorio.

Mi fa piacere condividere con voi una lettura molto significativa che riguarda la vita di Filomena Lamberti una donna che è stata cosparsa dal suo ex marito di acido su tutto il corpo e che è riuscita a riprendere in mano la sua vita con l'aiuto di un centro antiviolenza.

Vi saluto con l'auspicio che questo centro antiviolenza possa essere utile per tante donne.

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