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1.1 Ambito della tesi e motivazioni 1.Introduzione

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Academic year: 2021

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1. Introduzione

1.1 Ambito della tesi e motivazioni

L’esperienza, i successi e i fallimenti in ambito spaziale negli ultimi decenni hanno decretato i limiti della propulsione chimica per determinate missioni e operazioni nello spazio e, negli ultimi 15 anni, maggiore attenzione è stata posta sulla propulsione elettrica (nel seguito EP), in particolar modo da parte di produttori di satelliti. La spinta di un motore dipende dalla quantità di propellente che espelle al secondo e dalla velocità con cui il propellente è espulso: la velocità raggiunta dal propellente di un motore a propulsione elettrica può essere fino a 30 volte maggiore di quella del propellente di un motore a propulsione chimica. La grandezza che traduce il concetto appena esposto e che rappresenta quindi un fattore di merito del sistema propulsivo è l’impulso specifico; quindi, per quanto possibile, si cerca di massimizzare il valore di tale grandezza. La propulsione elettrica fornisce una spinta molto minore rispetto a quella fornita dalla propulsione chimica, ma può essere mantenuta per un periodo di tempo molto più lungo: quando la missione non impone limiti di tempo, la propulsione elettrica si rivela di gran lunga preferibile rispetto alla tradizionale propulsione chimica; nel caso di trasferimenti orbitali si ottengono infatti tempi di trasferimento molto elevati se paragonati alla vita operativa del satellite. La propulsione elettrica permette di ridurre la massa di propellente necessaria rispetto all’uso dei convenzionali motori a razzo a propulsione chimica, permettendo così di imbarcare maggior carico pagante con evidente vantaggio nel caso di missioni a carattere scientifico o commerciale. Diventa fondamentale, per stabilire la fattibilità della missione (in primis dal punto di vista economico), una accurata scelta del profilo di missione e quindi un accurata strategia di sparo per sfruttare al meglio i vantaggi che la propulsione elettrica offre [5] [8].

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La propulsione elettrica è definibile come un tipo di propulsione per veicoli spaziali (nel seguito S/C) che utilizza processi elettrici e magnetici per accelerare un propellente con un impulso specifico molto maggiore di quello ottenibile usando la propulsione chimica classica. I primi progetti relativi ai sistemi di propulsione elettrica per missioni spaziali risalgono agli anni ’60, ma il loro utilizzo è stato limitato per molto tempo alle manovre di controllo di assetto dei satelliti; nell’ultimo decennio i propulsori a bassa spinta sono stati utilizzati per il controllo orbitale, per la fase di abbandono dell’orbita operativa (fase di de-orbiting) di un satellite, per compensazione dei disturbi dovuti alle perturbazioni, o per la realizzazione di missioni interplanetarie. Attualmente ci sono centinaia di satelliti che sfruttano la propulsione elettrica come sistema di propulsione primaria o per funzioni secondarie. Con l’evolversi della tecnologia, con l’acquisizione di nuove conoscenze, con la futura validazione di nuove strumentazioni e nuovi componenti attualmente in fase sperimentale, nuovi scenari di missione dedicati alla propulsione elettrica si presentano all’orizzonte: questa fiduciosa prospettiva è stata di notevole stimolo nello svolgimento di questa tesi.

La storia della propulsione elettrica è piuttosto breve considerando che le prime prove in volo risalgono agli anni ’60 e considerando che la concezione di EP come alternativa alla propulsione chimica è stata caratterizzata da un lento sviluppo, dovuto alla presenza a bordo di insufficiente potenza elettrica, e dalla non fiducia da parte di molti nell’abbandonare soluzioni ormai consolidate legate alle propulsione chimica. Son da sottolineare dei casi in cui il connubio propulsione elettrica e strategia, inevitabilmente collegata al concetto di previsione e quindi di simulazione, ha portato a rilevanti successi.

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1.2 Recenti successi

1.2.1 L’odissea del satellite Artemis

Figura 1-1 : satellite Artemis

Una delle missioni il cui successo è legato alla presenza a bordo dello S/C di propulsione elettrica è la missione del satellite Artemis, satellite per telecomunicazioni dell’ESA: esso fu immesso su un’orbita sbagliata al momento del lancio (più bassa di quella desiderata) a causa di un malfunzionamento del lanciatore Ariane 5, per cui fu necessario il suo recupero dopo 18 mesi. Il trasferimento orbitale fu eseguito in gran parte dai piccoli propulsori di assetto ad effetto Hall. La mancata propulsione dell’ultimo stadio dell’Ariane 5 aveva immesso Artemis in un’orbita molto ellittica il cui apogeo era a soli 17487km, invece degli attesi 36000km. L'obiettivo degli scienziati è stato quello di sollevare Artemis fino all'orbita desiderata. Nei primi mesi, con una serie di spinte del motore a propulsione chimica, Artemis è stato messo in salvo su un’orbita di parcheggio, al di sopra delle fasce di radiazione che rischiavano di rovinare la strumentazione di bordo; a questo punto sono entrati in funzione i motori a propulsione

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elettrica di cui Artemis, oltre al motore a propulsione chimica, era dotato, e che dovevano servire a manovrare il satellite una volta che fosse stato operativo, in orbita geostazionaria. A partire dal febbraio 2002, questi stessi motori sono serviti invece ad innalzare la quota dell’orbita a 36000km richiesti, al ritmo di soli 15km al giorno. Una volta raggiunta la quota desiderata, i motori a propulsione chimica sono entrati di nuovo in funzione e hanno immesso definitivamente il satellite in orbita [29].

1.2.2. La missione SMART-1

Primo esempio di missione strettamente dipendente dalla durata e quindi dalla possibilità di ottimizzare il consumo di propellente è il caso del satellite SMART-1 (2003). Tale satellite fu il primo satellite in Europa ad utilizzare come sistema primario di propulsione la propulsione elettrica. La missione prevedeva la raccolta di informazioni sulla Luna (composizione mineralogica, presenza e quantità di acqua ecc.). L’orbita finale veniva raggiunta non direttamente coprendo i 380000km che separano il pianeta Terra dalla Luna, ma attraverso una orbita a spirale avvicinando il satellite sempre più alla Luna fino a permetterne la cattura. Il satellite SMART-1 fu quindi il protagonista della prima missione lunare europea. Il velivolo è stato lanciato il 23 settembre 2003 con il vettore Ariane 5 verso una orbita di trasferimento geostazionaria (GTO) e dopo un percorso durato 14 mesi e propulso solo da un sistema di propulsione elettrica è stato catturato dal campo gravitazionale lunare nel novembre 2004. La missione ebbe termine il 3 settembre 2006 quando il velivolo impattò la superficie lunare nella regione denominata Lacus Excellentiae.

Il satellite SMART1 rappresenta un passo fondamentale nello scenario della propulsione a bassa spinta: esso fu utilizzato per provare la propulsione elettrica e altre tecnologie spaziali, il tutto mentre eseguiva osservazioni della Luna per capirne le origini e per la ricerca di ghiaccio al suo polo sud [28].

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Figura 1-2 : satellite SMART-1

La Tabella 1-1 permette di confrontare le caratteristiche del propulsore elettrico installato su SMART-1 con le caratteristiche di propulsori chimici.

Tipo di propulsore Piccolo propulsore chimico monopropellente Chimico Fregant SMART-1 Hall Effect Thruster (PPS-1350) Propellente Idrazina Tetrossido d’azoto /

Dimetil-Idrazina Xenon Impulso Specifico (s) 200 320 1640 Spinta (N) 1 4 10 96 . 1 6.8 10 2

Durata dello sparo (h) 46 0.24 5000

Prop. consumato (kg) 52 5350 80

Impulso totale (Ns) 1.1105 1.72 107 1.2 106

Tabella 1-1 : confronto tra propulsione elettrica e chimica

Come si evince dalla tabella il propulsore chimico Fregat produce circa 14 volte l’impulso totale del motore SMART-1 ma quest’ultimo utilizza quasi 70 volte meno massa di propellente. Il piccolo propulsore ad idrazina

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produce meno di un decimo dell’impulso totale mentre utilizza il 65% della massa di propellente rispetto al propulsore elettrico.

I satelliti geostazionari per telecomunicazioni hanno utilizzato i sistemi a propulsione elettrica per operazioni di station keeping fino ai primi anni ’80. Satelliti orbitanti in orbita bassa hanno usato anch’essi la propulsione elettrica per correzioni orbitali, ma l’uso della propulsione elettrica come sistema di propulsione principale è stato limitato a velivoli sperimentali come Deep Space One della NASA, equipaggiato con motore a ioni. SMART-1 per l’ESA quindi rappresentava un dimostratore di tecnologia per l’uso di questo nuovo sistema di propulsione per le future missioni.

1.3 Obiettivi della tesi

Il presente lavoro mira ad offrire uno strumento, un simulatore, che permetta di fornire dati, informazioni e grafici utili all’analista di missione per identificare e confrontare diverse tipologie di manovre di trasferimento e profili di missione che sfruttano la propulsione elettrica; il simulatore allo stesso tempo permette di valutare anche lo stato dei sottosistemi del satellite in relazione a profili di missioni a bassa spinta alternativi. La propulsione elettrica, diversamente dalla propulsione chimica, ha un notevole impatto sul profilo della missione essendo essa strettamente dipendente dalla disponibilità di energia elettrica disponibile a bordo. Ogni profilo di missione che sfrutti l’EP non può non tener conto dell’effettivo stato di funzionamento di sottosistemi quali quello di generazione di potenza, di immagazzinamento di energia e di gestione dei carichi.

Il simulatore VM-Orbit, scritto in codice Matlab®, e provvisto di una intuitiva interfaccia grafica (Graphic User Interface, GUI) con menù, pulsanti e finestre che guidano l’utente verso scelte logicamente e matematicamente coerenti, permette all’utente finale di vedere immediatamente l’impatto di eventuali cambiamenti nella strategia sull’intero profilo di missione, o su parte di essa. Il simulatore infatti

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fornisce informazioni sui vari sottosistemi ed eventualmente gestirli modificandone lo stato (ad esempio acceso/spento) ad intervalli di tempo dell’ordine dei secondi o meno.

1.4 Struttura della tesi

Nel presente capitolo, il primo, è stato introdotto l’argomento della tesi, inquadrandola in un certo contesto e motivandone e giustificandone l’utilità. Sono state descritte due missioni che hanno visto i propulsori elettrici impiegati sia come propulsori d’“emergenza” (caso Artemis) sia come propulsori principali (caso SMART-1).

Il secondo capitolo è dedicato al propagatore orbitale D-Orbit: la descrizione dettagliata delle sue caratteristiche è preceduta da una introduzione che sottolinea l’importanza di uno strumento quale un propagatore orbitale ai fini dell’analisi di missione: strumento necessario per vagliare possibili strategie di sparo o per prevedere eventuali modifiche a missioni già in atto; dopo questa introduzione, vengono illustrati i principali modelli matematici o ipotesi adottate per semplificare il problema del moto di un veicolo nello spazio soggetto anche a forze perturbative. In particolare viene descritto il metodo di Cowell e i sistemi di riferimento utilizzati e vengono descritti i modelli perturbativi: non perfetta sfericità della Terra, pressione di radiazione solare, resistenza atmosferica e presenza di un terzo corpo. Questa sezione del capitolo si chiude con il paragrafo relativo all’eclissi e al modello utilizzato per stabilire se il velivolo si trovi in un determinato istante in eclisse o in vista. Un altro paragrafo è dedicato all’inizializzazione della missione, ovvero alla fase di inserimento dei parametri da parte dell’utente per far si che la propagazione abbia inizio: tale paragrafo illustra il significato di tali parametri, specificandone i vincoli. Il capitolo 2 si conclude con la discussione di alcune prove eseguite al D-Orbit per valutare il livello di precisione e l’affidabilità, confrontando i

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dati in uscita con dati ottenuti mediante formule teoriche o altri casi noti in letteratura.

Il terzo capitolo introduce il simulatore VM-Orbit delineando quello che è stato il percorso logico e temporale che ha condotto al codice attualmente disponibile. Nel capitolo vengono descritte le 3 fasi che guidano l’utente dall’inserimento dei dati fino alla visualizzazione finale dei dati ottenuti. Il simulatore VM-Orbit, lavorando in stretta collaborazione con D-Orbit, ne ha inglobato anche alcune caratteristiche, in particolar modo per quel che concerne la fase di definizione della strategia e dei parametri orbitali: alcuni paragrafi del capitolo sono dedicati a questo aspetto, sottolineando le caratteristiche in comune o le differenze, giustificando le varie scelte progettuali.

Nel quarto capitolo maggiore attenzione si è posta su alcuni sottosistemi: sottosistema di gestione di energia elettrica presente a bordo e sottosistema propulsivo; ad essi sono dedicati alcuni paragrafi che ne illustrano le caratteristiche e anche i modelli utilizzati per descriverne il comportamento. Di altri sottosistemi viene riportato un modello molto semplificato: sistema di assetto del satellite.

Il quinto capitolo è dedicato alla validazione del VM-Orbit e sono state scelte due missioni: la prima prova ha il duplice scopo di:

1. verificare che i risultati siano in accordo con i modelli utilizzati per caratterizzare i sottosistemi, e quindi che non ci siano errori all’interno del codice;

2. di dimostrare che, attraverso la gestione automatica dei sottosistemi da parte del simulatore, una missione praticabile dal punto di vista della propagazione ma non dal punto di vista della gestione delle risorse presenti a bordo, diventi praticabile anche dal secondo punto di vista.

Il sesto capitolo definisce i limiti attuali del simulatore VM-Orbit e ne prospetta possibili miglioramenti: essi sono legati in particolar modo al livello di accuratezza con cui vengono modellati i sottosistemi di cui è

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costituito lo S/C, all’ottimizzazione del codice in sé per ridurre i tempi di calcolo e all’aggiunta di modelli di sottosistemi non attualmente presenti nel simulatore.

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Figura

Figura 1-1 : satellite Artemis
Figura 1-2 : satellite SMART-1

Riferimenti

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