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Introduzione

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INTRODUZIONE

Come il cervello si modifichi in funzione dell’esperienza è un argomento di grande interesse per i neuroscienziati. Quanta parte nel processo di sviluppo e nella capacità di modificarsi del cervello sia giocata dai geni e quanta invece sia frutto dell’esperienza è uno dei dibattiti più vivi della biologia moderna. Uno dei sistemi che meglio si offre allo studio del ruolo dell’esperienza nello sviluppo del cervello è il sistema visivo, poiché gli stimoli visivi si possono manipolare con relativa facilità. Gli esperimenti classici sul sistema visivo sono stati condotti nel gatto e nei primati, ma il recente avvento delle tecniche di manipolazione genetica e la possibilità di combinare la fisiologia con analisi molecolari e biochimiche hanno portato i roditori ad essere un modello di studio sempre più diffuso. In questa tesi è stato utilizzato un modello classico di plasticità (la deprivazione monoculare) nella corteccia visiva del ratto in sviluppo. In particolare, è stato investigato il ruolo delle connessioni callosali in questa forma di plasticità corticale attività-dipendente.

1. IL SISTEMA VISIVO: CARATTERI ANATOMICI

Nonostante alcune differenze nell’organizzazione anatomica delle vie visive le caratteristiche fondamentali del sistema sono conservate in tutti i mammiferi. La struttura sensoriale è costituita dagli occhi: la luce vi entra attraversando la cornea per raggiungere la parte più posteriore dell’occhio, la retina. La retina è responsabile della conversione della luce in segnali neurali che possono essere trasmessi al cervello.

La retina è una struttura sensoriale altamente specializzata, composta da neuroni di diverso tipo il cui ruolo è quello di raccogliere la luce, ricavarne informazioni e

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10 passare l’immagine pre-processata alle strutture visive del cervello. Questi tipi cellulari sono organizzati in tre strati: lo strato nucleare esterno, che contiene i fotorecettori (che rispondono alla luce con potenziali graduati iperpolarizzanti generati dalla fototrasduzione); lo strato nucleare interno, contenente i corpi delle cellule bipolari, orizzontali e amacrine; lo strato delle cellule gangliari (che generano potenziali d’azione che si propagano lungo il nervo ottico).

Gli assoni delle cellule gangliari fascicolano insieme per formare il nervo ottico. Le fibre dalla metà nasale di ogni retina si dirigono verso l’emisfero cerebrale opposto in una struttura detta “chiasma ottico”, mentre le fibre della metà temporale della retina non decussano. Nel sistema visivo dei roditori la grande maggioranza delle fibre decussa al chiasma (solo il 3-5% degli assoni ottici rimangono ipsilaterali), mentre la percentuale di fibre crociate è più bassa nei carnivori e nei primati.

Oltre il chiasma gli assoni delle gangliari retiniche corrono all’interno dei due tratti ottici. Ogni tratto ottico porta la rappresentazione del campo visivo controlaterale. Gli ingressi retinici arrivano all’interno delle due principali strutture visive sottocorticali, il collicolo superiore (SC) e il nucleo genicolato laterale dorsale (dLGN), una porzione del talamo. Nei roditori, tutte le gangliari proiettano al SC e il 40% delle fibre retiniche manda un collaterale al dLGN. Il dLGN è la struttura che porta gli ingressi alla corteccia visiva. In ogni dLGN c’è una rappresentazione retinotopica del campo visivo controlaterale. Nei primati e nell’uomo, il dLGN contiene sei strati, ognuno dei quali riceve ingressi solamente da un occhio. Infatti, gli assoni retinici che arrivano dai due occhi terminano in strati adiacenti ma non sovrapposti occhio-specifici, che sono strettamente monoculari (Hickey and Guillery, 1974). Nei roditori invece il dLGN contiene due zone, ognuna che riceve ingressi occhio-specifici (Godement et al.1984): la parte centrale è ipsilaterale, circondata da una zona controlaterale.

Proiezioni dei neuroni nel dLGN raggiungono la corteccia visiva primaria, o V1, nella porzione occipitale del cervello. La V1 è una struttura composta da 6 strati, lo strato che riceve la maggior parte degli ingressi dal dLGN è lo strato IV, poi i neuroni dello

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11 strato IV trasmettono l’informazione agli strati II/III, che a loro volta comunicano con gli strati V-VI. Nei carnivori e nei primati, gli ingressi da ciascun occhio raggiungono lo strato IV in strisce alternate, le cosiddette colonne di dominanza oculare (OD) (Hubel and Wiesel, 1963). Nei roditori non sono presenti colonne di dominanza oculare, perché gli ingressi dai due occhi convergono sulla stessa cellula bersaglio postsinaptica a livello dello strato IV (Antonini et al 1999).

fig.1 La via visiva nei primati: la figura a sinistra mostra un disegno schematico della via visiva, che dalla retina raggiunge la corteccia visiva primaria (V1) attraverso il nucleo genicolato laterale dorsale (dLGN) del talamo. Le principali strutture anatomiche sono schematizzate nel dettaglio sulla destra: (a) Strati retinici. (b) Il nucleo genicolato laterale nell’uomo e nei primati è organizzato in strati adiacenti occhio-specifici e monoculari, che ricevono gli assoni delle cellule gangliari. (c) V1: la maggior parte degli assoni dei neuroni del genicolato proiettano alla V1, in strati diversi a seconda dello strato del genicolato da cui originano (adattata da Solomon and Lennie, 2007).

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12 Molti mammiferi possiedono la visione binoculare, e i loro neuroni visivi corticali possono rispondere alla stimolazione di entrambi gli occhi, anche se la risposta ad uno dei due occhi può essere predominante (preferenza oculare). I neuroni corticali sono anche selettivi per l’orientamento e la direzione di movimento dello stimolo. Cellule corticali con lo stesso orientamento preferenziale sono raggruppate nelle colonne di orientamento. I sistemi colonnari della corteccia visiva comunicano tra loro tramite connessioni orizzontali a lungo raggio. Queste connessioni permettono alle singole cellule di integrare le informazioni da un’ampia area della corteccia (Gilbert, 1992).

La V1 è responsabile della creazione delle basi di una mappa tridimensionale dello spazio visivo, e dell’estrazione di caratteristiche sulla forma e sull’orientamento degli oggetti. Una volta che i processi fondamentali sono avvenuti nella V1 il segnale visivo viene trasmesso alla corteccia visiva secondaria (V2), che circonda la primaria.

La corteccia visiva primaria contiene due tipi principali di neuroni: le cellule piramidali, che sono neuroni di proiezione, e le cellule non piramidali, che rappresentano interneuroni locali. Ci sono molte diverse classi di neuroni piramidali e di interneuroni, e la loro diversità fisiologica, anatomica e molecolare è tutt’oggi oggetto di ricerca.

2. IL CORPO CALLOSO: ANATOMIA E FISIOLOGIA

Il corpo calloso (CC) è la più grande struttura di materia bianca presente nel cervello, e nell’uomo è composto da più di 200 milioni di fibre. Il CC connette aree corticali omologhe dei due emisferi cerebrali (Houzel et al. 2002; Bloom and Hynd, 2005). La natura e la funzione del corpo calloso sono da tempo oggetto d’interesse,

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13 poiché alterazioni in questa struttura sono note in disordini psichiatrici e dello sviluppo. Anormalità nel corpo calloso sono state trovate in pazienti affetti da schizofrenia, autismo, ritardo mentale, sindrome di Down e in disordini nello sviluppo del linguaggio (Bloom and Hynd, 2005). Nonostante la grande quantità di lavori dedicati al CC è sorprendente accorgersi di quanto poco sappiamo della natura e della fisiologia dell’integrazione interemisferica. La corteccia visiva è un buon modello per cercare di chiarire questi aspetti, grazie all’eccellente conoscenza delle proprietà fisiologiche delle cellule della V1.

Le connessioni callosali visive maturano ad un mese di vita nel gatto e a 15 giorni dopo la nascita (P15) nei roditori. Il calloso prima si estende caudalmente e poi si sviluppa rostralmente, allo stesso modo la mielinizzazione avviene con una progressione caudale-rostrale (Bloom and Hynd, 2005).

Nelle aree sensoriali primarie le proiezioni interemisferiche collegano essenzialmente regioni omotipiche. In tutti mammiferi, ogni emisfero riceve informazioni dall’emicampo visivo opposto. Nei gatti e nei primati, con un grande campo visivo binoculare, solo gli assoni che si originano dalla metà nasale della retina decussano mentre nei roditori, con gli occhi più laterali e una visione binoculare più limitata, decussa una percentuale più altra di fibre (Houzel and Milleret 1999). Per questo motivo il mondo visivo viene rappresentato in modo discontinuo come si vede nelle mappe corticali, diviso lungo il meridiano verticale. Nonostante questo abbiamo una percezione di continuità. Una delle funzioni storicamente attribuite al CC è proprio quella di garantire la continuità delle mappe sensoriali attraverso gli emisferi. La fusione è realizzata attraverso precise, reciproche, connessioni punto-punto tra i neuroni callosali, i cui campi recettivi sono localizzati lungo il meridiano verticale.

La struttura basilare delle connessioni callosali che collegano la corteccia visiva primaria è stata investigata principalmente nel gatto, attraverso tecniche elettrofisiologiche ed anatomiche. Come emerge dalla letteratura, le connessioni callosali formano una densa striscia lungo il confine dell’area 17 e 18 (V1 e V2;

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14 Payne, 1994). Questa è una zona di transizione, che condivide le caratteristiche citoarchitettoniche e fisiologiche delle cellule dell’area 17 e 18.

fig.2 (a) Schema di una sezione cerebrale coronale mostrante i corpi cellulari marcati con GFP nel lato sottoposto ad elettroporazione (a sinistra) e le proiezioni assonali nel lato controlaterale. (b) Sezione corticale controlaterale all’elettroporazione contenente le proiezioni callosali. Gli assoni callosali derivano dai neuroni degli strati corticali II/III e V. Come si vede dall’ingrandimento (c) l’arborizzazione terminale degli assoni callosali nella corteccia visiva di topo è presente principalmente negli strati I-III e V (Adattato da Mizuno et al., 2007).

Fatto interessante è che i neuroni su questo confine hanno i campi recettivi che mappano sul meridiano verticale, insieme a piccole porzioni dell’emicampo ipsilaterale (Blakemore et al, 1983; Payne, 1990; Payne and Siwek, 1991; Payne, 1994). Inoltre, esperimenti di sezione del chiasma mostrano che gli ingressi transcallosali e quelli ipsilaterali genicolocorticali che convergono su uno stesso neurone condividono le stesse proprietà funzionali (selettività per l’orientamento, direzione e velocità dello stimolo) e che i campi recettivi distribuiti attraverso

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15 entrambe le vie sono praticamente sovrapponibili (Berlucchi and Rizzolatti, 1968; Milleret et al., 1994). È degno di nota il fatto che l’analisi dei singoli assoni callosali nei gatti ha dimostrato che alcune ramificazioni assonali arrivano al core dell’area 17 (oltre alla densa terminazione al confine tra la 17/18). Dati elettrofisiologici indicano che queste branche collaterali forniscono principalmente un’ attivazione sottosoglia dei neuroni corticali (Houzel et al. 2002).

Nel ratto, l’intera porzione mediolaterale della corteccia striata contiene cellule e terminali callosali (Olavarria and Van Sluyters, 1983). In particolare esperimenti con traccianti retrogradi hanno rivelato uno schema di connettività duale: (i) al confine 17/18 le connessioni callosali connettono loci corticali che condividono gli stessi campi recettivi lungo il meridiano verticale, come nel gatto; (ii) all’interno dell’area 17, le afferenze callosali collegano regioni corticali speculari, che rappresentano posizioni speculari alla periferia del campo visivo (Lewis and Olavarria, 1995). Queste proiezioni speculari potrebbero essere coinvolte in processi che necessitano un’integrazione su larga scala di caratteristiche attraverso l’intero campo visivo (ad esempio computazione del flusso ottico, detezione della simmetria).

I neuroni callosali sono per la gran parte grandi cellule piramidali. Questi neuroni non costituiscono una popolazione omogenea, sono presenti infatti diversi fenotipi morfochimici. Tra questi ci sono stellati spinosi, stellati lisci e cellule fusiformi, che suggeriscono che almeno alcuni neuroni callosali potrebbero usare neurotrasmettitori inibitori (Peters, 1990). Questo è compatibile con l’osservazione occasionale di sinapsi callosali simmetriche così come con l’osservazione elettrofisiologica di un’ inibizione callosale a breve latenza (Payne and Siwek, 1991).

Come discusso precedentemente, una delle principali funzioni delle connessioni callosali visive è garantire la continuità percettiva attraverso il meridiano verticale, ma le connessioni callosali giocano anche un ruolo in certe funzioni binoculari come la percezione della profondità (Berardi et al, 1988). Esperimenti nel gatto, nella

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16 scimmia e nell’uomo hanno anche rivelato le caratteristiche spaziali e temporali dell’informazione visiva trasmessa attraverso il calloso. Almeno negli adulti, il calloso si comporta come un filtro passo basso. Infatti, nell’informazione trasmessa le alte frequenze spaziali e temporali vengono attenuate. La sensibilità al contrasto della via callosale è ugualmente ridotta (Berardi et al., 1988).

3. PLASTICITÀ ESPERIENZA-DIPENDENTE DELLA CORTECCIA VISIVA

3.1 La corteccia visiva

La corteccia visiva primaria è la regione di corteccia che secondo la classificazione di Brodmann viene definita area 17, ed è anche comunemente chiamata nei primati corteccia striata, a causa di un’ evidente striscia di materia bianca nello strato IV, la stria di Gennari, costituita da assoni mielinizzati. Così come il nucleo laterale genicolato anche la corteccia primaria di ogni emisfero riceve ingressi esclusivamente dalla metà controlaterale del campo visivo.

Nell’uomo la V1 è spessa circa due millimetri, mentre nel ratto circa 1,2 millimetri, ed è formata da sei strati cellulari tra la superficie della pia madre e la materia bianca sottostante. Lo strato principale che riceve afferenze dal genicolato è lo strato 4, che è a sua volta suddiviso in quattro sublamine: 4A, 4B, 4C e 4C. Nei roditori la proiezione talamo-corticale raggiunge, oltre allo strato 4, anche lo strato 6 e gli strati superficiali.

Hubel e Wiesel trovarono che le cellule della V1 rispondono in modo ottimale a stimoli più complessi di quelli in grado di eccitare i neuroni retinici, del genicolato, e i neuroni nello strato IV (che ricevono afferenze dirette dal genicolato). Le cellule

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17 corticali della V1 rispondono infatti alla forma. Un modo ottimale di eccitarle è quello di usare barre luminose che attraversano il loro campo recettivo. I neuroni corticali appartengono a due gruppi principali: le cellule semplici e le cellule complesse. Le cellule semplici rispondono meglio a una barra di luce con un

orientamento specifico, ed hanno sia zone eccitatorie che inibitorie nei loro campi

recettivi. I campi recettivi delle cellule complesse invece sono più grandi di quelli delle cellule semplici ma le zone on e off del campo recettivo non sono così nettamente definite. Questa specificità per gli orientamenti sta alla base della percezione dei contorni, su cui è basata la nostra visione.

I neuroni nella corteccia visiva dei primati hanno un’ organizzazione colonnare, e gruppi di colonne possono essere considerati come moduli funzionali, ognuno dei quali processa l’informazione proveniente da una regione specifica del campo visivo. Le colonne corrono dalla superficie piale alla materia bianca, nell’uomo sono larghe 30-100 m e profonde 2 mm, ed ognuna contiene cellule dello strato 4 con campi recettivi concentrici. Sopra e sotto lo strato 4 ci sono le cellule semplici, i cui campi recettivi sono praticamente sovrapposti ed hanno assi di orientamento identici. Per questa ragione queste colonne sono dette colonne di orientamento. Ogni colonna contiene anche cellule complesse che ricevono connessioni direttamente dalle cellule semplici della loro colonna. Le colonne sono interrotte nei primati da strutture, dette blobs, che rispondono a diversi stimoli colorati.

C’è un terzo sistema colonnare oltre a quelli per l’orientamento ed il colore, la cui funzione è quella di processare gli ingressi sinaptici provenienti separatamente dai due occhi. Le colonne di dominanza oculare contengono cellule ordinate che ricevono ingressi esclusivamente dall’occhio destro o da quello sinistro e sono importanti per le interazioni binoculari (vedi dopo).

Hubel e Wiesel introdussero il termine ipercolonna per riferirsi ad un gruppo di colonne in grado di rispondere a tutti gli orientamenti da una particolare regione di

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18 spazio. Una sequenza completa di colonne di dominanza oculare e di orientamento si ripete regolarmente e precisamente sulla superficie della V1, e ognuna occupa circa 1 mm2. Questa organizzazione ripetuta è un’ illustrazione affascinante

dell’organizzazione modulare caratteristica della corteccia cerebrale. Ogni modulo agisce come una piccola finestra sul campo visivo e tutto il campo è coperto da queste piccole finestre. All’interno del modulo viene processata tutta l’informazione riguardo a quella parte del mondo visivo. Da quello che sappiamo, questa comprende l’orientamento, le interazioni binoculari, il colore e il movimento.

Ogni modulo origina una varietà di segnali che si dipartono da diversi strati corticali. L’organizzazione delle connessioni in uscita dalla V1 è simile a quella della corteccia somatosensoriale e cioè ci sono segnali in uscita da tutti gli strati tranne che dallo strato 4C, e in ogni strato le principali cellule che originano questi segnali sono i neuroni piramidali. Gli assoni delle cellule sopra lo strato 4C proiettano ad altre aree corticali, quelli sottostanti alle aree sottocorticali. Le cellule negli strati 2 e 3 mandano i loro segnali a regioni corticali superiori, come la V2, V3, V4. Fanno anche connessioni tramite il corpo calloso a loci anatomicamente simmetrici sull’altro emisfero cerebrale. Le cellule dello strato 4B proiettano alla V5, quelle nello strato 5 proiettano al collicolo superiore, al ponte, al pulvinar. Le cellule dello strato 6 proiettano indietro verso il LGN e al claustrum. Poiché le cellule in ogni strato probabilmente eseguono compiti diversi, la posizione laminare di una cellula determina le sue proprietà funzionali.

3.2 Sviluppo della corteccia visiva

Le proprietà anomiche e funzionali della corteccia visiva descritte sopra non sono presenti fin dalla nascita, ma emergono progressivamente durante lo sviluppo post-natale. Per esempio le colonne di dominanza oculare nel gatto sono riscontrabili solo a partire da due settimane di vita (Crair et al., 2001). Anche la selettività per l’orientamento matura progressivamente durante le prime settimane di vita

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post-19 natale (Sherman and Spear, 1982). Si osserva anche un progressivo affinarsi della funzione visiva come dimostrato dal progressivo aumento dell’acuità visiva durante lo sviluppo. L’acuità visiva è definita come la risoluzione spaziale della corteccia ed è immatura alla nascita. Studi nei roditori hanno dimostrato che, nei piccoli, al momento dell’apertura degli occhi l’acuità è circa la metà di quella degli adulti (Fagiolini et al., 1994). La maturazione di tutte queste proprietà fisiologiche durante lo sviluppo dell’animale è dipendente dall’esperienza. Per esempio animali allevati al buio non hanno una maturazione appropriata della corteccia, e la loro acuità visiva rimane deficitaria (Fagiolini et al., 1994).

Quindi le proprietà e le caratteristiche funzionali della corteccia sono determinate da un programma genetico, ma la realizzazione del programma genetico non può prescindere dall’esperienza visiva, che contribuisce a plasmare le proprietà fino ad ora descritte. I circuiti neuronali in sviluppo sono dunque plastici, cioè capaci di rispondere con cambiamenti anatomici e funzionali agli stimoli ambientali. Questa dipendenza dall’esperienza visiva per la maturazione delle proprietà corticali può essere sfruttata per studiarne lo sviluppo e per capire come le connessioni neurali rispondono e si riorganizzano rispetto all’esperienza.

3.3 Il Periodo Critico e la Deprivazione Monoculare

Come descritto finora Hubel e Wiesel agli inizi degli anni ’60 individuarono tra le caratteristiche dei neuroni corticali la "preferenza oculare”, e notarono come le cellule guidate dallo stesso occhio fossero raggruppate insieme, formando quelle che vengono definite “colonne di dominanza oculare” (Hubel and Wiesel, 1963). In seguito iniziarono, precocemente nella vita dell’animale, a manipolare gli ingressi visivi afferenti, chiudendo un occhio tramite la sutura delle palpebre (deprivazione monoculare, MD). Quello che ottenevano era uno spostamento di dominanza oculare: la perdita di risposta in V1 a stimoli presentati all’occhio chiuso, e un drammatico aumento nel numero di neuroni che rispondevano preferenzialmente

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20 agli stimoli presentati all’occhio aperto (Hubel and Wiesel, 1963). Formalmente l’analisi della dominanza oculare e del suo spostamento viene fatta sfruttando un metodo di classificazione delle cellule introdotto sempre da Hubel e Wiesel nel 1963. Le cellule vengono classificate in classi si dominanza oculare (OD), che dividono le cellule in sette gruppi a seconda della loro preferenza oculare, cioè a seconda di quanto la loro risposta è guidata dall’uno o dall’altro occhio. Le cellule di classe 1 rispondono esclusivamente all’occhio controlaterale, le 7 all’occhio ipsilaterale e le classi intermedie in modo intermedio: le 2/3 prevalentemente al controlaterale, le 4 ad entrambi gli occhi nello stesso modo e le 5/6 prevalentemente all’ipsilaterale. Nella figura seguente è illustrata la distribuzione di OD per le cellule nella V1 del roditore in condizioni normali e in seguito a deprivazione monoculare. Risulta evidente lo spostamento di OD indotto dalla deprivazione monoculare verso l’occhio rimasto aperto.

fig.3 Nel ratto normale le cellule della V1 sono prevalentemente binoculari, con una lieve preferenza per l’occhio controlaterale. Negli animali deprivati monocularmente invece si ha uno spostamento della dominanza oculare verso l’occhio rimasto aperto (adattato da Caleo and Maffei, 2002).

Classe di dominanza oculare

NOR

MD

P

e

rc

en

tu

a

le di c

e

llu

le

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21 Questa suscettibilità alla MD cambia con l’età: inizia nel ratto 5-10 giorni dopo l’apertura degli occhi, è più consistente durante una finestra temporale specifica, poi declina ed è assente o minima nell’età adulta (Hubel and Wiesel, 1963; Fagiolini et al., 1994; Gordon and Stryker, 1996). Lo spostamento di dominanza oculare a seguito di MD è stato trovato in tutti i mammiferi studiati (Berardi et al., 2000). La piccola finestra temporale durante la quale la MD produce il suo massimo effetto, è chiamato “periodo critico” (CP) (Hubel and Wiesel, 1970; Berardi et al, 2000; Hensch, 2005). Il periodo critico può essere definito come “una ristretta finestra

temporale durante la quale l’esperienza fornisce l’informazione necessaria per il normale sviluppo e altera permanentemente le connessioni neuronali già presenti”

tramite meccanismi che sono attività-dipendenti (Hensch, 2005).

La deprivazione monoculare produce effetti sia anatomici che funzionali. Oltre allo spostamento nella dominanza oculare, la MD rende l’occhio chiuso ambliope, cioè con una più bassa acuità visiva, anche se la retina non mostra alterazioni elettrofisiologiche. Inoltre la visione stereoscopica è danneggiata e la sensibilità al contrasto diminuisce (Hensch, 2004, 2005; Medini and Pizzorusso, 2008). I cambiamenti anatomici comprendono un’espansione dei territori guidati dall’occhio aperto, e una successiva diminuzione di quelli guidati dall’occhio chiuso (Katz and Shatz, 1996). Inoltre, i neuroni del genicolato che ricevono ingressi dall’occhio deprivato sono rimpiccioliti (20-25%) e quelli guidati dall’occhio aperto sono ipertrofici (10-15%) (Sherman and Spear, 1982). Studi di Stryker e colleghi mostrano che le modifiche anatomiche avvengono giorni dopo la comparsa degi effetti funzionali. Infatti uno spostamento di dominanza è già individuabile dopo un breve periodo di MD (1-3 giorni) (Antonini and Stryker, 1993, 1996; Antonini et al, 1999), mentre le modifiche anatomiche sono successive.

Wiesel e Hubel proposero un meccanismo nel quale la plasticità di dominanza oculare risulta da interazioni competitive tra i due occhi per il controllo delle unità corticali. Questa idea fu supportata dal fatto che la sutura binoculare delle palpebre non era efficace nello spostare le colonne di dominanza oculare nei mammiferi

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22 (Wiesel and Hubel, 1965; Sherman and Spear, 1982; Gordon and Stryker, 1996). A favore di una visione competitiva, un esperimento eseguito dal laboratorio di Stryker mostrò che uno sbilanciamento nell’attività elettrica delle due retine era sufficiente ad indurre uno spostamento di dominanza anche in condizioni di deprivazione visiva (Chapman et al, 1986). Ci si riferisce al meccanismo basato sulla competizione come al meccanismo “eterosinaptico”, che coinvolge le interazioni tra due gruppi di ingressi sinaptici (che provengono cioè dai due occhi) dove gli ingressi dell’occhio aperto riducono l’efficacia sinaptica degli ingressi dell’occhio deprivato (Miller et al., 1989; Harris et al., 1997). I neuroni attivi del genicolato che corrispondono all’occhio aperto competono meglio di quelli meno attivi guidati dall’occhio chiuso, in questo modo vengono rafforzati funzionalmente e strutturalmente. La competizione tra gli ingressi talamici potrebbe essere mediata attraverso l’acquisizione di un fattore neurotrofico dalle strutture bersaglio (Maffei et al, 1992).

Dati pubblicati a partire dagli anni ’90 propongono una via alternativa dei processi che sottendono alla MD, suggerendo l’idea che la plasticità di OD sia dovuta a meccanismi diversi, “omosinaptici”, collegati a forme specifiche di plasticità sinaptica. Questi meccanismi agiscono separatamente sulle vie guidate dai due occhi (Blais et al., 1999; Heynen et al., 2003; Frenkel and Bear, 2004). All’inizio si verifica una depressione nella responsività dell’occhio chiuso, seguita da un potenziamento delle risposte dell’occhio aperto.

Questo modello è chiamato modello di Bienenstock-Cooper-Munro (teoria BMC) e postula un cambio bidirezionale delle sinapsi: possono subire un potenziamento a lungo termine (LTP) omosinaptico oppure una depressione a lungo termine (LTD) omosinaptica (Kirkwood et al., 1996; Bear and Rittenhouse, 1999; Sengpiel and Kind, 2002; Heynen et al., 2003).

La depressione omosinaptica avviene solo alle sinapsi attive. La perdita di risposta dell’occhio deprivato fu proposta come il risultato di una depressione omosinaptica, dove l’attività spontanea residua proveniente dall’occhio deprivato contribuisce alla

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23 depressione sinaptica. Per verificare questa ipotesi, gli effetti di una MD molto breve tramite sutura della palpebra sono stati confrontati con quelli del silenziamento monoculare tramite iniezione di tetrodotossina (TTX) intraoculari (Rittenhouse et al., 1999). I risultati mostrarono che la sutura della palpebra era più efficace nel causare depressione nelle risposte dell’occhio chiuso rispetto al blocco di tutta l’attività retinica mediante TTX.

fig.4 In questi grafici sono mostrate le ampiezze dei Potenziali Visivi Evocati (VEP) (normalizzati alla media delle ampiezze dei VEP dell’occhio ipsi) prima (simboli vuoti) e dopo (simboli pieni) diversi periodi di MD nel topo. (A) MD dell’occhio controlaterale alla registrazione causa un rapido calo nelle risposte dell’occhio chiuso che diventa significativo a 3 giorni di MD e rimane significativo fino a 7 giorni. (B) MD dell’occhio controlaterale porta ad un aumento tardivo nelle risposte dell’occhio aperto, significativo dopo 5 giorni. (Adattata da Frenkel and Bear, 2004)

Altri dati indicano il coinvolgimento di un fenomeno di depressione omosinaptica negli effetti della MD. In particolare, una breve MD mette in moto gli stessi cambiamenti molecolari e funzionali del modello sperimentale di LTD omosinaptico. Una precedente depressione tramite MD inoltre impedisce una successiva induzione di LTD nella corteccia visiva (Heynen et al., 2003). Questi dati sostengono l’idea

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24 che una LTD omosinaptica sia responsabile per la perdita di responsività dell’occhio deprivato durante la MD.

Una modifica tardiva indotta dalla MD è un potenziamento esperienza dipendente delle risposte dell’occhio aperto (vedi figura 4b). Ci sono dati che supportano l’idea che un potenziamento a lungo termine delle sinapsi guidate dall’occhio aperto sia importante per la plasticità della dominanza oculare. Per prima cosa l’attività di

CAMKII sembra essere necessaria sia per l’LTP in vitro che per la plasticità MD in vivo (Kirkwood et al. 1997; Taha et al, 2002). Secondo, una forma di LTP in vitro (sostanza bianca - strati II-III) è regolata nello sviluppo con un declino nel tempo che rispecchia quello del periodo critico per la plasticità della dominanza oculare (Kirkwood et al. 1996).

Altri dati tuttavia, sono in contraddizione con l’idea che gli effetti della MD durante il periodo critico siano interamente ascrivibili a meccanismi del tipo LTD-LTP. Ad esempio nei topi knockout GAD65, che non sono sensibili alla MD, non si riscontrano alterazioni dell’LTD in vitro (Hensch et al., 1998). Il fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF) blocca l’LTD in V1, ma topi che sovraesprimono BDNF sono sensibili alla MD almeno durante una fase precoce dello sviluppo postnatale (Huang et al., 1999; Jiang et al., 2003). La plasticità MD in vivo è bloccata dalla sovraespressione della proteina calcineurina, ma l’LTD sembra normale in questi animali (Yang et al., 2005). Perciò, non è ancora chiaro se gli effetti della MD siano completamente modellati da meccanismi omosinaptici. È molto probabile dunque che altri meccanismi entrino in gioco negli effetti della deprivazione monoculare (vedi sotto).

3.4 Plasticità sinaptica omeostatica

La plasticità esperienza-dipendente risulta cruciale per la precisa formazione delle connessioni neurali durante lo sviluppo. I meccanismi classicamente proposti fanno

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25 tutti riferimento a modelli di plasticità sinaptica del tipo Hebbiano. Infatti, la perdita e il guadagno delle risposte occhio-specifiche potrebbero derivare rispettivamente da meccanismi come la depressione a lungo termine (LTD) e il potenziamento a lungo termine (LTP). Effettivamente le componenti iniziali dello spostamento di OD negli animali giovani potrebbero derivare dalla perdita o indebolimento delle connessioni sinaptiche corticali guidate dall’occhio chiuso (Frenkel and Bear, 2004; Heynen et al., 2003; Mataga et al., 2004; Rittenhouse et al., 1999) ed è stato dimostrato che queste modifiche si basano su di un LTD dipendente dai recettori NMDA delle sinapsi eccitatorie (Heynen et al., 2003). Inoltre la deprivazione potrebbe anche promuovere un LTP della trasmissione locale inibitoria (Maffei et al., 2006), la cui maturazione è importante per permettere la plasticità OD (Hensh, 2005). Allo stesso modo, un LTP potrebbe sottendere al più tardivo rafforzamento degli ingressi sinaptici non deprivati, ma al momento non è presente una validazione sperimentale di questo modello.

Un’ altra possibilità è che esistano forme di plasticità omeostatiche addizionali, non Hebbiane. Il concetto di plasticità omeostatica è fondato sull’osservazione che i neuroni hanno la capacità di mantenere la loro responsività o la loro capacità di modificazione sinaptica entro un certo intervallo, nonostante alterazioni croniche dei livelli di attività neuronali (Bienenstock et al., 1982; Burrone and Murty, 2003; Davis, 2006; Marder and Goaillard, 2006; Turrigiano and Nelson, 2004). Un interessante lavoro del gruppo di Hübener (Mrsic-Flogel et al., 2007), ha dimostrato l’effettiva presenza di meccanismi omeostatici nel promuovere lo spostamento di OD nella corteccia visiva dopo deprivazione monoculare, con una tecnica all’avanguardia come l’imaging del calcio in vivo (che permette di misurare la risposta di singoli neuroni tramite l’osservazione al microscopio due-fotoni dell’aumento nella concentrazione del calcio legato al potenziale d’ azione, segnalato da indicatori fluorescenti). Questa tecnica ha permesso di osservare a livello cellulare quello che era già noto in letteratura, e cioè che brevi MD inducono principalmente un calo di responsività dell’occhio chiuso, a conferma che nei roditori

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26 la depressione precede il potenziamento durante la plasticità OD. Il contributo interessante ai meccanismi già noti di plasticità sinaptica che viene da questo lavoro è l’osservazione che la natura degli effetti indotti dalla MD negli strati corticali superficiali dipende dalla sua classe di dominanza pre-deprivazione. Nelle cellule con ingressi sinaptici provenienti dall’occhio aperto, le risposte all’occhio chiuso si indeboliscono già con 2-3 giorni di MD, mentre il potenziamento dell’occhio aperto avviene solo dopo 3 giorni di MD. Cosa importante, non risultano evidenze di depressione nella risposta delle cellule che ricevono prevalentemente o esclusivamente ingressi dall’occhio chiuso dopo MD di breve durata. Anzi, la risposta dell’occhio chiuso in questi neuroni aumenta dopo lunghe MD. Quindi, un debole ingresso visivo dall’occhio deprivato non è in grado per se di indurre una depressione nella risposta, che invece deve dipendere dall’attività degli ingressi dell’altro occhio.

I risultati complessivi di questo lavoro indicano un modello combinato basato su regole omeostatiche ed Hebbiane che possono spiegare come la MD sposta la OD nei neuroni binoculari (Desai, 2003; Miller, 1996; Turrigiano and Nelson, 2004): gli input decorrelati attraverso l’occhio chiuso inizialmente causano un indebolimento Hebbiano delle sinapsi dell’occhio chiuso durante i primi giorni di MD (Heynen et al., 2003), che in seguito innesca un aumento compensatorio delle risposte di entrambi gli occhi. Questo è coerente con la scoperta che la depressione delle risposte dell’occhio chiuso si blocca o addirittura si inverte (Frenkel and Bear., 2004, vedi figura 4a) dopo 3 giorni di MD. In questo modo l’azione concertata di un LTD Hebbiano e risposte omeostatiche potrebbe cambiare la binocularità lasciando inalterato il tasso di scarica globale del neurone.

3.5 Periodo Critico e circuiti inibitori

È estremamente semplicistico considerare le afferenze talamocorticali come le uniche strutte coinvolte nei processi della plasticità della dominanza oculare (OD).

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27 La corteccia visiva è un intricato circuito nel quale numerosi neuroni dialogano tra loro, portando ad un delicato equilibrio tra eccitazione ed inibizione. Sono stati effettuati tentativi di modificare questo equilibrio tra eccitazione ed inibizione durante la MD. È stato visto, ad esempio, che un’ ipereccitazione provocata da glutammato o bicucullina impedisce la plasticità OD, così come un silenziamento corticale provocato con acido 2-amino-5-fosfovalerico (APV) (Shaw and Cynader, 1984; Ramoa et al., 1988; Bear et al., 1990). In ogni modo, queste manipolazioni non forniscono informazioni meccanicistiche, poiché ogni cambiamento nell’attività corticale è destinato ad interferire con la plasticità. Il gruppo di Hensch è stato il primo a gettare luce sul ruolo dei circuiti locali inibitori corticali nella plasticità OD (Hensch et al., 1998). Per farlo ha sfruttato un topo knockout (KO) mancante dell’isoforma da 65 KDa della decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD65), uno degli enzimi biosintetici del GABA. L’altra isoforma, GAD67, si localizza nel soma cellulare e nei dentriti, ed è responsabile della maggior parte della sintesi del GABA negli interneuroni, infatti KO per GAD67 muoiono alla nascita, con una concentrazione di GABA minore del 10% del valore del wild type. Al contrario, GAD65 si trova principalmente ai terminali sinaptici, dove funziona da riserva di GABA. Questo enzima infatti è in grado di essere reclutato quando serve, per fornire una sintesi addizionale di GABA, ad esempio in seguito ad un’intensa attività. Topi KO per GAD65 sopravvivono e sviluppano una morfologia normale e concentrazioni normali di GABA nell’adulto, poiché l’espressione di GAD67 è normale. Solo dopo un’intensa attivazione neuronale il rilascio di GABA nei GAD65 KO è ridotto rispetto al wildtype. Registrazioni extracellulari hanno inoltre rivelato scariche prolungate nei topi GAD65, cioè una tendenza a continuare a scaricare anche dopo che lo stimolo ha oltrepassato il campo recettivo della cellula. Hensch e collaboratori hanno trovato che in questi topi KO una breve MD è inefficace: le cellule continuano a rispondere preferenzialmente all’occhio chiuso controlaterale in seguito a deprivazione monoculare (Hensch et al., 1998). È interessante notare che i meccanismi di modificazione sinaptica in vitro, come LTP e LTD, non sono

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28 modificati in questi topi, a dimostrazione che non ci sono deficit generali nella plasticità attività-dipendente. Un aumento della trasmissione dell’inibizione intracorticale tramite benzodiapine (Diazepam) ripristina la plasticità OD nei topi GAD65 KO (Hensch et al., 1998). Inoltre, il recupero della plasticità è possibile ad ogni età, ad indicare che l’insorgere del periodo critico è dipendente da un certo livello della trasmissione inibitoria (Fagiolini and Hensch, 2000).

Coerentemente con questa idea, l’insorgere del periodo critico può essere accelerato prematuramente aumentando la trasmissione GABA-mediata (Fagiolini and Hensch, 2000; Fagiolini et al., 2004). Nei topi transgenici che sovraesprimono BDNF, i circuiti inibitori maturano precocemente, e il periodo critico per la plasticità si apre e si chiude prima del normale (Huang et al., 1999).

Una classe di interneuroni che è particolarmente importante per la plasticità nel periodo critico sono le cellule parvalbumina positive. Un blocco specifico dell’attività ad alta frequenza in queste cellule fa diminuire lo spostamento di OD dopo la MD (Hensch, 2005). In un interessante esperimento il gruppo di Hensch ha valutato l’eventuale coinvolgimento di un particolare recettore GABAergico nella plasticità di OD. Per farlo hanno usato un topo knock-in per una mutazione alla subunità  che rende i singoli recettori GABAA insensibili al diazepam. Usando questo approccio

hanno trovato che solo i recettori GABAA che contengono la 1 sono responsabili per

la plasticità nel periodo critico (Fagiolini et al., 2004). Questi recettori sono localizzati principalmente a livello di sinapsi perisomatiche, davanti ai terminali delle grandi cellule a canestro parvalbumina positive. Con l’età, queste grandi cellule parvalbumina positive vengono avvolte nelle reti perineurali della matrice extracellulare, che fornisce una neurotrasmissione inibitoria più efficiente. Quando le reti perineurali vengono distrutte, l’inibizione perisomatica del bersaglio viene ridotta (Saghatelyan et al., 2001) e lo spostamento di OD può essere indotto mediante MD (Pizzorusso et al., 2002). Il ruolo chiave della trasmissione GABAergica nella regolazione della plasticità OD non è limitato al topo, poiché è stato dimostrato che le colonne di OD sono distrutte nel gatto manipolando la

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29 trasmissione GABAergica (Hensch and Stryker, 2004). Risulta quindi che una certa soglia di inibizione è necessaria per innescare la plasticità, ma è un più alto livello di inibizione, che riflette la maturazione dei circuiti, ad essere responsabile della chiusura del periodo critico (Huang et al., 1999) .

3.6 Effetti dell’allevamento al buio

Un paradigma ampiamente usato per studiare il ruolo della visione nello sviluppo corticale è crescere gli animali nella totale oscurità. Animali cresciuti al buio dalla nascita mostrano alterazioni nella maturazione funzionale ed anatomica della corteccia visiva, che appare immatura molto dopo la fine del periodo critico (Benevento et al., 1992; Fagiolini et al., 1994; Gianfranceschi et al., 2003). I deficit visivi dei ratti cresciuti al buio (DR) includono una risoluzione spaziale (acuità visiva) estremamente bassa, come misurato elettrofisiologicamente e dal punto di vista comportamentale (Fagiolini et al., 1994; Gianfranceschi et al., 2003). I neuroni corticali degli animali cresciuti al buio mostrano rapido adattamento, cioè la risposta visiva tende a scomparire dopo ripetute presentazioni dello stimolo (Sherman and Spear, 1982; Fagiolini et al., 1994). Inoltre i campi recettivi delle cellule corticali sono più grandi del normale, e in neuroni hanno una ridotta sensibilità all’orientamento. Con la tecnica dei Potenziali Visivi Evocati (VEP) è stato trovato che anche altri parametri della risposta visiva sono alterati: la latenza della risposta visiva appare aumentata mentre la risoluzione temporale è significativamente ridotta (Pizzorusso et al., 1997a). Inoltre, sono stati riportati cambiamenti nella scarica spontanea delle unità corticali degli animali DR, legati ad alterazioni nei meccanismi inibitori intracorticali (Benevento et al., 1992). Infatti, il tasso medio di attività spontanea risulta grandemente aumentato negli animali DR (Gianfranceschi et al., 2003). L’aumentata attività spontanea, la perdita della selettività per l’orientamento e i campi recettivi più grandi potrebbero indicare una seria compromissione dei meccanismi inibitori. L’allevamento al buio porta infatti

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30 anche ad una significativa diminuzione nella densità dei neuroni GABA-immunoreattivi in tutti gli strati della corteccia visiva primaria del ratto, e le correnti inibitorie sono ridotte (Benevento et al., 1995; Morales et al., 2002). Deficit nell’inibizione potrebbero anche spiegare la durata relativamente prolungata della risposta a stimoli in movimento, un effetto che ricorda la scarica prolungata trovata nei topi GAD 65 KO.

Come discusso prima, la maturazione dei circuiti inibitori è un fattore chiave nel determinare la plasticità del periodo critico. È noto che i ratti DR mantengono un grande potenziale di plasticità, cioè il loro periodo critico è più esteso. Negli animali DR, la deprivazione monoculare effettuata oltre la fine del periodo critico è efficace nel produrre uno spostamento nella distribuzione della dominanza oculare (Cynader and Mitchell, 1980; Mower, 1991; Gianfranceschi et al., 2003). Questo potenziale di plasticità diminuisce, in ogni modo, se viene permessa una normale esperienza visiva. In modo simile, la maggior parte delle cellule corticali acquista una selettività per l’orientamento quando l’allevamento al buio è seguito da diverse settimane alla luce (Cynader and Mitchell, 1980). Dato il fatto che l’attività potrebbe accendere numerose molecole (Nedivi et al., 1993), gli ingressi guidati dalla visione potrebbero innescare una cascata molecolare che porta infine alla maturazione della corteccia visiva. Più di dieci anni fa, diversi gruppi hanno dimostrato che all’interno delle molecole coinvolte giocano un ruolo chiave i fattori neurotrofici (Maffei et al., 1992; Berardi et al., 1994; Pizzorusso et al., 1997b; Huang et al., 1999). Esperimenti mostrano una ridotta espressione e attività dei fattori neurotrofici negli animali DR (Castren et al., 1992; Cotrufo et al., 2003). Due importanti esperimenti hanno dimostrato un recupero fisiologico dagli effetti dell’allevamento al buio attraverso le neurotrofine. Nel primo lavoro gli animali transgenici in grado di sovraesprimere BDNF sono stati tenuti al buio dalla nascita, e sono state analizzate la maturazione della loro corteccia visiva e la suscettibilità alla MD. Gli autori hanno trovato che l’acuità visiva, la dimensione dei campi recettivi, il periodo critico per la plasticità OD e la trasmissione inibitoria nei topi DR

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31 BDNF erano identici a quelli dei normali cresciuti alla luce (Gianfranceschi et al., 2003). Nel secondo è mostrato che l’ambiente arricchito è in grado di promuovere un recupero dagli effetti dell’allevamento al buio (Bartoletti et al., 2004). Come riportato in letteratura, animali allevati in un ambiente arricchito hanno un’espressione più precoce di BDNF (Cancedda et al., 2004). La sovraespressione di BDNF recupera quindi gli effetti dell’allevamento al buio, ed è sufficiente a promuovere la maturazione della corteccia visiva anche in condizioni di deprivazione, probabilmente agendo a livello dei circuiti GABAergici.

3.7 Ruolo dell’attività intrinseca

A partire dai lavori pioneristici di Hubel e Wiesel, il ruolo dell’attività elettrica afferente sulla maturazione e plasticità della corteccia visiva è stato ampiamente studiato. Tuttavia, al momento solo alcuni autori hanno studiato il ruolo dell’attività corticale intrinseca.

I modelli sinaptici di plasticità corticale sono basati su meccanismi Hebbiani: l’attività postsinaptica è importante per il potenziamento perché la forza della sinapsi è aumentata dalla coincidenza dell’attività postsinaptica con la recente attivazione dei terminali presinaptici. Sfruttando il consistente spostamento di dominanza oculare indotto dalla MD nella corteccia visiva, il laboratorio di Stryker ha studiato il ruolo delle cellule postsinaptiche nella plasticità OD. Il gruppo ha inibito farmacologicamente l’attività postinaptica nella V1 per mezzo dell’agonista dei recettori GABAA muscimolo (Reiter and Stryker, 1988). Il muscimolo veniva

infuso in continuo nella corteccia visiva di gattini tramite minipompe osmotiche, bloccando l’attività corticale senza effetti diretti sui terminali genicolocorticali. La MD veniva eseguita durante il periodo di infusione. Come atteso, negli animali di controllo la MD spostava la dominanza oculare verso l’occhio aperto e più attivo. Al contrario, nella corteccia infusa con muscimolo (dopo il recupero dall’azione del farmaco), trovavano un risultato completamente diverso: lo spostamento di OD

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32 avveniva nella direzione dell’occhio chiuso meno attivo (effetto paradosso). Una possibile spiegazione è che l’attività delle terminazioni talamocorticali deprivate in questo modo risulta meglio correlata con quella delle cellule inibite postsinaptiche, portando ad un rafforzamento delle sinapsi. Da notare, registrazioni nelle aree ai bordi che circondano le regioni infuse da muscimolo mostrano uno spostamento normale della OD a favore dell’occhio aperto. Questi dati sono molto interessanti, poiché dimostrano un ruolo cruciale dei neuroni postinaptici nella plasticità OD. Infatti, l’attività postsinaptica è uno dei determinanti maggiori della direzione della plasticità di OD.

Un esperimento successivo dello stesso gruppo fornì ulteriori dati sull’effetto della MD sulle afferenze genicolocorticali con la corteccia visiva bloccata da infusioni di muscimolo (Hata and Stryker, 1994). Dopo la MD e la somministrazione di muscimolo per quattro settimane, mapparono fisiologicamente l’attività delle cellule corticali per delimitare la regione di azione del muscimolo, e successivamente marcarono e analizzarono i terminali talamocorticali. Anatomicamente, trovarono nella regione intorno alla cannula un’espansione dei territori controllati dall’occhio chiuso, simile a quella trovata per l’occhio aperto lontano dalla cannula, dove il muscimolo non diffondeva.

4. MECCANISMI MOLECOLARI NELLA PLASTICITA’ DELLA CORTECCIA VISIVA

Le reti molecolari coinvolte nella plasticità della corteccia visiva sono note solamente in parte. Iniziando dagli esperimenti pioneristici sulle neurotrofine, sono stati realizzati molti studi per acquisire conoscenze sulle molecole che mediano

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33 l’azione dell’esperienza nella plasticità (Berardi et al., 2003; Medini and Pizzorusso, 2008).

4.1 Le neurotrofine

Negli anni ’90 il gruppo di Maffei ed altri laboratori avanzarono l’idea che la competizione nella plasticità di OD potesse dipendere dalla captazione di fattori di crescita limitanti, come le neurotrofine (NT), secreti dai neuroni corticali e trasportati retrogradamente (Maffei et al., 1992; Bonhofer, 1996; Harris et al., 1997; McAllister et al., 1999). In accordo con questa idea, una somministrazione esogena di NT nella corteccia visiva durante la MD impediva la competizione, recuperando la corteccia dagli effetti della MD (McAllister et al., 1999; Berardi et al., 2000). È anche stato chiarito che, con l’eccezione della neurotrofina 3 (NT-3), tutte le neurotrofine influenzano la MD, ma non tutti i fattori giocano lo stesso ruolo sulle proprietà dei neuroni visivi (Lodovichi et al., 2000). In particolare, la neurotrofina 4 (NT-4) e NGF impediscono lo shift indotto dalla MD, e non hanno alcun effetto sull’attività spontanea o visivamente evocata (Gillespie et al., 2000; Lodovichi et al., 2000). Al contrario, BDNF è meno attivo nell’impedire lo shift di OD, ma modifica sia l’attività spontanea che quella visivamente evocata nei neuroni corticali.

fig. 5 (a) Modello schematico per l’azione delle neurotrofine nella plasticità corticale. Un neurone corticale (triangolo) riceve ingressi sinaptici dall’occhio chiuso e da quello normale. L’attività nella via dell’occhio deprivato non è sufficiente a raggiungere la soglia per l’attivazione post-sinaptica, portando all’eliminazione degli ingressi dell’occhio deprivato. (b) Effetto di NT nei ratti deprivati monocularmente. NT infusa agisce sia sui terminali colinergici che partono dal forebrain che su quelli intracorticali glutammatergici, portando ad un aumento nel rilascio di acetilcolina e glutammato. Questo potrebbe abbassare la soglia per l’attivazione post-sinaptica così che gli ingressi deboli dell’occhio deprivato

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34 possano divenire in grado di guidare la cellula bersaglio. Le connessioni dell’occhio chiuso potrebbero dunque venir stabilizzate nonostante la deprivazione sensoriale (Adattato da

Caleo and Maffei, 2002).

Un approccio complementare è stato quello di antagonizzare l’azione delle neurotrofine endogene. Il blocco di NGF porta ad alterazioni nell’acuità visiva e nella binocularità dei neuroni corticali. Induce inoltre un rimpicciolimento dei neuroni del genicolato, dimostrando un ruolo chiave delle neurotrofine nel normale sviluppo della corteccia visiva e nella plasticità (Berardi et al., 1994). Il blocco del ligandi di TrkB BDNF e NT-4 disgrega le colonne di dominanza oculare nel gatto (Berardi et al., 1994; Cabelli et al., 1997). Altri studi chiave sono stati condotti nei topi in grado di sovraesprimere BDNF. Questi animali mantengono un pattern e un’espressione cellulare normale di BDNF nella corteccia visiva, ma l’aumento postatale di questa neurotrofina è accelerato (Huang et al., 1999). I topi che sovraesprimono BDNF mostrano un’accelerazione nello sviluppo delle funzioni visive, come ad esempio l’acuità visiva e l’andamento temporale del periodo critico. E’ stato inoltre stabilito un forte legame tra BDNF e l’inibizione corticale, poiché la

MD

a

b

MD + NT

Glu

ACh

NT

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35 maturazione dei circuiti GABAergici è accelerata dalla sovraespressione di BDNF (Huang et al., 1999).

Un collegamento tra la plasticità esperienza-dipendente e l’azione delle NT è rappresentata dalla produzione e dal rilascio esperienza-dipendente di NT (Bozzi et al., 1995; McAllister et al., 1999). Le neurotrofine modulano l’attività elettrica a livello pre e post-sinaptico (aumentando il rilascio di neurotrasmettitore, depolarizzando i neuroni), ma agiscono anche sull’espressione genica (Sala et al., 1998; Kafitz et al., 1999; Lodovichi et al., 2000; Poo, 2001). Questa regolazione reciproca tra l’attività e le neurotrofine potrebbe essere il motivo per il quale solo le sinapsi attive vengono rinforzate durante la MD (Caleo et al., 1999a; Kovalchuk et al., 2002).

4.2 Il recettore NMDA

È ben noto che i recettori per l’acido N-metil-D-aspartico (NMDA) sono particolarmente coinvolti nel mediare i cambiamenti nell’efficacia sinaptica. Questi recettori non sono solo trasmettitori e voltaggio-dipendenti, ma permettono anche l’ingresso di un flusso di Ca2+, che è un messaggero intracellulare. Il coinvolgimento

dei recettori NMDA nella plasticità della corteccia visiva cominciò ad essere noto con esperimenti che mostravano che il blocco dei recettori NMDA risultava in una mancanza di effetti dopo la MD (Bear et al., 1990; Roberts et al., 1998; Sawell et al., 2003). Un dato interessante è che i recettori NMDA sono regolati nello sviluppo: nella corteccia visiva, la composizione nelle subunità degli NMDA varia da una prevalenza di subunità NR2B ad una presenza dominante delle NR2A, parallelamente allo sviluppo della corteccia visiva e alla plasticità del periodo critico. NRB2 è responsabile per le correnti prolungate, mentre NR2A origina correnti con una cinetica più veloce. L’allevamento al buio, che congela lo sviluppo e la plasticità della corteccia visiva, ritarda l’espressione della subunità NR2A, suggerendo che lo switch NR2B/NR2A abbia un ruolo nella maturazione della corteccia visiva e nella

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36 regolazione del periodo critico. Tuttavia, nei topi con delezione della subunità NR2A la plasticità OD è più debole ma ristretta al periodo critico, mentre non si ha maturazione della sensibilità all’orientamento (Fagiolini et al., 2003). Per questo, la NR2A potrebbe non essere necessaria per la regolazione del periodo critico, ma potrebbe essere coinvolta in altre proprietà della maturazione corticale.

4.3 Vie di trasduzione intracellulari

L’attività elettrica, le neurotrofine e i recettori NMDA sono in grado di attivare tre kinasi importanti per la plasticità OD: la proteina kinasi cAMP-dipendente (PKA), la kinasi regolata dal segnale extracellulare (ERK), la proteina kinasi II  Ca2+/calmodulina dipendente (CAMKII) (Beaver et al., 2001; DiCristo et al., 2001;

Taha et al., 2002; Cancedda et al., 2003). Ogni kinasi ha la sua propria via che comunque influenza anche quella delle altre, ad esempio attraverso la fosforilazione degli stessi bersagli molecolari (es. il fattore di trascrizione CREB). L’interazione tra queste vie spiega come mai il blocco di soltanto una di queste molecole modifica la plasticità di OD. Gli effetti di queste kinasi sulla plasticità si possono esplicare a due livelli: a livello citoplasmatico, con la modifica covalente di molecole coinvolte nella trasmissione sinaptica o nella motilità citoscheletrica; o a livello nucleare, facendo entrare in gioco la regolazione genica. Ad esempio ERK è in grado di fosforilare sia bersagli sinaptici, come la proteina sinapsina I, coinvolti nella regolazione del rilascio del neurotrasmettitore, che bersagli nucleari, come CREB.

Modifiche di lunga durata richiedono cambiamenti nell’espressione genica, anche nella corteccia visiva (Mower et al., 2002; Taha and Stryker, 2002). È stato trovato che l’attività guidata dalla visione attiva fattori trascrizionali come zif268 o CREB (Caleo et al., 1999b; Pham et al., 1999; Mower et al., 2002). Molti altri gruppi di geni sono modulati dall’esperienza visiva o dalla deprivazione, e un’ importante cascata molecolare regolata dall’attività è la via del recettore IGF-1 (Nedivi et al., 1993; Tropea et al., 2006). Uno dei fattori regolati dall’esperienza non è sempre

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37 necessario per la plasticità OD, infatti topi KO per zif268 rispondono con uno spostamento alla MD (Mataga et al., 2001). Al momento, solo l’azione di alcuni fattori risulta necessaria per la MD (Pham et al., 1999; Mower et al., 2002). L’inibizione di ERK impedisce la plasticità sinaptica e gli effetti della MD nella corteccia visiva, così come l’applicazione esogena di IGF-1 (DiCristo et al., 2001; Cancedda et al., 2003; Tropea et al., 2006). Una sfida futura sarà quella di identificare i profili di espressione genica di singoli tipi neuronali prima e dopo modificazioni plastiche.

Negli ultimi anni, è divenuto chiaro che i neuroni modificano i loro pattern di espressione genica in risposta all’attività esperienza-dipendente. Questi meccanismi potrebbero spiegare il modo in cui il cervello produce cambiamenti duraturi nei suoi circuiti. La fosfoacetilazione degli istoni, ad esempio, sembra essere importante per la plasticità sinaptica nell’ippocampo e per la trascrizione genica attività-dipendente (Alarcon et al., 2004; Korzus et al., 2004). Recentemente la regolazione della struttura della cromatina sta emergendo come uno dei meccanismi che regolano la plasticità della corteccia visiva. Gli esperimenti hanno dimostrato il coinvolgimento della fosfoacetilazione nella plasticità OD (Putignano et al., 2007). Gli autori hanno trovato che queste modifiche avvengono nell’arco di minuti, in seguito all’esperienza visiva. Un mediatore sembra essere ERK, poiché l’inibizione di ERK impedisce la fosfoacetilazione guidata dalla visione. È importante segnalare che questo effetto è regolato nello sviluppo: nei topi adulti l’esperienza visiva è in grado di attivare ERK ed altre kinasi, ma è incapace di promuovere la fosfoacetilazione ad un livello comparabile a quello trovato negli animali giovani. Inoltre, ripristinando l’acetilazione degli istoni con un approccio farmacologico si riesce a promuovere la plasticità OD nei topi adulti (Putignano et al., 2007).

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38 4.4 Ruolo dell’ambiente extracellulare

La plasticità non ha solo effettori intracellulari, poiché è noto che anche l’ambiente extracellulare contribuisce a regolarla. Uno dei fattori coinvolti nella plasticità esperienza dipendente è rappresentato dall’attivatore tissutale del plasminogeno (tPA). Dal punto di vista biochimico, è una serin-proteasi ed è un “gene immediato precoce” indotto dall’attività elettrica (Quian et al., 1993). La proteolisi da tPA aumenta in V1 dopo due giorni di MD durante il periodo critico, ma non nell’età adulta o nei topi GAD65 KO (Mataga et al., 2002). Allo stesso modo, l’inibizione di tPA blocca l’OD shift indotto dalla MD (Mataga et al., 1996) ed impedisce il recupero dalla MD in seguito a deprivazione inversa (Muller and Griesinger, 1998). I bersagli di tPA includono proteine dela matrice extracellulare, fattori di crescita, recettori di membrana, molecole di adesione cellulare (Endo et al., 1999; Wu et al., 2000; Nicole et al., 2001), che sono tutti coinvolti nella plasticità corticale. Un’ulteriore prova per un ruolo chiave di tPA nella plasticità è rappresentata da dati che mostrano un aumento nella motilità delle spine negli animali giovani dopo somministrazione di tPA (Oray et al., 2004).

Un altro componente della matrice extracellulare (ECM) che è stato studiato è rappresentato dalla famiglia dei proteoglicani condroitin-solfato (CSPGs). Queste molecole sono organizzate in strutture tipiche, chiamate reti perineurali (PNNs), intorno al soma e ai dendriti dei neuroni parvalbumina positivi. Le PNNs aumentano durante lo sviluppo e la loro organizzazione nel sistema visivo è completa alla fine del periodo critico (Hockfield et al., 1990; Koppe et al., 1997; Pizzorusso et al., 2002). L’allevamento al buio impedisce la formazione delle reti perineurali (Pizzorusso et al., 2002), mentre lo sprouting assonale e la rigenerazione sono inibiti dai CSPGs (Bradbury et al., 2002). CSPGs esercitano un’azione inibitoria sulla plasticità corticale, infatti la degradazione dei CSPGs nell’adulto per mezzo della condroitinasi ABC è capace di reinstaurare la plasticità OD, e di favorire il recupero dall’ambliopia (Pizzorusso et al., 2002; Pizzorusso et al., 2006). Inoltre, il trattamento con la condroitinasi ABC è capace di aumentare la densità delle spine

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39 (Pizzorusso et al., 2006). È interessante notare che la proteolisi della ECM potrebbe essere regolata non solo in modo esogeno, ma anche in modo autonomo da particolari condizioni di allevamento. L’ambiente arricchito, ad esempio, favorisce il recupero dell’ambliopia e diminuisce il numero delle PNNs (Sale et al., 2007).

Oggi è consolidato il fatto che il cervello adulto abbia minor capacità di riparazione, e che la mielina eserciti un ruolo inibitorio attivo in questi processi (Schwab, 2004). Pochi anni fa è stato dimostrato che alcuni dei fattori che impediscono la riparazione cerebrale, come Nogo, un inibitore della crescita associato alla mielina, sono coinvolti nella chiusura del periodo critico. Topi con mutazioni nei recettori di Nogo hanno un andamento alterato del periodo critico, e mostrano una prolungata plasticità OD indotta dalla MD anche nell’adulto (McGee et al., 2005).

La via di Nogo non sembra influenzare l’inibizione GABAergica o l’attività del tPA, che infatti sono normali nei topi mutanti. Piuttosto, Nogo esercita i suoi effetti tramite il recettore a bassa affinità per le neurotrofine p75 e la via della GTPasi Rho. Quindi, la mielinizzazione è capace di inibire non solo il recupero da un danno, ma potrebbe anche promuovere il calo di plasticità osservato alla fine del periodo critico (Sengpiel, 2005).

5. RIPRISTINO DELLA PLASTICITÀ NELLA CORTECCIA ADULTA E RECUPERO DALL’AMBLIOPIA

Come detto precedentemente esiste la possibilità di ripristinare la plasticità corticale rimuovendo i fattori inibitori, come ad esempio i componenti della matrice extracellulare o le molecole associate alla mielina (Pizzorusso et al., 2002; McGee et al., 2005; Pizzorusso et al., 2006). Ripristinare la plasticità nell’età adulta è un

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40 punto di cruciale interesse poiché è strettamente collegato al recupero funzionale. Gli stessi fattori che promuovono la plasticità OD ad esempio potrebbero essere sfruttati per recuperare l’ambliopia.

Un recente approccio farmacologico con interessanti prospettive cliniche per recupero dell’ambliopia è stato portato avanti dal gruppo di Maffei. Il lavoro indica che la fluoxetina, un noto antidepressivo, ripristina la plasticità neuronale nel sistema visivo del ratto adulto. Una somminstrazione cronica di fluoxetina riapre la plasticità OD e promuove il recupero della funzione visiva negli animali ambliopi (dati elettrofisiologici e comportamentali, Maya Vetencourt et al., 2008). Questi effetti sono accompagnati da una ridotta inibizione intracorticale e un aumento nell’espressione di BDNF nella corteccia visiva. La somministrazione corticale di diazepam impedisce gli effetti indotti dalla fluoxetina, ad indicare che la riduzione dell’inibizione intracorticale promuove la plasticità visiva corticale nell’adulto.

Un altro tipo di approccio è quello di manipolare l’ambiente e l’esperienza visiva, cioè mediante protocolli non invasivi. Nei ratti adulti l’ambiente arricchito è sufficiente per un completo recupero degli effetti di una MD precoce (Sale et al., 2007). Dieci giorni di allevamento al buio sono in grado di ripristinare negli animali adulti la sensibilità alla MD (He et al., 2006). Un periodo di allevamento al buio seguito da sutura inversa è in grado di favorire il recupero dell’ambliopia dovuta a MD precoce (He et al., 2007). Questo recupero comunque non è completo, almeno dal punto di vista comportamentale (Pizzorusso et al., 2006; Sale et al., 2007). Esperimenti recenti indicano anche l’esperienza pregressa può influenzare il potenziale di plasticità nei circuiti adulti (Hofer et al, 2006b; He et al., 2006).

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41 6. IL CORPO CALLOSO E L’ESPERIENZA VISIVA

Fino a questo momento, abbiamo focalizzato l’attenzione sugli effetti della manipolazione degli ingressi sensoriali sulla plasticità corticale. Un ingresso importante alla corteccia visiva arriva dalle afferenze dall’emisfero opposto che passano lungo il corpo calloso. In questa sezione sarà descritto come l’esperienza visiva modifica le connessioni callosali.

Come abbiamo già evidenziato, le afferenze callosali terminano sia negli strati supragranulare che infragranulari. Nel gatto i terminali sono particolarmente concentrati in una stretta zona di transizione tra l’area 17 e 18 (Blakemore et al., 1983; Payne, 1990; Payne and Siwek, 1991; Mizuno et al., 2007). Tuttavia, è anche noto che alcune collaterali assonali innervano il core dell’area 17 (Houzel et al., 2002). Nel ratto il campo di proiezione degli assoni callosali sembra essere più ampio rispetto al gatto o ai mammiferi superiori (Olavarria and Van Sluyters, 1985; Lewis and Olavarria, 1995; Houzel and Milleret, 1999). Recentemente, la marcatura assonale nel topo ha mostrato una stretta banda di terminazioni callosali nell’area di confine 17/18 (Mizuno et al., 2007).

Lo sviluppo delle connessioni visive callosali è fortemente attività-dipendente (Innocenti, 1986; Mizuno et al., 2007). Infatti gli assoni callosali inizialmente sono in esubero, ma durante lo sviluppo vi è una parziale eliminazione dei terminali assonali callosali (Innocenti and Caminiti, 1980). Modulando l’esperienza visiva precocemente nella vita, è possibile influenzare lo sviluppo delle connessioni callosali. Allevando gli animali nella completa oscurità dalla nascita si esaspera la parziale eliminazione delle proiezioni callosali immature (Frost and Noy, 1989): c’è una riduzione nel numero totale dei neuroni callosali, ma anche una distribuzione leggermente più stretta dei loro terminali al confine dell’area 17/18. Inoltre, la sutura bilaterale di entrambe le palpebre o l’enucleazione bilaterale (Innocenti and Frost, 1980; Innocenti et al., 1985) diminuiscono il numero di assoni di proiezione callosali, con un’importante differenza: l’enucleazione produce anche una

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42 distribuzione abnormalmente larga delle cellule callosali all’area di confine 17/18. Questo ultimo effetto è simile a quello descritto nei gatti allevati con strabismo divergente o convergente, enucleazione monoculare, o sutura monoculare delle palpebre. Tutte queste manipolazioni portano ad un allargamento nella distribuzione dei terminali callosali (Innocenti and Frost, 1979; Berman and Payne, 1983; Frost et al., 1990).

Questi risultati mostrano un ruolo chiave per l’attività elettrica e l’esperienza visiva nello sviluppo delle proiezioni callosali, e suggeriscono un meccanismo simile a quello dell’instaurarsi della segregazione nelle colonne di dominanza oculare. Gli assoni talamocorticali sono sovrapposti precocemente nella vita, poi segregano durante lo sviluppo. In modo simile, la visione sembra agire nel riarrangiamento delle proiezioni callosali modulando l’eliminazione durante lo sviluppo dei neuroni e delle fibre callosali (Innocenti, 1986; Mizuno et al., 2007).

I dati descritti sopra indicano che l’esperienza sensoriale altera le afferenze callosali. Nella letteratura ci sono anche alcune indicazioni che indicano che manipolazioni del calloso potrebbero avere impatto sullo sviluppo della corteccia. Infatti, nel gatto, le funzioni visive sono permanentemente alterate dalla sezione del calloso durante lo sviluppo precoce. Questo porta ad avere un minor numero di cellule binoculari e una ridotta acuità visiva (Elberger, 1984). Questi studi sono importanti perché indicano un ruolo del calloso nello sviluppo ma hanno comunque alcuni limiti. In particolare, la sezione del calloso è un protocollo molto invasivo, e i suoi effetti sulla maturazione corticale potrebbero essere dovuti all’assenza di proiezioni callosali, ma anche alla plasticità indotta dalla lesione.

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