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PPAARRAAMMEETTRRII PPRRIINNCCIIPPAALLII DDEELLLLEE TTUURRBBOOMMAACCCCHHIINNEE INTRODUZIONE

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(1)

INTRODUZIONE

P

P

A

A

R

R

A

A

M

M

E

E

T

T

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R

I

I

P

P

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N

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C

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L

L

L

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E

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U

U

R

R

B

B

O

O

M

M

A

A

C

C

C

C

H

H

I

I

N

N

E

E

In questo capitolo vendono presentati i parametri caratteristici delle turbomacchine, con un’introduzione al fenomeno della cavitazione ed alle tecniche principali utilizzate per la progettazione di induttori.

(2)

2.1 Schematizzazione delle turbomacchine

La schematizzazione per una generica turbomacchina è riportata in figura 2.1 [2], seguita dalla nomenclatura adottata.

Figura 2.1 – Geometria di una generica turbomacchina

Statore (Casing) : involucro fisso dentro il quale ruotano una serie di pale collegate al mozzo (hub);

• RT: indica il raggio d’estremità della pala; • RH: indica il raggio del mozzo;

• V : indica la velocità del flusso;

u

: indica la componente assiale di V ;

• vr: indica la componente radiale; • vθ: indica la componente tangenziale;

• θ: indica l’angolo di inclinazione del flusso allo scarico dell’asse di rotazione. Il suo valore è calcolabile come:

(2.1)

Il valore di θ da una prima classificazione dei diversi tipi di turbomacchine: 1. θ= °90 : si parla di turbomacchine “centrifughe”;

2. θ= °0 : si parla di turbomacchine “assiali”;

3. 0° < < °θ 90 : si parla di turbomacchine a “flusso misto”.

In figura 2.2 è riportata la schematizzazione del flusso attraverso uno statore, che è rappresentata attraverso la definizione di una linea meridiana generatrice di una superficie assialsimmetrica che rappresenta la stima di una superficie di flusso. In figura 2.3 è

r v θ

u tan =

(3)

mostrata la situazione del fluido al bordo d'attacco e d'uscita per una generica palettatura. Di seguito alle figure sono riportati i significati dei simboli adottati.

(4)

b

α r( )=β1−β r( )

c b

θ =β1( )r −β r2( )

Figura 2.3 – Schematizzazione della situazione al bordo d’attacco e d’uscita di una paletta

• v r( ): velocità del flusso nel sistema di riferimento non rotante;

• w r( ): velocità relativa nel sistema rotante con le pale;

• Ωr: velocità di trascinamento;

• β r( ): angolo tra la velocità relativa nel piano meridiano ed un piano perpendicolare all’asse di rotazione;

• βb: angolo d’inclinazione della tangente alla pala nel piano meridiano rispetto allo stesso piano perpendicolare all’asse;

• α r( ): angolo d’incidenza definito al bordo d’attacco, pari a:

(2.2)

Poiché in prima approssimazione si può considerare il flusso puramente assiale con:

a v r1( )=v1 ed essendo: a v 1 =Q A/ 1 si ha: a β r 1 v Ωr 1( ) tan ( 1/ ) − =

Per cui l’angolo d’incidenza può essere espresso come:

(2.3)

• θc: angolo di curvatura delle pale definito come:

(2.4) b

α r β r 1 Q A Ωr

1 1

(5)

Angolo d’attacco: è l’angolo tra la direzione della velocità relativa e la linea di corda del profilo meridiano sviluppato. Per una pompa assiale con pale elicoidali diritte l’angolo d’attacco coincide con l’angolo d’incidenza, mentre per gli altri tipi di induttori differiscono dell’angolo di curvatura delle pale;

c

: solidità, definita come il rapporto tra la distanza tra le pale e la corda delle pale stesse;

• δ r( ): angolo di deviazione, definito come:

(2.5) Nella quasi totalità dei casi le turbomacchine vengono progettate per soddisfare la condizione:

(2.6)

2.2 Prestazioni delle turbomacchine

La potenza di pompaggio di una turbomacchina è proporzionale alla quinta potenza di una sua dimensione caratteristica [D], moltiplicata per la terza potenza della sua velocità di rotazione [Ω]:

(2.7)

E' quindi facile da comprendere che per aumentare la densità di potenza della macchina, è indispensabile ridurre le dimensioni della macchina, riducendo così il peso, ed è necessario aumentare la velocità di rotazione, portando la macchina a lavorare spesso in campo supercritico. Lavorare in questo campo comporta, però, il doversi confrontare con i problemi di “instabilità rotodinamica e cavitazione”, fenomeni che verranno approfonditi nei prossimi paragrafi. Facendo riferimento alla figura 2.4, la quale rappresenta la sezione, effettuata con un piano meridiano, di una generica turbopompa ed indicando con:

• vm: la componente di velocità parallela alle linee di flusso nel piano meridiano (per macchine centrifughe la vm è uguale alla vr, mentre per le macchine assiali coincide con

u

).

b

δ r( )=β1−β r2( )

β2 >0

(6)

Figura 2.4 – Generica turbopompa sezionata lungo un piano meridiano

Si prenda come volume di riferimento il volume che ha come punti di delimitazione 1,1',2,2' disegnati nella figura 2.7. La prima ipotesi che può essere introdotta è:

 La macchina ha una velocità di rotazione [Ω] costante (cioè si assume che si lavori in regime stazionario).

Applicando al volume il teorema di conservazione del momento angolare si ottiene:

(2.8)

dove:

• T : coppia erogata dalla macchina;

• r: distanza dall’asse di rotazione di un generico punto del volume di controllo;

• ρL: densità del fluido di lavoro.

Se la distanza radiale r è molto più grande della larghezza della pala B (figura 2.1), allora possiamo supporre che la velocità resti costante su tutta la linea 1-1' (dicasi lo stesso per la linea 2-2'), è possibile semplificare la (2.8), introducendo la seguente ipotesi:

 Flusso “monodimensionale”.

Se in più si tiene costante il valore di r ponendolo pari al raggio d'estremità di pala, possono essere calcolati gli integrali della (2.8) facendo un errore accettabile in prima approssimazione. Dunque: (2.9) L θ m L θ m

T

rρ v v dS

rρ v v dS

2 2'− 1 1'−

=

L T θ m T T θ m T T =ρ R v v[ 2 2 2⋅(2π R B⋅ 2 2)−R v v1 1 1⋅(2π R B⋅ 1 1)]

(7)

Applicando l'equazione di continuità di massa possiamo scrivere:

(2.10)

dove:

• m&: portata di massa;

• Q: portata volumetrica;

Dalla (2.9) e dalla (2.10) è possibile scrivere la coppia data dalla macchina come:

(2.11)

La potenza fornita dalla macchina è data dal prodotto della coppia per la velocità di rotazione:

(2.12)

Altri due parametri usati per la caratterizzazione delle prestazioni di una pompa sono rispettivamente la “pressione totale”:

(2.13) e “l’altezza cinetica totale”:

(2.14)

Un'ulteriore ipotesi che può essere applicata è che non vi siano perdite nel passaggio del fluido all'interno della pompa, ovvero considerare il flusso “isoentropico”. Con questa nuova ipotesi c'è la possibilità di scrivere la potenza idraulica trasmessa al fluido come:

(2.15)

Infine può essere introdotta “l' efficienza idraulica”(diversa “dall'efficienza idraulica globale ”) come il rapporto tra la potenza ideale e la potenza assorbita dal flusso:

L T m L T m L m& =ρ Q=2π R B v ρ⋅ 2 2 2 =2π R B v ρ⋅ 1 1 1 L T θ T θ T =ρ Q R v⋅( 2 2−R v1 1) L T θ T θ P= ⋅ =T Ω ρ QΩ R v⋅( 2 2−R v1 1) T L p p 1ρ V2 2 = + T T L p H ρ g = T i T L T L ∆p P m Q∆p Qρ g∆H ρ = & = = i P P η P =

(8)

L θ T χ ρ Qv r1 = T L ΩR υ 2 2 Re=

2.3 Parametri adimensionali e curve caratteristiche

I parametri adimensionali rappresentanti una turbomacchina viene applicata per svincolare le prestazioni di quest'ultima dalle sue caratteristiche geometriche, dimensionali ed operative. Vengono così definiti:

• “Coefficiente di flusso”: portata volumetrica adimensionalizzata. Può essere riferito sia alle grandezze relative alla sezione d'ingresso sia a quelle relative alla sezione d'uscita. Può essere scritto come:

(2.16)

dove Aè la sezione di passaggio del flusso.

• “Coefficiente di prevalenza”: salto di pressione adimensionalizzato. Può essere scritto come:

(2.17)

• “Coefficiente di coppia”: coppia fornita dalla macchina adimensionalizzata. Per le macchine centrifughe viene indicata con:

(2.18)

Mentre per macchine assiali viene indicato come:

(2.19)

• “Numero di Reynolds”: rapporto tra le forze d’inerzia e le forze viscose che per questo tipo di macchine può essere espresso come:

(2.20)

con υL viscosità cinematica. Le prestazioni di una data pompa, in termini di parametri adimensionali, sono riassunte nelle “curve caratteristiche ” nelle quali vengono

T L T ∆p ψ ρ Ω R2 2 = L T T τ ρ R A Ω2 2 2 2 = = T Q AR

φ

(9)

rappresentati in funzione φ, gli andamenti degli altri parametri. Un esempio è rappresentato dalle curve caratteristiche relative a ψe ηper la turbopompa di alta pressione del combustibile dello SSME (Space Shuttle Main Engine) riportate in figura 2.8, dove è anche rappresentato un confronto tra gli andamenti teorici previsti ed i dati sperimentali. Il fatto che i dati sperimentali si discostino dai dati estrapolati con la teoria è imputabile a due ragioni:

• Il fluido non lascia la paletta al predetto angolo β2, ma ha una certa deflessione rispetto ad esso;

• Ci sono delle perdite dovute all’attrito sul rotore e sullo statore che sono molto elevate vicino all’angolo di stallo.

Figura 2.5– Curve caratteristiche della turbopompa di alta pressione dello SSME

Perché due turbopompe si possano considerare in similitudine fluidodinamica è sufficiente che lavorino con lo stesso valore dei parametri φ e ψ, e che i loro numeri di Reynolds siano entrambi superiori al valore critico 106(non necessariamente uguale), visto che se il flusso è completamente turbolento all'interno della macchina le curve caratteristiche diventano indipendenti dal numero di Reynolds. Quando ci si accinge a progettare, i dati che si hanno a disposizione sono in genere la Q che attraversa la macchina e la ∆pT che si vuole imporre al fluido; sono ancora incognite la Ω e la dimensione della pompa. Si è soliti disaccoppiare questi valori incogniti introducendo altri due parametri adimensionali che non dipendono contemporaneamente da entrai, e cioè:

• “Velocità specifica”: può essere indicata da ΩS o ns, ed è definita come:

S (2.21) T Ω Q Ω ∆p ρ 1/ 2 3 / 4 ⋅ =      

(10)

S πφ Ω ψ 2 3 / 4 =

Raggio specifico”: indicato con rS e definito come

(2.22)

Entrambi questi parametri possono essere messi in relazione con φ2e ψ tramite le seguenti relazioni:

(2.23)

(2.24)

E' facile quindi scrivere:

(2.25)

(2.26)

Possiamo quindi riscrivere la potenza come:

(2.27)

Se prendiamo ora per ogni possibile turbomacchina realizzabile i valori di φ e

ψ per cui l'efficienza e massima, è possibile realizzare un diagramma in cui viene

rappresentata, al variare di Ω e S r la migliore efficienza ottenibile. Un esempio S

per le macchine centrifughe è riportato in figura 2.6 [3], dove è anche rappresentato il confronto tra i valori calcolati teoricamente e quelli misurati sperimentalmente, è anche rappresentata la dipendenza dall'angolo β .

T T L S

∆p

R

ρ

r

Q

2 1/ 2

=

S

ψ

r

πφ

1/ 4 2

=

S S φ πΩ r 2 3 1 = S S ψ Ω r2 1 = L T P S S ρ Ω R P η Ω r 3 5 2     =        

(11)

Figura 2.6 – Rendimenti ottenibili da pompe centrifughe

Dall'analisi della figura 2.4 si possono trarre le seguenti conclusioni:

• Le zone ad efficienza massima sono solo in una zona limitata del piano; questo implica che dati il salto di pressione, la densità e la portata volumetrica (ossia

S

d ) la pompa potrà avere efficienza massima solo per una data velocità di rotazione (risulta chiaro, quindi, che per aumentare l’ efficienza sarà necessario cambiare la geometria ).

• Le prestazioni migliori si ottengono alle alte velocità di rotazione, quindi è spesso necessario aumentare il numero di stadi di compressione della pompa.

• Supponendo di utilizzare sempre un tipo di macchina alle più alte prestazioni i rendimenti più alti si ottengono per valori di ΩS compresi tra 0.4 ed 2.2 (si veda in figura 2.4), per i quali si riesce ad arrivare anche ad efficienze dell’ordine del 90%.

• A velocità specifiche più basse, come si vede in figura, i passaggi all'interno della girante della pompa sono molto più stretti e lunghi: ne consegue che le perdite dovute all’attrito risultano molto pronunciate, e l'efficienza massima ottenibile si abbassa.

(12)

• Anche a velocità specifiche più alte, i rendimenti si abbassano: in questo caso, infatti, come si evince dalla definizione di velocità specifica data nella (2.17), la prevalenza della pompa è molto piccola, e le perdite per attrito al suo interno possono rappresentare una frazione apprezzabile di tale prevalenza.

In figura 2.7 [3] è riportato un diagramma analogo per turbomacchine assiali.

(13)

La dipendenza delle prestazioni dalla geometria è messa in evidenza dalla figura 2.8 [2].

Figura 2.8 – Architetture ottimali delle turbomacchine per differenti velocità specifiche

Infatti dalla stessa è facile vedere che:

• per 0.2<ΩS <1 [bassi valori] è conveniente lavorare con macchine centrifughe;

• per ΩS >3 è conveniente lavorare con macchine assiali;

• per 1<ΩS <3 è conveniente lavorare con macchine a flusso misto.

Dalla visione delle figure 2.9 e 2.10 saltano all'occhio importanti differenze tra le prestazioni delle pompe assiali rispetto alle pompe centrifughe. Infatti le macchine assiali offrono rendimenti più elevati a fronte però di una maggiore suscettibilità alla separazione del flusso ed allo stallo, che comportano ingenti perdite. In figura 2.9[2] è riportata una curva caratteristica tipica di una pompa assiale, nella quale è visibile l'”avvallamento” nella zona corrispondete ai valori dipari a:

dovuto proprio al fenomeno di separazione del flusso.

Φ

0.08

< <

0.12

(14)

Figura 2.9 – Curva caratteristica di una pompa assiale

2.4 Cavitazione ed instabilità nelle turbomacchine

Dovendo le turbomacchine lavorare in campo supercritico, una grande rilevanza per quanto riguarda le prestazioni delle stesse è data dai fenomeni di “cavitazione” e di “instabilità rotodinamica”. Diamo quindi una descrizione più dettagliata di questi fenomeni.

2.4.1 Aspetti generali della cavitazione

La cavitazione è la formazione di bolle di vapore in regioni di bassa pressione del flusso di liquido. Questo fenomeno, estremamente articolato e complesso, coinvolge due fasi dello sesso liquido aventi diverso comportamento termodinamico. In figura 2.10 è riportato il diagramma delle fasi di una generica sostanza. In tale diagramma è stato messo in evidenza come il cambiamento di fase liquido-gas possa avvenire in due modi differenti:

• un liquido a temperatura costante può essere soggetto ad una diminuzione di pressione in modo da scendere al di sotto della pressione di vapore del liquido a temperatura considerata. Tale processo prende il nome di “cavitazione” ;

• Un liquido a pressione costante può essere soggetto ad un aumento di temperatura in modo da arrivare al di sopra della normale temperatura di saturazione per la pressione considerata. Tale processo prende il nome di “ebollizione”.

(15)

Figura 2.10 – Diagramma delle fasi di una generica sostanza nel piano p-T

Quindi la differenza tra cavitazione ed ebollizione è molto più rilevante di quanto possa sembrare al primo approccio. In realtà, infatti, è virtualmente impossibile causare per convezione un cambiamento di temperatura rapido ed uniforme all’interno di un volume finito di liquido; le variazioni di temperatura in un liquido sono in genere dovute al passaggio di calore per conduzione attraverso una superficie solida. L’ebollizione perciò è un fenomeno che interessa, almeno inizialmente, solo la regione di fluido a diretto contatto con la parete calda. Un rapido ed uniforme cambiamento della pressione di un liquido è invece tutt’altro che infrequente, soprattutto all’interno di flussi relativamente veloci: la cavitazione è quindi un processo globale che interessa l’intero volume di liquido che ne è soggetto. Quando si generano le bolle della cavitazione esse generalmente non durano a lungo ma collassano allorquando incontrano una regione in cui il flusso risulta ad alta pressione. Il collasso di tali bolle risulta molto violento e gran parte dell’energia che ne deriva viene radiata sotto forma di rumore; tale problematica è molto sentita da un punto di vista dell’inquinamento acustico nelle applicazioni civili in cui si manifestano fenomeni di cavitazione, peraltro nella maggioranza dei casi dovuti a malfunzionamenti od ad un funzionamento ai limiti dell’inviluppo operativo della macchina (ad esempio nelle pompe, nelle valvole etc.), ma anche nelle applicazioni militari, in modo particolare nei sommergibili in cui il rumore legato alla cavitazione delle eliche propulsive può portare, in un contesto bellico, all’immediata individuazione da parte del nemico. La comparsa della cavitazione genera almeno tre tipi di problemi:

• Forte degrado della macchina;

• Danneggiamento delle superfici solide (figura 2.11-2.12-2.13-2.14);

(16)

Figura 2.11 – Danneggiamento localizzato dovuto a cavitazione sulle pale di una pompa [2]

La cavitazione è un fenomeno che ha effetti nocivi sulla turbomacchina e sull’intero impianto; la specifica da soddisfare, quindi, sarebbe quella di progettare una macchina che non caviti. Nelle turbomacchine ad uso spaziale tale condizione non può essere soddisfatta, dato che bisognerebbe disporre di una pressione in ingresso sufficientemente elevata; al tempo stesso, però si devono utilizzare serbatoi che, per esigenze di peso, devono avere una pressione di stoccaggio dell’ossidante abbastanza bassa. Dato che non si possono soddisfare entrambe le specifiche, le pompe per impiego spaziale vengono spesso progettate per funzionare in regime parzialmente cavitante, cercando di trovare il giusto compromesso tra effetti dannosi della cavitazione, da un lato, e le esigenze di minor peso complessivo del veicolo, dall’altro. Per limitare i problemi legati alla cavitazione inoltre, si fa precedere la girante della pompa vera e propria da un “induttore assiale”, che permette al fluido di compiere un salto di pressione piccolo, ma tale comunque da presentare una pressione sufficientemente alta all’ ingresso della girante. I fenomeni di cavitazione, in questo modo, si manifesteranno prevalentemente sull’induttore, non scaricandosi nella parte principale della macchina; l’introduzione dell’induttore produce quindi un effetto benefico sia sulle prestazioni che sul rendimento della turbomacchina.

(17)

Figura 2.12 – Danneggiamento sulle pale di una turbina [2]

Figura 2.13 – Danneggiamento su girante di una turbopompa

(18)

2.4.2 Parametri usati nella caratterizzazione della cavitazione

Il più semplice criterio per prevedere il momento in cui ci sarà l'innesco della cavitazione in un liquido consiste nel supporre che la formazione delle bolle abbia inizio quando la pressione del liquido diventa inferiore alla pressione di vapore, corrispondente alla temperatura a cui si lavora. Si introduce quindi il “coefficiente di pressione” definito come:

(2.28)

dove p1 è la pressione statica all'ingresso della turbomacchina. Come il coefficiente di flusso φ e il coefficiente di prevalenza ψ, in condizioni di flusso incomprimibile delimitato da pareti rigide, anche il coefficiente di pressione dipende solo dalla geometria, dal numero di Reynolds e dall’orientamento del flusso rispetto al corpo cavitante. E’ importante notare che, in assenza di cavitazione, la velocità del fluido ed il coefficiente di pressione sono indipendenti dal “livello” di pressione; per esempio una variazione della pressione p1 causerà semplicemente una uguale variazione di tutte le altre pressioni all’ interno della pompa, senza però che l’ andamento di CP ne venga modificato. Esiste un preciso punto della pompa nel quale la pressione p sarà sempre minima; in tale punto, il coefficiente di pressione assume il valore (negativo):

(2.29)

Se è noto CP,min, la pressione di ingresso per cui si l’innesco della cavitazione, p1' può essere stimata supponendo:

che ci da: (2.30)

(

)

P L T

p

p

C

ρ

ΩR

1 2 1

1

2

=

(

)

P L T

p

p

C

ρ

ΩR

min 1 ,min 2 1

1

2

=

V

p

min

=

p

(

)

V L P T

p

1

'

p

1

ρ C

,min

ΩR

1 2

2

=

(19)

Se sono state già fissate la geometria della macchina, la temperatura di funzionamento e la densità del fluido di lavoro si ha che p1' è funzione solo di Ω ed RT1. Un ulteriore parametro che viene usato per lo studio della cavitazione è il “numero di cavitazione”, definito come:

(2.31)

Il numero di cavitazione per cui si ha l'innesco della cavitazione viene definito come:

(2.32)

Altri quattro parametri che vengono spesso usati in letteratura sono:

• NPSP (Net Positive Suction Pressure), definito come:

(2.33)

• NPSH (Net Positive Suction Head) , definito come:

(2.34)

• NPSE(Net Positive Suction Energy), definito come:

(2.35)

• Velocità specifica di aspirazione, definita come:

(2.36)

(

)

V L T p p σ ρ ΩR 1 2 1 1 2 − =

(

)

V i P L T

p

p

σ

C

ρ

ΩR

1 ,min 2 1

'

1

2

=

= −

T V

NPSP

=

p

1

p

T V L p p NPSH ρ g 1− = T V L p p NPSE ρ 1− = SS Ω Q Ω NPSE3 / 4 =

(20)

2.4.3 Tipologie di cavitazione

Esistono svariate modalità per classificare i fenomeni che si susseguono durante lo sviluppo della cavitazione, per cui in questo lavoro si farà sempre riferimento a quella fornita da Brennen [2]. L'utilizzo di questo tipo di classificazione individua le forme principali di cavitazione che si possono incontrare nelle pompe assiali.

Figura 2.15 – Tipologie di cavitazione [2]

La figura 2.15 mostra schematicamente alcune delle principali forme di cavitazione che si possono presentare nelle macchine cosiddette “unshrouded”, cioè senza quel condotto solidale alle pale che intuba la girante. Supponendo di abbassare gradualmente la pressione di immissione del fluido di lavoro, la prima forma di cavitazione che si presenta è quella “di estremità di pala” (tip vortex cavitation); essa si innesca in corrispondenza del centro del vortice che si genera all’uscita delle pale, nella zona dove avviene il brusco passaggio tra bordo d’attacco ed estremità della pala stessa. Come esempi di tale forma di cavitazione si riportano due figure; la figura 2.16 è tratta dal testo del Brennen [2] e mette chiaramente in evidenza i “filamenti” dovuti alla cavitazione di estremità, originati dalle pale di due modelli in scala di eliche per uso marino; la figura 2.17 mostra la stessa tipologia di cavitazione sull'induttore FAST2. Abbassando ulteriormente la pressione di ingresso, si arriva ad ottenere la cavitazione “bollosa” (bubble cavitation): i nuclei di cavitazione, già presenti nel flusso a monte, tendono ad accrescere le proprie dimensioni passando attraverso la zona di bassa pressione sul dorso del profilo, per poi collassare

(21)

diffusa zona di cavitazione bollosa, originata da un singolo profilo idrodinamico. Man mano che la pressione di ingresso scende ancora, le bolle si combinano tra loro, fino a formare estese cavità di vapore attaccate alle pale: si ha così la cavitazione “di paletta” (blade cavitation). La cavitazione di paletta può essere parziale, se la cavità si richiude su un punto più a valle della stessa pala; se, invece, essa si estende fin oltre la palettatura, si parla di “supercavitazione”, come mostrato in figura 2.19.

Figura 2.16 – Esempio di cavitazione d’estremità su eliche per uso marino

(22)

Alcune pompe hanno le giranti progettate per funzionare in condizioni di supercavitazione: essendo il punto di chiusura della cavità esterno alla pala, infatti, il danneggiamento strutturale che ne consegue risulta essere molto minore.

Figura 2.18 – Esempio di cavitazione bollosa originata da un profilo idrodinamico

Figura 2.19 – Esempio di cavitazione di paletta

Quando la pompa si trova a lavorare con portate al di sotto di quella di progetto, si manifesta un ulteriore tipo di cavitazione detta “di flusso secondario”(backflow cavitation): in queste condizioni, infatti, si genera un flusso di ritorno (o secondario) il quale può arrivare ad estendersi anche per parecchi diametri a monte dell’imbocco della pompa. La cavitazione di flusso secondario è visibile con facilità, poiché avviene nella

(23)

di backflow cavitation riscontrato sull'induttore MK1 per valori molto bassi della portata. In figura 2.21 è riportato un' altro esempio di backflow cavitation per induttore assiale.

Figura 2.20 – Esempio di cavitazione di flusso secondario

Il verificarsi di un tipo od un altro di cavitazione non dipende soltanto dalla pressione di lavoro ma da una serie di altri fattori tra cui, ad esempio, oltre alla geometria della macchina, la finitura superficiale delle pale; nel caso di pale con spiccata rugosità superficiale, infatti, l’elevato grado di turbolenza del flusso che ne consegue porta a favorire la cavitazione bollosa mentre ostacola quella di pala in quanto lo strato limite si separa meno facilmente.

(24)

2.4.4 Innesco della cavitazione

Il semplice criterio introdotto nel paragrafo precedente per stimare l’innesco della cavitazione non è del tutto verificato in pratica per una serie di motivi. In primo luogo, un liquido è generalmente in grado di sopportare pressioni sensibilmente al di sotto della propria tensione di vapore: con fluidi assolutamente puri e privi di contaminazioni si è riusciti a scendere anche centinaia di atmosfere al di sotto di pV senza osservare enucleazione di bolle. Ciò si verifica più difficilmente nelle comuni applicazioni ingegneristiche dove le impurità presenti nel liquido e le superfici solide che delimitano il flusso possono rappresentare nuclei di formazione delle bolle; il tutto sarà in equilibrio quando la pressione del liquido vale:

(2.37)

dove:

• S: tensione superficiale del liquido;

• RN: raggio di una generica microbolla sferica contenente solo vapore.

Se la pressione del liquido è superiore al valore dato dalla (2.37), la bolla tenderà a ridursi di dimensioni; viceversa, per pressioni più basse, la bolla tenderà a crescere. Appare quindi chiaro che l’innesco della cavitazione dipende in maniera determinante dal numero e dalla tipologia dei nuclei presenti nel fluido di lavoro; ciò risulta evidente dall’analisi della successiva figura 2.22, la quale riporta i valori del numero di cavitazione d'innesco per uno stesso profilo provato in diversi circuiti ad acqua nel mondo.

Figura 2.22 – Valori del numero di cavitazione d’innesco per uno stesso profilo V N S p p R 2 = −

(25)

Infatti ogni circuito avrà una condizione iniziale di nuclei di cavitazione diversa dagli altri. Quindi il monitoraggio del numero e delle dimensioni dei nuclei di cavitazione presenti nel fluido di lavoro è pertanto di fondamentale importanza per una corretta interpretazione dei dati ottenuti dall’attività sperimentale. I risultati di tale monitoraggio sono in genere presentati sotto forma di una “funzione di distribuzione” N R( N), la quale fornisce il numero di nuclei per unità di volume aventi raggio compreso tra RN e

N N

R +dR . Alcuni esempi di curve rappresentanti la funzione N R( N), ottenute sperimentalmente mediante tecniche come la dispersione della luce o l’olografia, sono presentati in figura 2.23.

Figura 2.23 – Funzione di distribuzione dei nuclei di cavitazione in alcuni circuiti ad acqua e nell’oceano

Va inoltre notato che la cavitazione stessa, in circuiti chiusi, può essere una fonte di nuclei di innesco. Nelle zone di bassa pressione, infatti, l’aria disciolta nel liquido tenderà ad evaporare: quando il flusso raggiunge una zona a pressione più alta, però, queste bolle d’aria si dissolvono molto più lentamente di quelle di vapore, o addirittura non si dissolvono del tutto. Questo fenomeno fu causa di grossi problemi nelle prime gallerie ad

(26)

acqua, le quali finivano per essere intasate da bolle d’aria dopo pochi minuti di funzionamento. Il problema può essere risolto allungando il condotto di scarico dell’impianto in modo da “costringere” le bolle d’aria a risiedere per una maggior quantità di tempo in una zona ad alta pressione; si può inoltre fornire l’impianto di un “deareatore”, cioè di un dispositivo in grado di depurare l’acqua dal gas rilasciato. Almeno altri due fattori influiscono su σi, e sono:

• “tempo di residenza” (vale a dire il tempo necessario ai nuclei di cavitazione per attraversare una zona di bassa pressione). Le bolle devono rimanere nella zona di bassa pressione per il tempo necessario a farle diventare di dimensioni significative: tale tempo dipende dalle dimensioni della pompa, dalla velocità del flusso, dalla temperatura e dalla tensione applicata;

• “turbolenza del flusso”. Il fatto che il flusso originato da una pompa sia turbolento e non stazionario può infine far sì che la cavitazione si inneschi prima di quanto previsto in via teorica. La turbolenza infatti genera vortici al centro dei quali la pressione può essere così bassa da innescare la cavitazione anche se la pressione media è maggiore della pressione di vapore.

2.4.5 Prestazioni delle pompe in regime cavitante

Le prestazioni di una pompa in condizioni cavitanti vengono in genere presentate tramite curve che, per un dato valore del coefficiente di flusso φ, forniscono l’andamento del coefficiente di prevalenza ψ in funzione del numero di cavitazione

σ

. Un esempio di curva di questo genere, relativa ad una pompa centrifuga, è mostrato in figura 2.24. La figura mette in evidenza tre valori “notevoli” del parametro

σ

:

1. “numero di cavitazione di innesco”, σi: per quanto detto ai paragrafi precedenti, il suo raggiungimento non coincide ancora con una variazione significativa delle prestazioni della macchina;

2. il “numero di cavitazione critico”, σa: tipicamente definito come quel valore di s per cui il coefficiente di prevalenza ha subito una certa diminuzione rispetto al valore che aveva in condizioni non cavitanti (in genere, tale diminuzione è assunta pari al 3%; in alcuni casi vengono usati anche il 2% ed il 5%)

3. il “numero di cavitazione di break down”, σb: che è il valore di s per cui le prestazioni della pompa precipitano drasticamente.

(27)

Figura 2.24 – Prestazione di una pompa centrifuga in regime cavitante

Vista l’ analogia concettuale esistente tra numero di cavitazione e velocità specifica di aspirazione, ai tre valori σi, σa e σb corrispondono tre valori notevoli di ΩSS, denotati rispettivamente con ΩSSi, ΩSSa e ΩSSb. La figura 2.25 illustra le prestazioni di una turbomacchina assiale in regime cavitante; si può notare come, per bassi valori del coefficiente di flusso, la prevalenza della pompa subisca un significativo aumento immediatamente prima del raggiungimento del breakdown.

(28)

Nel caso della turbopompa testata da Guinard [2] questo fenomeno avviene per bassi coefficienti di flusso. Altre turbopompe hanno però esibito questo comportamento ad alti flussi e no a bassi flussi, come è illustrato nella figura 2.26, che rappresenta i dati ottenuti da Oshima e Kawaguchi. Questo effetto è probabilmente causato dalla migliorata geometria del flusso.

Figura 2.26 – Risultati ottenuti da Oshima e Kawaguci

2.4.6 Effetti termici sulla cavitazione

Aumentando la temperatura del fluido di lavoro, si nota una evidente diminuzione del numero di cavitazione di breakdown,σb. Questo fenomeno è messo bene in evidenza nella successiva figura 2.27, la quale mostra come varia la curva (ψ φ, ) di una pompa centrifuga al variare della temperatura. Per spiegare tale fenomeno bisogna affrontare prima la dinamica delle bolle [2]. Il modello più semplice per caratterizzare la dinamica delle bolle originate dalla cavitazione consiste nel supporre ciascuna bolla sferica e trova il suo fondamento nella ben nota equazione di Rayleigh-Plesset. Si tratta di una equazione differenziale non lineare che mette in relazione il raggio della bolla, R t( ), con la pressione del liquido lontano dalla bolla, p t( ); per un fluido newtoniano incomprimibile, tale equazione si scrive:

b L (2.38) L L

p t

p t

d R

dR

υ

dR

S

R

ρ

dt

dt

R dt

ρ R

2 2 2

( )

( )

3

2 1

4

2

=

+

(29)

dove p tb( ) è la pressione all’interno della bolla.

Figura 2.27 – Prestazioni in regime cavitante di una pompa centrifuga, al variare della temperatura

La pressione p t( ) può essere considerata nota se viene fatta l’ipotesi che la bolla non perturbi il campo di pressione e di velocità del flusso. Per valutare p tb( ) si deve notare che la bolla può contenere sia vapore che gas non condensabile se si suppone che quest’ultimo si comporti come un gas perfetto, si può scrivere:

(2.39)

dove:

• mG: massa del gas non condensabile; • KG: costante dei gas;

• TB: temperatura all’interno della bolla.

Solitamente si preferisce riferirsi alla temperatura del liquido lontano dalla bolla T: (2.40)

con Θ valutato dall’equazione di Clausius –Clapeyron:

(2.41) G G B b V B m K T p t p T πR3 3 ( ) ( ) 4 = + V B V L p T( )= p T( )−ρ Θ V B L ρ L Θ T T t ρ T[ ∞ ( )] ≅ −

(30)

con:

• ρV:densità del vapore;

• L: calore latente di evaporazione.

Infine il termine T tB( ) può essere valutato facendo ricorso all’equazione di diffusione del calore ed a quella di bilancio dell’energia, che dopo una serie di passaggi danno:

(2.42)

dove:

con:

• αL: diffusività termica del liquido, definita come:

L L L PL k α ρ c = • cPL: calore specifico del liquido;

• kL: conducibilità del liquido.

In figura 2.28 è riportata la soluzione dell'equazione di Reylight-Plesset per una bolla sferica originata da un nucleo di raggio R0, con assenza di effetti termici.

Figura 2.28 – Soluzione dell’equazione di Reylight-Plesset dR Θ T t dt ∞ =

V L L PL ρ L T α ρ c T 2 2 2 ∞ ∞ =

(31)

Per quanto riguarda la crescita, si può dimostrare che essa avviene in modo tale che

Rvari linearmente col tempo; il volume della bolla cresce perciò linearmente con t3. Se si considera che in un tipico processo di ebollizione il raggio cresce linearmente con t1/ 2 , si capisce come la crescita di una bolla per cavitazione, se gli effetti inerziali dominano su quelli termici, sia un processo “esplosivo” particolarmente rapido. Passando invece alla fase di collasso, la figura mostra come essa avvenga in modo estremamente catastrofico; al termine di questa fase la bolla raggiunge dimensioni molto più piccole di quelle del nucleo originale. Quindi, tornando alla spiegazione della diminuzione del numero di cavitazione di breakdown in presenza di effetti termici, consideriamo una bolla che comincia a crescere entrando in una regione di bassa pressione del liquido; la crescita della bolla è accompagnata dall’evaporazione di una certa quantità del liquido presente all’interfaccia tra le due fasi. Se ci si trova a basse temperature la densità del vapore saturo è piccola e sono perciò piccole la massa di liquido che evapora e la quantità di calore necessaria per far avvenire il cambiamento di fase. Poiché tale calore viene ceduto dal liquido per conduzione, la differenza di temperatura che si viene a creare tra liquido e vapore resta contenuta e la pressione di vapore non diminuisce in maniera apprezzabile. A temperature più alte la densità del vapore saturo è maggiore e quindi il processo di crescita della bolla coinvolge una maggiore massa di liquido: la quantità di calore richiesta dal cambiamento di fase è più grande e quindi si verifica una sensibile diminuzione della temperatura e della pressione di vapore. A causa della diminuzione locale di pV la crescita della bolla viene ad essere inibita. Il termine dell’equazione di Rayleigh-Plesset responsabile degli effetti termici è Θ. È possibile individuare un “tempo critico”, tc, al di là del quale tale termine diventa preponderante; ciò significa che per t >tc la crescita della bolla è dominata dagli effetti termici ed il raggio R, analogamente a quanto succede per l’ebollizione, aumenta proporzionalmente a t1/ 2. Per

c

t possiamo scrivere la relazione [2]:

(2.43)

Ponendo:

(2.44)

è possibile stimare un numero di cavitazione di “breakdown critico”, pari a:

(2.45)

(

)

c p T φ t Ωφ C σ R Ω E 2 3 ,min 1 2 1 2   = − −     c β=t Ωφ= ⋅5 10−6 p T E σ C β R Ω φ 2 ,min 2 3 1 2 = − −

(32)

In assenza di effetti termici, possiamo scrivere:

(2.46)

ed il rapporto fra il numero di cavitazione critico con effetti termici e il numero di cavitazione critico con assenza di effetti termici è pari a:

(2.47)

con:

(2.48)

La figura 2.29 riporta l'andamento di questo rapporto in funzione di per pompe centrifughe ed assiali operanti in vari fluidi.

Figura 2.29 – Andamento del rapporto dei numeri di breakdown critici [2]

x p σ 0 C ,min ( ) = − x x σ β E σ 0 1 2 ( ') ( ) = − T x E E R Ω φ σ2 3 1 0 ' ( ) =

(33)

2.4.7 Fenomeni di instabilità

La letteratura classifica i fenomeni di instabilità come segue:

Oscillazioni globali del flusso. I problemi causati da oscillazioni che vanno ad interessare tutto il flusso sono:

i. “Stallo rotante” o “Cavitazione rotante”:possono emergere tali fenomeni se alla macchina è richiesto di operare ad angoli di incidenza elevati, vicini al valore dell’ angolo per cui le pale possono subire lo stallo.

ii. “Surge”: è il risultato di un instabilità che coinvolge tutti i componenti del sistema di pompaggio(le valvole, la turbomacchina, i tubi etc.) e provoca forti oscillazioni di portata e pressione all’ interno di esso. Tale fenomeno prende il nome di “auto-oscillazione” se è presente la cavitazione.

iii. “Cavitazione parziale” o “Supercavitazione”: tali eventi possono divenire instabili se la lunghezza della paletta è paragonabile alla lunghezza della cavità, in queste condizioni la cavità collassa vicino al bordo di uscita. Un tale fenomeno può portare a violente oscillazioni su tutta la lunghezza della cavità .

iv. “Line resonance”: Essa compare quando una delle frequenze di passaggio delle palette è vicina alla frequenza propria del condotto di aspirazione o di scarico. Le oscillazioni della pressione associate a questo fenomeno di risonanza possono causare seri danni alla turbomacchina.

v. “Rumore di cavitazione”: se la sua frequenza è vicina a quella di risonanza della struttura e può provocare seri danni al sistema.

vi. “Pogo Instability”: Tale forma di instabilità è causata dal fatto che nella maggior parte dei casi non si ha a che fare con sistemi immobili, ma con macchine che sono soggette a forti accelerazioni. Un esempio di tale tipo di instabilità si ha in un razzo a propellente liquido, in cui le vibrazioni longitudinali del razzo provocano oscillazioni di pressione e di flusso all’ interno dei serbatoi e nei tubi di ingresso; tali eventi, accoppiandosi con oscillazioni della pompa (cavitation surge), causano fluttuazioni della spinta e del veicolo in senso longitudinale.

Oscillazioni locali del flusso. I principali tipi di problemi causati da oscillazioni locali del flusso e da vibrazione delle palette sono:

i. “Forze radiali”: sono forze perpendicolari all’ asse di rotazione causate da difformità del flusso in direzione circonferenziale all’ingresso della girante e all’interno della voluta. Tali carichi, pur essendo stazionari nel sistema di

(34)

riferimento fisso, possono essere sufficienti a creare forti vibrazioni,fino a provocare anche la rottura dei cuscinetti che supportano l’albero di girante. ii. “Forze rotodinamiche”: sono il risultato del movimento eccentrico dell’ asse di

rotazione dell’ albero della girante. Esse possono provocare una riduzione della velocità critica dell’ albero e, quindi, un calo delle prestazioni (riduzione della velocità operativa raggiungibile dalla macchina).

Ciascuna delle instabilità sopra descritte è contraddistinta da frequenze dominanti diverse che sono funzione della velocità di rotazione; nella tabella 3 sono riportate le frequenze tipiche di vibrazione osservate sperimentalmente nelle turbomacchine:

Tipo di Instabilità Campo di Frequenza

Surge 3-10 Hz nei compressori

Auto-oscillazione 0.1-0.4

Stallo rotante 0.5-0.7

Stallo nel diffusore 0.05-0.25

Cavitazione rotante 1.1-1.2

Cavitazione parziale oscillante <

Forze radiali Frazione di

Vibrazioni rotodinamiche Frazioni di(quando ci si avvicina alla velocità critica)

Flutter di paletta Frequenza naturale della paletta nel fluido

Rumore di cavitazione 1-20 kHz

Tabella 3 – Campi di frequenza per le instabilità

La figura 2.30 sono illustrati due tipici spettri di frequenza delle vibrazioni generate da una pompa centrifuga rotante a 300 rpm. Come si può notare la vibrazione a 5 Hz (vibrazione sincrona) è quella dominante alle basse frequenze; tale fenomeno vibratorio può essere causato da imperfezioni meccaniche nell’albero (cattivo bilanciamento), o da difformità circonferenziali nel flusso. Come la sperimentazione ha dimostrato, il fenomeno di instabilità che predomina alle basse frequenze è il surge. A più alte velocità di rotazione, lo spettro è disturbato da più rumore perché ci si avvicina alla frequenza di risonanza della struttura e si possono quindi avere maggiori problemi.

(35)
(36)

2.4.8 Curve caratteristiche di turbomacchine in regime sia cavitante

che non cavitante

In questo paragrafo verranno illustrate le curve sperimentali relative alle prestazioni di alcune turbomacchine di interesse pratico. Il primo gruppo di curve, tratte da Franz [4], è riferito alla girante centrifuga denominata “X”, provata nell’impianto in dotazione al California Institute of Technology; un disegno quotato di tale girante è fornito in figura 2.31. Le figure 2.32 e 2.33 illustrano le prestazioni della girante “X”, rispettivamente in condizioni non cavitanti e cavitanti.

Figura 2.31 – Disegno quotato della girante “X”

(37)

Figura 2.33 – Curva caratteristica in regime cavitante della girante “X”

I dati che seguono, tratti da Bhattacharyya [5], sono relativi ad un tipico induttore assiale, denominato “VII”, provato anch’esso presso il California Institute of Technology. Le caratteristiche geometriche sono riassunte nella tabella 4:

Diametro esterno delle pale 10.12 cm

Rapporto 0.4

Numero di pale 3

Corda della pala 15.42 cm

Spessore della pala 0.15 cm (estremità) 0.2 cm (radice) Tabella 4- Caratteristiche geometriche dell’induttore “VII”

Le prestazioni di questo induttore, in regime cavitante e non, sono illustrate nelle figure 2.34 ed 2.35.

(38)

Figura 2.34 – Prestazioni in regime non cavitante dell’induttore “VII” [5]

La geometria e le dimensioni principali dell’induttore MK1 della pompa dell’ossigeno liquido del motore Vulcain che equipaggia il lanciatore Ariane 5 sono riportate in figura 2.36. La figura 2.37 illustra la curva caratteristica per tre diversi valori della velocità di rotazione (1000 rpm ,1500 rpm e 2000 rpm): si noti la buona corrispondenza tra le tre curve (come è giusto che sia, trattandosi di curve relative a parametri adimensionali). In figura 2.38 sono invece riportati le curve di prestazioni in regime cavitante a 2800 rpm a temperatura ambiente.

(39)

Figura 2.36 – Geometria e dimensioni principali dell’induttore MK1 [6]

Figura 2.37 – Curva(φ ψ, ) per l’induttore MK1 [6]

Figura 2.38 – Curve di prestazione in regime cavitante per l’induttore MK1 ricavate a 2800 rpm e temperatura ambiente

(40)

L'ultimo gruppo di dati è riferito alla girante FIP [7], le cui caratteristiche dimensionali più interessati sono riportate nella tabella 5:

Raggio pala girante in ingresso 60 mm Raggio pala girante in uscita 107 mm Larghezza della pala all'uscita 22 mm

Tabella 5- Dimensioni d’ingombro dell’induttore FIP

Le prestazioni della girante FIP, in regime cavitante e non, sono illustrate nelle figure 2.39 e 2.40.

Figura 2.39 – Curve in regime non cavitante per la girante FIP [7]

Figura 2.40 – Curve in regime cavitante per la girante FIP [7]

(41)

2.5 Criteri di progettazione degli induttori

Come precedentemente detto i moderni sistemi missilistici usano l'induttore a monte dello stadio centrifugo della turbopompa per evitare un’inaccettabile cavitazione all'interno della girante, che porterebbe, come già ben documentato in precedenza, ad una forte perdita di potenza ed a possibili danni alle parti meccaniche. Il principale obbiettivo nella progettazione di un induttore è l'adempimento di alte prestazioni sia in regime cavitante che no, ma la raggiunta di queste è limitata da fattori progettuali strutturali. L'ottimo di progetto si raggiunge, quindi, come compromesso tra adeguate prestazioni di portata, con un occhio sempre rivolto all'integrità strutturale sotto tutte le possibili operazioni richieste. Quindi un progetto dipende dalla soluzione simultanea del problema idrodinamico e meccanico. Molto lavoro è stato fatto sulla progettazione teorica idrodinamica degli induttori per un fluido ideale, il quale è normalmente assimilabile ad acqua fredda nei suoi effetti sulle prestazioni d'aspirazione degli induttori. In più la risoluzione teorica del problema idrodinamico trova forti difficoltà nella modellazione di:

• effetti tridimensionali del flusso;

• prestazioni d'aspirazione per gli induttori a palettatura curva;

• effetti di trascinamento all'uscita della palettatura;

effetti di “distanza d'estremità (tip clearance)”.

E' quindi solito basarsi per la progettazione di nuovi induttori sull'esperienza di progetti precedenti ben riusciti, cioè si applica un modello empirico.

Il problema meccanico invece si presuppone di mantenere l'integrità strutturale delle pale e del mozzo, i quali sono sottoposti a forti carichi dovuti alla forza centrifuga ed alle possibili instabilità, già viste, che si possono creare. Quindi la sua risoluzione include la scelta dei materiali migliori compatibili con il fluido di lavoro e la selezione del miglior modo d'assemblaggio dell'induttore al resto dell'impianto. Il raggiungimento di un ottimo progetto richiede una sistematica ispezione di tutti i parametri di progetto. Questa ispezione si basa sulla combinazione di teorie fondamentali ed esperienze pratiche connesse ai precedenti progetti, dando così la possibilità di identificare l'effetto di un cambiamento progettuale sulle prestazioni complessive, sulla semplicità e affidabilità dell'assemblaggio e sulla robustezza e affidabilità delle nuove scelte.

Sono comunque note delle linee guida teoriche che nel corso degli anni si sono sempre più affinate, e da cui sono stato estrapolati ottimi risultati di progettazione e di ottimizzazione. Verranno di seguito introdotti alcuni di questi metodi, cioè quelli con maggiore rilevanza scientifica e quindi storica.

(42)

opt t opt φ NPSH U g φ 2 2 2 1 2 / 2 =1 2−

Nel 1962 Stripling presentò dei calcoli relativi alla velocità specifica d’aspirazione rispetto all'ottimo del coefficiente di flusso per vari angoli di pala. I risultati ottenuti sono mostrati nella figura 2.41 [8]. Questi sono ottenuti da un modello sviluppato sulla base del criterio di Brumfield, usato per stabilire il migliore criterio di progettazione che rappresentasse il bloccaggio al punto di breakdown. Una schematizzazione di questo ultimo modello è riportata in figura 2.42 [8]. L’equazione di Brumfield può essere scritta come:

e Stripling dimostrò che questa equazione è ben supportata dalla sua teoria bidimensionale [12].

Figura 2.41 – Calcoli relativi alla velocità specifica in una sezione rispetto all'ottimo del coefficiente di flusso per vari angoli di pala [8]

(43)

Altro importante contributo fu dato da Furst e Desclaux. Il loro modello presenta una relazione per il calcolo della ΩSSper un induttore, ma ha come grande limitazione il fatto di utilizzare un coefficiente empirico difficilmente calcolabile. L’applicazione della relazione è riportata in figura 2.43.

Figura 2.43- Valutazione della velocità specifica d’aspirazione in accordo con il modello di Furst e Desclaux

Il fattore empirico che è stato utilizzato per tracciare il grafico è 1.2, mentre il coefficiente di flusso utilizzato è 0.055, valore tipico di alcuni induttori. Il grafico riporta le curve per quattro diversi β. Nella figura viene messo in risalto il luogo dei massimi, che, riprendendo la figura 2.44, sembra avere una vaga somiglianza con il modello tratto dal criterio di Brumfield. Per un angolo d’ingresso apri a 2.8° è possibile ottenere una

SS

Ω pari a 85000 rpm; per un angolo pari a 4.5°, si ha una ΩSSdi 65000 rpm. Questi risultati risultano interessanti dal punto di vista qualitativo e sono buoni dal punto di vista quantitativo. Incidentalmente questo modello è basato su una specifica percezione di certi possibili fenomeni del flusso (a volte speculativi), senza un grande ammontare di dati validanti.

Comunque entrambi i modelli presentati assumono un flusso bidimensionale lungo una linea semplificata di flusso (pseudo-stremlines), la quale dovrebbe essere parallela al mozzo e coprire le superfici di passaggio.

Un ulteriore approccio è basato su un vecchio criterio di progettazione industriale. Introdotto da Dixon nel 1978, fu successivamente sviluppato da Japikse. I risultati ottenuti con questo metodo sono riportati nel grafico di figura 2.44. Dal grafico di figura si può scegliere un coefficiente di flusso pari a 0.04 - 0.05, un angolo pari a 3°- 3.5°, con una velocità specifica di aspirazione pari 85000 rpm, o un coefficiente di flusso pari a

(44)

0.05 - 0.06, un angolo pari a 5.9°-6.9° con una velocità di aspirazione pari a 65000 rpm. Questi valori ricadono nel campo verificato dal criterio di Brumfield.

Figura 2.44 - Valutazione della velocità specifica d’aspirazione in accordo con il modello di Dixon

I dati a disposizione dai grafici di figura 2.41 e figura 2.43 sono sufficienti a determinare il valore di progetto dell’angolo d’incidenza, ed il risultato è riportato nel grafico di figura 2.45. Le linee continue corrispondono alla valutazione di Stripling, mentre le linee tratteggiate corrispondono alla valutazione di Furst e Desclaux. L’angolo di incidenza è dato dalle curve in alto, mentre le curve che rappresentano l’angolo di flusso sono quelle che si trovano nella parte inferiore del grafico. Per Stripling l’incidenza è mostrata con i triangoli, per Furst e Desclaux con i quadrati.

In figura 2.46 sono riportati gli angoli di pala di progetto per una serie di differenti induttori e l’angolo di flusso nominale (che è pari all’arcotangente del coefficiente di flusso).

(45)

Figura 2.46 - Studio storico dell’incidenza, dell’angolo di pala, dell’angolo di flusso per un insieme di 10 differenti induttori

I metodi adottati oggi per la progettazione di induttori nel caso di flusso costante sono:

• Metodo NASA (N) (1971)

• Metodo PETROV (P)(1982)

Nella trattazione sarà approfondito il metodo NASA, essendo quello più usato, mentre del metodo PETROV saranno presentate solo le linee guida.

(46)

2.5.1 Classificazione degli induttori

Gli induttori sono classificati in accordo con:

la “head rise capability”;

• forma geometrica che si ha facendo una sezione lungo un piano meridiano.

La prima da due famiglie principali:

bassa prevalenza (low head): hanno uno ψ ≤0.15 ;

alta prevalenza (high head): hanno uno ψ >0.15.

La “head rise capability” è funzione della geometria delle pale, i cui tipi principali sono:

1. flat-plate;

2. modified-helix;

3. vortex-type.

Gli induttori a testa bassa hanno come pale o la classe (1) o la (2), dipendendo dalla geometria del mozzo. Invece gli induttori a testa alta hanno come pale una combinazione delle tre geometrie. Il secondo tipo di classificazione invece da quattro famiglie:

Mozzo cilindrico, estremità (tip) cilindrica;

Bordo cilindrico, mozzo rastremato (tapered);

• Bordo e mozzo affusolati;

• Senza mozzo.

L'ultima famiglia, con un esempio riportato in figura 2.47, è di ultima concezione, ma durante la sperimentazione non ha dato i risultati previsti, dimostrando invece una peggiore efficienza rispetto alle geometrie convenzionali con mozzo. In figura 2.48 sono riportati esempi di induttori attualmente in uso ed in tabella 6 sono riportati le loro caratteristiche fondamentali. Da notare che tutti gli induttori riportati, tranne per l'esempio (c), mantengono un diametro d'estremità costante, con solidità pari ad 1 o superiore.

(47)

Figura 2.47 – Induttore senza mozzo [9]

(48)

Rocket engine

Thor J-2 X-8 X-8 J-2 J-2

Pump Designation

Mark 3 Mark 15 Mark 19 mark19 Mark 15 Mark 15

Ex. Fig. 1.45 (a) (b) (c) (d) (e) (f) Pump Fluid Liquid oxygen Liquid oxygen Liquid oxygen Liquid oxygen Liquid hydrogen Liquid hydrogen

Head Type Low Low Low Low High High

Cross Sectional profile or geometry

Cylindrical tip and hub

Cylindrical tip, tapered hub Tapered hub and tip Shrouded Cylindrical tip, tapered hub Tapered hub and tip Design flow coefficient 0.116 0.109 0.106 0.05 0.0942 0.0735 Design head coefficient 0.075 0.11 0.10 0.063 0.21 0.20 Inlet tip blade angle 14.15° 9.75° 9.8° 5.0° 7.9° 7.35° Suction specific speed in wather 28500 34300 31200 58000 43200 44200 Hu-tip ratio at inlet 0.31 0.20 0.23 0.19 0.42 0.38 Number of blades 4 3 3 2 4+4 4+4 Leading-edge sweep Radial with rounded tips

(49)

2.5.2 Criterio NASA

• Condotto d'aspirazione

La configurazione del condotto d'ingresso all'induttore è dettata da considerazioni di sistema. La scelta preferibile è l'imbocco dritto, come mostrato in figura 2.44, ma lo spazio e le limitazioni di sistema possono portare a preferire un imbocco con curva a 90°, con singolo o doppio accesso, come mostrato in figura 2.49 - 2.50. Lo sviluppo della geometria del gomito d'imbocco è invece riportata in figura 2.51, nella quale è visibile la geometria di partenza, insoddisfacente nelle prestazioni, e, dopo varie prove, l'arrivo alla configurazione finale della curva d'imbocco. La prima configurazione, senza vani, creava instabilità del flusso e flusso di ritorno (back flow) al raggio interno del gomito. L'uso di vani, aggiunti attraverso considerazioni empiriche, ha portato alla stabilizzazione del flusso d'ingresso.

Figura 2.49 - Condotto d’aspirazione a gomito

(50)

Figura 2.51 - sviluppo della geometria del gomito d’aspirazione

• Parametri e criteri di progetto

I parametri caratteristici che descrivono le “prestazioni d'aspirazione”(suction performance) sono:

• ΩSS: velocità specifica d'aspirazione(suction specific speed); • dS: diametro specifico d'aspirazione(suction specific diameter); in termini di:

n

: velocità di rotazione dell'albero (rpm);

• Q: portata;

D: diametro d'estremità dell'induttore; • NPSH critico o richiesto;

La velocità specifica di aspirazione ha una definizione, come abbiamo già visto, molto simile a quella della velocità specifica ΩS , vale a dire:

La velocità specifica di aspirazione è concettualmente simile al numero di cavitazione

σ

; tutti e due questi parametri, infatti, rappresentano un modo per adimensionalizzare il valore della pressione all’ingresso della pompa.

3 4 1 =       SS T V L Q p p

ρ

(51)

Dopo la progettazione e la prova di un gran numero di induttori sono state ricavate le seguenti relazioni empiriche [10]:

(2.49)

(2.50) In generale la portata è fissata attraverso l'impulso specifico del propulsore ed il livello di spinta voluto. L’NPSH è funzione delle considerazioni strutturali che si sviluppano dalla pressione del serbatoio da cui si aspira alla minima portata con cui la pompa riesce a funzionare. La stima dell'NPSH richiesto può essere fatta usando due differenti approcci:

• L'NPSH può essere calcolato dai valori della ΩSS già note da induttori con specifiche di progetto simili a quelle dell'induttore che si sta sviluppando;

• Può essere basato sulla stima del numero di cavitazione richiesto per palettature e naso di forma simile a quella dell'induttore che si sta sviluppando. Una buona strada per avere questa ultima stima è data dall’uso della seguente relazione:

(2.51) con:

• CP: coefficiente di pressione (può essere ottenuto dai dati in possesso da altri induttori);

Dall'equazione dell'energia otteniamo, attraverso una serie di passaggi [11]:

(2.52)

Per diversi profili si può approssimare il valore di CP a:

(2.53)

Per quanto riguarda la stima di

σ

bisogna correggere CP con gli effetti del “bloccaggio (B)”del condotto. Questo fattore tiene conto nella trattazione dello spessore della palettatura maggiorato dalla creazione dello strato limite sulla stessa. In base alla sua definizione abbiamo che per:

• B 1= : il passaggio è il massimo possibile, quindi senza perdite dovute al restringimento del condotto;

• B=0: il passaggio è completamente bloccato. SS Ω =nQ1/ 2NPSH−3 / 4 S d =DQ1/ 2NPSH−3 / 4 P

σ

C

1

+ =

P τ σ φ2 C φ2 1+ = +(1 )(1+ )= (1+ ) P

C

=

1.3 1.5

(52)

Per essere valutato ha bisogno dell'introduzione di un nuovo fattore, il “fattore di diffusione (Df )” . A causa dello strato limite sul profilo, di fenomeni di separazione e dell'inevitabile diminuzione della capacità di mantenere un elevato carico palare nei pressi del bordo d'uscita (β2), si presenta sempre un angolo maggiorato (figura 2.52). Di conseguenza, la schiera non realizza la deviazione che dovrebbe ottenere in teoria, ed il lavoro risulta inferiore. Attraverso la correlazione di deviazione troviamo:

(2.54)

in cui è la deviazione per profilo primo di curvatura, che è data da:

(2.55)

dove:

• ( )δ 10: è il valore relativo al profilo piano con spessore massimo pari al 10% della corda;

• k(δsh): è un fattore di forma per la deviazione, diverso dall'unità per profili diversi dal tipo NACA-65;

• k(δt'): è un fattore che dipende dallo spessore relativo del profilo (diverso dal 10% della corda).

Figura 2.52 - Andamento dello strato limite sulla pala C

δ

=

β

2

β

2

'

δ

= +

δ

0

δsh δt δ0 =( )δ 10k( ) (k ')

(53)

Una volta definito il profilo, cioè determinati gli angoli costruttivi che realizzano la deviazione di flusso richiesta è possibile calcolare le perdite di pressione totale. Tali perdite sono connesse, in condizione in cui non sia presente separazione di flusso, allo sviluppo dello strato limite; la formula approssimata che le calcola è:

(2.56)

in cui:

• θ: “spessore della quantità di moto” dello strato limite, ed è definita come:

(2.57)

• A1: fattore che dipende a sua volta da variabili integrali caratteristiche dello strato limite, ma che può essere in prima approssimazione posto uguale all'unità.

Il grande numero di prove eseguite presso la NASA ha consentito di correlare il coefficiente di perdita alla diffusione ed alla deviazione del profilo, visto che tali sono le deviazioni macroscopiche che influenzano lo sviluppo dello strato limite. Ciò è stato fatto tramite l’introduzione del “fattore di diffusione (Df )” di Lieblein, che per i compressori assiali ha la forma:

(2.58)

Usando le equazioni di Bernulli ed Eulero:

(2.59)

si passa all'esplicitazione di Df in funzione delle pressioni:

(2.60)

∆p

θ

β

ω

A

l

β

ρw

2 0 1 1 1 3 2 2 1

(cos

)

1

1

2

(cos

)

2

 

=

=

 

 

y

w

w

θ

dy

w

w

1 0

1

∞ ∞



=





f v v V V D V σV 2 1 1 2 1 1 ' ' ' 2 ' − − = + t t p p ρ V V ρ V V V V p p ρΩr v v ρΩ r r v v 2 2 2 1 1 2 1 2 1 2 2 1 2 1 2 1 2 1 1 1 ( ' ' ) ( ' ')( ' ') 2 2 1 ( ) ( )( ) 2 − = − = + − − = − = − − t t f

p

p

p

p

D

σρΩ r

r V

ρV V

V

2 1 2 1 1 2 1 1 1 2

1

(

)

'

'(

'

')

2

=

+

+

+

Figura

Figura 2.10 – Diagramma delle fasi di una generica sostanza nel piano p-T
Figura 2.11 – Danneggiamento localizzato dovuto a cavitazione sulle pale di una pompa [2]
Figura 2.13 – Danneggiamento su girante di una turbopompa
Figura 2.16 – Esempio di cavitazione d’estremità su eliche per uso marino
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