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Dottorato in Diritto e Impresa XXX Ciclo Il gruppo bancario cooperativo e la perdita di mutualità delle Banche di credito cooperativo aderenti Candidato: Teresa Mattioli Tutor: Prof. A. Nuzzo

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Dottorato in Diritto e Impresa XXX Ciclo

Il gruppo bancario cooperativo

e la perdita di mutualità delle Banche di credito cooperativo aderenti

Candidato: Teresa Mattioli Tutor: Prof. A. Nuzzo

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La cooperativa è “un calabrone” che, nella sua lunga storia, ha dimostrato di saper volare nonostante le leggi del mercato I.BARBERINI

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5 Indice Introduzione

Capitolo I – La banca di credito cooperativo

1. Brevi cenni alla nascita delle BCC e all'evoluzione della disciplina normativa delle stesse

2. Analisi ricognitiva della disciplina previgente la Riforma

2.1 La nozione formale di mutualità della banca di credito cooperativo 2.2 Partecipazione sociale, democraticità e governance

2.3 La territorialità e il localismo

2.4 La partecipazione al capitale: utili e distribuzione di dividendi e ristorni

2.4.1 soci cooperatori e soci finanziatori

3. I poteri di vigilanza sulla banca di credito cooperativo tra stabilità patrimoniale e principi mutualistici

4. Il sistema del credito cooperativo: rete associativa e rete imprenditoriale

Capitolo 2 - La riforma del credito cooperativo: il D.L. n. 18 del 14 febbraio 2016, convertito nella Legge 8 aprile 2016, n. 49, e il nuovo gruppo bancario cooperativo

1. Le ragioni della riforma

2. Il gruppo bancario cooperativo

2.1. La composizione del gruppo bancario cooperativo: capogruppo e società aderenti

2.1.1. Riflessioni sull’esclusività del gruppo bancario cooperativo 2.1.2. La costituzione del gruppo bancario cooperativo

2.2. Il contratto di coesione e l'esercizio del controllo da parte della capogruppo

2.2.1. Le materie sottratte all’autonomia decisionale delle banche di credito cooperativo aderenti

2.3. L’esplicarsi del controllo: i doveri della capogruppo

2.4. La governance del gruppo bancario cooperativo e delle BCC aderenti

Capitolo III - Il gruppo bancario cooperativo e la mutualità delle BCC aderenti

1. La società cooperativa e i gruppi: gruppi eterogenei e gruppo cooperativo paritetico

1.1. Partecipazioni tra società cooperative e società a scopo di lucro 1.2. Il gruppo cooperativo paritetico ex articolo 2545-quinquies Cod.

Civ.

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1.2.1. Il contratto ex articolo 2545-quinquies Cod. Civ. e la fattispecie del c.d. “controllo esterno”

1.2.2. Il rapporto tra la nozione di direzione e coordinamento e di gruppo cooperativo paritetico

1.2.3. Il significato di pariteticità nell’articolo 2545-septies Cod. Civ. e i rapporti con la disciplina della direzione e coordinamento

1.3. Le forme di aggregazione del credito cooperativo italiano e alcuni cenni alle esperienze straniere

1.3.1. Le esperienze straniere di aggregazione del credito cooperativo 2. Il gruppo bancario cooperativo tra pariteticità e gerarchia

2.1. Il contratto di coesione e l'esercizio contrattuale dell'attività di direzione e coordinamento sulle banche di credito cooperativo

2.2. Gruppo cooperativo paritetico e gruppo bancario cooperativo 2.3. La salvaguardia della mutualità delle banche di credito cooperativo aderenti al gruppo

Conclusioni Bibliografia

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8 Introduzione

Il presente elaborato mira a indagare se l’aggregazione delle banche di credito cooperativo al gruppo bancario cooperativo, imposta dalla recente riforma del settore, apportata con la Legge 8 aprile 2016, n. 49 con la quale è stato convertito, con modificazioni, il Decreto legge 14 febbraio 2016, n. 18, comporta, necessariamente la perdita delle caratteristiche mutualistiche delle banche di credito cooperativo aderenti.

Ci si domanda, in altri termini, se la banca di credito cooperativo possa perseguire lo scopo mutualistico che le è tradizionalmente proprio, inteso come gestione di servizio a favore dei soci cooperatori, anche a seguito dell’assoggettamento all’attività di direzione e coordinamento esercitata dalla banca capogruppo, costituita in forma di società per azioni, e quindi orientata al perseguimento dello scopo lucrativo.

A tal fine, l’elaborato mira a ricostruire le caratteristiche formali e sostanziali del tipo societario e bancario in oggetto, al fine di comprendere come la mutualità sia stata concretamente interpretata normativamente sinora (Capitolo I). Tale ricognizione, lungi dal volersi porre come analisi puntuale ed esaustiva della disciplina previgente della banca di credito cooperativo, mira essenzialmente ad indagare quegli istituti giuridici che più ne hanno caratterizzato le finalità mutualistiche, soffermandosi poi, in particolare, su quelli maggiormente incisi dalla Riforma.

All’intervento riformatore è quindi dedicato il Capitolo II, nel quale si è cercato di descrivere esaustivamente il rinnovato impianto legislativo.

Tale descrizione, che nel Capitolo III si arricchisce di riflessioni più puntuali sulle conseguenze che l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento ha sul perseguimento dello scopo mutualistico da parte delle imprese cooperative, è appunto funzionale a verificare se la banca

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di credito cooperativo, obbligata a sottoscrivere il contratto di coesione per sopravvivere sotto il proprio nomen iuris mantenga anche sostanzialmente caratteristiche e operatività tali da poterla ancora considerare impresa cooperativa.

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10 Capitolo I

La banca di credito cooperativo

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11 Capitolo I

La banca di credito cooperativo

SOMMARIO:1. Brevi cenni alla nascita delle BCC e all'evoluzione della disciplina normativa delle stesse – 2. Analisi ricognitiva della disciplina previgente la Riforma – 2.1. La nozione formale di mutualità della banca di credito cooperativo – 2.2. Partecipazione sociale, democraticità e governance – 2.3. La territorialità e il localismo – 2.4.

La partecipazione al capitale: utili e distribuzione di dividendi e ristorni – 2.4. 1 soci cooperatori e soci finanziatori – 3. I poteri di vigilanza sulla banca di credito cooperativo tra stabilità patrimoniale e principi mutualistici – 4. Il sistema del credito cooperativo: rete associativa e rete imprenditoriale

1. Brevi cenni alla nascita delle BCC e all'evoluzione della disciplina normativa delle stesse

L’attuale denominazione “Banca di Credito Cooperativo” è introdotta nell’ordinamento nazionale nel 19321, in sostituzione della precedente ragione sociale “Cassa Rurale e Artigiana” che a sua volta aveva soppiantato l’originaria “Cassa Rurale ed Agraria”.

La Casse sono dapprima disciplinate nel 1934, con la Legge 25 gennaio 1934, n. 186, mediante la quale si positivizza, con una regolamentazione specifica, un fenomeno, quale quello della cooperazione di credito, già ampiamente diffusosi a partire dal 1887, anno in cui, con la Legge 23 gennaio 1887, n. 4276 e poi con la Legge 26 luglio 1888, n. 5588, si pongono le basi della legislazione speciale sul credito agrario prima, e sul credito all’agricoltura poi (L. 25 gennaio 1934, n. 186).

1 Cfr. Decreto legislativo del 4 dicembre del 1992, n. 481 che priva la denominazione sociale del connotato localistico, preservando invece la nozione di “cassa”.

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Se le banche di credito cooperativo nascono senz’altro sul fil rouge della cooperazione di credito, inaugurata con la normazione delle Casse Rurali e Agrarie, importanti e sostanziali differenze si riscontrano nella disciplina delle BCC, tanto da farne una tipologia societaria e bancaria autonoma, sconosciuta sino ad allora per la compiutezza della disciplina e l’autosufficienza che ne deriva per tali istituti. Le Casse infatti, nonostante sia ad esse attribuita la natura di istituti bancari, hanno un’operatività limitata, essendo consentito esclusivamente l’esercizio delle attività bancarie e finanziarie espressamente riconosciute dalle legge, con conseguente preclusione di un’operatività finanziaria trasversale quale quella riconosciuta in capo agli istituti di credito tradizionali, ovverosia quelli costituiti in forma di società per azioni.

Preme peraltro evidenziare come alle Casse non sia inizialmente imposto il perseguimento dello scopo mutualistico, elemento che invece ne segna i tratti distintivi a partire dal 1937, quando, con il Regio Decreto 23 agosto 1937, n. 1706 (c.d. T.U.C.R.A.), si va a definire normativamente le Casse attribuendo alle stesse gran parte di quelle caratteristiche tipologiche che sono corollari tradizionali del principio mutualistico – quali il voto capitario, la variabilità del capitale, la democraticità - che ne fanno un “modello operativo della imprenditorialità bancaria”2 che si evolve, attraverso molteplici riforme ma senza soluzione di continuità, fino alla Banca di credito cooperativo che conosciamo antecedentemente alla Riforma del 2016.

Peraltro, sono proprio queste caratteristiche tipologiche che contraddistinguono le Casse prima e le BCC poi, a farne un unicum in cui lo scopo mutualistico si consolida negli anni come elemento tipizzante, tanto da segnarne, oltre che la diversità ontologica dalle altre banche cooperative che nel frattempo nascono e si sviluppano nel Paese - le Banche popolari - l’applicabilità alle stesse della protezione

2CAPRIGLIONE,Imprenditorialità e cooperazione di credito, in Banca e Borsa, 1982.

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riconosciuta all’impresa cooperativa ex articolo 45 della Costituzione3, nonché, in una fase successiva, l’assoggettamento delle BCC alla rinnovata disciplina della società cooperativa apportata con la Legge del 1992, n. 59.

Ultime tappe fondanti del processo normativo della Banca di credito cooperativo si hanno nei primi anni ‘90, con il recepimento della Direttiva 89/646/CE (la c.d. “Seconda Direttiva”, recepita in Italia con il D.Lgs. del 4 dicembre del 1992, n. 481) e l’adozione del Testo unico in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. del 4 novembre 1993, n. 385, di seguito “Testo unico” o “T.U.B.”). Con la prima, le Casse sono denominate Casse di Credito Cooperativo, con l’eliminazione della specializzazione operativa nei confronti di agricoltori o artigiani e confermando invece la propria vocazione localistica. Per quanto attiene, invece, all’emanazione del Testo Unico, anch’esso non stravolge l’impianto regolamentare del credito cooperativo sino ad allora sviluppatosi, lasciandone immutati i principi fondanti. Assume certamente importanza l’evolversi della ragione sociale in Banche di Credito Cooperativo, aspetto che non ha mera valenza formale, ma assume rilievo sostanziale, significando il pieno riconoscimento delle stesse e il compiuto riconoscimento della loro natura bancaria pur nel rispetto dello scopo mutualistico che le contraddistingue.

Sinteticamente riepilogate le tappe fondamentali che segnano dal punto di vista normativo la nascita e lo sviluppo della BCC, non può non menzionarsi l’evoluzione che la stessa, o meglio che la cooperazione di credito, ha dagli ultimi decenni del diciannovesimo secolo e per l’intero secolo successivo, da un punto di vista economico, politico e sociale.

Anche perché, come è facile intuire, è su propulsione del rinnovato

3 Cfr. art. 45, co. 1, Cost. che riconosce “funzione sociale” alla cooperazione a carattere di mutualità e senza fine di speculazione privata” quindi anche alle banche di credito cooperativo, in ragione dell’applicabilità ad esse delle clausole mutualistiche ex art. 150-bis T.U.B.

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ruolo che la stessa assume progressivamente sul piano politico e sociale che il legislatore è indotto a normare la stessa, positivizzando prassi sino ad allora evoluitesi nelle maglie di una disciplina lacunosa e incerta.

La cooperazione di credito nasce, nella primigenia forma di Cassa Rurale ed Agraria, sul finire del diciannovesimo secolo quando l’ormai consolidata industrializzazione italiana e l’adozione crescente di un modello imprenditoriale capitalistico spingono l’emergere di tensioni opposte che tentano di dare una risposta alle crescenti disuguaglianze e a sviluppare un modello economico alternativo a quello dominante. Di fronte alla marginalizzazione delle fasce più povere della popolazione, ridotte a povertà estrema in ragione dell’industrializzazione del paese, ai conseguenti flussi migratori nonché a nuove seppur obsolete condizioni di lavoro e quindi di vita, “la risposta sociale alla crescente affermazione di una logica capitalistica nella quale la regola della massimizzazione del profitto sembrava risolversi in meccanismi produttivi incentrati sulla disuguaglianza sociale ed economica”4. Se è in tale contesto, specialmente industriale, che nasce la cooperazione come movimento innanzitutto industriale, la cooperazione di credito nasce, diversamente, nelle campagne, in quei luoghi in cui difficilmente si trovano i mezzi economici per emanciparsi dal sottosviluppo e dalla proletarizzazione del lavoro di bracciante, per l’estrema difficoltà, se non l’impossibilità, ad accedere al credito da parte degli istituti bancari tradizionali.

È peraltro insindacabile l’importante contributo che la dottrina cattolica apporta allo sviluppo della cooperazione di credito, su un rinnovato spirito caritatevole avviato con la pubblicazione, nel 1982, dell’Enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII che svegliò le coscienze della comunità cattolica, sensibilizzandola alle tematiche

4CAPRIGLIONE, Commentario al Testo unico in materia Bancaria e creditizia, sub articolo 33, CEDAM, III ed.

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sociali imposte dalle forti disuguaglianze. E quindi, avvicinandola a concrete iniziative a sostegno del proletariato urbano e delle classi rurali.

2. Analisi ricognitiva della disciplina previgente la Riforma

La valutazione circa la sopravvivenza dello scopo mutualistico nella banca di credito cooperativo ad esito della riforma del settore apportata nel 2016 non può certamente prescindere da una disamina dell’istituto giuridico che ne è oggetto, evidenziandone le peculiarità tipologiche direttamente derivanti dalla natura mutualistica, per poter quindi valutare la sopravvivenza delle stesse e della natura cooperativistica di tali banche.

A tal fine, i paragrafi seguenti tentano una ricognizione dell’istituto della banca di credito cooperativo. La stessa non mira a garantire una descrizione esaustiva dell’istituto, con taglio manualistico, bensì a individuarne i tratti caratterizzanti lo stesso e esemplificativi delle finalità mutualistiche che ne hanno sinora giustificato la peculiare disciplina.

2.1. La nozione formale di mutualità della banca di credito cooperativo

Come anticipato al precedente paragrafo, a partire dal 1937, le Banche di Credito Cooperativo, all'epoca Case Rurali ed Agrarie, si contraddistinguono per il perseguimento dello scopo mutualistico, caratteristica che ne segna la distanza, in termini teleologici e quindi organizzativi, dagli istituti bancari tradizionali e, soprattutto dalle altre banche di tipo cooperativo, le Banche Popolari5.

5 La principale differenza tra banche di credito cooperativo e banche popolari consiste nel fatto che quest’ultime non sono tenute a recepire nei propri statuti le clausole mutualistiche di cui al codice civile (artt. 2511, 2514, 2515 e 2545 Cod. Civ.) come invece le banche di credito cooperativo che devono esercitare la propria attività prevalentemente nei confronti dei soci nonché nell’area di competenza territoriale.

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Lo scopo mutualistico è declinato, sin dalla sua prima affermazione normativa, quale obbligo di agire prevalentemente nei confronti dei soci e, in particolare nel dovere di6:

– avere una compagine sociale costituita solo da cooperatori appartenenti per almeno l'ottanta per cento a specifiche categorie7; – avere come principale oggetto sociale “l'esercizio del credito a favore di agricoltori e del credito a favore di artigiani, congiuntamente o disgiuntamente”8;

– impiegare le proprie attività prevalentemente “in attività a favore di agricoltori e artigiani9, preferibilmente soci10 e per una quota non eccedente il venticinque per cento del totale dei rapporti fiduciari raccolti dalle Casse con i terzi11.

Pertanto, la mutualità è in principio declinata da un lato come esercizio della principale attività bancaria, quale l'erogazione del credito, in prevalenza con i soci, dall'altro come riserva di esercizio di attività nei confronti di particolari categorie sociali. Caratteristica, quest'ultima, che perde progressivamente rilevanza, diversamente da quanto avviene con riferimento alla prevalenza, e peraltro parallelamente a una costante affermazione della natura localistica delle stesse.

Peraltro, sostenere che la mutualità si riduca all’azione sociale svolta con prevalenza nei confronti dei soci è certamente riduttivo e, in un certo senso, tautologico. Le società cooperative, e anche le Banche di Credito Cooperativo, sono società a scopo mutualistico non perché

Tale differenza è altresì cristallizzata nell’articolo 35 T.U.B. ed è stata oggetto anche di validazione interpretativa da parte della competente Autorità di Vigilanza (cfr.

Banca d’Italia, Banche cooperative. Riforma del diritto societario, Bollettino di vigilanza 2005, 3, 6).

6 Cfr. Regio Decreto del 30 agosto 937, n. 1706 (c.d. Testo Unico delle leggi sull’ordinamento delle Casse Rurali e Artigiane o T.U.C.R.A.).

7Cfr. Art. 4, co. 1, T.U.C.R.A.

8Cfr. Art. 1 T.U.C.R.A.

9Cfr. Art. 15, co. 1, T.U.C.R.A.

10Cfr. Art. 15, co. 2, T.U.C.R.A.

11Cfr. Art. 15, co. 3, T.U.C.R.A.

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agiscono prevalentemente nei confronti dei soci, ma perché agiscono a determinate condizioni nell’interesse dei soci. È poi un quid pluris – per quanto imprescindibile perché si possa godere della tutela costituzionale riconosciuta alle società cooperative – che l’attività svolta nei confronti dei soci sia prevalente, alias maggiore, rispetto a quella svolta nei confronti di terzi. Ma certamente lo scopo mutualistico non può essere individuato ed elevato a categoria giuridica solo come percentuale, come rapporto ad altro. Lo scopo mutualistico non è la prevalenza dell’agere sociale, bensì è il modus operandi di quell’agere, le caratteristiche del come si opera e non solo la natura dei soggetti con i quali si opera.

Perseguire lo scopo mutualistico significa agire offrendo ai soci cooperatori, che non sono meri finanziatori, apportatori di capitale, ma anche utenti latu sensu della società cooperativa, beni e servizi a condizioni migliori di quelle che gli stessi otterrebbero sul mercato, dal momento che la cooperativa si sostituisce al mercato e quindi, grazie alla sovrapposizione tra produttore e utente e al conseguente venir meno di qualsiasi intermediazione, essa può offrire condizioni di acquisto e di scambio, ai propri soci, migliori rispetto a quelle offerte dal mercato.

Se, pertanto, la mutualità non è prevalenza, ma semmai è prevalente, è necessario comprendere appieno come le condizioni dell’agire con finalità mutualistico sono declinate nel nostro ordinamento, anche al fine di comprendere se le stesse siano o meno venute meno con la Riforma del 2016 e, quindi, se la mutualità delle banche di credito cooperativo sia ad essa sopravvissuta.

Di seguito, si intende offrire un quadro ricognitivo di come la mutualità è stata declinata in termini positivi dal legislatore del '93, facendo pertanto riferimento a quel quadro normativo introdotto con il Testo Unico e poi più volte modificato, senza mai essere stravolto, sino al 2016. In altri termini, i successivi paragrafi illustrano la disciplina

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vigente antecedentemente alla Riforma allo scopo di offrire spunti di riflessione ai fini dell'elaborato, pertanto, non a quello di effettuare una ricognizione analitica della disciplina applicabile alla Banca di credito cooperativo, bensì a quello di chiarire come la mutualità è stata normata sino al 2016 e come gli istituti e i principi che ne sono derivati possano sopravvivere o meno alle innovazioni introdotte con la Riforma.

Le fonti di riferimento sono certamente la Legge 385 del 1993 e successive modifiche, la disciplina di vigilanza dettata dalla Banca d'Italia, con la Circolare n. 229 del 1999 prima e con la Circolare n. 285 del 2013 poi, con la Circolare n, 263 del 2006, nonché, in misura residuale e in quanto richiamata e compatibile, la disciplina d diritto comune detta per le società cooperative (artt. 2511 e seguenti Cod. Civ.) e, infine, per la società per azioni (artt. 2325 e seguenti Cod. Civ.).

L'applicabilità delle norme di diritto comune non è peraltro questione rimessa alle regole generali di gerarchia delle fonti e all'interpretazione degli operatori, essendo invece la stessa in gran parte risolta dall'articolo 150-bis T.U.B. il quale sancisce quali norme dettate dal Codice Civile per la società cooperativa e, in subordine, per la società per azioni, non si applichino alla Banca di credito cooperativo, in tal modo ribaltando la clausola di incompatibilità di cui all'articolo 2520, co. 1, Cod. Civ. E ponendo, invece, una presunzione di compatibilità12 della disciplina di diritto comune. Peraltro tale impostazione è stata abbracciata dal Legislatore in occasione della Riforma del Diritto Societario quando di conseguenza, con il Decreto legislativo del 28 dicembre 2004, n. 310, è stato modificato il Testo Unico e, tra l'altro, è stato introdotto il citato articolo che individua “tra le disposizioni della Riforma […] quelle che

12 PETRELLI, Le banche cooperative nella riforma del diritto societario, in Studi e Materiali, I, 2005.

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inciderebbero sui profili di carattere sostanziale della disciplina speciale delle banche cooperative”13.

A completare il quadro delle fonti di riferimento è l'auto- regolamentazione che assume, nel settore cooperativo tutto e quindi anche in quello della cooperazione di credito, rilevanza sostanziale. A partire dai principi fondanti del settore, declinati nella Carta dei Valori, formalizzata dal Comitato Esecutivo di Federcasse, associazione di categoria delle BCC, il 25 novembre 1999 e poi declinati in termini operativi nello statuto tipo delle Banche di Credito Cooperativo, vidimato da Banca d'Italia14 e universalmente adottato dalle Banche di Credito Cooperativo.

La predetta disciplina impone in capo alla Banca di credito cooperativo, come più volte ricordato, il perseguimento dello scopo mutualistico.

Ciò discende, prima ancora che dall'articolo 35 T.U.B., che sviluppa il concetto di mutualità prevalente, dall'articolo 150-bis T.U.B. che sancisce il principio mutualistico prevedendo l'applicabilità degli articoli 2511, 2515 e 2545 Cod. Civ.

Tali articoli, infatti, declinano lo scopo mutualistico in relazione alle società cooperative di diritto comune, stabilendo altresì il principio del capitale variabile (articolo 2511 Cod. Civ.), l’esclusività dello scopo stesso e il conseguente obbligo per l’organo di gestione di rendicontare annualmente sul perseguimento dello stesso (art. 2545 Cod. Civ.).

13 Banca d'Italia, Banche cooperative. Riforma del diritto societario, Bollettino di Vigilanza, III, 2005.

14 Non senza polemiche, come quelle di Santoro il quale sottolinea come sia inopportuno, da un punto di vista politico e tecnico, che l'Autorità di Vigilanza avvali uno Statuto comprensivo di statuizioni trasversali, e non si sia limitata a concordare con l'associazione di categoria quelle clausole che incidono esclusivamente sugli aspetti operativi dell'agere delle BCC. D’altra parte, la validazione dello statuto tipo è senz’altro funzionale ad agevolare il controllo che l’Autorità di Vigilanza è chiamata ad esercitare sul contenuto dello stesso, controllo ben più incisivo rispetto a quello esercitato sulle altre banche proprio al fine di verificare non solo le modalità di coinvolgimento dei soci cooperatori ma anche, per quello che interessa Banca d’Italia, le modalità di adeguamento ai criteri prudenziali dalla stessa emanati (cfr. CUSA, Op.

Ult. Cit.).

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D'altro canto, la disciplina speciale sancisce anch’essa, a suo modo, la mutualità delle banche cooperative in oggetto, definendolo da un punto di vista esclusivamente operativo: “le banche di credito cooperativo esercitano il credito prevalentemente a favore dei soci” (art. 35 T.U.B.).

Le BCC sono pertanto vincolate, nell'esercizio dell'attività bancaria e, in particolare, nell'erogazione del credito, a esercitare l’attività in prevalenza a favore dei soci. In particolare, la prevalenza dell'operatività nei confronti dei soci concerne l'ammontare del credito erogato, e non il numero di scambi mutualistici né una generica maggioranza di soci cooperatori rispetto a clienti terzi.

Se si considera, poi, che “per essere soci di una banca di credito cooperativo è necessario risiedere, avere la sede legale ovvero operare con carattere di continuità, nel territorio di competenza della banca stessa” (art. 34, co. 2, T.U.B.), emerge la seconda imprescindibile caratteristica del tipo societario e bancario in oggetto, quale appunto l’obbligo di operare nell’area territoriale di propria competenza (infra, paragrafo 2.2).

Al pari delle cooperative di diritto comune, pertanto, lo scopo mutualistico delle BCC è da intendersi come gestione di sevizio da parte della cooperativa e come interesse dei soci cooperatori a instaurare rapporti con la banca, beneficiando del c.d. “vantaggio mutualistico”.

2.2. Partecipazione sociale, democraticità e governance

Il principio della sana e prudente gestione dell'impresa, e nella sua declinazione specialistica dettata dalle Disposizioni di Vigilanza da Banca d’Italia, dell'impresa bancaria cooperativa, deve necessariamente coordinarsi e bilanciarsi, nella cooperazione di credito, con il dovere della banca di perpetuare un modello di gestione orientato alla democraticità, intesa quale partecipazione sociale alla gestione.

Dal punto di vista formale, tale principio manca di una vera e propria positivizzazione nel testo legislativo o regolamentare, dovendo invece

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ricavarsi esso da altri istituti declinati dal Legislatore. Si fa riferimento, in particolar modo, al principio del voto capitario, principio fondante di tale modello organizzativo, a quello del voto segreto, ai limiti all'abbassamento dei quorum deliberativi dell'assemblea, alla disciplina rigorosa delle deleghe di voto, al divieto di delegare agli amministratori delegati le materie che incidono sulla mutualità. A contrario, vi rientra anche la previsione di un limite minimo all'investimento15, previsione volta a disincentivare investimenti meramente simbolici e quindi non supportati da un sincero interesse alla partecipazione al governo dell'impresa e a un limite massimo. Quest’ultima previsione per quanto possa apparire dal valore quasi nullo, dal momento che il principio del voto capitario va in ogni caso a scongiurare la possibilità di investimenti capitalistici contrari alla finalità mutualistica – si badi che la distribuzione degli utili è ipotesi residuale e che i ristorni sono invece distribuiti proporzionalmente all’entità degli scambi mutualistici intercorsi – ha ragion d’essere se si pensa alla volontà di non consentire ai soci di assumere con il proprio investimento un peso tale da poter influenzare la gestione sociale mediante la minaccia del disinvestimento.

Democraticità significa innanzitutto carattere aperto della Banca di credito cooperativo. In tal senso, gli articoli 2528 Cod. Civ. e 30 T.U.B., dai quali può ricavarsi il principio, cosiddetto della “porta aperta” in virtù del quale un soggetto in possesso dei requisiti posti dalla legge e eventualmente dallo statuto per entrare nella compagine sociale è ammesso dall’organo gestorio in società. Ciò significa che l’ammissione, ma anche l’esclusione o il recesso, di un socio non necessita della delibera di aumento e riduzione di capitale e quindi delle

15 Art. 30, co. 5, T.U.B. “per favorire la patrimonializzazione della società, lo statuto può subordinare l’ammissione a socio, oltre che a requisiti soggettivi, al possesso di un numero minimo di azioni, il cui venir meno comporta la decadenza dalla qualità così assunta”.

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relative procedure modificative di capitale e statuto, perché appunto il capitale è variabile.

Pur non potendosi rintracciare le evidenze di un diritto vero e proprio dell’aspirante socio all’ingresso nella compagine sociale della Banca di credito cooperativo, l’organo gestorio ha comunque una discrezionalità limitata, dovendo valutare le domande di ammissione esclusivamente in base a: (i) l'interesse della società – presumibilmente quindi avuto riguardo all’efficacia e all’efficienza dell’organizzazione bancaria – (ii) le prescrizioni statutarie – quindi al quei requisiti tipologici ulteriori ed eventuali rispetto a quelli previsti dalla legge imposti dalla banca - ; (iii) lo spirito della forma cooperativa – alla presumibile propensione dell’aspirante socio ad operare quale utente della cooperativa stessa.

In particolare quest’ultima affermazione consente un importante precisazione, già anticipata, circa la coincidenza, nelle società cooperative e quindi anche nelle BCC, tra le figure di azionista e quella di socio cooperatore, di socio e di utente. Altro argomento a sostegno di tale interpretazione è il fatto che nelle BCC non possono essere create diverse categorie di azioni, mentre è certamente possibile individuare diverse categorie di soci16. In altri termini, è possibile prevedere limitazioni o riserve all’assunzione della qualità di socio, mentre non è consentito attribuire, a chi socio lo è, diritti amministrativi e specialmente patrimoniali diversi. Ciò peraltro diversamente dalle cooperative di diritto comune, le quali, ai sensi dell’articolo 2358, co.

3, Cod. Civ., possono attribuire un maggior numero di voti ai soci persone giuridiche.

Un altro argomento a sostegno dell’inscindibilità tra socio ed azionista poggia sull’articolo 50, co. 6, T.U.B. il quale, non applicandosi alle Banche di Credito Cooperativo ma solo alle Banche Popolari, esclude

16 CUSA, il patrimonio di vigilanza nelle banche di credito cooperativo, In Banca, Borsa e Titoli di credito, 2010, suppl. al n. 2.

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che nelle prime sia possibile essere titolari di un’azione della banca senza che si sia stati al contempo ammessi come soci e quindi legittimamente tali da esercitare i propri diritti amministrativi17. Da ultimo, va anche segnalato che l’effettività della partecipazione sociale al governo dell’impresa cooperativa è elementi oggetto di accertamento da parte degli organi adibiti alla vigilanza cooperativa.

Deve infatti essere verificata, almeno biennalmente, l’effettività della compagine sociale, l’osservanza della disciplina legale e statutaria circa l’ammissione dei soci e, soprattutto, la presenza di una “politica di sviluppo della base sociale”18.

2.3. La territorialità e il localismo

Le BCC sono obbligate a operare nell'area territoriale di propria competenza, che comprende i comuni indicati nello Statuto, i comuni presso i quali si trovano le sedi secondarie diverse dalle sedi distaccate nonché i comuni limitrofi a quelle dove si trovano le sedi principali e quelle secondarie, incluse le sedi distaccate e le succursali. Peraltro, il dovere di agire nel territorio di propria competenza è da ritenersi assolto ove l'attività di rischio19sia svolta per almeno il novantacinque per cento nei territori predetto; il restante cinque per cento di attività può essere realizzato dalle BCC al di fuori dello stesso solo ove tale facoltà sia espressamente prevista nello Statuto.

La zona di competenza territoriale delle Banche di Credito Cooperativo è definita infatti, nelle Disposizioni di Vigilanza per le Banche come “il

17 Cfr. SANTORO, Commento all’articolo 33 T.U.B., in Testo unico bancario:

commentario, A.A.V.V, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, Milano, 2010, per il quale “l’azione cooperativa non incorpora il rapporto sociale pe la ragione che non si può prescindere dalle qualità personali del socio” che è poi la ragione per la quale sino ad oggi l’azione della banca di credito cooperativo non è considerata strumento finanziario.

18 Cfr. Sezione I. C.13 del verbale di revisione cooperativa approvato con il Decreto ministeriale del Ministero per lo sviluppo economico del 22 dicembre 2005.

19 Per il computo delle attività di rischio esercitate nella zona di competenza territoriale, la Banca di Italia non prende in considerazione le attività a ponderazione zero e quella svolta a favore di banche o intermediari finanziari a capo di un gruppo bancario.

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territorio entro il quale le Banche di credito cooperativo acquisiscono i soci, assumono rischi nei confronti della clientela e aprono o trasferiscono le succursali”20. Pertanto, essa comprende i comuni dove la banca ha le proprie succursali, compresi i comuni limitrofi, purché tra questi sussista contiguità territoriale. Inoltre, per poter estendere la propria area di competenza territoriale ai comuni nei quali sono ubicate eventuali sedi distaccate – rectius per la costituzione stessa di sedi distaccate - la banca deve porre in essere in quel comune e in quelli limitrofi una rete di rapporti con la clientela ivi residente o operante che includa le adesioni di almeno duecento soci.

Al di là dei vincoli formali sopra esposti, è necessario indagare la ratio degli stessi e il reale beneficio, in termini di perseguimento dello scopo mutualistico, che essi apportano al movimento del credito cooperativo.

È infatti evidente che il predetto vincolo non può porsi come un mero formalismo, peraltro potenzialmente in grado di qualificarsi come vulnus per la competitività delle Banche in oggetto e come ingiustificata e quindi arbitraria e illegittima limitazione alla libertà di mercato e di concorrenza, e non tradursi in elemento di sostengo effettivo e sostanziale della mutualità delle Banche di Credito Cooperativo. Infatti, l'obbligo di agire nella area di competenza territoriale, come sopra delineate, è funzionale a garantire un controllo diretto e efficace, perché ristretto e mirato, sulle attività esercitate onde poter verificare che le stesse siano prestate a favore dei soci direttamente, ma indirettamente e mediatamente verso una comunità locale, sostenendola economicamente e quindi socialmente21.

2.4. La partecipazione al capitale: utili e distribuzione di dividendi e ristorni

20 Disposizioni di Vigilanza per le Banche, Titolo VII, Capitolo I, Sezione 2.

21 Cfr. OPPO, Le banche di credito cooperativa tra mutualità, lucratività e “economia sociale”, in Rivista Diritto Civile, 1996, I.

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La disciplina degli utili delle banche di credito cooperativo è posta dall'articolo 37 del T.U.B., il quale, facendo propri i principi generali del settore cooperativo, discendenti dallo scopo mutualistico, li declina in maniera rigorosa, contrassegnando una disciplina significativamente diversa sia da quella delle banche capitalistiche sia da quella delle cooperative di diritto comune.

Innanzitutto, va evidenziato che i dividendi non possono essere distribuiti per un ammontare superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, previsione normativa che ha spinto alcuni autori22 ad affermare che i dividendi nella banche di credito cooperativo – ma analoga riflessione potrebbe mutuarsi per le società cooperative di diritto comune – non sono altro che, da un punto di vista economico, interessi maturati sulla propria partecipazione sociale, come testimoniato anche dal fatto che spesso23 i soci ricevono i dividenti deliberati dall’assemblea a partire dal mese successivo a quello dell’acquisizione della qualità di socio ovvero di acquisto di nuove azioni.

Il citato articolo impone alle BCC di devolvere almeno il settanta per cento degli utili netti di esercizio a riserva legale, di devolvere una quota degli stessi al Fondo mutualistico per lo sviluppo e la promozione della cooperazione e consente, in subordine, di distribuire ai soci le restanti somme. Tali somme devono essere distribuite nella misura stabilita dallo Statuto che, in ogni caso, non può superare l'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentati di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato24. Altrimenti, le stesse possono essere destinate ad altre riserve non obbligatorie ovvero a rivalutazione delle azioni. Mal si comprende lo spazio residuale alla disposizione di

22 Cfr.CUSA, Il diritto delle banche di credito cooperativo tra legge e contratto, Giappicchelli 2013.

23 Cfr. statuto tipo elaborato da Federcasse, art. 9, co. 1, lett. b).

24 L'articolo 49 dello Statuto modello adottato da Federcasse recepisce letteralmente quanto previsto dall'articolo 214, lett. a), Cod. Civ.

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chiusura del terzo comma dell'articolo in parola ai sensi del quale le somme non distribuite ai soci, non destinate a riserva diversa da quella obbligatoria e non a rivalutazione delle azioni devono essere destinate a scopo di beneficienza o di mutualità. Pur infatti comprendendosene appieno la ratio, ci si domanda se davvero sussistono dei margini di residualità oltre la formula che consente di destinare comunque quelle somme a qualsiasi riserva, tale da dare effettività alla previsione, che invece apparirebbe di mera scuola e priva di contenuto sostanziale.

Precedentemente, il T.U.C.R.A. imponeva alle Casse Rurali, addirittura, la devoluzione obbligatoria a riserva del novanta per cento degli utili, consentendo la distribuzione di dividendi in misura non eccedente la ragione dell'interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato. Le somme residuali dovevano necessariamente essere destinate per la età alla formazione o a iniziative di supporto alla mutualità e per la età a iniziative benefiche diversamente configurabili ovvero a riserva diversa da quella obbligatoria. Appare peraltro evidente che i dubbi sovraesposti sulla formulazione attuale della norma e sull'effettività della clausola residuale non si sarebbero originati rispetto alla formulazione originaria, in quanto linearmente plausibile e verosimile.

Per dovere di completezza, ricordiamo invece che le cooperative di diritto comune sono attualmente obbligate a destinare a riserva obbligatoria il trenta per cento degli utili netti annuali, mentre possono distribuire, sempre in virtù dell'articolo 2454-quater Cod. Civ.

Limitazioni similari sono poste in riferimento alla devoluzione del patrimonio di liquidazione, al chiaro fine di non vanificare il rigoroso perseguimento dello scopo anti-lucrativo e di sottrare al mercato risorse che sono state guadagnate nel rispetto di principi che ne hanno anche giustificato le importanti agevolazioni fiscali. È infatti previsto che, in caso di liquidazione, l'intero patrimonio, dedotto del capitale sociale e

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di eventuali dividendi già maturati, sia devoluto ai fondi mutualistici di promozione e sviluppo della cooperazione25.

Inoltre, dal 199226, è consentito, tanto alle società cooperative di diritto comune quanto alle banche di credito cooperativo, allora casse rurali, di destinare una quota degli utili ad aumento gratuito del capitale sociale, anche superando i limiti allora vigenti sul valore nominale delle azioni e il valore della quota di partecipazione detenibile purché tale superamento sia contenuto entro il limite delle variazioni dell'indice generale annuo dei prezzi al consumo. La citata legge ha inoltre introdotto l'obbligo di destinazione di una quota degli utili netti annuali al fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, quota tutt'oggi fissata nel tre per cento degli utili di esercizio.

Ciò peraltro consente di cogliere appieno le reali ragioni dei vincoli legislativi imposti alle BCC in tema di destinazione degli utili e distribuzione dei dividendi. Tali limitazioni, che come abbiamo visto accostano il modello del credito cooperativo a quello dell'impresa cooperativa segnando un importante distacco dal modello bancario capitalistico, sono appunto volte a facilitare il rafforzamento patrimoniale delle banche in parola, sottocapitalizzate come tutte le società cooperative in quanto svantaggiate nella raccolta dei capitali e, quindi, nel rinforzare la propria dotazione patrimoniale. Tali norme, più che segnare il perché della difficoltà a finanziarsi, che non discende, come si potrebbe ritenere, sbagliando, nella scarsa appetibilità dell'investimento dovuto alle limitazioni nel ricevere utili, bensì nel fatto stesso che la partecipazione sociale, a monte, non dipende dall'investimento sostenuto, bensì dal volume degli scambi mutualistici intercorsi. Sottocapitalizzazione che dipende, pertanto, sul voto

25 Cfr. art. 2514, co. 1, Cod. Civ., in quanto anch'esso richiamato dall'articolo 150-bis T.U.B. e articolo 51 dello Statuto modello di Federcasse.

26 Legge del 31 gennaio 1992, n. 59.

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capitario e la partecipazione orientata al perseguimento del vantaggio mutualistico, che ha origine, in ultima analisi, sullo scopo mutualistico e, quindi, che caratterizza strutturalmente e necessariamente l'impresa cooperativa, industriale o bancaria che sia.

Il fatto poi che tali misure di patrimonializzazione forzata siano più stringenti nel settore bancario che altrove trova fondamento nel fatto che per tutte le banche, non solo quelle cooperative ma soprattutto per queste per le ragioni suddette, il patrimonio di vigilanza rappresenta il primo presidio contro i rischi derivanti dall'esercizio delle attività creditizia e finanziaria, nonché il parametro di valutazione della solidità e affidabilità dell'istituto per le Autorità di vigilanza e, in misura mediata, dal mercato stesso. È per tale ragione che le riserve alimentate dagli utili non distribuiti costituiscono patrimonio di vigilanza a tutti gli effetti.

Nelle banche di credito cooperativo, inoltre, una terza caratteristica, del tutto peculiare, impone ulteriore cautela e una disciplina prudenziale ancor più rigorosa: il localismo. Agire, infatti, esclusivamente in un'area geografica limitata, a favore di categorie sociali ed economiche spesso affini, aumenta infatti il rischio di mancata diversificazione, rendendo quindi necessario un approccio mitigativo significativamente invasivo.

In sostanza, le banche di credito cooperativo assumono caratteristiche, proprie delle imprese cooperative nel loro genere e delle banche, anche capitalistiche, esasperandone quegli aspetti che già in esse impongono un approccio prudenziale. Le BCC, infatti, condividono con le prima la sottocapitalizzazione e con le seconde, il ruolo primario che il patrimonio di vigilanza assume avverso i rischi dell’attività bancaria.

Sono invece le uniche, in questo contesto ricognitivo, ad aggiungere un ulteriore elemento di rischio, quale quello del localismo. La triade di mutualità, territorialità e esercizio di attività bancaria rendono pertanto

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necessario il rigore nella disciplina delle destinazioni degli utili sovra esposto e giustificano l'unicità di tale disciplina.

Il fatto poi che la grande maggioranza delle Banche di Credito Cooperativo destini a riserva legale una quota di utili maggiore di quella vincolata ex lege pari al novantasette per cento degli stessi testimonia proprio l’efficacia di tale previsione normativa, la quale, evidentemente, è in grado di assicurare a tali banche quella solidità patrimoniale di cui rischierebbero di essere fisiologicamente carenti27. Non può non tacersi, peraltro, che tale stringente disciplina ha consentito alle Banche in oggetto di affrontare solidamente e reattivamente la crisi finanziaria del 2008, tanto da far ritenere a diversi autori28 che proprio grazie a questi asset, esse sarebbero state in grado di affrontare con minor sforzo e anzi con un vero e proprio vantaggio competitivo il nuovo contesto normativo che a partire da quella crisi è stato implementato a livello europeo.

Quanto esposto sinora nel presente paragrafo attiene, evidentemente, alla disciplina dell'utile di esercizio, inteso come differenza positiva tra costi e ricavi dello stesso. È pertanto necessario precisare che, nelle imprese di tipo cooperativo, ciò che viene distribuito ai soci, innanzitutto, è il ristorno, rappresentazione contabile del vantaggio mutualistico, ovverosia il disavanzo di gestione attinente alle sole attività intercorse con i soci cooperatori, qualora i soci non abbiano già goduto dello stesso al momento della realizzazione dello scambio stesso, ad esempio, tramite prezzi inferiori a quelli di mercato nella prestazione di servizi nei loro confronti da parte della società.

27 Alcuni autori si spingono a ricavare, da tale dato fattuale, l’evidenza che le BCC, per quanto non escludano espressamente nel loro statuto la possibilità di perseguire anche lo scopo lucrativo soggettivo, implicitamente non intendono perseguirlo (cfr.

CUSA, Il diritto delle banche di credito cooperativo tra legge e contratto, Giappicchelli 2013).

28BONFANTE, Op. Ult. Cit.

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Come nelle società cooperative di diritto comune – in virtù di quanto disposto dall’articolo 2454-sexies, co. 1, Cod. Civ, richiamato dall’articolo 150-bis, co. 6, T.U.B. – i ristorni sono distribuiti ai soci cooperatori proporzionalmente alla qualità e alla quantità degli scambi mutualistici intercorsi, tuttavia, per evitare che i ristorni diventino, nelle banche cooperative, strumento di favore per i più ricchi o i più indebitati – a seconda che siano parametrati sulle somme depositate ovvero su quelle prestate – sono frequentemente previsti dei tetti massimi al loro ammontare.

È la Banca d'Italia a esprimersi sulla disciplina di settore applicabile in tema di ristorni, prevedendo che possa essere distribuita ai soci una quota residuale degli utili netti annuali, pari al cinquanta per cento di quanto residua dopo le devoluzioni obbligatorie previste dai commi primo e secondo dell'articolo 37 T.U.B. Peraltro, tali somme dovrebbero essere versate, per almeno la metà, tramite incremento della partecipazione sociale e non mediante retrocessione di somme di denaro. Si tratta di disposizioni che , a monte, sbagliano forse nella qualifica di ristorno, etichettando come tale l'avanzo residuale di utile, senza tenere in considerazione che lo stesso dovrebbe derivare esclusivamente dalla gestione con i soci, e, a valle, fallendo nell'imporre che lo stesso sia utilizzando obbligatoriamente, in gran parte, per aumentare la quota di partecipazione sociale, sottraendo di fatto al cooperatore una porzione di vantaggio mutualistico che difficilmente potrebbe poi recuperare tramite liquidazione della quota.

La fisiologica sotto capitalizzazione delle imprese cooperative, anche bancarie, sopra descritta ha da tempo generato la necessità di rintracciare strumenti alternativi per il sostentamento economico e finanziario delle stesse.

2.4. 1 soci cooperatori e soci finanziatori

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Come anticipato, i soci della società cooperativa, o della banca, sono soci cooperatori, interessati allo scambio mutualistico con la stessa e non ad un investimento di natura finanziaria a scopo speculativo. A partire dal 1992 però, il Legislatore ha intrapreso una svolta istituendo strumenti finanziari, denominate, forse impropriamente, “azioni”, allo scopo di incentivare soci cooperatori e terzi a finanziare l’impresa cooperativa mediante un apporto di denaro destinato a essere remunerato, a condizioni e secondo parametri diversi, ma pur sempre secondo logica capitalistica.

Sono così introdotte le azioni di finanziamento e le azioni di sovvenzione29 nonché, con la riforma del diritto societario del 2003, gli strumenti finanziari ex articolo 2546 Cod. Civ. Alle Banche di Credito Cooperativo resta tuttavia inibita la possibilità di annoverare soci finanziatori nella propria compagine sociale: gli articoli 4 e 5 della Legge 59 del 1992 sono infatti inapplicabili alle BCC ai sensi dell’articolo 21, co. 3, della medesima legge, mentre l’articolo 2546 Cod. Civ. lo è in forza delle previsioni di cui all’articolo 150-bis T.U.B.

Come si vedrà, la Riforma ha in gran parte stravolto tale impostazione la quale era invece rimasta immutata sino al 2009, anno in cui si concede una leggere flessione a tale rigoroso sistema, con la Legge 23 dicembre 2009, n. 191 che ha consentito alle Banche di credito cooperativo di emettere azioni di finanziamento ex articolo 2546 Cod.

Civ, per un periodo limitato dalla prima autorizzazione e a condizioni stringenti, tra le quali, importantissima, la sottoscrivibilità delle stesse esclusivamente alla Banca del Mezzogiorno S.p.A., delle quali peraltro la BCC interessate deve essere socia. In ragione presumibilmente delle molteplici restrizioni, tale normativa è rimasta inattuata.

Quanto detto non esclude, invece, la facoltà per le banche di credito cooperativo, di emettere gli strumenti finanziari di cui all’articolo 11,

29 Cfr. Artt. 4 e 5, Legge del 31 gennaio 1992, n. 59.

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co. 4, del T.U.B. È peraltro superfluo sottolineare che questi, però, non incorporano porzioni di capitale sociale, e come tali non sono idonei ad attribuire diritti amministrativi ai rispettivi detentori. Elemento questo speculare all’impossibilità di qualificare come strumenti finanziari le azioni delle Banche di Credito Cooperativo, proprio perché mancano delle caratteristiche di fungibilità, contendibilità imprescindibili perché possano essere annoverate quale valore mobiliare e, quindi, come strumento finanziario30. Tali azioni, infatti, diversamente da quelle delle banche popolari, hanno un regime circolatorio restrittivo, tale da impedire di qualificare le stesse come strumenti finanziari e le rispettive emittenti come società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio ai fini della relativa disciplina. Che si tratti invece di prodotto finanziario è pacifico, trattandosi certamente di investimenti di natura finanziaria ex articolo 1, co. 1, lett u) del T.U.F., dal momento che comporta l’investimento di un bene a fronte di un rischio, quello di non vedere liquidata la propria quota sociale al ricorrere delle condizioni necessarie per la stessa31.

3. I poteri di vigilanza sulla banca di credito cooperativo tra stabilità patrimoniale e principi mutualistici

Il rispetto dei principi mutualistici in particolare e quello dei principi di sana e prudente gestione in generale è oggetto di molteplici controlli, interni ed esterni alla struttura aziendale, tra cui quella del collegio sindacale o, marginalmente, del collegio dei probiviri, nonché quella di

30 Cfr. Consob, Comunicazione DAL/99018236.

31 Alcuni autori riconducono invece la qualificazione di prodotto finanziario delle azioni delle BCC all’eventualità che sia o meno prevista la possibilità di distribuire dividendi, rintracciando in questa caratteristica tipicamente capitalistica l’elemento di rischiosità necessario per potersi parlare di investimento avente natura finanziaria (cfr.

CUSA, Il diritto delle banche di credito cooperativo tra legge e contratto, Giappicchelli, Bologna, 2013).

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Banca d’Italia e quella dei revisori chiamati a svolgere un ruolo del tutto peculiare.

La revisione cooperativa assume, infatti, tratti del tutto caratterizzanti essendo la stessa rivolta all’accertamento non solo della affidabilità e della stabilità e consistenza patrimoniale bensì anche e soprattutto del rispetto dei principi mutualistici e quindi “l'effettività della base sociale, la partecipazione dei soci alla vita sociale ed allo scambio mutualistico con l'ente, la qualità di tale partecipazione, l'assenza di scopi di lucro dell'ente, nei limiti previsti dalla legislazione vigente, e la legittimazione dell'ente a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura”32. Parimenti, la revisione cooperativa – non solo bancaria33 – è finalizzata a fornire supporto agli organi di gestione per l’effettiva realizzazione della democrazia interna, perché essa sia in grado di promuovere la reale partecipazione dei soci alla vita sociale. Il riconoscimento legislativo di tale ruolo in capo al revisore costituisce un’importante conferma di quanto il rispetto della mutualità sia e debba essere un principio portante dell’agere cooperativo, in grado di orientare e contaminare tutte le scelte di gestione. In altre parole, la rilevanza data dalla disciplina in tema di revisione al rispetto dei principi mutualistici nelle sue molteplici definizioni attesta che non può esservi sana e prudente e corretta gestione se la stessa non è orientata al perseguimento dello scopo mutualistico, scopo mutualistico che è pertanto fine dell’impresa (bancaria) cooperativa, ma anche mezzo, strumento, modus operandi, dell’agere stesso.

32 Cfr. Art. 4, Decreto Legislativo 2 agosto 2002, n. 220.

33 Cfr. Art. 1, Decreto Legislativo 2 agosto 2002, n. 220, ai sensi del quale “la vigilanza su tutte le forme di società cooperative e loro consorzi, gruppi cooperativi ex articolo 5, comma 1, lettera f), legge 3 ottobre 2001, n. 366, società di mutuo soccorso ed enti mutualistici di cui all'articolo 2512 del codice civile, consorzi agrari e piccole società cooperative, di seguito denominati enti cooperativi, è attribuita al Ministero delle attività produttive, di seguito denominato Ministero, che la esercita mediante revisioni cooperative ed ispezioni straordinarie come disciplinate dal presente decreto”.

Peraltro, l’inclusione dei gruppi cooperativi pone l’interrogativo sull’eventualità che la stessa disciplina possa applicarsi al gruppo bancario cooperativo di nuova introduzione. La questione è ad oggi irrisolta a livello normativo.

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Per quanto attiene alle modalità operative in cui si sostanzia l’attività di revisione, il citato Decreto prevede che la stessa sia svolta con cadenza almeno biennale e che sia effettuata o dal Ministero, per mezzo di ispettori incaricati, ovvero, per le imprese cooperative aderenti alle Associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, dalle associazioni stesse a mezzo di revisori da esse incaricati.

A tal proposito, rileva il modello di verbale di revisione redatto da Federcasse e con conseguente ampia adesione sul mercato, il quale nel declinare le predette modalità di accertamento del rispetto dello scopo mutualistico, offre interessanti spunti per la definizione delle concrete modalità operative in cui lo scopo mutualistico si sostanzia o, almeno, dovrebbe sostanziarsi.

4. Il sistema del credito cooperativo: rete associativa e rete imprenditoriale

Il credito cooperativo è un sistema strutturato su una rete composta da 317 Banche di Credito Cooperativo - Casse Rurali (ovvero Casse Raiffeisen in Alto Adige), da strutture associative e da imprese che garantiscono al Sistema, coerentemente con i suoi valori e con la sua identità cooperativa, una molteplicità di servizi e un’offerta di prodotti diversificata e completa.

La rete può essere ricondotta a due macro strutture, una di tipo associativo e l’altra a natura imprenditoriale.

A livello associativo, si impone il ruolo apicale svolto da Federcasse, nella quale si riuniscono a livello nazionale quindici federazioni locali, cui sono associate circa quattrocento banche di credito cooperativo sparse sull’intero territorio nazionale. Peraltro, preme evidenziare che le Federazioni locali sono costituite sotto forma di cooperative p.a., a mutualità prevalente, di cosiddetto “secondo livello”, in quanto soci

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cooperatori sono proprio le BCC e le CR, mentre Federcasse ha la forma giuridica di associazione non riconosciuta.

Da un punto di vista imprenditoriale invece il sistema del credito cooperativo si è distinto per anni per il ruolo assunto, specularmente, da Iccrea Holding S.p.A, a capo del gruppo omonimo, e Cassa Centrale Banca - Credito Cooperativo del Nord Est S.p.A, anch’essa capogruppo del Gruppo Cassa Centrale Banca, e da Cassa Centrale Raiffesein Alto Adige S.p.A.

Peraltro, il concetto di “mutualità di sistema” rifulge da una mera valenza formale, non limitandosi ad essere meramente un intreccio di legami collaborativi tra imprese, ponendosi invece come una struttura volta, nel suo complesso, e anche grazie alle ramificazioni territoriali e al coordinamento svolto dagli istituti a finalità associative, a porre le migliori condizioni per la nascita, lo sviluppo e l’operatività delle banche di credito cooperativo34.

Quanto riportato nel presente paragrafo non è funzionale al solo scopo di ricordare l’importanza che la mutualità di sistema, mediante l’adesione ai movimenti cooperativi nazionali e internazionali, riveste per la cooperazione di credito al pari della cooperazione industriale e di servizi, bensì a comprendere appieno il panorama industriale e l’architettura sistemica di un settore, quale appunto quello del credito cooperativo, oggetto della Riforma. Quest’ultima, infatti, oltre a innovare sostanzialmente la Banca di credito cooperativo, ripensa, inserendo d’imperio questa in una struttura di gruppo, l’intero sistema del credito cooperativo, utilizzando lo stesso come punto di partenza per la nuova struttura di mercato del sistema stesso. È infatti innegabile che la Riforma impone infatti un sostanziale ripensamento del Sistema nel suo complesso, istituzionalizzando il Gruppo Bancario Cooperativo impone necessariamente una ristrutturazione dei gruppi bancari

34 Cfr. COSTA, Op. Ult. Cit.

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attualmente esistenti e un ripensamento del ruolo attualmente svolto dalle federazioni.

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37 Capitolo II

La riforma del credito cooperativo: il D.L. n. 18 del 14 febbraio 2016, convertito nella Legge 8 aprile 2016, n. 49, e il nuovo gruppo

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38 Capitolo II

La riforma del credito cooperativo: il D.L. n. 18 del 14 febbraio 2016, convertito nella Legge 8 aprile 2016, n. 49, e il nuovo gruppo

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SOMMARIO: 1. Le ragioni della riforma - 2. Il gruppo bancario cooperativo - 2.1. La composizione del gruppo bancario cooperativo:

capogruppo e società aderenti- 2.1.1. Riflessioni sull’esclusività del gruppo bancario cooperativo – 2.1.2. La costituzione del gruppo bancario cooperativo - 2.2. Il contratto di coesione e l'esercizio del controllo da parte della capogruppo – 2.2.1. Le materie sottratte all’autonomia decisionale delle banche di credito cooperativo aderenti – 2.3. L’esplicarsi del controllo: i doveri della capogruppo – 2.4. La governance del gruppo bancario cooperativo e delle BCC aderenti

1. Le ragioni della Riforma

La riforma delle Banche di Credito Cooperativo è stata attuata con la Legge 8 aprile 2016, n. 4935 con la quale è stato convertito, con modificazioni, il Decreto legge 14 febbraio 2016, n. 18.

L’articolo 1 del Decreto, come modificato dalla Legge di conversione, apporta principalmente modifiche e integrazioni agli articoli da 33 a 37, 150-bis e 150-ter del T.U.B. recanti la disciplina delle banche di credito cooperative. Inoltre, sono introdotti gli articoli 37-bis e 37-ter del T.U.B., rubricati, rispettivamente, “Gruppo Bancario Cooperativo” e

“Costituzione del gruppo bancario cooperativo”. Infine, gli articoli 2 e

35 Gazzetta Ufficiale – Serie Generale del 14 aprile 2016, n. 87. La medesima legge, entrata in vigore il 15 aprile 2016, reca disposizioni in tema di cartolarizzazioni, regime fiscale applicabile in corso di crisi bancarie e gestione collettiva del risparmio.

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2-bis del Decreto apportano le “Disposizioni attuative” e la disciplina del “Fondo temporaneo delle banche di credito cooperativo”.

Con tale intervento è stata pertanto modificata la disciplina di rango primario delle banche di credito cooperativo, mentre è stata in ultima analisi demandata a Banca d’Italia36 l’emanazione della normativa di attuazione, recata attraverso aggiornamento della Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 (“Disposizioni di Vigilanza per le banche”) mediante soprattutto l’introduzione di un Capitolo Quinto (intitolato “Gruppo Bancario Cooperativo”) alla Parte Terza, pubblicata in data 3 novembre 2016, ad esito di una consultazione pubblica avviata nel corso del mese di luglio 201637.

Prescindendo dal muovere osservazioni circa l’improprio utilizzo dello strumento del decreto legge per attuare una riforma tanto importante quale quella del credito cooperativo, scelta impropria dal punto di vista legislativo e costituzionale, nonché inopportuna da quello politico, i razionali della Riforma vanno rintracciati in una molteplicità di istanze, provenienti dal mondo istituzionale e politico, tra cui in primis quello europeo, ben rappresentato dalle Banca Centrale Europea e dalla Commissione europea.

A livello nazionale, la Riforma in oggetto segue un altro intervento legislativo assai importante che ha riguardato le altre banche tradizionalmente afferenti al mondo della cooperazione bancaria, le

36 La scelta di demandare all’Autorità di Vigilanza il compito di dettare le disposizioni attuative e non di ripartire le stesse tra Banca d’Italia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito, anche “MEF”), come originariamente previsto nel testo del Decreto Legge, è certamente coerente dal punto di vista sistematico, essendosi resa necessario modificare la Circolare n. 285 recante le Disposizioni di Vigilanza per le banche, emanata dalla predetta Autorità. D’altra parte, come si avrà modo di illustrare nei paragrafi successivi, si è comunque demandato al potere regolamentare di un’autorità amministrativa la definizione di importanti aspetti che, per la rilevanza politica degli stessi, sarebbe stato più opportuno fossero discussi in sede parlamentare.

37 Con riferimento alla disciplina del gruppo bancario cooperativo e delle banche di credito cooperativo, le Disposizioni di Vigilanza per le banche sono quindi state modificate anche in data 22 maggio 2018, ad esito di una consultazione pubblica che era starta avviata nel novembre 2017.

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