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CAPITOLO 12 SINTESI E CONFRONTI CON ALTRI SITI

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CAPITOLO 12

SINTESI E CONFRONTI CON ALTRI SITI

Lo studio dei diversi materiali rinvenuti a Pian di Cerreto e Muraccio ha permesso di chiarire alcuni aspetti importanti sulla funzione dei due siti e tracciare un quadro più organico circa il popolamento della Valle del Serchio all’avvento del Neolitico.

A sostegno di ciò sono disponibili due datazioni C14 che pongono Pian di Cerreto intorno ai 6500 anni BP, in cronologia non calibrata (Rome-548: 6680±80 BP; R-2702:

6447±56 BP), mentre il Muraccio con un’età di circa 6200 anni è poco più recente

(Rome-427: 6210±80 BP e 6160±65 BP) e ben si accorda con la presenza di ossidiana sarda documentata nella relativa industria litica.

I due siti documentano come, dopo il Mesolitico, il popolamento umano della Garfagnana muti radicalmente, subendo probabilmente una flessione, ma non un totale abbandono.

Le rispettive date radiometriche attestano infatti la precoce neolitizzazione della Valle del Serchio già intorno ai 6500 anni da oggi, quando ancora gli ultimi castelnoviani frequentavano la zona.

Questa continuità cronologica è testimoniata dal giacimento appenninico di Lama Lite II sull’Appennino Tosco-emiliano che ha infatti fornito la data di 6620±80 anni BP, praticamente contemporanea a quella di Pian di Cerreto.

Il confronto con l’industria litica di questo sito (Castelletti et al., 1976) mostra importanti aspetti di continuità tra Castelnoviano e Neolitico antico, quali la produzione specializzata di lamelle e la presenza di geometrici trapezoidali.

Nonostante ciò, con Pian di Cerreto e Muraccio, si assiste ad un radicale mutamento nella struttura nella quale risalta la scarsa presenza di armature, costituite essenzialmente da trapezi scaleni ricavati da supporti lamellari di dimensioni mediamente superiori rispetto a quelli micro litici di Lama Lite II.

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Nel 2001, la scoperta di un nuovo sito, quello di Monte Frignone, nel Parco dell’Orecchiella, ha confermato questi caratteri tipologici. Nonostante il relativo materiale sia ancora in fase di studio, da un’ analisi preliminare, il giacimento, ascrivibile al Neolitico antico, riporta una datazione radiometrica di 6624 ± 45 anni BP

(5630 – 5480 cal BC) e presenta caratteristiche molto simili a quelle dei siti presi in

esame, come l’esiguità e mal conservazione della ceramica in contrasto con l’abbondanza dell’industria litica. Questa sembra essere caratterizzata da un’elevata produzione laminare determinata dall’utilizzo di più tecniche di scheggiatura e da un’alta percentuale di armature, soprattutto triangoli microlitici, tipicamente castelnoviani. Di notevole interesse è il ritrovamento di alcuni manufatti in ossidiana, che, diversamente dal sito di Muraccio, proviene dall’isola di Lipari. Questo fatto testimonia la già documentata e precoce diffusione di tale materiale durante il Neolitico antico nella penisola italiana, in frequente associazione alla cultura della ceramica impressa medio-tirrenica rispetto a quella di provenienza sarda, in seguito maggiormente associata alla corrente della ceramica lineare (Bigazzi e Radi, 1998; Radi 2000).

Il sito, situato a circa 1200 metri di quota potrebbe aver costituito un avamposto con la funzione di stazione/bivacco di caccia e connesso allo sfruttamento delle risorse litiche ed ambientali dell’area.

Allo stesso modo, anche per Pian di Cerreto e Muraccio, il motivo che sembra aver spinto i primi gruppi umani neolitici a frequentare ambienti montani meno adatti all’attività agricola è probabilmente la ricerca di materie prime, quali la selce e il diaspro, ai quali va aggiunta la steatite disponibile in giacimenti non lontani dai siti.

Alla luce di tutto questo, è inoltre possibile fare altri tipi di valutazioni circa le probabili influenze culturali provenienti dalle aree limitrofe.

La ceramica, ridotta a pochi frammenti in cattivo stato di conservazione, mostra infatti strette relazioni con il Neolitico antico della Liguria orientale (Tozzi e Zamagni, 2000). In questa zona, territorialmente contigua all’area di interesse, a parte sporadici

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una certa entità, Pianaccia di Suvero (SP) e Castellaro di Uscio (GE) (Maggi 1983, 1984; Biagi et al., 1985).

Dei siti sopracitati, anche l’industria litica trova analogie con i siti oggetto di studio: Pianaccia di Suvero (Fig. 150) comprende infatti, oltre a vari tipi di grattatoi e un bulino a stacco laterale, anche troncature, trapezi, alcuni manufatti in ossidiana ed, in particolare, “lamelle con ritocco marginale, prossimale e ad incavo, spesso bilaterale alterno” (Biagi et al., 1985; Maggi 1984) mentre Castellaro di Uscio, nonostante la giacitura secondaria del deposito, conserva trapezi, becchi diritti ed ancora “lame ad incavo” (Biagi et al., 1985). In entrambi i casi tali lame sono avvicinabili a quelle definite nel presente lavoro “ad intaccatura basale”, molto frequenti nelle industrie di Pian di Cerreto e Muraccio, per le quali è ipotizzabile un simile utilizzo (Par. 8.3).

Fig. 150 – Industria litica dalla Pianaccia di Suvero:

le intaccature basali confrontabili con quelle di Pian di Cerreto e Muraccio.

Da sottolineare, infine, è la somiglianza geomorfologica degli ambienti interessati da questi ritrovamenti: infatti, come a Pian di Cerreto e Muraccio, anche quelli del Levante ligure sono situati su ampi terrazzi pianeggianti, lungo vallate interne e in prossimità di

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percorsi d’altura (Biagi et al., 1985), dato che evidenzia nuove strategie di organizzazione territoriale rispetto alle epoche precedenti.

Altre somiglianze sono inoltre riscontrabili nell’ambiente culturale padano della ceramica lineare.

Il popolamento neolitico della Valle del Serchio presenta infatti una cronologia paragonabile a quella delle più antiche comunità agricole del Friuli, probabilmente ad opera dei gruppi della ceramica lineare.

Un enorme contributo allo studio di questo aspetto del Primo Neolitico è fornito dalla tesi di Dottorato di A. Pessina “Il sito neolitico di Fiorano Modenese e la comparsa delle prime comunità agricole in Italia settentrionale”, dedicata all’edizione dei materiali provenienti dagli scavi di F. Malavolti e da altri siti che ricadono nel raggio di diffusione di questa cultura, nel tentativo di chiarire il problema del fenomeno di neolitizzazione nell’area padano-alpina.

Come precedentemente ricordato (Cap. 10), alcuni frammenti ceramici di Pian di Cerreto e di Muraccio presentano affinità decorative e tipologiche con quelli relativi a contesti fioranoidi.

Anche confrontando le industrie litiche è possibile rintracciare sostanziali somiglianze, sia nelle tecniche di scheggiatura che nella produzione di strumenti.

Il sito più rappresentativo è quello di Fiorano Modenese (Mo) che presenta un’industria fortemente laminare, standardizzata verso una produzione regolare di supporti lamellari con bordi paralleli, sezioni prevalentemente trapezoidali, bulbi poco marcati e talloni preparati. I nuclei, intensamente sfruttati e la maggior parte dei quali riconducibili a forme prismatiche e piramidali, confermano il débitage laminare e attestano l’utilizzo di varie tecniche di scheggiatura, tra cui quella a pressione.

La struttura tipologica rispecchia, nelle sue linee sostanziali (eccetto la presenza del bulino di Ripabianca), quella di Pian di Cerreto e Muraccio con un’elevata incidenza del substrato, nel quale spiccano le alte percentuali delle lame-raschiatoio (anche a ritocco inframarginale) e dei denticolati. Sono da ricordare tra i ritoccati troncature, becchi e pochi geometrici, per lo più romboidi, su supporto lamellare a sezione trapezoidale.

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I materiali degli altri siti messi a confronto, nonostante siano quantitativamente meno significativi, evidenziano come ad una forte uniformità ceramica si associ anche una certa omogeneità nello strumentario litico (Pessina 1998).

Vi sono tuttavia altri motivi che comproverebbero la penetrazione padana degli ambienti appenninici, quali la provenienza dal versante emiliano dell’Appennino di parte della selce non locale utilizzata per la produzione litica dei siti (Par. 4.4) e la presenza di un sito certamente fioranoide presso Sasso Marconi (BO) che ha restituito manufatti quasi totalmente in selce alpina (un nucleo piramidale a lamelle con piano preparato, un grattatoio frontale corto e 2 microbulini), di cui tuttavia non sono disponibili date radiometriche (Ferrari e Steffè, 1995).

In seguito gli influssi di tale corrente verso sud risalirebbero ai secoli a cavallo tra il VII e il VI millennio BP, come testimonierebbero proprio le date di Mileto (Beta-44114: 6180+-80 BP; Beta-44155: 6100+-80 BP), Casa Querciolaia (6040±50 BP) e Poggio di Mezzo (5850+-60 BP), l’ultima delle quali potrebbe rappresentare il momento finale dell’aspetto Fiorano (Pessina 1998).

Infine, anche dal confronto con i siti toscani più rappresentativi relativi alla facies della ceramica a linee incise, è possibile riconoscere nelle industrie litiche di Pian di Cerreto e Muraccio ulteriori conferme sulla loro influenza culturale.

A tal proposito vanno ricordati i siti di Mileto nella piana fiorentina (Sarti et al. 1991) e Casa Querciolaia nel Livornese (Iacopini 2000c).

Il primo presenta una scarsa industria litica in materia prima locale. Sono segnalati romboidi, trapezi, troncature qualche foliato e una discreta laminarità complessiva. Il secondo è invece caratterizzato da un’abbondante documentazione litica costituita da manufatti in selce scheggiata, in ossidiana di origine sarda, in pietra levigata e in steatite. Il 55% della materia prima utilizzata nella scheggiatura proviene dall’area alpina (Biancone-Scaglia variegata) mentre la rimanente è costituita da selce appenninica. La buona laminarità del complesso si riscontra anche nella scelta di supporti laminari, per lo più a sezione trapezoidale, per la produzione di strumenti.

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Dal punto di vista tipologico prevalgono lame ritoccate e denticolati. Sono inoltre rappresentati tutti i tipi di troncature (marginali, normali e oblique), bulini di tipo semplice (totalmente assenti quelli del tipo Ripabianca) e becchi di tipo diritto. Risultano assenti i geometrici ma sono ben attestati i microbulini, sia di tipo distale che prossimale.

Un aspetto da evidenziare, nelle industrie di Pian di Cerreto e Muraccio, è la totale assenza di romboidi tra i geometrici, piuttosto frequenti, invece, nei siti esaminati, sia emiliani che toscani, riferiferibili alla corrente della ceramica lineare.

Si può quindi affermare che, per i siti di Pian di Cerreto e Muraccio, oltre ad alcuni scarsi frammenti ceramici, anche l’industria litica presenta caratteristiche rintracciabili nella corrente culturale della ceramica a linee incise. Relativamente ai siti con cui sono stati messi a confronto, possono certamente esserci alcune diversità sostanziali ma, dal punto di vista tipologico e tipometrico, sono comunque caratterizzati da una base litica piuttosto omogenea.

Figura

Fig. 150 – Industria litica dalla Pianaccia di Suvero:

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