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Verso la Vascolarizzazione dei Tessuti Artificiali

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Academic year: 2021

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Capitolo II

Verso la Vascolarizzazione dei Tessuti Artificiali

Le moderne tecniche di coltura cellulare e lo sviluppo di bioreattori sempre più performanti permettono oggi di ottenere “prodotti” di Tissue Engineering sicuramente migliori rispetto al passato. Tuttavia, le potenzialità dei costrutti sono fortemente limitate dal tipo di trasporto di nutrienti e ossigeno, principalmente diffusivo. Per garantire le funzioni cellulari, ciascuna cellula deve trovarsi al massimo ad una distanza dell’ordine di poche centinaia di micron rispetto ad un vaso. Per far fronte a questa limitazione, l’evoluzione ha stabilito che un tessuto deve essere attraversato da una fitta rete di microvasi, i capillari. Ovviamente la microvascolarizzazione dipende principalmente dal tipo di tessuto e quindi la distanza massima tra cellula e capillare va strettamente legata al tipo cellulare: i condrociti, avendo esigenze metaboliche più basse, richiederanno un minor grado di vascolarizzazione rispetto, ad esempio, agli epatociti.

L’assenza di una rete microvascolare capace di “nutrire” adeguatamente il tessuto rigenerato è uno dei maggiori ostacoli verso la realizzazione di tessuti artificiali di spessori elevati (gli spessori raggiunti sperimentalmente sono dell’ordine di pochi millimetri).

Mentre sono già state viste esperienze positive nel campo dei grafts vascolari e nel campo

di sostituti cutanei e cartilaginei, che richiedono costrutti di spessore poco rilevante o poca

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vascolarizzazione, le ricerche volte alla creazione di un letto capillare artificiale integrato in un tessuto spesso (e.g. intestino, fegato) sono ancora agli albori.

In questo capitolo si accennerà alle basi fisiologiche che portano alla vascolarizzazione dei tessuti e introdurremo vari approcci alla vascolarizzazione dei tessuti artificiali con un inevitabile accenno ai grafts vascolari (si parlerà di macrografts e micrografts) [1].

2.1. Sviluppo dei microvasi

(vasculogenesi e arteriogenesi)

La rete microvascolare umana inizia con la suddivisione delle arterie in rami di diametro inferiore, le meta-arteriole (diametro tra 80-100 μm 1 ); l’ulteriore suddivisione di queste ultime dà vita ai capillari (diametro tra 10-15 μm). La funzione di questa rete “di andata” è quella di distribuire i nutrienti ai tessuti man mano che il fronte di pressione va diminuendo.

Figura 2.1: A sinistra, schematizzazione dell’anastomosi artero-venosa; A

(3)

I capillari si raccolgono in venule post-capillari, poi in venule e infine in vene, per formare la rete “di ritorno” le cui funzioni sono quella di raccolta dei prodotti metabolici di scarto e quella di riserva di sangue [2].

La rete vascolare, che ha una geometria molto complessa assimilabile ad una struttura frattalica tridimensionale, si forma durante la prima fase della gestazione. Le cellule angiogeniche si organizzano in clusters che, dopo una coalescenza, formano dei tubi solidi e successivamente canalizzano formando dei vasi sanguigni che prendono il nome di plesso vascolare primario [3]. Tale plesso è costituito dai vasi centrali (aorta dorsale e vene cardinali) e da una rete omogenea di capillari che riceveranno il flusso del primo battito cardiaco.

Figura 2.2: Struttura dei vasi.

Le pareti dei vasi sono inizialmente costituite da angioblasti che successivamente si differenziano in cellule endoteliali (EC). Questo processo, che vede la formazione de novo di una rete vascolare, prende in nome di vasculogenesi ed è regolato da diverse biomolecole della matrice extracellulare.

Il processo successivo è la arteriogenesi che consiste nel rimodellamento del plesso

vascolare primario, con la formazione di un albero vascolare gerarchico e altamente

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ramificato. Tale rimodellamento è delineato dallo specifico tipo di tessuto e da specifici stimoli e può essere inoltre influenzato da stati patologici, infiammatori o ischemici.

Con riferimento alla Figura 2.4, le cellule che mediano tutti questi fenomeni sono i monociti e le cellule endoteliali progenitrici (EPC) ma anche gli sforzi di taglio (shear stress) generati dal flusso svolgono un ruolo importante. È stato osservato che flussi turbolenti, con sforzi di taglio di modesta entità, stimolano le cellule endoteliali in misura maggiore di flussi laminari con sforzi di taglio più elevati [4]. Grazie a questi fenomeni, interi tratti sono continuamente rimossi o ripristinati durante lo sviluppo embrionale.

È stato osservato, inoltre, che regioni scarsamente ossigenate agiscono come zone attrattive per la neovascolarizzazione mentre zone altamente ossigenate esercitano azione repulsiva [5].

Figura 2.3: Sistema arterioso (in rosso) e sistema venoso (in blu) nell’uomo adulto.

(5)

Figura 2.5: Schematizzazione dei processi di angiogenesi e arteriogenesi;

EPC: Endothelial Progenitor Cells, BM: Basal Membrane, SM: Smooth Muscle cells.

L’angiogenesi è quindi la migrazione e la proliferazione coordinata di cellule endoteliali dal letto vascolare esistente e la loro successiva maturazione e stabilizzazione avviene coinvolgendo cellule murali (cellule muscolari lisce nei vasi di grande calibro, periciti nei vasi di medio calibro).

È interessante notare che gli angoli di biforcazione, la curvatura dei vasi principali e l’ordinamento gerarchico del sistema vascolare sono altamente stereotipati tra le varie specie. L’anatomia vascolare generale di un embrione di rana o di un pulcino è caratterizzata da un pattern principale sostanzialmente identico.

Altra particolarità da notare è che nei tessuti periferici, la disposizione di vasi sanguigni e

nervi è spesso congruente. Questo fenomeno potrebbe essere legato da un lato alle esigenze

fisiologiche dei nervi e dall’altro alla necessità di vasoregolazione dei condotti vascolari. Il

dualismo non è stato osservato nei tratti venosi mentre ulteriori conferme sono arrivate da

studi sulla vascolarizzazione del sistema nervoso centrale [5].

(6)

Figura 2.6: A sinistra, ramificazioni capillari di un embrione di rana paragonate a quelle di un embrione di gallina. A destra, dettaglio che mostra la sottile parete capillare formata da un solo strato di cellule endoteliali.

2.2. Perfusione dei tessuti

All’interno di un dato volume di tessuto, i microvasi si dividono in numerosissimi piccoli rami per massimizzare l’area di scambio dei nutrienti. In questo microambiente, la stasi del flusso viene scongiurata dall’effetto Fahraeus-Lindqvuist, secondo il quale le cellule del sangue e le pareti dei vasi hanno cariche superficiali dello stesso segno e quindi tra esse agiscono forze repulsive; e da un sottile film di carboidrati, chiamato glicocalice, presente sulla parete interna dello strato endoteliale [2].

Figura 2.7: Interazioni tra i globuli rossi e la parete vascolare.

(7)

Figura 2.8: A sinistra, schematizzazione del sistema di scambio capillare. A destra, ingrandimento di una biforcazione capillare: i globuli rossi passano uno per volta.

Figura 2.9: Lo scambio attraverso le pareti è legato al flusso e raggiunge un valore limite.

La diffusione (D) può essere espressa dalla seguente formula:

PSC D = −

dove P è la permeabilità della membrana (che dipende dall’area e dalla lunghezza dei pori), S è la superficie di scambio e C è il gradiente di concentrazione.

Lo scambio nei capillari è quindi un misto tra diffusione (importante per il trasporto di gas) e scambio limitato dal flusso (importante per il trasferimento delle molecole idrosolubili).

Il plasma è un fluido bifasico costituito da una fase solvente e da una fase che contiene

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diversi soluti; il solvente attraversa facilmente la matrice extracellulare mentre i soluti devono sottostare alle leggi della convezione e della diffusione:

D Q F = +

dove F è il flusso di soluto (che dipende dalla velocità del solvente) e Q è il flusso convettivo.

Ad esempio, soluti come glucosio o altri zuccheri sono trasportati tramite convezione assieme al loro solvente, l’acqua; soluti gassosi come l’ossigeno sono invece trasportati secondo un modello diffusivo.

Altro fattore che entra in gioco è la conduttività idraulica della matrice extracellulare, cioè l’abilità di far passare acqua attraverso di essa. Lo scambio dei nutrienti nei capillari quindi dipende anche da complessi bilanciamenti tra pressione idrostatica, pressione osmotica e pressione interstiziale [2].

Figura 2.10: Caratteristica diminuzione della pressione e della pulsatilità del flusso nei capillari.

(9)

Figura 2.11: Particolarità del flusso nei capillari, l’area della sezione totale è massimizzata mentre la velocità del flusso è minimizzata; tutto ciò facilita gli scambi.

2.3. Vasi artificiali

Per lo sviluppo di un tessuto artificiale vascolarizzato è necessaria una matrice idonea alla formazione di una vascolarizzazione e allo scambio dei nutrienti. La matrice dovrebbe essere in grado di ospitare sia quei fattori di crescita angioinduttivi che le cellule EPC, capaci di indurre arteriogenesi.

Ovviamente, i materiali per un sistema microvascolare artificiale ideale devono avere certe caratteristiche fondamentali:

- struttura e porosità adeguate;

- proprietà non-trombogeniche;

- compliance paragonabile a quella dei vasi naturali.

Con riferimento all’intera rete vascolare, per quanto riguarda gli ordini di grandezza,

troviamo: piccole arterie (diametro 1-2 mm), arteriole (diametro 100-1000 μm), capillari

(diametro 10-15 μm). Le terminazioni capillari inoltre non devono trovarsi a più di 150-

200 μm di distanza dalle cellule che devono nutrire.

(10)

Figura 2.12: A sinistra, schematizzazione della rete vascolare; a destra ingrandimento dei capillari nel miocardio di pecora.

2.3.1 Tipi di protesi vascolari

Occorre necessariamente fare una distinzione tra macro-grafts e micro-grafts poiché questi ultimi dispositivi, sono stati fino ad adesso sviluppati con tecnologie proprie del primo tipo di protesi e solo raramente con materiali e tecnologie completamente nuovi. Questo approccio non è ideale poiché le prestazioni richieste al dispositivo sono diverse dato che esistono fondamentali differenze tra le condizioni di flusso nei condotti arterioso e quelle nei condotti capillari (Figura 2.10).

In Tabella 2.1 è riportata una panoramica sui vari tipi di grafts vascolari sperimentati fino

ad oggi.

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Tabella 2.1: Stato dell’arte su macro-grafts e micro-grafts.

Autori Tipo di

Graft Soggetti ID (mm) Vasi Pervietà Commenti Harris et al.

(2002)

PTFE Topo <1 Epigastrico superficiale

20% a 4 sett. Graft venosi hanno il 100% di pervietà Demiri et al.

(1999) PTFE Topo 1 Femorale 25% a 4 sett. Graft venosi hanno il 100% di pervietà Seifalian et al.

(2003) CPU Cane 5 Aorto-

iliaco 100% a 3.5 anni In corso trials su uomo

Shinoka et al.

(1998) Polyglactin-

PGA Pecora 15 Polmonare 100% a 7 sett. Aumento del diametro interno Shum-Tim et

al. (1999) PHA-PGA Pecora 7 Aorta 100% a 21 sett. Anelli in PHA prevengono l'aumento del diametro interno Meinhart et al.

(2001) ePTFE +

EC Uomo da 6 a 7 Infra-

popliteale 74% a 7 anni Paragonabile a graft venoso

Lambert et al.

(1999) Dacron +

Eparina Uomo da 6 a 7 Infra-

popliteale 58% a 2.5 anni Migliori risultati del Dacron

Devine et al.

(2001) Dacron +

Eparina Uomo da 7 a 9 Femoro-

popliteale 55% a 3.5 anni Migliori risultati del PTFE

Weinberg et al.

(1986)

Collagene, Fb e SMC

In vitro ― ― ― Bassa resistenza

meccanica L'Heureux et

al. (1998)

Collagene, EC, SMC e Fb

In vitro 4.6 ― ― Resistenza meccanica

paragonabile ai vasi umani

Wilson et al.

(1995) AAM Cane da 3 a 4 Coronarico 44% a 6 mesi Fallimenti dovuti a rigetto

Teebken et al.

(2001) AAM Maiale 5 Carotideo 38% a 4 mesi Fallimenti dovuti a rigetto

Legenda: ID, diametro interno; PTFE, poli(tetrafluoroetilene); ePTFE, poli(tetrafluoroetilene) espanso;

CPU, compliant polyurethane grafts; PGA, polyglicolic acid; PHA, poliidrossialcanoati; Dacron, PET;

AAM, matrice allogenica acellularizzata; EC, cellule endoteliali; Fb, fibroblasti; SMC, cellule del muscolo liscio.

Macro-graft. I risultati clinici ottenuti fino ad oggi con le protesi in PTFE e Dacron ® (PET) sono accettabili per vasi di grosso calibro [6] mentre risultano ancora non soddisfacenti per vasi con diametro inferiore ai 6 mm [7].

Il problema principale a basse velocità di flusso è sicuramente la

trombogenicità dei materiali (in special modo il Dacron ® ) e l’elevato rischio

di iperplasia dell’intima. Sono stati fatti vari tentativi per risolvere i

problemi legati alla trombogenicità (irradiazione, incorporazione di

anticoagulanti) ma l’endotelizzazione è universalmente riconosciuta come

la migliore soluzione [8].

(12)

In questo contesto è stato osservato che l’endotelizzazione non dipende solo dal tipo di materiale ma anche dalla sua porosità: la protesi ideale deve avere pori con diametro compreso tra 18 e 50 μm [9].

Altra serie di problemi è legata alla compliance: la protesi subisce una minore deformazione radiale rispetto al vaso naturale e le conseguenze dannose aumentano al diminuire del diametro.

Recentemente, nuovi biomateriali complianti sono stati proposti; un esempio è il CPU, poli(carbonato-urea)uretano, attualmente in fase di trial clinico [10]. I vantaggi offerti da questo nuovo materiale sono la migliore compliance e la bassa reazione iperplasica. Recentemente ha dato buoni risultati in una applicazione con diametro di 2 mm [dati non pubblicati].

Altra nuova famiglia di biomateriali è composta da polimeri di proteine sintetiche reticolate per mezzo di radiazioni γ che mostrano ottime proprietà meccaniche e velocità di degradazione controllabile [11].

I limiti dei “vecchi” biomateriali come PTFE e Dacron ® per la realizzazione di protesi vascolari di piccolo calibro sono ormai stati confermati; la ricerca dovrà necessariamente orientarsi nella direzione di materiali alternativi per tali applicazioni.

Micro-grafts. Vengono definiti micro-grafts i vasi con diametro minore o uguale a 1 mm.

Fino ad adesso le tecnologie utilizzate per la loro realizzazione sono state principalmente quelle delle protesi di medio calibro e ciò ha limitato le loro performance in campo sperimentale e di conseguenza le loro applicazioni cliniche sono state scarse. I risultati più accettabili si sono avuti utilizzando nuovi tipi di biomateriali (come il CPU), rivestendo il lume interno della protesi con fattori antiaggreganti o con cellule endoteliali, e realizzando protesi bio-ibride con colture pre-impianto effettuate in vitro [12].

Ricordiamo che, man mano che la sezione del vaso diminuisce, le

caratteristiche delle pareti devono cambiare diventando sempre più sottili e

(13)

ad avere una limitata disponibilità, presentano anche numerose difficoltà tecniche di estrazione, in special modo se di sezione capillare. Particolare non di secondaria importanza è l’osservazione fatta in un recente studio secondo il quale, il modello animale (topo) mostra una veloce endotelizzazione delle protesi vascolari artificiali non sempre esportabile sul modello umano [14].

2.4. Organizzazione dei vasi

Il parametro che maggiormente limita gli scambi metabolici è sicuramente lo spazio che le sostanze devono attraversare. La risposta fisiologica a questo problema è l’appaiamento della componente arteriolare con quella venulare. Negli interspazi di tessuto ben vascolarizzato, tra arteriole e vene si diparte una fitta rete capillare la cui sezione ha una densità di 1300 capillari per mm 2 e la distanza intercapillare è di circa 34 μm. Questa distanza è ben inferiore alla massima distanza di diffusione di ossigeno, glucosio, anidride carbonica e altri prodotti di scarto. Arteriole e venule viaggiano dunque appaiate formando un efficiente sistema “contro-corrente” [15].

Diversi studi hanno dimostrato che un lembo di tessuto (biologico o ibrido) se opportunamente posizionato in prossimità di un peduncolo arterio-venoso, dopo un periodo dell’ordine delle settimane, viene vascolarizzato [16].

Più recentemente, è stato fatto un esperimento comparativo per vedere quale tipo di configurazione è la più adatta per iniziare e sostenere la perfusione di un tessuto impiantato [17]. Nell’inguine di 4 gruppi di ratti è stato posizionato un impianto in collagene I con quattro metodiche diverse Figura 2.12:

- gruppo A: gruppo di controllo (derma acellulare);

- gruppo B: loop arterio-venoso;

- gruppo C: fascio arterio-venoso legato;

- gruppo D: fascio arterio-venoso attraverso la matrice.

Gli autori dello studio, dopo aver esaminato i risultati a 4 settimane, hanno concluso che la

configurazione utilizzata sul gruppo B favorisce quantitativamente la formazione di

capillari e nuovo tessuto, tuttavia, la configurazione utilizzata sul gruppo C porta ad una

(14)

più densa e organizzata vascolarizzazione.

Figura 2.12: Le quattro metodiche di impianto implementate in [17].

2.5. Sostituti della matrice extracellulare

La matrice extracellulare (ECM, Extra-Cellular Matrix) è composta essenzialmente da proteine come collagene, fibronectina, laminina, da glucosamminoglicani (GAG), e da acqua [18].

Un materiale, candidato come sostituto di ECM, dovrebbero essere:

- biocompatibile;

- poroso e con proprietà meccaniche adeguate;

- facilmente reperibile;

- permeabile alla neovascolarizzazione e ai metaboliti;

- non immunogenico;

- biodegradabile;

- inerte;

- iniettabile.

(15)

Una struttura artificiale di sostegno dovrebbe essere una componente temporanea, che mantiene le cellule in situ, induce vascolarizzazione e formazione di nuovo tessuto e viene progressivamente degradato e sostituito con i costituenti naturali della ECM.

I materiali attualmente utilizzati possono essere suddivisi in naturali e sintetici. In una visione d’insieme del tutto generale e senza scendere troppo nel dettaglio, cercheremo di mostrare vantaggi e svantaggi delle due categorie.

Tabella 2.2: Materiali naturali utilizzati per la realizzazione di strutture ECM-like.

Biomateriale Composizione Caratteristiche Commenti Modifiche References Alginato Acido β-D-

mannuronico + acido α-L- glucuronico

Gel non dipendente

dalla temperatura Troppo

cedevole Inclusione di microsfere, cross- linking con eparina, inclusione di sequenze RGD

Halberstadt (2002)

Agarosio Agarosio Gel solido Troppo

cedevole

Aggiunta di eparina Watanabe (1998) Acido

Ialuronico (HA)

Acido

glucuronico + N-acetil-D- glucosammina (GAG lineare)

Gel biodegradabile, biocompatibile, ± fotopolimerizzabile

Prodotti di degradazione angiogenici;

non adesivo per le cellule

Cross-linking con chitosano, inclusione di sequenze RGD, aggiunta di metacrilato

Slevin (2002)

Colla di Fibrina

Monomeri di fibrina

Gel iniettabile Strutturalmen te debole

Cross-linking con eparina

Shireman (2000) Collagene/

gelatina Collagene tipo I

(atelocollagene) Poroso e permeabile Scarsa resistenza meccanica

Cross-linking con

eparina Kuberta

(2002)

2.5.1 Materiali naturali

Un primo esempio è l’alginato, polisaccaride anionico reticolato in forma di gel tramite livelli non tossici di ioni calcio. Alcuni studi hanno mostrato la possibilità di incorporare all’interno di esso fattori di crescita di diverso tipo. L’idrogel si presenta meccanicamente simile ad un tessuto animale, è inoltre indipendente dalle variazioni di temperatura ma tende a decomporsi velocemente (4 giorni) rilasciado i suoi componenti; questo rilascio può essere evitato incorporando dei peptidi nella struttura (Tabella 2.2).

Anche gels di agarosio, altro polisaccaride, sono stati impiegati per realizzare strutture in

grado di rilasciare fattori di crescita ma non sono state rilevate caratteristiche di rilascio

accettabili (Tabella 2.2).

(16)

L’acido ialuronico, GAG lineare, offre buona biocompatibilità e viene facilmente degradato dall’enzima ialuronidasi, tuttavia inibisce la proliferazione delle cellule endoteliali; in forma di gel composito con chitosano, altro GAG, ha mostrato risultati molto buoni in termini di endotelizzazione (Tabella 2.2).

La colla di fibrina, ricavata da sangue coagulato, è stata impiegata come mezzo iniettabile per il rilascio localizzato di fattori di crescita ma si è mostrata strutturalmente debole (Tabella 2.2).

Il collagene di tipo I, reticolato con eparina, è stato invece utilizzato con buoni risultati per la creazione di strutture tridimensionali altamente porose (pori con diametro tra 50 e 150 μm) sulle quale sono stati seminati fibroblasti, condrociti e cellule di cordone ombelicale umano (HUVECs, Human Umbelical Vein Endothelial Cells) (Tabella 2.2).

Altro composto usato per realizzare scaffolds in vitro è il Matrigel, gel formato con proteine della membrana basale, ma le esperienze sono limitate [19].

Scaffolds sono stati realizzati anche con sub-mucosa intestinale porcina [20], derma acellularizzato, membrana amniotica da cadavere [21]; il problema principale comune è la debolezza strutturale che ne inficia l’utilizzo in condizioni di flusso dinamiche.

2.5.2 Materiali sintetici

La lista dei polimeri sintetici utilizzati come sostituti di EMC è sicuramente più lunga

rispetto a quella dei materiali naturali. Con riferimento alla Tabella 2.3, vediamo qualche

esempio.

(17)

Tabella 2.3: Materiali sintetici utilizzati per la realizzazione di strutture ECM-like.

Polimero Resist. a

Compr. Sintesi DT

(mesi) Sottoprodotti Vantaggi Svantaggi References PGA 7.5 GPa E/S/C 6–12 Acido glicolico Poroso,

biocompatibile, non tossico, non infiammatorio, metaboliti di scarto naturali

Non

flessibile Chu et al., (1981)

PLA 2.7 GPa E/S/C >24 Acido L-lattico Poroso,

biocompatibile, non tossico,

degradazione lenta, metaboliti di scarto naturali

Idrofobico Guanatillake et al., (2003)

PLGA 1.9 GPa E/S/C 12–16 Acido D-lattico

e L-lattico Poroso,

biocompatibile, non tossico, non infiammatorio

Troppo

cedevole Vert et al., (1994)

PL 0.4 GPa E/S/C >24 Acido caproico Biocompatibile, non

tossico Struttural.

debole Middleton et al., (2000)

PPF 2–30 MPa I ≈30 Fumarato, PEG,

acido

poli(acrilico-co- fumarico)

Biocompatibile, non tossico,

minimamente infiammatorio, fotopolimerizzabile, resistente

Non

rilevanti Peter et al., (1998)

PA 1.3 MPa Tp 12

in vitro Acidi dicarbossilici

Biocompatibile, termoplastico, erode superficialmente, angioinduttivo

Meccanic.

debole

Erdmann et al., (2000)

PC Buona Tp Molto

lungo

Tirosina, CO2 e alcoli

Poroso, biocompatibile, termoplastico, osteoconduttivo

Sottoprod.

acidi

Muggli et al., (1999)

PU 8–40 MPa Ti 1–2 Lisina, acido

glicolico, acido caproico

Biocompatibile, resistente, flessibile

Tossicità di alcuni PUs

Guanatillake et al., (2003)

PPZ Buona ― ― Fosfati e

ammoniaca Biocompatibile, osteoconduttivo, resistente

Non rilevanti

Guanatillake et al., (2003)

POE Buona ― ―* Acidi

carbossilici Biocompatibile, osteoconduttivo, resistente

Non

rilevanti Ng et al., (1997)

Ppy ― ― <13 ― Elettricamente

conduttivo, minimamente infiammatorio

― Jiang et al., (2002)

Legenda: DT, tempo di degradazione; PGA, acido poliglicolico; PLA, acido polilattico: PLGA, copolimero PLA-PGA; PL, polilattato; PPF, polipropilenfumarato; PA, poliacrilato; PC, policarbonato; PU, poliuretano; PPZ, polifosfazene; POE, poliortoestere; Ppy, polipirrolo; E, estrusione; S, stampaggio; C, colata; I, iniezione; Tp, termoplastico; Ti, termoindurente;

*DT regolabile.

(18)

Il PGA (acido poliglicolico) è un poliestere non elastico con alto grado di cristallinità (circa 50%); in acqua degrada in acido glicolico (Tabella 2.3).

Il PLA (acido polilattico) è meno cristallino del PGA ma più idrofobico e quindi meno soggetto a degradazione in acqua.

Il PLGA è un copolimero formato da PGA e PLA e presenta forma amorfa con porosità alta che si degrada in tempi compresi tra 2-6 mesi; è stato utilizzato in applicazioni di rilascio controllato di fattori di crescita con buoni risultati (Tabella 2.3).

Gli studi sulla realizzazione di microvasi artificiali coinvolgono principalmente PGA, PLA e i loro vari copolimeri.

I PL (polilattici), come ad esempio il CL (caprolattone), presentano buona biocompatibilità ma sono strutturalmente deboli e hanno lunghi tempi di degradazione (3 anni in vitro) (Tabella 2.3).

I PPF, poliesteri basati sui fumarati, sono iniettabili, strutturalmente molto forti e presentano tempi di degradazione in vitro dell’ordine dei 200 giorni (Tabella 2.3).

I PA (poliacrilati) sono dei termoplastici con buona biocompatibilità che hanno proprietà favorenti la vascolarizzazione; i tempi di degradazione sono dell’ordine dei 12 mesi (Tabella 2.3).

I PC (policarbonati) avrebbero ottime caratteristiche meccaniche e di biocompatibilità ma la loro degradazione porta alla formazione di sottoprodotti acidi indesiderati (Tabella 2.3).

La prossima generazione di polimeri sarà sicuramente rappresentata dai materiali bioelastici: polimeri formati da proteine capaci di convertire calore o energia chimica in energia meccanica.

Lo scaffold potrebbe quindi diventare, da elemento “passivo”, a elemento meccanicamente attivo che stimola le cellule che vi si trovano in contatto dando vita a processi di meccanotrasduzione [22].

2.6. Super-strutture

(19)

disporsi secondo patterns regolari o irregolari che conferiranno al materiale finale caratteristiche rispettivamente cristalline o amorfe.

Queste conoscenze possono essere impiegate nella realizzazione di ECM artificiali: alcuni studi hanno mostrato che uno scaffold caratterizzato da pori di piccole dimensioni favorisce l’espansione cellulare [23].

Le super-strutture esistono sotto tre principali forme:

- tessile (woven o knitted);

- sistema open-pore;

- sistema angiopolare.

La forma angiopolare prevede una orientazione spaziale dei pori che può favorire l’espansione di nutrienti o di microvasi in determinate direzioni [24].

Qualcosa in più si può dire sulla dimensione dei pori:

- macropori (≈ 500 μm): influiscono sul tipo cellulare;

- mesopori (20-30 μm): permettono ai microvasi di vascolarizzare la struttura polimerica;

- micropori (< 10 μm): regolano il trasporto di molecole all’interno del materiale.

Le caratteristiche dei pori possono essere modulate scegliendo il più appropriato metodo di sintesi del polimero (estrusione, salt leaching, casting, phase inversion, ecc.).

2.7. Semina delle cellule sulla matrice

La fase di semina delle cellule sulla ECM artificiale è insita nel processo di realizzazione di uno scaffold bio-ibrido.

Un fattore da tenere in conto è la vitalità cellulare a lungo termine: le cellule devono essere in grado di sopravvivere fino a quando non avrà avuto luogo la neovascolarizzazione [25].

Le cellule più utilizzate per una rapida produzione di ECM sono i fibroblasti e i condrociti.

Questi ultimi hanno necessità metaboliche veramente basse e riescono a sopravvivere in condizioni di minima perfusione, tuttavia, in monocoltura formano solo tessuti rigidi. Per questa ragione in letteratura si trovano esempi di colture miste: condrociti-cellule muscolari lisce [26].

Altro tipo di cellule, di impiego più limitato, sono gli adipociti; è stata anche dimostrata

(20)

una loro capacità di differenziazione che le vedrebbe come una sorta di cellule staminali [27].

2.8. Vascolarizzazione dell’impianto

In base a quanto detto finora, scaffolds e microvasi sono componenti essenziali di un letto capillare in un prodotto di ingegneria tissutale. Altrettanto importante è però la connessione del nuovo tessuto all’organismo ricevente.

Questo può avvenire con la concomitanza di due processi, l’inserimento dei vasi dell’host all’interno dello scaffold (angioinduzione) e l’incontro di essi con i vasi integrati nel tessuto impiantato (per questa sorta di anastomosi tra vasi naturali e vasi artificiali viene spesso usato il termine inglese inosculation). C’è da dire che la presenza di una rete microvascolare all’interno di una matrice non è sufficiente a garantire l’integrazione del tessuto, occorre fare in modo che i due sistemi si mettano in comunicazione tra di loro.

Abbiamo precedentemente accennato che il ruolo delle cellule endoteliali è quello di conferire proprietà non trombogeniche ai vasi, mentre quello delle EPC, provenienti dal midollo osseo e dalle pareti dei vasi, è quello di stimolare la vasculogenesi post-natale (formazione di reti vascolari) [28].

Alcuni autori sono arrivati a definire una sorta di vasculogenesi post-natale terapeutica, dimostrando che la formazione di reti vascolari può essere promossa iniettando in circolo EPC da coltura [29].

Numerose esperienze sono state fatte anche nella vasculogenesi in vitro, alcune sono

raccolte in Tabella 2.4.

(21)

Tabella 2.4: Esperienze in vitro di angiogenesi e vasculogenesi.

Tipo Cellulare

Formazione di CLS (giorni)

Induzione della Morfogenesi

Matrice Organizzaz.

Spaziale References EC di capillari bovini 2–3 Spontanea Sandwich di

collagene I

3-D Montesano et al.

(1983) Cellule staminali

embrionali 12 Spontanea Piastre da

coltura 3-D Doetschman et

al. (1985) Frammenti di tessuto

muscolare e adiposo 3–12 Spontanea Fibrina +

collagene I 3-D Montesano et al.

(1987) EC di aorta di

bovino, HUVEC 1 Spontanea Fibrina 2-D Olander et al.

(1985)

EC di capillari bovini 5–15 Citochine Collagene I 3-D Montesano et al.

(1986) EC di capillari bovini 2–3 Esteri di

forbolo Fibrina 3-D Montesano et al.

(1987) EC di vena

ombelicale umana, HDMEC

1 Spontanea Matrigel 2-D Kubota et al.

(1988) EC di capillari bovini 1–2 Citochine

spontanee

Fn + collagene IV + Matrigel

2-D Ingber et al.

(1989) Espianto aortico da

ratto 7 Spontanea Fibrina +

collagene I 3-D Nicosia et al.

(1990) EC di aorta di bovino 10–18 Spontanea Collagene I 2-D Vernon et al.

(1995) EC di vena

ombelicale umana

1 Spontanea Sandwich di

fibrina I o II

3-D Chalupowicz et

al. (1995) Frammenti si

microvasi di tessuto adiposo di ratto

4–6 Spontanea Collagene I 3-D Hoying et al.

(1996) EC di aorta di vitello 2–7 Citochine

spontanee Micro-carriers

di fibrina 3-D Nehls et al.

(1996) EC di vena

ombelicale umana, EC della retina di bovino

1–2 Spontanea Fibrina 2-D Vailhe et al.

(2001)

Cellule staminali

embrionali 11 Spontanea Metilcellulosa 3-D Vittet et al.

(1996) Vasi estratti dalla

placenta umana 7–21 Spontanea Fibrina 3-D Brown et al.

(1996) Microvasi di tessuto

adiposo di topo 14 Citochine

spontanee Gel di

collagene 3-D Arthur et al.

(1998) EC di aorta di

bovino, HUVEC 3

Spontanea Fibrina +

collagene I 3-D Korff et al.

(1999) EC estratti dal

midollo umano

21–50 Citochine spontanee

Fn + collagene I

2-D Pelletier et al.

(2002)

Legenda: EC, cellule endoteliali; HUVEC, human umbelical vein endothelial cell; HDMEC, human dermal

microvascular endothelial cell; Fn, fibronectina.

(22)

Il risultato rilevante è che queste cellule, opportunamente stimolate da gradienti di fattori di crescita o da stimoli meccanici applicati attraverso lo scaffold, si organizzano in strutture capillari tubolari.

Nel processo di angioinduzione (vascolarizzazione dell’impianto da parte dell’organismo ricevente) il ruolo principe spetta ai fattori di crescita utilizzati e al loro sistema di rilascio.

L’espressione di alcuni dei fattori è inoltre legata alla condizione di ipossia, stimolo primario che scatena l’espansione capillare.

La Tabella 2.5 mostra i ruolo dei vari fattori nel processo di angiogenesi.

Tabella 2.5: Ruolo dei fattori di crescita angiogenici durante lo sviluppo vascolare.

Evento Fattore Recettore Azione

Induzione angioblasti FGF FGFr Formazione angioblasti

Conversione di angioblasti in EC VEGF VEGFR2/Flk-1 Formazione EC

Formazione di tubuli di EC VEGF VEGFR2/Flk-1 Plesso vascolare primario

Sprouting angiogenico VEGF VEGFR2/Flk-1,

VEGFR-1/Flt-1 Angiogenesi

Attivazione di EC TGF-β1 ALK-1, ALK-5 Modulazione angiogenica

Inpessimento dei vasi Angiopoietina-1 Tie-1 Stabilizzazione dei vasi

Recrutamento di SMC PDGF-β PDGFR-β Stabilizzazione dei vasi

Assottigliamento dei vasi Angiopoietina-2 Tie-1, Tie-2 Antagonismo a angiopoietina-1 Differenziazione artero-venosa Efrina B2 Eph B4 Rimodellamento

Legenda: FGF, fibroblast growth factor; VEGF, vascular endothelial growth factor; TGF-β1, trasforming growth factor-β1, PDGF-β, platelet-derived growth factor β.

Il controllo su scala spaziale e su scala temporale del rilascio di fattori di crescita potrebbe essere quindi uno dei requisiti fondamentali per la formazione di una rete micro-vascolare funzionale e organizzata.

In vitro, il rilascio controllato può avvenire incorporando i fattori all’interno del materiale

(23)

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