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Stato dell’Arte su Microvascolarizzazione dei Tessuti Artificiali e Microvasi Artificiali

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Academic year: 2021

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Capitolo III

Stato dell’Arte su Microvascolarizzazione dei Tessuti Artificiali e Microvasi Artificiali

Prima di descrivere il lavoro svolto in un periodo di Tesi è sempre opportuno fare una ricerca bibliografica mirata a reperire un numero adeguato di pubblicazioni sulle varie riviste scientifiche del settore. I lavori sperimentali contenuti in questo capitolo costituiscono lo “stato dell’arte” per quanto riguarda la realizzazione in vitro di vasi di diametro capillare e la realizzazione in vitro di tessuti di varia natura provvisti di microvascolarizzazione inerente.

3.1. Perchè realizzare reti capillari?

La possibilità di disporre a piacimento di vasi di diametro capillare o di microvasi (per definizione con diametro interno minore di 1 mm) potrebbe aprire un certo numero di porte che fino ad adesso hanno mostrato solo uno spiraglio.

Come accennato precedentemente, il problema più grande dell’Ingegneria Tissutale è mantenere la vitalità cellulare. Una volta impiantate nel paziente, le cellule presenti sul

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tessuto ingegnerizzato consumeranno entro poche ore le proprie scorte di ossigeno e nutrienti, mentre il processo di angiogenesi (crescita di nuovi vasi) richiederà diversi giorni prima di poter provvedere alle esigenze metaboliche del nuovo tessuto. La soluzione potrebbe essere rappresentata da scaffolds in grado di rilasciare opportuni fattori di crescita angiogenici come il VEGF (vascular endothelial cell growth factor) o il FGF (fibroblast growth factor). Tuttavia, con questo approccio la vascolarizzazione non è molto rapida e la stabilità dei vasi non è ottimale ai fini applicativi. Altra alternativa potrebbe essere quella di usare sostituti di pelle ingegnerizzati contenenti fibroblasti del derma in grado di rilasciare anche diversi fattori di crescita angiogenici.

Un approccio diverso prevede invece l’utilizzo di cellule staminali e progenitrici in quanto è stato osservato che la resistenza a condizioni di ipossia di questi tipi cellulari è di gran lunga superiore a quelle di tutti gli altri tipi.

Molto più ambizioso è l’approccio che prevede di realizzare in vitro un tessuto contenente una rete vascolare integrata con dimensioni e caratteristiche tali che ne permettano la connessione ai vasi del paziente durante l’intervento di impianto. La complessità associata alla presenza di milioni di cellule disposte tridimensionalmente in maniera organizzata, potrebbe essere affrontata con dei modelli software capaci di creare dei pattern bidimensionali che sovrapposti danno vita a strutture tridimensionali in grado di guidare la crescita dei vasi.

3.1.1 – Impieghi in Cardiochirurgia

Un primo impiego è nel settore della Cardiochirurgia, con riferimento ai by-pass coronarici. Il termine inglese by-pass oggi non è più solo utilizzato in ambito clinico ma è entrato nel linguaggio di uso comune (si dice bypassare quando si vuole aggirare, scavalcare qualcosa). A grandi linee infatti, tutti sanno che un intervento di by-pass consiste nell’aggirare una ostruzione arteriosa, causata ad esempio da una placca aterosclerotica, utilizzando un segmento vascolare, naturale o artificiale, che viene opportunamente connesso (in termini medici, anastomizzato) a monte e a valle dell’ostruzione. In questo modo si riporta a livelli accettabili l’afflusso di sangue verso i tessuti a valle dell’ostruzione. In realtà, esiste anche il by-pass ileale che viene eseguito sul tubo digerente in casi gravi di obesità ma è meno noto.

I siti dove può rendersi necessario l’intervento di by-pass vascolare sono tutti quei siti dove è possibile la formazione di placche aterosclerotiche, trombi o restrizioni dei vasi che

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inficiano l’efficienza del flusso ematico, quindi potenzialmente tutti i rami del circolo arterioso anche se con incidenza diversa in base alle regioni del corpo.

Quando il segmento vascolare da impiantare ha un diametro medio-grande (> 4 mm) i problemi sono relativamente pochi: l’intervento ha buone probabilità di successo sia nel caso vengano utilizzate protesi vascolari artificiali, sia nel caso in cui si utilizzino segmenti vascolari prelevati da altri siti dello stesso paziente (vedi Cap. II). La situazione si complica quando il segmento da impiantare deve avere un diametro piccolo (meno di 2 mm): è questo il caso dei by-pass coronarici (Figura 3.1). Le coronarie sono quella rete di piccoli vasi che provvede all’irroramento di tutto il tessuto cardiaco e la loro occlusione porta all’infarto del miocardio con successiva necrosi delle cellule muscolari cardiache.

Figura 3.1: Le ostruzioni coronariche possono richiedere l’utilizzo di micrografts vascolari.

In questi casi, l’utilizzo di protesi artificiali è poco sicuro poiché le prestazioni di tali dispositivi non sono attualmente all’altezza di quelle richieste. L’utilizzo di segmenti vascolari autologhi è ostacolato dalle grosse difficoltà tecniche che si incontrano nella procedura di estrazione del segmento.

Segmenti vascolari di piccolo diametro realizzati in vitro potrebbero essere impiegati negli interventi di by-pass coronarico, ovviamente utilizzando microscopi chirurgici per effettuare le microanastomosi.

3.1.2 – Impieghi in Ingegneria Tissutale

Un largo impiego dei vasi capillari “artificiali” potrebbe poi essere appannaggio dell’Ingegneria Tissutale. Come accennato nei precedenti capitoli, il gradino più alto che

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impedisce la realizzazione di tessuti di spessori rilevanti (dell’ordine del centimetro) è rappresentato dai limiti di trasporto di ossigeno e nutrienti. Il trasporto diffusivo, già a distanze millimetriche non è più sufficiente per garantire il nutrimento dei tessuti; come pensare di realizzare un organo se non si riesce a realizzare un tessuto? La risposta potrebbe essere la microvascolarizzazione. Reti di capillari potrebbero essere integrate nei tessuti rigenerati o negli scaffolds e potrebbero svolgere lo stesso ruolo che svolgono negli organismi animali, cioè portare le sostanze nutritive ad ogni singolo cluster di cellule e rimuovere i prodotti di scarto del matabolismo.

Un set-up sperimentale con queste caratteristiche permetterebbe anche di studiare in vitro i complessi fenomeni di angiogenesi e vasculogenesi dei quali ancora si sa troppo poco e sui quali sono indirizzati gli studi di molti gruppi di ricerca internazionali. Capire a fondo questi meccanismi significa avere un’arma in più contro i tumori in quanto è stato accertato che le regioni colpite da tumore hanno dei processi di angiogenesi accelerati in modo anormale poiché le cellule tumorali hanno una più elevata attività metabolica rispetto a cellule sane.

Alcuni sostengono che l’impatto più grosso dell’Ingegneria Tissutale avverrà nei prossimi dieci anni [1] e avrà come fulcro la creazione in vitro di modelli fisiologici per studiare la patogenesi di malattie e per sviluppare agenti terapeutici. Ad esempio, una rete capillare tridimensionale potrebbe essere usata per studiare gli effetti di una larga varietà di disturbi in un sistema ad alta produttività e ragionevolmente fisiologico. In questo contesto assumono notevole importanza anche le nuove tecniche di microfabbricazione e le nuove conoscenze sulla microfluidica, che giocheranno un ruolo chiave nella modellizzazione dei sistemi fisiologici e nella diagnostica in vitro.

Pensando ai settori che trarrebbero vantaggio da tutto ciò viene in mente quello dello sviluppo dei farmaci antitumorali. Un valido modello in vitro di matastasi tumorale, in grado di mimare le relazioni tra le singole cellule tumorali e la rete microvascolare, potrebbe facilitare molto lo sviluppo di farmaci antimetastatici.

3.1.3 – Impieghi in Farmacologia

Anche in campo farmacologico, un tessuto vivente e vascolarizzato potrebbe ridurre le sperimentazioni su animali in quanto il costrutto creato avrebbe delle caratteristiche che lo avvicinano di più ad un organismo umano rispetto a quanto potrebbe fare un topo o una cavia. Si parla di modelli animali in vitro riferendosi a sistemi artificiali che presentano

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caratteristiche sovrapponibili ai sistemi biologici naturali da cui sono tratti. Ovviamente il grado di somiglianza, la cosiddetta validità del modello, dipende dalla sua complessità e da uno scaling opportuno.

Su questo argomento, come su altri, la comunità scientifica non ha un pensiero uniforme:

secondo alcuni non sarà mai possibile sostituire gli animali nelle sperimentazioni a causa della complessità insita in tutti i sistemi biologici; secondo altri, solo particolari farmaci salvavita richiederanno l’utilizzo di animali per i test, mentre per quanto riguarda gli altri farmaci e soprattutto per i prodotti cosmetici sarà possibile utilizzare tessuti realizzati in vitro con tecniche di Ingegneria Tissutale e di conseguenza il numero di animali impiegati sarà notevolmente ridotto.

Figura 3.2: Tipico ratto impiegato nei laboratori di ricerca.

Gli organi normativi della Comunità Europea sembrano essere d’accordo con quest’ultimo punto di vista. L’ECVAM (European Centre for Validation of Alternative Methods) ha sviluppato nuovi test alternativi in grado di sostituire le sperimentazioni sugli animali per determinati farmaci e prodotti chimici. I nuovi test utilizzano colture cellulari anziché animali per stabilire la tossicità dei farmaci contro il cancro e per individuare medicinali contaminati. I nuovi metodi sono inoltre più accurati dei test sugli animali e pertanto renderanno più sicuri i prodotti in questione. La ricerca condotta dall’ECVAM è finanziata a titolo dei Programmi Quadro Comunitari per la Ricerca, di cui l'attuale è il Sesto Programma Quadro (6th Framework Program). Tale ricerca è sostenuta dagli Stati membri dell'Unione, dall'Industria e dalle Organizzazioni Animaliste.

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3.1.4 – Impieghi in Chirurgia Ricostruttiva

Nella pratica clinica corrente, la Chirurgia Ricostruttiva è sicuramente l’unico mezzo per riparare a quegli eventi, di ordine traumatico o patologico, che causano ferite estese.

L’approccio che conduce ai migliori risultati in termini qualitativi, estetici e clinici, è la flap-surgery. Un flap può essere definito come una porzione di tessuto che viene trasferita da un sito “donatore” ad un sito “ricevente” e che mantiene una sua autonoma e inerente vascolarizzazione. Si parla di flap libero con riferimento al concetto di angiosoma: un’area di tessuto vascolarizzata che presenta un singolo peduncolo vascolare [2]. Le porzioni di tessuto possono essere di diversa forma ed estensione, e possono essere costituiti semplicemente da pelle oppure da altre tipologie di tessuto soffice o duro (muscolare, osseo, adiposo). Dato che il termine flap viene spesso confuso con il termine graft è necessaria una specificazione: un flap viene trasferito con la propria rete vascolare intatta mentre un graft è un trasferimento di tessuto senza la componente vascolare.

Il primo trapianto di tessuto microvascolarizzato fu effettuato nel 1969 [3] e da allora la Chirurgia Ricostruttiva è stata letteralmente rivoluzionata. Purtroppo tale metodica non è esente da aspetti negativi, infatti si tratta di prelevare il tessuto da un’area sana per ripristinare l’area danneggiata. Questo fa della necessità di tessuti alternativi una esigenza reale e la soluzione potrebbe venire dal campo dell’Ingegneria Biomedica.

Solo negli USA, 21 milioni di persone ogni anno fa affidamento su prodotti dell’Ingegneria Biomedica [4]. Protesi vascolari e valvolari, impianti dentali e sostituti cutanei artificiali sono solo alcuni esempi.

Nello specifico caso degli impianti tissutali, la tecnologia attuale non riesce ancora a svincolare il successo clinico dell’impianto dal tipo di trasporto diffusivo che ne limita lo spessore finale e che conduce a eventi fibrotici. Attualmente non è disponibile nessun costrutto artificiale dotato di una vascolatura integrata ed efficiente che possa essere connessa al sistema circolatorio dell’organismo ricevente e questa limitazione è molto severa poiché la vascolarizzazione è la forza trainante di qualsiasi tessuto vivente.

Recentemente, buoni risultati ha ottenuto il prodotto INTEGRA®: un sostituto cutaneo artificiale per il trattamento delle ustioni che, dopo l’applicazione è capace di richiamare fibroblasti, favorire la neovascolarizzazione e la maturazione dei vasi con un processo che dura diversi mesi [5].

Tempi clinici più rapidi sono stati mostrati dal sostituto composito di pelle CSR (Composed Skin Replacement): si tratta di tessuto dermico allogenico decellularizzato

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seminato con cheratinociti da coltura [6].

Comunque, ad oggi, nessuno studio clinico è stato effettuato su strutture impiantabili con vascolarizzazione inerente o con fattori angiogenici incorporati nella struttura.

Nessun trasferimento di tessuto può essere fatto a costo zero ed è onere del chirurgo fare in modo che il prezzo da pagare sia sempre il minimo possibile. Con una rete microvascolare autonoma si potrebbe pensare di realizzare in vitro il flap della forma, spessore e tipo tessutale necessario. Con ciò, si eviterebbe il trasferimento della porzione tessutale e tutti i rischi ad essa legati.

Figura 3.3: Varie tipologie di flap.

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3.2. Microvascolarizzazione di tessuti artificiali

Nonostante la ricerca in questo settore coinvolga diversi gruppi, un tessuto ingegnerizzato con vascolarizzazione inerente è attualmente lontano da una sicura e diffusa applicazione clinica [7]. Tuttavia, si possono individuare alcune strategie di realizzazione che potrebbero tra qualche anno colmare il gap tra ricerca sperimentale e pratica clinica.

I primi approcci sono stati quelli in vitro e prevedevano la realizzazione di strutture polimeriche dotate di micropattern che mimassero in qualche modo la geometria delle reti microvascolari. Qualche evidenza è stata ottenuta grazie alle tecniche di microfabbricazione ma tali tecniche non permettono di ottenere strutture tridimensionali con una risoluzione sufficiente e limitano i microvasi soltanto ad uno sviluppo planare [8].

Tali studi hanno permesso però di comprendere che per la formazione di reti capillari tridimensionali non basta solo individuare il pattern ma bisogna anche considerare il materiale con il quale verrà realizzato il substrato. Prendendo spunto da queste scoperte è stato possibile prevedere il rilascio di fattori angiogenici da parte del materiale dello scaffold [9]. Altra importante evidenza riscontrata negli studi di questo tipo stabilisce che nei processi di angiogenesi, le cellule endoteliali non sono le uniche protagoniste: monociti e macrofagi svolgono un ruolo importante nella creazione dei “microtunnel” che verranno successivamente colonizzati dalle cellule endoteliali mentre le cellule murali hanno il compito di stabilizzare e mantenere la struttura microvascolare [10].

Per quanto riguarda gli approcci in vivo, l’idea è quella di utilizzare le capacità rigenerative dell’organismo del paziente stesso per ottenere costrutti pre-vascolarizzati. Tale approccio prevede l’impianto di uno scaffold in un’area altamente vascolarizzata allo scopo di promuoverne la neovascolarizzazione. Dopo un certo lasso di tempo, lo scaffold verrà rimosso e trasferito nel sito di interesse proprio come una normale porzione di tessuto [11].

L’insieme di queste procedure è stato denominato “in-vivo Tissue Engineering”. Una procedura di questo tipo, clinicamente applicata con successo nel trattamento dei difetti mandibolari, prevede lo sfruttamento delle potenzialità osteogeniche e angiogeniche del periostio attraverso l’impianto di una apposita tissue chamber in PMMA (polimetilmetacrilato) all’interno della quale cresce e si sviluppa il nuovo costrutto [12].

La neovascolarizzazione dei tessuti, come anticipato precedentemente, oltre ad essere un’importante area di ricerca per l’Ingegneria Tissutale assume anche una notevole importanza nella pratica clinica e in altri settori.

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Alcuni approcci sembrano essere promettenti ma non si possono non citare quelli che sono i “nodi da sciogliere” in questo settore:

ƒ individuare e comprendere le differenze tra modelli animali e modelli umani;

ƒ approfondire le conoscenze sulla neovascolarizzazione in condizioni patologiche o alterate (retinopatie diabetiche, ipertensione, neoplasie, vecchiaia sono solo alcuni esempi);

ƒ controllare lo sviluppo microvascolare non solo spazialmente ma anche temporalmente individuando il legame tra stimoli ambientali e struttura.

Figura 3.4: In-vivo Tissue Engineering, strategia chirurgica nella quale il periostio promuove la vascolarizzazione di un costrutto artificiale impiantato su di esso.

3.3. Microvasi artificiali

Mentre diversi studi, alcune dei quali accennati in precedenza, mirano alla realizzazione in vitro di una struttura microvascolarizzata, sono poche in letteratura le esperienze indirizzate alla realizzazione di microvasi singoli da integrare in tessuti artificiali.

Il vantaggio nell’impiego di singoli microvasi piuttosto che di reti microvascolari è evidente quando si deve operare in quei distretti che non possono sopportare lunghi periodi di carenza di ossigeno e nutrienti (e.g. le cellule del miocardio vanno irreversibilmente in

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necrosi dopo 4–6 ore di ipossia). La neovascolarizzazione di un tessuto richiede tempi che in questo contesto si possono considerare lunghi.

Un approccio significativo descritto da Neumann et al. [13] prevede la creazione di microvasi a partire da cellule del muscolo liscio (SMC prelevate dall’aorta di ratti adulti) coltivate su supporti polimerici cilindrici. Fili in nylon (127 μm di diametro e 80 mm di lunghezza) sono stati utilizzati come templates dopo essere stati trattati con una soluzione di laminina-1. Tale trattamento ha reso la superficie dei fili maggiormente idonea all’adesione cellulare e ha contribuito a mantenere il fenotipo. Le strutture sono state poste in una sospensione di 106 cellule/ml e dopo 7 giorni i fili in nylon sono stati meccanicamente estratti. Per facilitare l’estrazione ed evitare che le microstrutture cellulari cilindriche collassassero sotto il loro stesso peso, è stato necessario inglobarle in un gel di agar. È stata realizzata ad hoc una camera di coltura a flusso pulsatile all’interno della quale i microvasi hanno sostenuto un flusso pulsatile per più di 7 giorni senza arrivare a rottura. In circa 28 giorni di coltura i microvasi formatisi, hanno mostrato una parete di 55–

85 strati cellulari e un diametro interno di 100–150 μm.

Figura 3.5: Microvaso artificiale dopo 21 giorni di coltura realizzato in [13].

A sinistra la vista dall’alto, a destra la sezione trasversale.

Un secondo tipo di approccio, più recente, è descritto da Chrobak et al. [14] e consiste nella creazione di microtubuli (da 75 a 150 μm di diametro) in gel di collagene formati esclusivamente da cellule endoteliali. Usando tecniche di microfabbricazione è stata realizzata una celletta in silicone biocompatibile all’interno della quale è stato inserito un ago in acciaio inglobato in matrice di collagene. Dall’estrazione dell’ago si ricava un condotto cilindrico all’interno del quale viene effettuata la semina dinamica di cellule

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endoteliali. Lo studio è stato condotto con diversi tipi di cellule endoteliali, HUVEC (Human Umbelical Vein Endothelial Cell) e HDMEC (Human Dermal Microvascular Endothelial Cell) e ha mostrato che i condotti possono essere perfusi per più di 7 giorni con condizioni di flusso analoghe a quelle che si riscontrano fisiologicamente nelle venule.

Tale dispositivo viene proposto dagli autori per lo studio dei processi infiammatori in quanto i microvasi formati presentano tre importanti caratteristiche dei microvasi naturali:

- i microvasi esercitano funzione di barriera a lungo termine;

- le pareti in condizioni normali non sono soggette all’adesione dei leucociti;

- i microvasi rispondono ai mediatori dell’infiammazione (istamina, trombina e TNF- α) aumentando la permeabilità e promuovendo l’adesione dei leucociti.

Ulteriori esperienze in questo campo potrebbero scaturire da approcci di stampo bioingegneristico che, fondendo le attuali conoscenze sulle colture cellulari con l’utilizzo dei più recenti ritrovati tecnologici dell’ingegneria, consentono innanzitutto di ottimizzare la fase sperimentale del lavoro e successivamente di creare quei presupposti, di carattere tecnico-teorico, che permetteranno il trasferimento delle conoscenze dai laboratori di ricerca a quelli dedicati alla produzione.

Dato che le applicazioni sopra citate prevedono la realizzazione di strutture cellulari tridimensionali, lo schema adatto deve prevedere un’attenta fase di scelta del materiale dello scaffold e l’utilizzo di un bioreattore in grado di creare, oltre alle condizioni fisiologiche standard (temperatura, pH, ossigeno e nutrienti), le condizioni di flusso idonee allo sviluppo di microvasi.

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Figura 3.6: Processo di realizzazione del dispositivo descritto in [14].

Figura 3.7: Trattando gli aghi con processi di erosione chimica è stato possibile ottenere microcanali cilindrici con diametro fino a 55 μm.

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Bibliografia

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[14] K.M. Chrobak, D.R. Potter, J. Tien: “Formation of perfused, functional microvascular tube in vitro”. Microvasc Res 2006;71:185–96.

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