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La scuderia del Barchetto, insieme alla villa degli Smith, demolita negli anni settanta per dar vita ad una succursale SIP deturpando così il paesaggio.

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A fianco ad i grandi stanziamenti ippici di cui finora abbiamo parlato se ne possono indicare altri due realizzati afine Ottocento, quello di W. Smith e del Principe Caracciolo, posti più a sud, vicino alla riva dell’Arno in una località detta “Il Barchetto”. Il nome stesso lascia intendere l’esistenza di un antico attraversamento del fiume, dopo la svolta del corso, ovverò all’inizio della vecchia ansa che si delineava appena fuori della città. Da questo il nome di via del Barchetto, che intorno al ‘900 proprio per la presenza di questi stanziamenti ippici prese il nome di via Ippica, e che oggi è via Tesio.

Alla morte del Principe Caracciolo nella guerra del ‘15-’18 la scuderia dell’Argine fu acquistata e smantellata dai Mazzacurati, così in via del Barchetto rimase soltanto la grande scuderia di William Smith, che nel secondo dopoguerra, fino intorno al 1960, fu occupata nella sua parte più vecchia, quella di “Fraduarni”, dalla scuderia Gallina.

La scuderia del Barchetto, insieme alla villa degli Smith, demolita negli anni settanta per dar vita ad una succursale SIP deturpando così il paesaggio.

Al contrario il territorio agro-pastorale delle “Lenze” non offriva spazi adatti ad insediamenti ippici: qui infatti nessuna scuderia fu costruita almeno fino agli anni ’50; nel secondo dopoguerra solo la razza Latina edificò in via delle lenze due scuderie, una delle quali ancora esistente. Secondo il piano regolatore, a seguito della scomparse di adeguati spazi ippici in Barbaricina, una gran parte di questa zona è venne aperta alla costruzione di scuderie.

Si notano così notevoli insediamenti, fra cui, ad esempio, la scuderia Bianchi, una delle ultime costruite nella zona, che sorge proprio nel punto centrale della prima aggregazione rurale medioevale della Cappella di Sant’Apollinare.

Anche sul viale delle Cascine nell’’800 furono realizzate delle scuderie

di cavalli da corsa. A partire da Porta Nuova, proprio davanti alla

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stazione di San Rossore, era la scuderia Sheibler, che rimase in attività fino all’inizio degli anni ’20; una seconda scuderia sul lato della strada dalla parte di Campaldo fu successivamente edificata stesso Conte Sheibler, in parte distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra, attualmente adattata a maneggio.

Sempre sul lato di Campaldo si trova l’altra scuderia di Serani, in attività fino agli anni ’40, posta nell’ottocentesca villa Boni, che sorge vicinoal bivio formato dalla stessa strada con la via del Capannone.

Due scuderie nuove, l’una della razza del Soldo, passata poi all’Alfea, l’altra l’Aurora, sono state costruite negli anni ottanta nelle località “La Svolta” ed “Il Capannello” sul lato ovest del viale.

San Rossore offre il terreno più adatto per l’allevamento del purosangue ed un “habitat” ideale, ed anche se in questi anni si è avuta un’indubbia degradazione dell’ambiente ed un conseguente impoverirsi del bosco e le ripercussioni negative sul clima si sono fatte sentire nelle zone intorno, si può comunque ritenere che via sia un certo margine di possibilità di un recupero del vecchio ambiente che tanto agevolò gli stanziamenti ippici di Barbaricina.

Ambiente ippico in una comunità rurale

La nascita e crescita degli insediamenti ippici nell’’800 va a

modificare un ambiente agro-pastorale già consolidatosi da diverso

tempo. Questa trasformazione si affermò maggiormente nella zona

nord-est della vasta area comprendente le terre dalla città al bosco,

ovvero nella località “Il Capannone”. Accanto alle tre case coloniche

poderali costruite nel seicento, due delle quali ad oggi scomparse, ed

all’unico agglomerato di case a schiera per braccianti di impianto

medioevale, sorsero presto nuove grosse costruzioni, ognuna delle

quali prevedeva villa e scuderia per lo snervamento ei cavalli da

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corsa. Altre costruzioni sorsero sul viale delle Cascine, nel centro di Barbaricina e, più a sud, nella località “Il Barchetto” (già S. Concordio) sulla riva dell’Arno.

La scelta dei luoghi era stata propizia, facili i conseguenti investimenti di capitale.

I primi proprietari di cavalli che operarono a contatto col nuovo stanziamento e lo incrementarono vivendo nel pieno della sua realtà furono i Rook, il Conte Sheibler, che diventarono in seguito anche proprietari di vasti terreni agricoli della zona, il Principe Caracciolo, W.

Smith; altri grossi proprietari sfruttarono il luogo solo come puro luogo di snervamento.

Oltre alle modificazioni del paesaggio agro-pastorale avvenute nella limitata parte di nord-est della zona, vi fu anche una notevole trasformazione socio-economica. Tale trasformazione incise più che altro sul tessuto sociale rappresentato dai lavoratori a giornata del bosco e dal mondo operaio-artigianale.

I lavoratori delle scuderie provengono, infatti, già fin dai tempi dei primi insediamenti ippici dal mondo bracciantile gravitante intorno al bosco di San Rossore, dagli operai delle fornaci, dal mondo artigiano;

il mondo mezzadrile, invece, con le sue salde cristallizzazioni strutturali, impedì alle famiglie contadine di partecipare con loro componenti al nuovo lavoro. Solo da due famiglie di mezzadri, infatti, sulle ottanta e più di tutta la zona, uscirono lavoratori dell’ippica: dai Bestini, famiglia di mezzadri nel podere dei Rook in Barbaricina, e dai Riannessi anch’essi derivanti dai terreni dei Rook ma dei terreni posti in Fraduarni.

Il mondo rurale della mezzadria e della piccola proprietà si mantenne,

fino a che nell’ultimo dopoguerra non si sfaldò per altre ragioni, ben

distinto e molto separato dal mondo dei cavalli.

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I lavoratori a giornata del bosco, gli artigiani, gli operai delle vetrerie e della fornace, dettero invece forza lavoro alla nuova struttura; infatti è proprio dai braccianti barbarecinesi inseriti nel mondo del lavoro dei cavalli da corsa usciranno i fantini più famosi, gli allenatori, gli allevatori, i caporali di scuderia, come dalle botteghe del fabbro i maniscalchi più noti. A cavallo dell’’800 e del ‘900 le case a schiera che per il XVIII e parte del XIX secolo erano abitazioni per i lavoratori del bosco (scuotitori,carrettieri..), per operai della vecchia fornace e delle vetrerie erano per la maggiore occupate da lavoratori ippici; e fu proprio intorno a queste antiche case sei-settecentesche che sorsero le palazzine, e talvolta veri e propri palazzi che, come allenatori, fantini, caporali,maniscalchi erano riusciti ad affermarsi nel tempo.

Artigianato ippico

Nel corso di un secolo e mezzo di vicende umane-sportive, spesso

vivissime ed importanti, Barbaricina ha prodotto una cultura ippica che

va oltre il fantino, emblema di quest’attività. Infatti con la nascita delle

corse nacque e fiorì tutta una attività ricchissima e per certi aspetti

unica in tutta Italia; se, grazie a tutti i nomi famosi che erano passati in

queste terre, essere un fantino od un trainer di Barbaricina era un

vanto ed una garanzia di successo, si vedano le imprese di Raniero

Galletti, che per primo aveva sfidato gli inglesi nella corsa dell’Arno di

Firenze, di Federico Regoli e Poliremo Orsini, per primi tornarono a

sconfiggerli nel ‘900, di Enrico Camici che in sella a Ribot li andrà a

sfidare, proprio in casa loro, negli anni ’50, collegate a questa altre

attività presero corpo attorno al mondo dell’ippica, lavori magari meno

famosi o di clamore, ma che comunque erano essenziali nel successo

dei purosangue. Così il maniscalco, il sellaio, fino al sarto di giubbe

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divennero personaggi tipici della vita del luogo, padroni di tecniche di lavoro particolari, sempre al di fuori degli angusti confini del borgo.

Fra queste “arti”, più che mestieri, particolare attenzione va posta su quella di maniscalco, fondamentale per il successo dei purosangue.

Così in seguito ad i primi insediamenti ippici ottocenteschi le due botteghe di fabbro ferraio, una in via delle Lenze, l’altra nella piazza davanti la chiesa all’inizio di via del Capannone, produssero quei maniscalchi che diedero vita in Italia al difficile lavoro della ferratura dei cavalli da corsa, lavoro che affinò le tecniche di ferratura dei cavalli da tiro e dell’esercito. Le due officine, che con ogni probabilità già all’inizio della ripresa agricola del XVII secolo provvidero alle necessità della popolosa e fertile zona, erano fin dai primi decenni del 1800 condotte da due famiglie: I Serani in quella in via delle Lenze, ed i Duè in quella all’inizio di via del Capannone, sulla piazza antistante la chiesa. Da queste uscirono due dei più grandi maniscalchi dell’ambiente ippico: Ardelio Serani (1877-1967), fratello del noto allenatore Dante Serani, figlio di Primo e nipote di Sante, i due fabbri maestri della bottega nell’ottocento, che fu l’ultimo della famiglia dei fabbri ferrai di via delle Lenze; Umberto Masoni (1883-1949), apprendista con Ranieri Galliani nella bottega diretta da Attilio Duè (1853-1938).

Attivissimo ed instancabile lavoratore Ardelio Serani trasformò la sua

antica bottega da fabbro in un’attrezzata officina per maniscalchi di

purosangue, e nonostante abbia operato a Roma, Milano, Napoli, non

trovò mai altra dimora se non che in Babaricina, dove lo si poteva

veder girare in sella alla sua bicicletta da una scuderia all’altra per

svolgere il suo lavoro, con legato alla canna il grembiule di cuoi che

serviva anche da borsa degli attrezzi.

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Umberto Masoni trovò la sede definitiva per la sua attività a Milano,e svolse la sua intensità molto intensamente e ad alti livelli, fu infatti sempre ricercato e scelto dal grande Tesio.

Fra i più noti maniscalchi barbarecinesi non possiamo certamente

scordarci di Antonio Parola, il cui nome rimarrà legato nella storia a

quello di un altro grande campione, Ribot, cavallo dallo zoccolo non

facile per la potenza del suo galoppo.

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Il Progetto del “Parco Equestre”

Abbiamo già accennato al fatto che la fiorente attività ippica, che per anni ha alimentato Barbaricina e San Rossore, ponendo Pisa fra le città con fama a livello internazionale per l’allevamento ed allenamento dei cavalli da corsa, dal secondo dopoguerra è andata esaurendosi nel tempo. Così nell’intento di riportare il sentimento equestre della città e, più nello specifico, della zona di Barbaricina agli splendori di un tempo, il Comune di Pisa in accordo con la società Alfea, e secondo quanto previsto dal PRG vigente, composto da Piano Strutturale e Regolamento Urbanistico di cui più precisamente parleremo nel terzo capitolo, ha previsto la progettazione e realizzazione di un Parco Equestre, della cui ideazione si è occupata sia la suddetta società, dal quale però le scuderie di sua competenza risultavano troppo centrali, sia la laureanda in architettura Gretel Gianfreda, la quale in collaborazione con la direzione urbanistica del Comune di Pisa nella persona dell’Arch. Gabriele Berti è arrivata alla stesura di un parco completo che rinnova e commemora quell’antico sentimento, ed all’interno del quale trova spazio il Centro di Riabilitazione Equestre da me trattato come argomento di tesi.

Secondo l’attuale Regolamento Urbanistico l’area in esame è destinata allo sviluppo delle attività legate all’ippica, così da confermare la tradizione che vede Pisa e più nello specifico Barbaricina come centro di allevamento ed allenamento dei cavalli da corsa di rilievo nazionale.

Al contrario del vecchio PRG, secondo cui era possibile intervenire

con piani convenzionati relativi al singolo insediamento, l’attuale RU

prevede che i singoli interventi siano subordinati ad un piano

particolareggiato complessivo relativo a tutta l’area. Su queste

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indicazioni quindi è stato elaborato un progetto il più possibile conforme alle richieste del piano.

Alla base degli studi di progetto, prima ancora di entrare nel dettaglio, sono state individuate le “linee guida” che collegano l’area in esame con la città ed il parco di San Rossore. Risulta così evidente come il viale delle Cascine il principale nodo di collegamento fra queste tre zone. Da questa “traccia” nasce così l’idea di inserire in primis all’interno del nuovo parco un viale alberato che corra parallelamente al viale delle Cascine, in modo da assicurare una continuità “visiva” oltre che concettuale.

Dall’analisi del territorio risulta anche evidente la necessità di

mantenere e rispettare l’orditura campestre esistente, il sistema di

fossi e scoline rimasti inalterati nel tempo. Così l’idea principale è

stata proprio quella di creare una serie di percorsi che corrano

paralleli, in modo da non alterare l’andamento delle orditure e

riprendere i

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Figura 2: Studi di progetto

percorsi esistenti, pur non risultando un “disegno” eccessivamente monotono, importante da questo punto di vista è proprio il viale alberato di cui abbiamo già in precedenza accennato, che assume ora una duplice funzione: creare un collegamento ideale fra il Parco Equestre, la città ed il Parco Naturale, ed assumere la funzione di elemento di rottura all’interno dell’andamento monotono dei percorsi secondari, diventando così un segno forte emergente dalla planimetria, ma che non va ad intaccare gli elementi appartenenti al territorio e considerati come vero e proprio patrimonio territoriale dallo stesso progettista.

Individuato lo schema principale di progetto l’organizzazione

all’interno dell’area delle diverse funzioni vede la separazione fra le

attività specialistiche legate ad i cavalli da corsa, da quelle più

generiche connesse al parco, cercando però di far convivere le due

realtà senza creare quella separazione netta ad oggi esistente.

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In riguardo alle relazioni ippiche sono state seguite delle richieste precise riguardanti l’introduzione di una pista di allenamento, di nuovi box per cavalli, e di alloggi per il personale addetto alle scuderie.

Strutture queste ideate secondo le indicazioni che il progettista ha appreso dallo studio del progetto recentemente fatto dall’Arch.

Cervellati riguardante il nuovo ippodromo di Follonica.

Mentre per l’aspetto pubblico del parco sono state seguite le linee guida che in generale competono a queste strutture, fermo restando però che il tema principale è legato al mondo equestre.

Il primo aspetto considerato è stato il collocamento della pista d’allenamento, la quale, viste le notevoli dimensioni (una larghezza di 20 mt, un rettilineo di 340 mt e curve di 140 mt), avrebbe condizionato il resto delle scelte. Quindi collocata la pista, scelti gli accessi al parco, uno principale sul viale delle cascine, tre secondari in via delle Lenze, sono stati inseriti tutti gli altri elementi, sfruttando il più possibile l’esistente e quindi utilizzando anche gli edifici in disuso nel territorio.

Le scuderie trovano spazio sì vicino alla pista, ma senza risultare isolata da tutto il resto in modo da risultare inglobale anche in una realtà di tipo pubblica; queste sono di struttura ed aspetto molto semplice, come stecche realizzate con elementi di tipo

modulari della misura di 3,2X3,50 mt ed un altezza di 3 mt circa, in legno, oppure oppure in blocchi Leca e mattoni, già adoperati per le Scuderie Nuove. Esposte a sud-ovest per garantire l’arrivo della luce, con aperture su entrambe i lati per il ricircolo dell’aria, considerata l’ombra creata dalla presenza dei pini, queste realizzano l’habitat giusto per questo tipo di cavalli.

Per creare una certa continuità fra il centro abitato esistente ed il

parco in progetto, gli alloggi del personale addetto alle scuderie sono

stati collocati in un’area prossima alle abitazioni poste in via delle

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Lenze, così che non risultino un tutt’uno con i box, rimanendone comunque vicino per esigenze di tipo pratico organizzativo.

Particolare attenzione va rivolta al museo, realizzato in prossimità del centro abitato di via delle Lenze recuperando edifici esistenti in disuso da tempo. L’idea del museo nasce dalla volontà di rendere partecipi ed informare tutti coloro che vorranno visitare il parco, circa il passato di Barbaricina ed i personaggi che ne hanno creato la fama di “paese dei cavalli”.

Altri elementi sono l’area per le manifestazioni sportive e l’agriturismo;

quest’ultimo nasce dall’idea di mantenere all’interno del parco equestre una striscia di terreno dove permanga l’uso del suolo a coltivazione seminativa (ad esempio mais, foraggio, utilizzato anche per i cavalli), alla quale è connesso l’agriturismo, inteso come intervento come intervento di tutela e ripristino delle attività del luogo.

Per quanto riguarda le alberature è stato creato un sistema del verde che, seguendo anch’esso l’antico tracciato ed i fossi, colleghi le varie parti del parco in direzione est-ovest, salvo per il viale trasversale in direzione nord-est sud-ovest.Per quanto riguarda le specie arboree sono state chiaramente utilizzate le specie autoctone che si trovano anche nel parco di San Rossore, e quindi: pini per i viali, vegetazione mista per gli alberi puntuali sparsi nel parco (lecci, farnie, pioppi, olmi..).

Per quanto riguarda poi lo smaltimento dei rifiuti organici, che

raddoppiando il numero dei cavalli presenti in sito diventerebbero

difficili da gestire (si avrebbero infatti più di mille cavalli che

produrrebbero oltre 45 mila metri cubi di letame in un anno), è stata

avanzata la proposta, inizialmente dispendiosa, di trasformare il

letame in bio-metano da usare come combustibile, che, associato ad

una piccola centrale elettrica, permetterebbe al parco di essere non

solo autosufficiente, ma anche di rivendere energia ai gestori, a

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prezzo maggiorato come fissato normativa sui “certificati verdi”, per incentivare la produzione di energia rinnovabile.

Dalle ricerche svolte è stata raggiunta la conclusione che per realizzare questo intento energetico sono necessari cinque o sei silos delle dimensioni di 20 mt di diametro e 4 mt di altezza, in parte interrati.

E’ chiaro quindi che attraverso la realizzazione di questo progetto, oltre a portare nuovi incentivi economici alla città di Pisa, si realizzerebbe l’intento di ricreare in Barbaricina e San Rossore quell’antica realtà equestre, che rese grande questi luoghi nei secoli passati, e che si prospetta essere lo scenario migliore per la progettazione del Centro di Riabilitazione Equestre in studio.

Figura 3: Il progetto del Parco Equestre

Capitolo 2: - DOCUMENTO PRELIMINARE ALL’AVVIO

DELLA PROGETTAZIONE (Dpp):

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2.1 - Premessa

Nel luglio del 2000 con l’entrata in vigore del D.P.R. 554/99,

“Regolamento di attuazione della legge 109/94”, è diventato operativo il nuovo ordinamento in materia dei lavori pubblici, il quale inserisce, all’interno di una squadra di progettazione, nuove figure, quali il responsabile del procedimento (project manager), i coordinatori dei gruppi di progettazione (design leaders), gli analisti del valore, ed altre, ma soprattutto stabilisce che il responsabile del procedimento rediga o deleghi ad altri la redazione del Documento Preliminare all’avvio della progettazione, o Dpp,documento riguardante:

- Obiettivi prefissati con la realizzazione dell’opera in programma;

- Esigenze del committente o dell’utilizzatore;

- Prestazioni attese;

- Requisiti per raggiungere la realizzazione di un prodotto tale che soddisfi le esigenze economiche del committente, a riguardo di produzione, dell’utilizzatore, per quanto riguarda la gestione durante il ciclo di vita ipotizzato per il prodotto in questione.

Questo documento quindi ricopre un po’ tutti gli aspetti di questa prima fase, dal dare delle linee guida per la progettazione fino alla scelta dei materiali e dei componenti, ad essere una sorta di lista di controllo per verificare la completezza del progetto e la funzionalità degli elementi in esso riportati, verifiche da compiersi in fase progettuale, verifiche che vengono svolte all’interno del gruppo di progettazione dal design review, altra figura inserita dal nuovo ordinamento in materia di lavori pubblici, in fase di progettazione, e dal responsabile del procedimento in fase di validazione degli elaborati esecutivi.

Una progettazione ben svolta ha il fine di realizzare un opera di

qualità e tecnicamente valida, rispettando il più possibile un buon

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rapporto fra benefici e costi globali di costruzione, manutenzione e gestione, per questo quindi il progettista deve redigere il Dpp che lo aiuta a tenere sotto controllo la fase progettuale riguardante le categorie d’intervento.

Con l’articolo 15 del D.P.R. 554/99 vengono date altre indicazione, che saranno poi delle linee guida per il Progettista del Dpp, anche adattandole, e non necessariamente approfondendole tutte, ma anche solo quelle ritenute essenziali al fine del progetto in esame. Tali indicazioni sono:

a) inerenti lo stato di fatto attuale dell’opera ed alla possibilità di ricorrere all’ingegneria naturalistica;

b) sugli obiettivi generali da perseguire e sulle strategie per raggiungerli;

c) sulle esigenze ed i bisogni da soddisfare;

d) sulle regole e norme tecniche da rispettare;

e) sui vincoli di legge previsti nel contesto d’inserimento dell’intervento;

f) sulle funzioni cui l’intervento dovrà assolvere;

g) sui requisiti tecnici da rispettare;

h) sull’impatto dell’opera sulle componenti ambientali, e per quanto riguarda organismi edilizi sulle attività ed unità ambientali;

i) sulle fasi di progettazione da rispettare e sulla loro sequenza logica e sui relativi tempi di svolgimento;

j) sui livelli di progettazione e sugli elaborati grafici da redigere;

k) riguardanti i limiti finanziari da rispettare e sulla stima dei costi e delle fonti di finanziamento;

l) sul sistema di realizzazione da impiegare.

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Fra queste uno degli strumenti più efficaci, anche se facoltativo, è l’Analisi del Valore, introdotto anche dall’art. 15 del regolamento di attuazione della legge 109/94 ed all’art. 11 del capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici quale metodo e tecnica operativa se un progetto, o più in generale un processo, un prodotto ed un servizio siano più o meno in grado di assolvere a quelle funzioni primarie corrispondenti al soddisfacimento delle esigenze esplicite ed implicite del committente/utilizzatore o utente, e a a quelle prestazioni attese in considerazione delle risorse disponibili ed ai costi globali programmati. Questo strumento si basa su un attività organizzata ed interdisciplinare di gruppo, per conto del committente e/o utilizzatore/utente, formato da esperti e non di varie discipline, guidato da un coordinatore dell’Analisi del Valore. Il suo fine è quello di stabilire il coefficiente o indice di valore delle funzioni previste dall’elemento in progetto secondo la soluzione prospettata, e sue alternative.

Miles definì il “Coefficiente di Valore” come il rapporto tra l’utilità della funzione in esame ed il costo globale delle sue componenti, secondo le risorse disponibili per la sua produzione e gestione durante il ciclo di vita prospettato; quindi il concetto di valore è un qualcosa di più ampio rispetto al suo significato nell’uso comune del suo termine, che valuta il servizio reso dal progetto in questione in termini dinamici poiché non ci si limita a considerarne l’efficienza e l’efficacia solo al momento in cui si inizia ad utilizzare l’opera, ma per tutto l’arco di tempo della sua vita utile.

L’efficacia di questo strumento non annulla il valore di progetti passati,

ma semplicemente ha fatto sì che questa venisse per richiesta per

legge con l’entrata in vigore del nuovo ordinamento in materia di lavori

pubblici, diventando condizione non sufficiente ma necessaria per la

validità dell’opera, è da chiarire però che il suo concetto si estende

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anche alla richiesta di dare la massima considerazione alla qualità estetico compositiva dell’opera; ovvero tra i bisogni da soddisfare, richiamati nelle classi di esigenza, oltre all’ efficienza dell’opera per garantire il massimo rendimento del servizio previsto, c’è anche quello della validità estetica dell’opera oltre della sua godibilità in condizioni di benessere e sicurezza. Sinodi quindi che in fine altro non si richiede che soddisfare alle tre categorie vitruviane (“La Tride Vitruviana”):

Utilitas, Firmitas e Venustas.

Quindi il concetto di valore presuppone che la chiave di lettura di un progetto si basi sulla globalità degli aspetti, con le componenti tecniche e tecnologiche, struttura ed impianti, integrate con quelle funzionali, dovendo l’intervento nel suo insieme, corrispondere alle condizioni tipiche di uno sviluppo sostenibile, in riguardo cioè di tutte dell’attuale e delle future generazioni.

La complessa articolazione che ha raggiunto al giorno d’oggi il

“costruire” nella sua accezione più ampia del termine, ha reso un approccio interdisciplinare del problema per avere una conoscenza integrale delle problematiche e tematiche da affrontare per poter progettare correttamente, e fare in modo che un edificio, un organismo, od anche solo un componente al fine non faccia che rispondere ad i criteri base individuati secoli addietro da Marco Vitruvio Pollione in chiusura del capo terzo del primo libro del “De Architettura”, forse il più grande trattatista dell’architettura classica.

Alla triade vitruviana si ricorre ancora oggi ogni volta che si vuol indicare le caratteristiche che deve possedere un edificio, nonostante i contenuti siano cambiate nel corso dei secoli dall’epoca di Vitruvio. Ed è proprio lo scrittore del “De Architettura” che ci da il significato di ciascuna componente della triade, come dalla traduzione letterale:

• “FIRMITAS”: sarà rispettata se le fondamenta poggeranno in

profondità, su

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strati solidi e se la scelta dei materiali sarà accurata, senza badare a spese;

• “UILITAS”: allorché la distribuzione degli spazi risponda ad un uso corretto ed

agevole e rispetti opportunamente l’esposizione cardinale in base alla funzione

specifica dei locali;

• “VENUSTAS”: quando l’aspetto esteriore dell’opera sarà gradevole e raffinato,

nel rispetto delle giuste proporzioni e nella simmetria delle sue parti.

Mentre il significato dei primi due requisiti non è sostanzialmente cambiato da Vitruvio ad oggi, perché intimante e razionalmente legato all’argomento, mentre il terzo requisito si è profondamente modificato nel tempo, essendo questo aspetto più profondamente legato alla parte irrazionale ed emotiva, e non esistendo più quei canoni di bellezza e perfezione esistenti ai tempi di Vitruvio; questo terzoelemento è proprio quello che faceva la differenza fra un opera correttamente eseguita ed un “opera di Architettura” che sia capace di suscitare emozioni alla sua vista.

L’Analisi del Valore (value analysis)

L’Analisi del Valore viene introdotta dal regolamento

d’attuazione all’art. 15, comma 11, secondo cui per la redazione dei

progetti delle opere o di lavori complessi (in particolare vedi art. 2,

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comma 1, lettere h) ed i)), si svolge impiegando questa tecnica, i cui risultati vengono mostrati in delle relazioni. Questa è un attività di gruppo organizzata effettuata per conto del committente/utilizzatore finale dell’elemento in questione, gruppo formato da esperti di varie discipline e non esperti, sotto il controllo di un coordinatore esperto.

Tramite questa vengono individuati gli aspetti con maggiore incidenza funzionale del lavoro in esame, definendo le funzioni e selezionando quelle richieste primarie necessarie che soddisfino quelle esigenze esplicite e non del committente/utilizzatore finale, e suggerendo soluzioni alternative a quella fino al momento presa in esame in base agli indici di valore delle funzioni, contenendo il costo globale nei limiti compatibili con i livelli di prestazioni richieste e secondo le risorse disponibili alla produzione e gestione dell’opera nel suo ciclo di vita ipotizzato.

L’indice di Valore di una Funzione (1) è invece definito come il rapporto tra il valore d’uso o utilità (W) (attribuito ad una funzione), ed il costo di produzione o globale (C) (relativo al componente che esplica la funzione presa in esame):

(1) V = W/C

Quindi tramite l’A.V. si verifica la completezza e l’efficacia del progetto ed arrivare alla validazione dello stesso in base agli input iniziali forniti e contenuti nel Dpp. Le attività svolte all’interno di un gruppo che si occupa di redigerlo si possono elencare in:

- attribuire un indice di valore alle funzioni esplicate secondo la soluzione proposta dai progettisti;

- preventivare il costo globale (Cg) dell’opera;

- proporre soluzione alternative con un indice di valore maggiore.

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La Valutazione economico-finanziaria

Nell’articolo 4, comma 16, della legge Merloni viene introdotto un riferimento economico, inizialmente adottato solo per vigilare, si rende poi utile anche per una valutazione preventiva dei costi d’investimento da mettere in gioco nella realizzazione di un’opera:

ovvero il “costo standardizzato per tipo di lavoro in base a specifiche aree territoriali”, la cui determinazione è utile sia il responsabile del procedimento, che deve programmare le varie iniziative, sia per il committente, che deve compiere le scelte, sia per chi andrà a verificare la rispondenza degli elaborati del progetto con i contenuti del Dpp. Quindi, nella stesura di un programma triennale e di un successivo elenco annuale, l’esatta conoscenza dei costi dei lavori pubblici per la buona riuscita dell’iniziativa, e per conoscere esattamente l’investimento da preventivare, è determinante; a tal proposito la legge prevede anche che all’interno del Dpp siano riportati i “limiti finanziari da rispettare e la stima dei costi e delle fonti di finanziamento”.

Volendo portare un esempio, considerando un qualunque intervento da realizzare, composta dalle n funzionalità che ne rendono il servizio richiesto, in base all’unità funzionale i-ma, ed il fruitore i-mo, si stabilisce il “costo standardizzato i-mo per ogni fruitore (Csi) come prodotto di due fattori: il primo, la misura di di un elemento fisico significativo della costruzione (mc per costruzione, mq per superficie pavimentata), il secondo, il costo di produzione ad unità di misura del parametro preso in riferimento (mc-mq), in base anche all’ambito della costruzione di cui all’unità funzionale i-ma presa in esame.

La formula del costo standardizzato

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Il costo standardizzato per unità funzionale i-ma riferita al fruitore i-mo è dato dalla formula:

Csi = (misura dell’elemento fisico di riferimento dell’unità funzionale i- ma/n° di fruitori

dell’ unità funzionale) X (costo di produzione dell’unità funzionale i-ma/la misura dell’elemento fisico di riferimento dell’unità funzionale i-ma)

Il costo standardizzato totale medio (CStm) (2) di opere omogenee per territorio, categoria, dimensioni e prestazioni attese è pertanto dato da:

(2) CStm = Σ Csi x fi

Quindi il costo standardizzato totale (CSt) (3) di opere omogenee sarà espresso dalla formula:

(3) CSt 0 Csmx c1 x c2 x c3 x c4

Con: - Csi = costo per fruitore dell’unità funzionale i-ma;

- fi = numero fruitore dell’i-ma unità funzionale;

- n = numero unità funzionali dell’opera;

- c1 = coefficiente dell’area geografica in cui l’opera sarà realizzata;

- c2 = coefficiente della categoria dell’opera (edificio, strada, ponte..);

- c3 = coefficiente funzione della “dimensione” dell’opera;

- c4 = coefficiente funzione delle prestazioni attese.

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Il primo fattore del costo standardizzato costituisce la base scientifica per verificare la “qualità” degli standard assunti mentre per la determinazione del secondo fattore, relativo al costo di produzione unitario riferito all’unità funzionale, si dovrà tenere conto dei seguenti aspetti:

(a) Dislocazione geografica: in base alla presenza o meno in sito di materie prime, pozzi, centrali di betonaggio, acquedotti, che influenzano il costo dei mezzi di trasporto;

(b) Infrastrutture locali: incidenti su costo di trasporto;

(c) Costo del lavoro;

(d) Situazione economico-finanziaria dell’ente committente e del gestore, e dalla possibilità o meno di disporre di capitali propri o di ricorrere ad istituti di credito per il prestito;

(e) Attività metaprogettuale, progettuale, esecutiva e gestionale: in quanto direttamente proporzionali all’importo delle opere.

Il Costo Standardizzato in merito alle opere pubbliche è utile per preventivare il loro costo in relazione alle funzioni esplicate e può essere assunto dal Dpp come vincolo per i progettisti.

Può quindi rappresentare il parametro di riferimento nell’eventuale attività di verifica in fase di progettazione.

Le Fasi Operative

Nello svolgimento e redazione di un progetto vi sono diverse

faida affrontare reiterativamente nel tempo, e sono:

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- Fase informativa: al suo interno vengono ripresi ed analizzato gli obiettivi del progetto , le condizioni di contorno, le esigenze degli utilizzatori/utenti e le funzioni derivanti dal loro soddisfacimento;

- Fase creativa: attraversol’analisi funzionale si evidenziano tutte quelle funzioni necessarie per il raggiungimento degli obiettivi del progetto;

- Fase analitico-selettiva: vengono vagliate le proposte in base alla loro relativa rispondenza ai requisiti previsti per l’opera;

- Fase di sviluppo: viene sviluppata nel dettaglio la soluzione progettuale ritenuta migliore, e tramite una relazione dettagliata se ne danno le motivazioni della validità;

- Fase di presentazione: Alla fine dei vari passaggi, revisioni ed approfondimenti delle fasi suddette si passa alla presentazione dei risultati.

2.2 - Il Dpp del progetto in sudio

Premessa

(23)

Come già accennato in apertura i motivi principali della realizzazione di questo centro sono sostanzialmente due:

− Il forte spirito equestre presente nella città di Pisa, dovuto all’importanza che la zona di Barbaricina e San Rossore avevano assunto nei secoli passati nel mondo dell’ippica, nonché alle loro connotazioni naturali;

− la necessità per questa nuova terapia di trovare centri ben attrezzati all’interno del quale poter svolgere al meglio le attività la riguardano strettamente e quelle che la completano,

rimanendo comunque all’interno di un ambiente aperto

all’esterno, al visitatore, il cui comune denominatore è il cavallo.

Quindi sulla scia delle motivazioni che già hanno portato altri all’ideazione del Parco Equestre è parso subito chiaro che luogo che meglio si prestava alla collocazione del centro non vi fosse. A questo la struttura verrà aperta con piste ciclabili, percorsi pedonali e a cavallo, che permettano ad eventuali visitatori esterni di muoversi al suo interno osservando lo svolgimento delle attività ma senza interferirvi. Mentre la viabilità carrabile al suo interno sarà di tipo speciale, ovvero verrà ricavata dai dimensionamenti dei percorsi suddetti, che sarà tale da permettere l’accesso a mezzi come ambulanze, vigili del fuoco, o mezzi di trasporto speciali per i cavalli.

Per le attività complementari al centro, inserite perché questo potesse diventare pienamente autonomo sono state inserite:

− Una struttura didattica: dove vengono svolte attività teoriche, solitamente racchiuse fra le mura dell’istituto da cui arriva il soggetto;

− Un’area amministrativa: dove poter regolare e gestire le

iscrizioni;

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− Una zona mensa/refettorio/bar: dove trovano posto gli utenti ed i dipendenti del centro, ma dove possono trovar ristoro anche eventuali visitatori esterni, con verde attrezzato;

− Una palestra con spogliatoio per attività fisiche e di fisioterapia;

− Una zona di carico scarico merci connessa alle cucine della mensa/refettorio/bar, con ingresso e percorso privato alla struttura;

− Un piccolo parcheggio attrezzato per accogliere i mezzi dei soli dipendenti del centro (per gli utenti ed i visitatori esterni è previsto l’utilizzo del parcheggio esterno previsto dal progetto del Parco Equestre);

− Percorsi carrabili d’emergenza, quotidianamente usati come percorsi suddivisi in pedonali, ciclabili, a cavallo, con accesso specifico alla struttura.

Per le attività invece strettamente legate alla riabilitazione equestre sono previsti:

− 2 Maneggi, uno coperto ed uno scoperto di 15 mt X 25 mt (come da indicazioni);

− 8 Box per l’alloggio dei cavalli di 3,2 mt X 3,8 mt (in linea con i dimensionamenti delle scuderie nove previste nel parco);

− Una selleria con annessi spogliatoi e servizi per gli utenti;

− Un infermeria con annesso spogliatoio e servizi per gli istruttori;

− 2 paddock per lo svago dei cavalli di misure non prestabilite.

L’idea è quindi quella di realizzare un centro autonomo, in una linea

continua col parco circostante, che faccia comunque sentire al sicuro

e protetti gli utenti del centro. Inoltre la grande estensione del lotto

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scelto per l’inserimento della struttura permette lo sfruttamento di grandi spazi verdi in cui muoversi a cavallo o non, ed in cui poter allestire anche eventi dimostrativi delle attività del centro.

Obiettivi

L’obiettivo generale del progetto in esame è quindi la realizzazione di una struttura autonoma, atta alle attività di riabilitazione equestre ed a quelle ad esse complementari, inserite in un contesto naturale che favorisca questo tipo di approccio, e che aperto verso l’ambiente circostante favorisca un buon reinserimento dell’utente nella società, la cui connotazione architettonica spaziale sia facilmente riconoscibile e fruibile, e che abbia in se le linee tipologiche del costruito circostante., mantenendo fede alle tradizioni edlizie dell’area, per lo più riconoscibili nelle case coloniche ottocentesche ancora presenti o meno in zona e nelle scuderie e maneggi esistenti.

E’ naturale quindi, per quanto fin’ora detto, suddividere gli obiettivi particolari in due categorie:

• Progettare gli spazi necessari allo svolgimento delle normali attività di riabilitazione equestre e di quelle ad esse connesse:

− Progettare le scuderie (con i box, il fienile, la selleria, gli spogliatoi per gli allievi e quello per gli istruttori annesso all’infermeria);

− Progettare i maneggi;

− Progettare i paddock;

− Progettare la struttura didattica con uffici a servizio annessi;

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− Progettare la palestra;

− Progettare l’area d’amministrazione;

− Progettare la zona mensa/refettorio/bar.

• Progettare il verde circostante in modo che le strutture siano inglobate nell’area ed in linea continua con l’ambiente esterno:

− Progettare percorsi interni ben collegati con l’esterno, su cui sia possibile secondo dimensionamento il passaggio carrabile straordinario, e che siano al loro interno divisi in percorsi pedonali, ciclabili o a cavallo;

− Progettare una zona di ingresso che dia il senso dell’accoglienza dall’esterno

verso il centro;

− Progettare un parcheggio attrezzato all’accoglienza dei soli dipendenti della

struttura;

− Progettare percorsi a servizio della struttura della mensa.

Vincoli

I vincoli inerenti il progetto in studio sono legati sia alla

legislazione urbanistica vigente sul territorio pisano, sia allo stato

attuale del sito in esame.

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Per quanto riguarda la legislazione urbanistica è importante sottolineare che nel 1995 questa subisce un profondo cambiamento;

in pratica la realizzazione del Piano Regolatore viene suddivisa in due fasi corrispondenti a due strumenti urbanistici: il Piano Strutturale di competenza contestuale del Comune, della Provincia e della Regione, assimilabile ad un Preliminare di Piano; ed il Regolamento Urbanistico, derivante dal Piano Strutturale, di esclusiva competenza del Comune, da ritenersi corrispondente al vecchio Piano Regolatore.

Lo Stato Attuale

Figura 4: Estratto del Piano Regolatore Generale del Comune di Pisa

L’area in esame si trova nella zona nord-est del territorio di Pisa; questa è infatti vicina alla città così come al Parco di Migliarino, Massaciuccoli e San Rossore, e deve quindi essere integrata in entrambe le realtà. Per realizzare quindi un disegno ben inserito così da non arrecare peggioramenti, è importante capire gli aspetti

Area d’intervento

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strutturali del territorio, oltre ai valori presenti già discussi nella parte storica, ed alle varie invarianti che vedremo più avanti. Così si è proceduto tramite un analisi storico cartografica del territorio che ci ha permesso di capire l’evoluzione storica e territoriale dell’area in esame, in funzione del suo rapporto con la città ed il Parco di San Rossore; così dal confronto tra le carte appartenenti al Catasto Leopoldino e quelle dello stato attuale del territorio sono emersi i principali aspetti fisici e naturali del territorio. Per la realizzazione di un parco e di un centro ricettivo legati all’ippica è importante lo studio della composizione del terreno dell’area su cui questi verranno realizzati. Il territorio pisano si colloca per la maggior parte della sua estensione nella piana alluvionale dell’Arno e solo per una piccola parte in quella del fiume Serchio. Da un punto di vista altimetrico è importante sottolineare che le quote degli argini dell’Arno sono maggiori rispetto a quelle di tutto il territorio, a parte le dune di Coltano, ed addirittura alcune hanno quota negativa, ovvero inferiori al livello del mare. L’attuale aspettodella pianura pisana è di recente formazione, dovuta alla rapida erosione dei rilievi appenninici, ed al trasporto di grandi quantità di sedimenti attraverso l’Arno, il Serchio ed i suoi affluenti che hanno portato al riempimento della depressione della zona costiera contribuendo così allo sviluppo dell’ampia pianura.

Dall’analisi del terreno si nota un’ alternanza di strati sedimentari che

si alternano fra depositi di origine marina, costiera, eolica (argille e

sabbie), e fluvio-lacustre (ghiaie e sabbie, argille e limi). Il tipo e lo

spessore delle stratificazioni che si succedono indicano l’attuale

tendenza dell’area verso un progressivo equilibrio in cui i depositi

bilanciano gli abbassamenti dovuti alla subsidenza, permettendo la

formazione di un sistema fluviale di tipo meandriforme, caratteristico

di una idrografia evoluta. In questo quadro evolutivo importanti sono le

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piene regolarizzatici dei corsi d’acqua, che tendono a colmare le aree di depressione con i loro apporti solidi con inondazioni periodiche.

Parlando in termini di geotecnica la porzione argilloso-limosa su cui poggia la città di Pisa è suddivisibile in due strati: il primo, quello in superficie, è composto da argille e limi di colore bruno- giallastro che possiedono una buona capacità portante che offrono discrete capacità portanti e garanzie a riguardo di cedimenti del terreno; il secondo strato, sottostante al precedente, è rappresentato da argille grigio-azzurre plastiche con alternanza di sabbie di spessore variabile e frequenti livelli torbosi. Le argille del secondo strato sono più suscettibili ai cedimenti rispetto agli strati sovrastanti, per cui le zone dove queste affiorano o sono molto vicine alla superficie sono quelle più critiche. E’ bene così tener presente che in seguito alla realizzazione di manufatti o per eventi sismici in queste aree si possono verificare cedimenti semplici o di tipo differenziale non trascurabile.

Mentre dal punto di vista idrogeologico nel sottosuolo della piana sono distinguibili tre orizzonti acquiferi, la cui importanza è definita in base a quantità e qualità dell’acqua immagazzinata, così come dalla qualità e dall’uso di quella emunta. I tre livelli acquiferi si identificano in: un acquifero superficiale di tipo freatico, uno intermedio di tipo artesiano in sabbia ed uno acquifero artesiano in ghiaia posto ad una profondità maggiore del precedente.

In merito a questo i fenomeni naturali che interessano l’area pisana a cui prestare maggiore attenzione sono alluvioni, allagamenti, ristagni d’acqua ed erosioni costiere, il cui controllo attualmente è affidato interamente all’efficienza delle opere di arginazione, bonifica e stabilizzazione eseguite in passato.

Dallo studio cartografico si nota inoltre che il territorio comunale

è caratterizzato da una fitta rete di canali e fossi, la cui orditura

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artificiale è il risultato di ripetuti interventi di riassetto idrologico.

Mentre il fiume Arno non risulta collegato a questa rete, bensì completamente arginato nel territorio pisano, il drenaggio della pianura avviene adopera del reticolo dei fossi e dei canali, che convogliano le acque in mare attraverso il fiume Morto ed il canale dei Navicelli.

Per quanto riguarda il clima del nostro territorio c’è da sottolineare che la situazione meteorologica è influenzata dalla vicinanza del mare. Le escursioni termiche si mantengono sempre intorno alla decina di gradi per tutto l’anno e le temperature minime si mantengono per lo più sempre sopra lo zero; dai controlli pluviometrici si nota che il mese di novembre è quello più piovoso,con una media di 140 mm di pioggia, mentre la stagione invernale presenta complessivamente una media di 90 mm di pioggia; i venti sono moderati mantenendosi prevalentemente in regime di calma (50- 70%), raggiungendo i punti di massima nelle ore pomeridiane dei mesi più caldi.

Lo studio del terreno, dei caratteri ambientali e del clima che influenza l’area pisana è importante sia per la distribuzione dei manufatti del parco che per la realizzazione del centro, infatti la composizione del sottosuolo, influenzata sia dalla distribuzione della rete idrica sia dal clima, è importante sia per la scelta della collocazione della pista d’allenamento del parco, che dei due maneggi del centro, per capire il rendimento del terreno se sottoposto ad una attività ippica, come per verificare la sua risposta al carico dovuto all’edificazione degli altri manufatti.

Inoltre durante la fase creativa del progetto sono importanti

anche le caratteristiche ambientali paesaggistiche del territorio, il tipo

di vegetazione e della sua distribuzione, la tipologia edilizia

circostante, e le attrezzature ippiche circostanti, sportive e ricettive.

(31)

Viene spontaneo partire analizzando le risorse di tipo rurale e paesaggistico che comprendono in sé sia quelle storiche che quelle attuali. Così da valutazioni di tipo visivo del territorio, ovvero dallo studio delle foto aeree, e delle relazioni cartografiche, dal Catasto Leopoldino fino a quelle più attuali, si nota che da un punto di vista paesaggistico il territorio circostante al lotto in esame presenta una prevalenza di terreni con destinazione a campi agricoli come da tradizione dell’area, alcuni dei quali con valore di tipo storico pur avendo le sembianze di semplici orti, dispersi fra le numerose scuderie e case coloniali all’interno dell’area costeggiati da canali e fossetti che contribuiscono alla loro irrigazione.

Figura 5: Immagine da satellite dell'area

La sua tradizione agricola nasce fin dalle origini, ma questi tratti

territoriali trovano vita dopo le opere di bonifica avviate già ai tempi

dei Medici con l’intento di riqualificare l’area del Parco e quella ad

esso antistante che ne rappresenta la via d’accesso principale, così

(32)

questa tradizione viene portata avanti nei secoli nonostante lo

sviluppo abitativo di tutta l’area, col crescere del tessuto insediativo si

è mantenuto sempre un buon equilibrio fra manufatti edilizi e spazi a

verde, anche di tipo campestre, così insieme a nuove case, scuole e

chiese trovano spazio anche nuovi terreni agricoli ed orti che vanno

ad affiancarsi a quelli storici già esistenti da secoli. Importanti per

l’attuale aspetto della zona è anche il taglio effettuato sul corso del

fiume Arno dai Medici, che durante il loro governo provvidero a

deviare il fiume prima dell’ansa detta “Volta degli Asini” intorno al

1770, al posto della quale oggi si è venuta a delineare un’ampia fascia

inedificata con andamento curvilineo che crea una netta delimitazione

fra i due isolati di Barbaricina e C.E.P., quartiere quest’ultimo di

recente realizzazione ma con un forte sviluppo che è riuscito a

mantenere e rispettare quei valori preesistenti, delineandosi come filo

conduttore fra il centro urbano e la zona di Barbaricina più attenta alle

attività gravitanti intorno al Parco ed alle sue tradizioni.

(33)

Là dove i terreni non sono destinati ad uso agricolo, o per insediamenti edilizi, trovano spazio raggruppamenti arborei a crescita controllata o meno e lo stesso Parco di San Rossore con i suoi boschi di latifoglie e conifere (ricordiamo l’inserimento del Pino Domestico sotto il governo mediceo) , che rappresentano il polmone verde di quest’area. Lo stesso lotto in esame attualmente si presenta ricoperto nel suo insieme da una vegetazione spontanea curata, non accessibile dal viale delle cascine e difficilmente fotografabile;

ricorrendo alle foto aeree si notano una serie di quattro filari di pini

domestici, ed un raggruppamento d’angolo assimilabile ad un piccolo

bosco, intervallati da quelli che sembrano piccoli appezzamenti di

terreni erbosi, aspetto che si riscontra anche nei reperti fotografici da

me realizzati.

(34)

Figura 6 e 5: Vedute dell’area

Osservando poi le tipologie edilizie esistente si ottengono informazioni utili per la definizione estetica delle strutture in progetto.

Importante è l’analisi globale del tessuto insediativi, che vede la

coesistenza di nuove costruzioni, quelle di recente realizzazione, e

quelle di interesse storico, insieme che rappresenta le risorse dei

valori propri del patrimonio culturale e materiale del territorio e ne

testimoniano il processo di antropizzazione avvenuto nei secoli. Il

patrimonio insediativi così è costituito da quegli edifici che si

distinguono dagli altri per il loro valore storico, tipologico, o

architettonico e che proprio per questo vanno salvaguardati,

recuperati e conservati: case coloniche già presenti al 1830 (dal

Catasto Leopoldino) che mantengono tutt’oggi la loro struttura

originaria (vedi figura 7); edifici pre-novecenteschi; realizzazioni del

(35)

Figura 7: Esempio di casa colonica

1954; interventi unitari di edilizia economica e popolare che prendono

vita come veri e propri villaggi, uniformi ed autonomi, con propri spazi

verdi, il cui valore insediativo è considerato anch’esso da tutelare,

come il villaggio C.E.P.

(36)

Oltre alla tipologia varia delle unità abitative è importante, sia per la realizzazione del centro sia per la connotazione storico-culturale dell’area, la conoscenza delle scuderie presenti nell’area, esistenti o demolite negli anni passati; così con un indagine fotografica scopriremo architettura e distribuzione di queste strutture, arrivando anche a considerazioni personali secondo cui se in passato quelle scuderie ad oggi non più esistenti fossero state considerate patrimonio territoriale adesso potremmo goderne ancora e non avremmo perso una piccola parte della memoria storica della zona ritrovandoci al loro posto strutture che non sono all’altezza di eguagliare il loro valore architettonico e culturale.

Figura 8: Scuderie private situate all'inizio del viale delle Cascine in prossimità dell'area di studio

Oltre alla valenza ambientale del territorio è anche importante

soffermarsi sull’accessibilità alla zona. Questa infatti è collegata

tramite il viale delle Cascine alla strada statale Aurelia, strada ad alto

scorrimento, esterna alla viabilità urbana, e conseguentemente

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facilmente raggiungibile (anche da città toscane e non), ed esterna al traffico cittadino; importanza secondaria ma comunque degna di nota è il collegamento al litorale pisano agevolato dalla viabilità del C.E.P.

che si ricollega alla zona di studio tramite via delle Lenze o via Roock che convergono nella più importante via del Capannone. Il collegamento con la città murata viene invece realizzato tramite l’asse del viale delle Cascine, storicamente considerato importante asse strutturato oggi perde la sua valenza man mano che si sposta verso l’aggregato urbano, fino a ridursi a semplice porta urbana in prossimità della cittadella dove viene declassato a sottopasso della ferrovia. E proprio la ferrovia chiude il resoconto sull’accessibilità all’area; la realizzazione della stazione di San Rossore rappresenta infatti un altro importante snodo d’accesso alla zona.

Figura 9: Accessibilità dell'area Viale delle Cascine Strada Statale Aurelia

Stazione di San Rossore, Ferrovia

Incrocio Stata Statale Aurelia-Viale delle Cascine

(38)

Concludendo vediamo come l’area di progetto, delimitata dall’ingresso

del Parco, dal viale delle Cascine, dagli aggregati rivolti su via del

Capannone e da quelli su via delle Lenze, in termini di progetto del

Parco Equestre, mentre rivolgendoci strettamente al centro riabilitativo

i limiti sono individuabili nelle scuderie della società Alfea (separati dal

lotto in esame da una striscia di terreno campestre), dal viale delle

Cascine, e dai terreni a vegetazione spontanea o ad uso agricolo,

raggiunge questo assetto grazie anche a tutti gli interventi di bonifica

avvenuti nel corso dei secoli fin dal governo mediceo. Questi

interventi sono ben leggibili dal confronto tra il Catasto Leopoldino e lo

stato attuale: l’orditura campestre (comprensiva dei filari), il sistema di

fossi e scoline rimasti inalterati, evidenzia la corretta impostazione

dell’operazione, e da ciò si deduce l’importanza di del suo

mantenimento e la valorizzazione delle aree agricole a confine con il

Parco naturale che assumono un elevata valenza paesaggistica, con

la possibilità di realizzare percorsi ippici per il collegamento delle

scuderie con le aree di allenamento e competizione della Tenuta di

San Rossore; per quanto riguarda la striscia inedificata, traccia

dell’antico corso dell’Arno, tra Barbaricina ed il quartiere C.E.P., che ,

sebbene ormai interclusa , consentirebbe attraverso la sua

valorizzazione di poter nel contempo connettere e mantenere

separate le due realtà storicamente diversificate. Si nota quindi come

nel corso di pochi anni questo territorio abbia subito notevoli

cambiamenti soprattutto in termini di insediamenti abitativi, nati e

cresciuti in tempi anche contratti, con uno sviluppo talvolta caotico che

porta in pochi ad un incremento marcato della del territorio pisano

che passa da poco più di mille ad oltre settemila unità. Così oggi ci

troviamo ad avere da una parte il C.E.P., sorto negli anni ’60 destinato

per lo più a lavoratori e proletariato, dall’altra l’utilizzo di spazi verdi

(39)

disposti intorno all’antico borgo di Barbaricina per l’edilizia popolare, due realtà quindi fra loro molto diverse e problematicamente lontane che devono da sempre coesistere nello stesso territorio. In realtà solo la formazione di Barbaricina risulta legata al sistema orografico originario ed alle bonifiche, che vede in via delle Lenze il principale asse strutturante con i primi insediamenti legati all’agricoltura, ed il cui organismo storico è influenzato dai blocchi geometrici ad alta densità abitativa che compongono il C.E.P.. Per questo, sebbene fosse un fenomeno già precedentemente avviato, si accelera il processo di migrazione delle scuderie verso il Parco, lungo il viale delle Cascine, legando così quelle aree originariamente sviluppatasi intorno all’ippica ad una veste sempre più urbana.

Inserimento nel Parco Equestre

Proiettandoci in uno scenario futuro, in cui sia già avvenuta la realizzazione del Parco Equestre descritto nel capitolo precedente, lo stato attuale dell’area avrebbe un assetto molto diverso e con esso le aree confinanti col nostro lotto.

Questo infatti si troverebbe compreso fra una striscia di terreno destinata a parcheggio pubblico, sfruttabile anche dagli utenti del centro, da un’area verde destinata a pineta, e dal viale delle Cascine in prossimità dell’accesso al Parco, risultando anche di facile accesso.

E’ importante quindi in fase di studio di progetto fare sì che il centro

ed il suo lotto risultino integrati in quest’area, rispettandone le

intenzioni ideologiche oltre alle tipologie edilizie e costruttive.

(40)

Legislazione Urbanistica

Come già accennato all’inizio del paragrafo nel 1995 la Legislazione Urbanistica subisce profondi cambiamenti, ovvero la formazione del PRG viene suddivisa in due fasi cui corrispondono due distinti strumenti: Piano Strutturale (di competenza contestuale del Comune, della Provincia e della Regione) e assimilabile ad un Preliminare di Piano; il Regolamento Urbanistico ( di esclusiva competenza comunale) da ritenersi corrispondente al vecchio PRG.

Nello specifico andiamo ad analizzare ora le previsioni degli strumenti urbanistici per il quartiere di Barbaricina.

Il Piano Preliminare di Astengo

Quello che più caratterizza la zona ad occidente del Centro Storico è la presenza del Parco di Tombolo-San Rossore, dell’Arno e del sistema infrastrutturale costituito dall’autostrada A12, dall’Aurelia e dalla ferrovia.

Il PRG del 1965, insieme a vincoli infrastrutturali e militari, ha

opportunamente bloccatolo sviluppo edilizio di questa porzione del

territorio pisano, che nonostante contenesse numerosi insiedamenti

residenziali (il borgo di Porta a Mare, Barbaricina ed il C.E.P. costruito

negli anni ’60 in aperta campagna) mantiene a ridosso delle mura

grandi aree ancora libere. Così il Piano Preliminare di Astengo

(redatto fra il 1986 ed il 1990) si proponeva di valorizzare le

opportunità lasciate dal PRG suddetto, cercando di migliorare

contemporaneamente i rapporti con il centro senza ad andare a

colmare tutte le superfici lasciate libere.

(41)

Ad ovest della via Aurelia, per tessuti edilizi a bassa densità lungo la via Barbaricina e via delle Lenze, il villaggio Saint Gobain e le più recenti lottizzazioni a villette, il piano prevedeva modesti interventi di completamento della maglia stradale ed un leggero ampliamento delle aree edificabili, strettamente connessi ad un programma di recupero delle numerose aree libere interstiziali da destinare a verde pubblico o agricolo panoramico così da collegare le diverse parti del quartiere in modo efficace in un vero e proprio sistema urbano.

Il tema centrale dell’area a nord dell’Arno era il quartiere del C.E.P, che segue inizialmente uno schema a maglia ortogonale ed ampliato ad i margini in modo caotico e con tipologie edilizie discordanti dall’ originale che vedeva edifici in muratura faccia-vista. Il piano si proponeva quindi di completare il quartiere in modo da rimarginare il suo rapporto con la campagna, tramite strutture edilizie morfologicamente unitarie, che tracciassero una sorta di confine fra la parte costruita ed il sistema rurale di via delle Lenze, consentendo così il recupero all’interno di notevoli spazi liberi da destinarsi a verde pubblico e servizi.

Gli indirizzi progettuali tendevano ad armonizzare il rapporto tra il Parco Naturale e la città per mezzo di sistemi ambientali che valoirizzassero uno dei principali ingressi turistici del territorio pisano.

L’intento era di salvaguardare la spazialità delle aree a ridosso dell’Aurelia con interventi mirati ad uso collettivo di alcune di queste.

Lo sviluppo residenziale proposto derivava per lo più dalle scelte del

secondo Ppa del PRG vigente che prevedeva l’ampliamento del

quartiere C.E.P, a cui il Preliminare aggiungeva una rigorosa

definizione morfologica dello sviluppo, pensata come nuova

marginatura del quartiere, tramite volumetrie residenziali definite, che

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