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4.1. Diversità genetica all’interno dei campioni

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Academic year: 2021

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4. DISCUSSIONE

4.1. Diversità genetica all’interno dei campioni

L’analisi delle sequenze dei geni mitocondriali 16S e COI in Aristeus antennatus ha consentito di stimare la diversità genetica all’interno dei campioni. La diversità aplotipica rilevata può essere definita come “medio-alta”, con valori compresi tra h = 0.338 e h = 0.724; la diversità nucleotidica, invece, è risultata piuttosto bassa, con valori che variano tra π = 0.0010 e π = 0.0017. Non esistono studi genetici precedenti che utilizzino le regioni di DNA mitocondriale da noi esaminate per A. antennatus per un possibile confronto dei valori ottenuti. Comunque i vantaggi dell’uso del mtDNA come strumento per la genetica di popolazione è stata rivista estesamente, in particolare i geni mitocondriali 16SrDNA, la citocromo ossidasi I (COI) e la regione di controllo (CR) sono spesso utilizzati nello studio della differenziazione genetica in molti invertebrati marini, tra cui crostacei decapodi della famiglia dei peneidi (Palumbi &

Benzie 1991; Tong et al. 2000; Chu et al. 2003; Lavery et al. 2004; McMillen-Jackson

& Bert, 2004). In particolare, contemporaneamente al presente lavoro, Arculeo et al.

(2007) hanno condotto un’analisi sulla regione di controllo del mtDNA per stimare la diversità genetica in campioni del Mar Tirreno meridionale e del Mar Ionio. I valori totali di diversità aplotipica e nucleotidica sono risultati rispettivamente di h = 0.938 e π

= 0.0107 e la differenziazione genetica tra i campioni è risultata estremamente bassa. I valori di diversità aplotipica più elevati rispetto a quelli rilevati nel presente lavoro possono essere spiegati sulla base delle diverse caratteristiche delle regioni mitocondriali analizzate. È noto infatti che la regione di controllo è caratterizzata da un tasso di mutazione più elevato rispetto alle altre regioni mitocondriali (Avise, 1994). Da rilevare inoltre che il livello medio-alto di diversità aplotipica e quello basso di diversità

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nucleotidica ottenuti nel presente lavoro è simile a quanto riportato per Penaeus monodon, crostaceo decapode di cui si ha la completa conoscenza del genoma

mitocondriale e le cui sequenze nucleotidiche hanno fornito il riferimento per i nostri allineamenti. Recenti studi hanno stimato la diversità aplotipica in questa specie tra h = 0.5 e h = 0.7 e quella nucleotidica tra π = 0.0012 e π = 0.0033 (Benzie et al. 2000;

Klimbunga et al. 1998). Il riferimento si può fare anche con altri crostacei marini, come Calanus finmarchus (h = 0.37 e π = 0.0037, Bucklin & Wiebe 1998), Nannocalanus minor (h = 0.82 e π = 0.005, Bucklin & Wiebe 1998), Meganyctiphanes norvegica (h =

0.56 e π = 0.0043, Zane et al. 2000), Nephrops norvegicus (h =0.93 e π = 0.0057, Stamatis et al. 2004). Questi valori sono anche comparabili con i valori riportati per alcuni teleostei marini: 0.59 < h < 0.96 e 0.001 < π < 0.025 (Graves, 1998).

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4.2. Struttura genetica

Le modalità di riproduzione degli invertebrati marini bentonici sono cruciali nel determinare il potenziale per la dispersione della maggior parte delle specie e, di conseguenza, per i livelli di strutturazione genetica e di flusso genico tra popolazioni o sottopopolazioni. Pertanto, il grado di divergenza genetica tra popolazioni di specie con larve planctotrofiche a lunga vita pelagica risulta tipicamente basso, questo è dovuto al fatto che il flusso genico può avvenire anche a distanze considerevoli. È da notare comunque come studi più o meno recenti abbiano trovato eccezioni, evidenziando casi in cui larve a lunga vita pelagica non determinano ampia dispersione. Tra questi studi è da menzionare quello riguardante il crostaceo decapode Homarus americanus (Tracey et al., 1975).

Per A.antennatus si sa ancora poco sulla vita larvale. Si ritiene che le forme larvali planctotrofiche siano in grado, trasportate dalle correnti, di realizzare dispersione ad ampio raggio. Per quanto concerne il movimento delle forme adulte, vari modelli di pesca suggeriscono che questo gambero sia capace di spostamenti sia in verticale che in orizzontale: ciò è suggerito dal fatto che il rendimento di pesca cambia con periodicità giornaliera, con massimi in condizioni di luce e minimi di notte, indicando una vita bento-pelagica (Relini, 1981; Bianchini et al., 1998). Tecniche di marcatura (“tagging”) e ricattura applicate a stock di peneidi costieri in Australia hanno rivelato migrazioni inaspettate che talvolta superano i 1000 km o più (Dall et al. 1990). Recentemente Relini et al. (2000) hanno applicato tecniche analoghe a A. antennautus, per ottenere informazioni dirette sui movimenti e la crescita. Questi Autori hanno riportato la ricattura dopo un mese dalla marcatura di un individuo a circa 10 miglia nautiche dal punto di rilascio, a conferma della capacità degli individui adulti di compiere spostamenti relativamente ampi anche in senso orizzontale. Da queste osservazioni

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deriva che in A. antennatus esiste un contributo al flusso genico anche a carico degli individui adulti.

In un precedente lavoro morfologico-genetico su A. antennatus, con un disegno di campionamento che prevedeva quasi l’intero bacino del Mediterraneo e parte dell’Atlantico, con la tecnica degli alloenzimi, sono stati ottenuti valori di eterozigosità compresi tra H = 0.043 e H = 0.066, un grado di divergenza genetica tra campioni locali molto basso (FST = 0.017, Dmax = 0.002) (Sardà et al 1998). Questi Autori hanno osservato la mancanza di strutturazione genica nella specie e l’assenza di una suddivisione geografica, rilevabile invece con le analisi morfologiche. Non si può escludere, comunque, che l’assenza di strutturazione genetica osservata in quel lavoro possa essere dovuta alla scarsa sensibilità dei marcatori genetici utilizzati. I dati ottenuti nelle nostre analisi, pur utilizzando un marcatore più potente, nell’area di studio, sembrano confermare la situazione di assenza di strutturazione delineata dal precedente lavoro. Le differenze morfologiche osservate sarebbero quindi da attribuire a fattori non genetici, caratteristici delle diverse regioni del Mediterraneo.

La relativa omogeneità genetica tra i campioni di A. antennatus analizzati è indicata dai valori dell’indice FST (Tab. 3.3, 3.4, 3.5) ed anche da quelli di distanza genetica, calcolata sia all’interno dei campioni che tra i campioni. Questi risultati suggeriscono che nel Mediterraneo occidentale A. antennatus sia geneticamente strutturato in un’unica popolazione. Ciò è ulteriormente confermato 1) dalle stime di flusso genico, che sono nettamente maggiori di Nm = 4, ritenuto il valore soglia al di sopra del quale siamo in una condizione di panmissia e 2) dai risultati dell’analisi della varianza molecolare (AMOVA) che ha attribuito soltanto il 3.5% della varianza molecolare alla componente inter-campione, mentre il 96.5% è stato attribuito alla componente inter-individuale all’interno dei campioni (Tab. 3.10). I valori della Φ-

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statistica associati all’AMOVA sono risultati comunque tutti significativi al test di permutazione (P < 0.05). Situazioni di scarsa diversità genetica tra campioni geograficamente distanti possono ritenersi comuni negli invertebrati marini ad ampia dispersione, a conferma di ciò in A.antennatus è stato visto che, in alcuni casi, individui campionati nella medesima località presentano tra loro una maggiore differenziazione genetica che non rispetto ad altri prelevati a centinaia di chilometri. Resta da vedere se il fatto di trovarci di fronte ad un’unica popolazione di A. antennatus può essere esteso al di fuori dell’area considerata nel presente lavoro: il disegno del nostro campionamento si è limitato infatti a solamente tre siti del bacino occidentale del Mediterraneo. L’area considerata è relativamente ristretta e l’ampliamento della scala di campionamento potrebbe fornire risultati diversi sulla strutturazione della specie in popolazioni. Anche il mancato rilevamento di “isolamento da distanza” riscontrato con il test di Mantel deve essere analizzato alla luce delle precedenti considerazioni. Alla scala spaziale da noi scelta non è stata rilevata una barriera alla dispersione della specie, ma questo non esclude che, l'eventuale presenza di “isolamento da distanza” in A.

antennatus possa essere rilevato, con i marcatori molecolari da noi utilizzati, aumentando la maglia del campionamento, ad esempio, considerando l'Oceano Atlantico e/o il Mediterraneo Orientale.

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4.3. Aspetti di demografia storica

Analizzando i risultati sulla diversità genetica all’interno dei campioni di A.

antennatus ottenuti in questo lavoro, è possibile fornire una lettura in chiave demografica della recente storia pregressa della specie. Seguendo le indicazioni suggerite da Grant & Bowen (1998), si possono ipotizzare quattro situazioni limite, derivanti dalle diverse combinazioni dei valori di diversità aplotipica e di quella nucleotidica (Fig. 4.1).

Fig. 4.1. Situazioni teoriche limite derivanti da diverse combinazioni di valori di diversità aplotipica e diversità nucleotidica. Modificato da Grant & Bowen (1998).

Seguendo questa linea teorica, i dati ottenuti di diversità aplotipica medio-alti accompagnati da valori di diversità nucleotidica (π) bassi rilevati nel presente lavoro inseriscono il nostro caso in una situazione intermedia che porta a ritenere che per l’intera area di studio, gli odierni popolamenti di A.antennatus derivino da un processo di espansione demografica prodottasi in seguito ad una riduzione storica del numero di

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individui. Una simile dinamica demografica è in grado di lasciare un’impronta nel DNA mitocondriale. La combinazione di elevati valori di diversità aplotipica con moderati o bassi livelli di diversità nucleotidica in varie specie marine sono frequentemente attribuiti a espansioni a partire da popolazioni dalle dimensioni efficaci ristrette, in quanto una rapida crescita della popolazione aumenta l’accumulo di mutazioni(Avise et al. 1984; Watterson 1984). Per questa specie non è, però, disponibile un orologio

molecolare che ci permetta di determinare il periodo e le cause che hanno portato ad una riduzione della popolazione efficace. I dati relativi ad una possibile espansione in un passato relativamente recente possono trovare conferma nella disposizione degli aplotipi nei network.(Figg. 3.2, 3.3, 3.4). I network concordano infatti nel presentare una “star phylogeny” ciascuno, cioè la situazione in cui al centro si ritrova un aplotipo più frequente (ritenuto ancestrale), mentre gli aplotipi di derivazione più recente e a frequenza molto bassa, si connettono al primo tramite uno o pochi step mutazionali. Le

“star phylogeny”, quindi, evidenziano graficamente quello che esprime la combinazione di elevati valori di diversità aplotipica con bassi valori di diversità nucleotidica.

L’elevata diversità aplotipica è riconoscibile nei network nell’abbondante numero di aplotipi (rappresentati graficamente come cerchi), mentre la bassa diversità nucleotidica è riscontrabile nel basso numero di nodi, e quindi di mutazioni, che separano gli aplotipi.

Questo risultato suggerisce che la dispersione contribuisce ad una diffusione vastissima degli aplotipi e quindi ad una scarsa differenziazione tra campioni di località anche molto distanti geograficamente. L’espansione demografica è anche suggerita dalla distribuzione “mismatch” e confermata statisticamente dai test R2 di Ramos-Onsins &

Rozas (2002) e FS di Fu (1997). Le curve ottenute presentano un andamento che coincide quasi completamente alla curva di distribuzione attesa, fedele quindi al modello dell’espansione demografica.

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4.4. Gestione della risorsa

I dati genetici ottenuti nel presente lavoro consentono di attestare per Aristeus antennatus un generale stato di “buona salute“ La pesca a strascico si concentra

principalmente su un intervallo batimetrico che dalla superficie arriva fino a circa 800 metri di profondità. Essa non ha impatto quindi sui popolamenti che vivono al di sotto e che sono stati definiti “stock vergini” (Sardà et al., 2002). Le interazioni esistenti tra lo strato sfruttato dalla pesca e quello vergine sono a tutt’oggi argomento di studio. Sardà et al. (2002) hanno ipotizzato, sulla base di analisi dell’abbondanza e della biomassa, un

modello sulle relazioni tra le due frazioni di questa specie secondo cui il numero di individui della zona di pesca è più basso rispetto a quello della zona vergine. Lo scambio di individui avrebbe una componente prevalente dai popolamenti più profondi verso quelli più superficiali, con lo stock vergine che contribuirebbe al mantenimento della specie nella fascia sfruttata, che quindi rimarrebbe in proporzione pressoché costante. Ciò garantirebbe quindi protezione nei confronti di A. antennatus anche in zone apparentemente sovrasfruttate. Inoltre, in aggiunta ad un recupero di individui dovuto ad una migrazione verticale si può ipotizzare anche un contributo al recupero che avviene in senso orizzontale. Non si può escludere l’esistenza di individui dello strato più superficiale che vivono in rifugi protetti, come ad esempio, canyon non raggiunti dalla pesca a strascico, che garantiscono un apporto di reclute che contribuiscono al recupero dei popolamenti della zona sfruttata (Orsi Relini et al., 1986;

Sardà et al., 1994, 1997; Matarrese et al., 1995).

Le caratteristiche sopra citate, oltre all’alto tasso di turnover che caratterizza A.

antennatus, dovuto all’alta fecondità ed alla precoce maturità sessuale (Orsi Relini &

Semeria, 1983), permettono una notevole capacità di resilienza di questa specie nel bacino del Mediterraneo Occidentale. Ovviamente se il progresso delle tecnologie

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nell’ambito della pesca a strascico portasse ad aumentare l’intervallo batimetrico interessato dalla pesca a strascico, gli stock vergini, che costituiscono una riserva protetta di individui sufficiente, potrebbero essere compromessi, mettendo in pericolo la sostenibilità del prelievo di questa specie. Per uno sfruttamento sostenibile di A.

antennatus, ma anche per un aumento del rendimento di pesca, oltre al rispetto delle

attuali norme sulla pesca, potrebbe essere utile l’introduzione di una rotazione delle aree di pesca o di un fermo biologico durante la fine dell’estate, periodo più vulnerabile per le reclute, al fine di favorire il reclutamento, come proposto da D’Onghia et al. (1997).

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5. CONCLUSIONI

Il presente lavoro rappresenta un contributo alla conoscenza della struttura genetica del gambero imperiale. I risultati confermano, in linea di massima, i dati ottenuti da Sardà et al. (1998) su Aristeus antennatus, che avevano evidenziato differenze morfologiche tra campioni del Mediterraneo, però non riscontrate a livello genetico con la tecnica dell’elettroforesi degli allonzimi. Ciò era stato interpretato sulla base di un adattamento morfologico ecofenotipico, in risposta alle differenti condizioni locali cui gli individui sono sottoposti. Il nostro studio, pur avendo utilizzato marcatori molecolari più sensibili rispetto agli alloenzimi, conferma, almeno per il Mediterraneo Occidentale, l’assenza di basi genetiche nel determinare il differenziamento morfologico riscontrato.

L'analisi delle sequenze dei geni mitocondriali 16SrDNA e COI di A. antennatus in tre località del Mediterraneo Occidentale ha consentito di rilevare in primo luogo un alto grado di diversità genetica all’interno dei campioni, ed una scarsa divergenza genetica tra i campioni considerati. La scarsa eterogeneità genetica rilevata tra i campioni può essere spiegata sulla base dell’elevato potenziale per la dispersione e quindi di flusso genico in questa specie. La larva a lunga vita pelagica è la responsabile principale dello scarso livello di divergenza genetica tra campioni di località anche distanti e non si può escludere un contributo significativo al flusso genico anche a carico degli adulti. I risultati suggeriscono la presenza di una condizione di panmissia, in altri termini, di un’unica popolazione, all’interno della zona geografica considerata.

Un altro aspetto che è stato analizzato nel presente lavoro è quello della demografia storica della specie. Sulla base dei dati rilevati, è stato possibile trovare segnali di un‘espansione demografica in un passato relativamente recente. Rimangono difficili interpretare i fattori che hanno determinato l’espansione demografica.

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Per valutare se esiste relativa omogeneità genetica nell’intero areale di distribuzione della specie la scala spaziale del disegno di campionamento dovrà comunque essere ampliata,. Dovrà inoltre essere considerata la dimensione verticale (profondità), al fine di ottenere stime di flusso genico tra i popolamenti profondi e quelli più superficiali.

In un’ottica gestionale, i risultati del presente lavoro suggeriscono che nel Mediterraneo Occidentale A. antennatus è costituito da un unico stock, caratterizzato da un buono stato di “salute genetica”. I risultati concordano con l’ipotesi di sostenibilità della pesca di A. antennatus proposta da D’Onghia et al (2005). Ciò è legato alle elevate capacità di resilienza dei popolamenti di questa specie, da attribuire soprattutto all’elevata fecondità, mobilità e capacità dispersive. Si può concludere, quindi, dicendo che una corretta politica gestionale, può essere sufficiente per garantire continuità nel prelievo della risorsa senza causarne danni sostanziali.

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