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Osservazioni conclusive

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Academic year: 2021

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Osservazioni conclusive

Il libro di Giorgio Radicati, diplomatico italiano, “Europa sì. Europa no. L’euroscetticismo è nato a Praga” è stato alle origini della curiosità scientifica che ha portato all’elaborazione di questo scritto. E’ stato realmente così? Ovvero la Repubblica Ceca ha rappresentato davvero la culla del fenomeno euroscettico?

Attraverso il seguente lavoro si è dunque cercato di dare una risposta a questo interrogativo, prendendo la decisione di non soffermarsi esclusivamente sul fenomeno euroscettico in sé, ma cercando di ottenere una visione più completa della situazione ceca partendo proprio da un excursus storico e sociale del paese. Ripercorrere quelle che sono state le tappe fondamentali della storia ceca, aiuta a meglio comprendere le valutazione e le decisioni prese dal governo in relazione alla questione europea. Infatti si può notare come il pesante passato comunista quarantennale abbia inciso fortemente sulle valutazioni non solo dei partiti politici, ma anche dei cittadini stessi; vi era una comune paura di poter ricadere sotto il dominio di una potenza straniera come era già accaduto in passato, con il rischio di veder limitata la sovranità nazionale da poco ritrovata. Per questo motivo, in aggiunta alla mancanza di sfiducia nelle istituzioni, l’iniziale entusiasmo per la futura adesione europea lasciò spazio ad un dilagante sentimento euroscettico. Ed è proprio su questo aspetto che si è concentrata l’attenzione nella parte conclusiva del seguente lavoro, cercando di analizzare nel dettaglio ogni singolo aspetto del fenomeno euroscettico, dal concetto in sé alla sua evoluzione nel tempo. Si trattò di un sentimento di pessimismo e scetticismo che coinvolse ogni aspetto della società dai partiti politici, all’opinione pubblica fino al mondo intellettuale. Si diffuse la convinzione che, in seguito all’adesione ad un’entità super-statuale, fosse Bruxelles ad avere l’ultima parola su ogni decisione da prendere.

Purtroppo i rappresentanti cechi a Bruxelles non furono mai in grado di argomentare al meglio le loro posizione euroscettiche, sembrava quasi che il loro fosse un mero “punto preso” e che non avesse basi solide sulle quali poggiarsi; tutto ciò provocò una perdita di credibilità agli occhi degli altri rappresentati in sede del Parlamento europeo, la cui percezione della Repubblica Ceca come stato euroscettico

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divenne sempre più priva di logica. Questa ambiguità può esser ricollegata al fatto che i partiti non rigettarono mai in pieno l’idea d’integrazione, poiché credevano di poter ottenere dei benefici una volta entrati a far parte dell’Europa, soprattuto a livello economico con l’appartenenza all’area di libero scambio. Dunque per quanto l’euroscetticismo fosse ben radicato nel paese, si fece sempre più “soft” in seguito all’adesione europea, questo perché ai gruppi politici non rimase altro che accettare la situazione cercando di trarne il maggior profitto possibile.

Dopo aver concluso il lavoro di tesi, si può affermare che la Repubblica Ceca ha rappresentato realmente la culla dell’euroscetticismo. Rispetto alla totalità degli altri paesi dell’Europa centro-orientale, qui il fenomeno ha trovato terreno fertile e ha avuto la possibilità di crescere più forte e duraturo. Sebbene si sia indebolito a partire dal 2004, il fenomeno euroscettico persiste tutt’oggi, come si può constatare dall’analisi dell’attuale situazione ceca e dai risultati delle recenti elezioni per il Parlamento europeo. Non solo la Repubblica Ceca risulta essere il paese maggiormente euroscettico all’interno del gruppo Visegrad, ma è lo stato con la più alta percentuale di giovani favorevoli all’uscita del loro paese dall’Unione (24%). La grande sfiducia nelle istituzione europee e la volontà di proteggere la propria sovranità nazionale persistono nell’essere tematiche di rilievo in ambito euroscettico.

La continua avanzata sulla scena politica internazionale dei populisti, dei sovranisti e degli euroscettici riguarda da vicino anche la Repubblica Ceca dove Andrej Babiš, miliardario e proprietario del colosso Agrofert, con il suo partito ANO 2011 (l’Azione dei Cittadini Insoddisfatti, in ceco Akce Nespokojených Občanů) ha vinto le europee; egli è protagonista della politica ceca sin dal 2013, anno delle sue prime elezioni dopo la creazione del partito l’anno precedente. E’ inoltre riuscito a superare senza gravi conseguenza gli scandali che lo hanno riguardato, riuscendo a spostare l’attenzione dei cittadini dalla politica interna alle tematiche di politica estera. Tuttavia, ad alimentare l’ombra scettica sul paese è il presidente filo-russo Miloš Zeman, che ha conquistato il suo secondo mandato lo scorso anno, portando avanti la sua politica xenofoba e anti-islamica. Il presidente ceco non condivide il progetto europeo di ricollocamento dei

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migranti e propende per un’Unione composta da nazione sovrane; egli ha inoltre minacciato in più occasioni l’uscita del paese dall’Europa (Czexit).

Possiamo dunque concludere affermando che la Repubblica Ceca persiste nell’essere un paese fortemente euroscettico, con in corso continui dibattiti sulla possibilità di uscita dall’Unione. I dati economici però rilevano quanto sia stata rilevante l’integrazione per il paese: infatti ben l’85% delle esportazioni ceche è verso paesi del mercato unico, il tasso di disoccupazione è uno dei più bassi ed è stata registrata negli anni una crescita del PIL sempre maggiore (5,3% nel 2015). Ma malgrado i molteplici vantaggi, non solo economici, ottenuti con l’adesione europea, la Repubblica Ceca non è in grado di scrollarsi di dosso quella diffidenza e quello scetticismo che l’hanno sempre contraddistinta.

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