CAPITOLO 1
1.1 Misurazione e gestione del rischio
Il mercato finanziario si identifica per due caratteristiche fondamentali:
trasferimento di capitali tra operatori economici che ne accumulano (famiglie) e gli operatori che invece ne fanno domanda (pubblica amministrazione ed imprese);
redistribuzione dei rischi economici tra i medesimi operatori.
La funzione del trasferimento del risparmio si realizza attraverso l’emissione di strumenti finanziari da parte dei soggetti in disavanzo finanziario, in altre parole quelli che, con riferimento ad un dato intervallo di tempo, non dispongono di sufficiente capitale per far fronte ai propri pagamenti, e la loro cessione, in cambio di capitale, ai soggetti in avanzo finanziario, vale a dire quelli che, sempre per un certo intervallo di tempo, dispongono di capitale in eccesso rispetto ai propri pagamenti. Il mercato finanziario viene tradizionalmente distinto, in funzione della natura degli strumenti finanziari oggetto degli scambi, in tre segmenti: mercato creditizio, in cui vengono emessi e rimborsati strumenti personalizzati sulla base delle caratteristiche individuali dei contraenti e non destinati alla circolazione, detti appunto creditizi; mercato mobiliare, in cui vengono emessi, rimborsati e scambiati strumenti standardizzati destinati alla circolazione, detti per questo mobiliari e mercato assicurativo, in cui vengono emessi strumenti finalizzati a trasferire i rischi su tutti gli operatori esposti al medesimo rischio secondo il meccanismo dell’assicurazione. A seconda della durata degli strumenti finanziari scambiati si distinguono, invece, il mercato monetario, in cui vengono scambiati strumenti con scadenze brevi, dal mercato dei capitali, in cui vengono scambiati titoli a medio-lungo termine.
Infine, in base al momento di emissione degli strumenti finanziari scambiati si distinguono il mercato primario, in cui vengono scambiato titoli di nuova
emissione tra emittenti e investitori, realizzando così il trasferimento del risparmio e il mercato secondario, in cui vengono scambiati tra investitori titoli già emessi in epoca precedente, consentendo di fatto, attraverso la loro vendita, di trasformare in moneta gli strumenti finanziari indipendentemente dalla loro naturale scadenza. I mercati primario e secondario sono strettamente collegati quanto a funzionalità ed efficienza. Senza un mercato secondario che garantisca la possibilità di liquidare rapidamente e con costi e rischi contenuti il proprio investimento, nessun operatore sottoscriverebbe mai un’obbligazione con scadenza trentennale. D’altra parte soltanto continuo apporto di nuove emissione consente al mercato secondario di espandersi e di diventare sempre più liquido.
Quando si tratta l’ampio argomento dei mercati finanziari non è possibile non introdurre il concetto di rischio: esso può essere definito come la possibilità che il rendimento di un investimento sia differente rispetto alle attese di un determinato investitore. Il rischio è sempre presente nel mercato ma ciò che cambia è la sua percezione da parte degli investitori, ovvero in altri termini, la loro fiducia nell'investimento stesso. I risparmiatori percepiscono il rischio soprattutto quando questo si manifesta sotto forma di perdita. La misurazione del rischio (risk management) ha preoccupato gli operatori finanziari fin dagli albori della storia; l'era della misurazione del rischio ha avuto inizio nel 1973, anno che ha visto sia il crollo del sistema basato sui tassi di cambio fissi di Bretton Woods, sia la pubblicazione della formula di valutazione delle opzioni di Black-Scholes. Il crollo del sistema di Bretton Woods e la rapida transizione verso un sistema di tassi più o meno liberamente fluttuanti, ha esortato l’adozione di modelli per la misurazione e la gestione del rischio del tasso di cambio; mentre le idee alla base della formula Black-Scholes hanno fornito il quadro concettuale e gli strumenti di base per la misurazione e la gestione del medesimo rischio. In quell’anno si è assistito ad un’enorme volatilità dei tassi di cambio e soprattutto a uno sviluppo di strumenti derivati (tra cui i forward, future, swap e opzioni), utili per la gestione dei rischi di variazioni dei prezzi delle valute estere e dei tassi di interesse. Tali strumenti inoltre, hanno facilitato la gestione della volatilità dei tassi di interesse e di cambio, in quanto possono essere utilizzati per compensare i rischi in strumenti esistenti,
posizioni e portafogli, dato che i loro flussi e valori mutano con le fluttuazioni dei tassi di interesse e dei prezzi in valuta estera. Gli strumenti derivati sono ideali in quanto alcuni possono essere scambiati in modo rapido, semplice e con bassi costi di transazione, mentre altri possono essere adattati alle esigenze dei clienti. Lo sviluppo degli strumenti derivati è stato accompagnato da un aumento della negoziazione di strumenti di cassa e titoli, ed è stato coincidente con la crescita del commercio estero. Come risultato di queste tendenze, molte aziende hanno portafogli che comprendono un grande somma di denaro contante e un grande numero di strumenti derivati. A causa del numero e della complessità della liquidità e degli strumenti derivati, spesso è difficile calcolare l’esposizione rischiosa all’interno dei portafogli delle imprese.
I principali rischi a cui sono sottoposte le istituzioni finanziarie, sono:
Rischio di mercato (market risk): il rischio di mercato sorge da movimenti indesiderati nei prezzi, nei tassi di interesse, nei tassi di cambio, nelle volatilità delle opzioni. Un’importante estensione della moderna teoria di portafoglio è rappresentata dalle tecniche di valore a rischio (VaR) che rappresentano storicamente il primo passo dei sistemi di risk management finalizzato alla stima statistica delle probabilità di perdita monetaria. Attualmente, è in corso un processo di raffinamento delle tecniche di VaR, soprattutto volto a sviluppare procedure di stress testing: come ha dimostrato la crisi asiatica, i modelli VaR sono incapaci di incorporare gli effetti più drastici del movimento delle variabili di mercato, in particolare i fenomeni di “rottura” delle correlazioni storiche.
Rischio di credito (credit risk): il rischio di credito fa riferimento all’incapacità (potenziale) di una controparte di soddisfare i propri impegni contrattuali (si parla allora di fallimento della controparte o counterparty default risk). Per una banca il rischio di credito rappresenta il principale fattore di rischio, e tuttavia minore è stata l’attenzione e lo sviluppo metodologico ad esso riservato. Solo recentemente la situazione si è modificata. J.P. Morgan ha sviluppato CreditMetrics, mentre la Credit Suisse Financial Products ha introdotto
CreditRisk+. Il fine comune di queste metodologie, un fine analogo alle metodologie VaR, è quello di stimare la perdita probabile di un portafoglio di esposizioni al rischio di credito e di valutare l’ammontare di capitale necessario per sostenerla.
Rischio di liquidità (liquidity risk): il rischio di liquidità fa riferimento a quelle situazioni in cui il possessore di uno strumento finanziario incontra difficoltà a trasferire tale strumento prontamente e a prezzi convenienti. Attualmente, sono in corso promettenti ricerche che tentano di applicare la metodologia del VaR al rischio di liquidità.
Rischio operativo (operational risk): il rischio operativo è il rischio che operazioni improprie di elaborazione o gestione dei sistemi si traducano in perdite monetarie. Esso comprende le perdite che possono verificarsi in caso di fallimento del sistema di controlli, di trading non autorizzato, di frode da parte delle funzioni di front e back office, d’inesperienza del personale, di sistemi informatici carenti, instabili o inadeguati. In generale, una società con elevati rischi operativi è anche una società ad elevato rischio di credito, in quanto la probabilità di fallimento è maggiore in presenza di sistemi operativi inadeguati. Rischio di regolamento (settlement risk): il rischio di regolamento è il rischio derivante dal mancato funzionamento dei sistemi di pagamento (settlement). Esso è un rischio misto, nel senso che l’origine del mancato pagamento può derivare dall’incapacità della controparte di saldare i propri debiti (rischio di credito) oppure da difficoltà tecniche (rischio operativo). Per attenuare la portata dei rischi di regolamento sono nati nuovi contratti finanziari. Inoltre, la stessa funzione viene svolta dai sistemi di consegna-contro-pagamento (delivery-versus-payment) nonché dalla presenza di numerose Casse di compensazione e garanzia (clearing house) nei mercati regolamentati.
In generale, sebbene i sistemi di stima del rischio di mercato siano ormai a un livello di definizione e di utilizzo avanzato, è ancora lontano l’obiettivo di integrare il rischio di mercato, di liquidità, di credito e operativo in un unico modello. Al contrario, l’integrazione finanziaria mondiale e lo sviluppo di nuove
linee di business, rende la gestione integrata dei rischi di mercato, di liquidità, di credito e operativi un fattore chiave di successo locale e di stabilità globale del sistema. Per le istituzioni a estensione mondiale, poi, la corretta gestione dei rischi di regolamento e operativi si configura come una misura di reputazione. In un certo senso, la globalizzazione della finanza e dei rischi ha condotto a un nuovo mondo in cui i rischi sistemici si sono abbassati, creando nel contempo nuove categorie di rischio.
Come si può gestire il rischio finanziario?
Il compito di previsione dei rischi finanziari è ulteriormente complicato dal fatto che tale rischio non può essere direttamente misurato, ma deve derivare dal comportamento dei prezzi dei mercati osservati in un determinato periodo di tempo. Questo significa che il rischio finanziario non può essere misurato nello stesso modo come la temperatura, misurata da un termometro: il rischio è una variabile latente. Ad esempio, alla fine di un giorno di negoziazione, è noto che il rischio del giorno è sconosciuto. Tutto quello che possiamo dire è che il rischio è probabilmente alto se i prezzi hanno oscillato vertiginosamente durante il giorno. Di conseguenza, la misurazione del rischio richiede modelli statistici. L'obiettivo dei modelli di misurazione del rischio è quello di facilitare le decisioni. Di conseguenza, il modo migliore per valutare tali misure è quello di scoprire quanto bene essi svolgono al compito previsto. Se diverse misure di rischio danno lo stesso risultato si deve scegliere quella su cui è più facile lavorare. Se, invece, danno diversi risultati in base alle scelte di investimento, dobbiamo pensare più attentamente su quale usare.
1.2 Value at Risk (VaR)
Il Value at Risk (VaR) nella sua definizione comunemente accettata è la massima perdita potenziale di un determinato portafoglio, in cui si può incorrere ad un certo livello di confidenza in un determinato orizzonte temporale futuro. Nel cambiamento potenziale del valore di portafoglio, risiede il concetto di rischio di mercato (market risk), con cui si intende la massima perdita potenziale derivante
da variazioni nei tassi di interesse, nei prezzi azionari, nei tassi di cambio e nei prezzi delle merci, nonché da variazioni nella volatilità dei movimenti di prezzo. Alcuni aspetti del rischio di mercato possono essere “modellizzati”, con un certo grado di confidenza, introducendo tuttavia un’altra fonte di rischio, il cosiddetto model risk (cioè il rischio derivante da una imperfetta modellizzazione della realtà finanziaria). La capacità di misurare e gestire il rischio di mercato dipende dalla bontà del modello utilizzato e dalla corretta rappresentazione delle esposizioni che costituiscono il portafoglio (o i portafogli). La moderna teoria del portafoglio afferma che il rischio di un portafoglio può essere approssimato dalla sua deviazione standard, vale a dire da una misura della dispersione della distribuzione del rendimento. La deviazione standard è il numero necessario per sintetizzare le informazioni rilevanti e per costruire regole precise di gestione del rischio (risk management). Tuttavia, l’approccio della deviazione standard non ha incontrato un grande successo tra i manager, perché questi ultimi sono portati a pensare ai propri rischi in termini di perdite monetarie piuttosto che in termini di deviazioni sopra e sotto i profitti attesi. Per aiutare i manager nell’attività di gestione del rischio, si è resa necessaria l’introduzione di una nuova misura di rischio. L’idea è stata quella di misurare lo spread dei profitti (la deviazione standard) in termini di perdita associata con una certa probabilità.
Nel corso del 1990, il Value at Risk (VaR) è stato ampiamente adottato per la misurazione del rischio di mercato nel portafoglio di negoziazione. J.P. Morgan è ormai considerata la prima banca che ha reso il VaR una misura ampiamente diffusa. Nel 1990 il presidente della banca J.P. Morgan, Dennis Weatherstone, si riteneva insoddisfatto dei lunghi report di analisi del rischio che riceveva ogni giorno; egli necessitava di un report semplice che sintetizzasse l’esposizione totale della banca su tutto il proprio portafoglio di trading. Così chiese ai responsabili delle varie divisioni di fare un briefing in modo da poter rispondere a questa domanda: “How much can we lose on our trading portfolio by tomorrow's close?” ("Quanto possiamo perdere sul nostro portafoglio di negoziazione dalla chiusura di domani?"). Si svilupparono due diversi approcci per rispondere alla domanda di Weatherstone: il primo è un approccio probabilistico/statistico, che è al centro
della misurazione del VaR; il secondo è un approccio alternativo, non quantitativo, un approccio soggettivo, che calcola l'impatto sul valore del portafoglio di uno scenario o una serie di scenari che riflettono quelle che vengono considerate “circostanze negative”. Qualche anno dopo J.P. Morgan pubblicò su Internet una versione semplificata del proprio sistema di calcolo dei rischi finanziari, chiamata Risk Metrics. Nel 1996 il BIS Amendment adottò ufficialmente il VaR per calcolare il capitale che le istituzioni finanziarie devono detenere per coprire la loro esposizione ai rischi di mercato e di credito. I modelli basati sul VaR, sviluppato nei primi anni novanta da alcune delle maggiori banche statunitensi, e reso popolare nella versione della banca J.P. Morgan, è diventato gradualmente lo standard operativo del settore, tanto da indirizzare lo stesso Comitato di Basilea verso l’approvazione del suo utilizzo in alternativa a un più semplice metodo standard per l’applicazione dei requisiti patrimoniali a fronte dei rischi di mercato.
Il VaR è oggigiorno definito come: “la misura della massima perdita “potenziale” che un portafoglio può subire con una certa probabilità su un determinato orizzonte temporale.”
VaR1-(X)= PMP1- (X) – E(L);
PMP(X)= perdita massima potenziale che un determinato portafoglio può subire ad un determinato livello di confidenza , all’interno di un determinato orizzonte temporale;
E(L)= perdita attesa del portafoglio di investimento nell’arco temporale prescelto.
Il VaR inoltre può essere chiarito tramite una definizione probabilistica: esiste infatti una probabilità pari a (1-) di incorrere in una perdita maggiore del VaR stesso, all’interno dell’orizzonte temporale di riferimento. Analiticamente può essere riportato nel seguente modo:
I vantaggi e la popolarità del VaR sono legati al fatto che si tratta di una misura che aggrega in un solo numero diverse componenti di rischio di mercato: l'analisi del Value at Risk viene effettuata sulla base dei diversi fattori di rischio a cui può essere esposto un portafoglio; ad esempio il rischio di tasso d’interesse (a breve o lungo termine), il rischio del prezzo dei titoli azionari o il rischio di cambio. Il concetto del VaR richiede la scelta di due parametri arbitrari:
l’orizzonte temporale, che può essere giornaliero, settimanale, mensile, trimestrale o altro;
il livello di confidenza, che può essere il 90%, 95%, 99%, 99.9% o un’altra probabilità scelta. Il livello di confidenza (tipicamente 95% o 99%) rappresenta la probabilità di incorrere in una perdita che al massimo sarà pari al valore calcolato; in altre parole significa che ci si potrebbe aspettare una perdita superiore a quella stimata rispettivamente nel 5% e nell’ 1% dei casi.
Per i prezzi parliamo di valore del portafoglio e quindi il VaR sarà il valore minimo del portafoglio a quel livello di confidenza. Nel caso più semplice dunque, possiamo pensare alla distribuzione di un rendimento di una singola attività ad una certa data e al VaR come a quel valore che lascia alla propria destra un’area pari al livello di confidenza prescelto.
È possibile visualizzare il VaR di un portafoglio attraverso la distribuzione di probabilità dei potenziali profitti e delle perdite: sull'asse delle ascisse è possibile leggere i valori di profitti e perdite, sull'asse delle ordinate la densità con cui i profitti e le perdite si osservano. La probabilità è data dall'area sottesa alla curva. I valori estremi della distribuzione sono chiamati code: sulla coda destra si trovano i valori positivi, cioè i profitti potenziali più elevati che hanno una probabilità bassa di presentarsi; sulla coda sinistra invece, le perdite negative anch'esse con una bassa probabilità. Il VaR è il valore sull'asse delle ascisse tale per cui l'area di probabilità è quella scelta dall'investitore. Calcolare il VaR con il 95% di probabilità significa lasciare il 5% di probabilità sulla coda sinistra della distribuzione, implicando la massima perdita potenziale non sarà maggiore di quella che si legge sull'asse delle ascisse nel 95% dei casi sull'orizzonte temporale selezionato. Ad esempio è possibile affermare che, con il 95% di probabilità, nell'arco di un giorno non si perderanno più di 500 euro sul valore totale del portafoglio. Esiste infine una definizione di VaR in termini di perdita assoluta di denaro o in termini di perdita relativa ai rendimenti medi. Nella pratica quotidiana esistono diverse metodologie per il calcolo del VaR, ognuna con i suoi punti di forza e di debolezza. Le più utilizzate sono:
1) le metodologie analitiche (o parametriche), come RiskMetrics di JP Morgan; 2) la simulazione storica;
3) il metodo di Monte Carlo.
Di seguito viene proposta una breve analisi delle diverse metodologie in quanto i tre gruppi sono basati su ipotesi molto diverse tra loro e per tale motivo, i risultati ottenuti possono differire sensibilmente.
1.3 Metodologie analitiche
I metodi analitici sono basati su una serie di ipotesi, la più importante delle quali vuole che la distribuzione empirica dei profitti e delle perdite (la distribuzione dei rendimenti) abbia una determinata forma, cioè sia una distribuzione normale. Il grafico seguente mostra un esempio di distribuzione normale:
Tale ipotesi (chiamata anche “ipotesi di normalità dei rendimenti”) è fortemente contestata dalla dottrina e costituisce uno dei principali motivi per cui ai metodi analitici, si sostituiscono spesso i metodi basati sulle simulazioni. I metodi analitici sono tuttavia largamente diffusi per la loro semplicità e immediatezza di calcolo: descrivere infatti la distribuzione di probabilità dei profitti e delle perdite (i rendimenti) come una distribuzione normale standard, implica di poterla sintetizzare attraverso due soli parametri di comune utilizzo, il valore medio e la variabilità intorno alla media (varianza), evitando dunque calcoli complessi. Il più conosciuto tra i metodi parametrici è quello elaborato dalla banca JP Morgan denominato come RiskMetrics. Nell’ambito di tale metodologia è necessario per calcolare il VaR, ricondurre gli strumenti finanziari appartenenti al portafoglio ai fattori di rischio e successivamente, applicare l’algoritmo di calcolo utilizzando la volatilità dei fattori e la correlazione fornita direttamente da JP Morgan. Il calcolo del Value at Risk può essere sintetizzato attraverso alcuni passaggi:
Identificazione dell’esposizione al rischio: essa avviene mediante la scomposizione degli strumenti finanziari del portafoglio in flussi di cassa
elementari. È importante identificare i flussi di cassa per ogni strumento in quanto essi sono soggetti al rischio, dunque analizzando la loro natura e valutando il momento in cui si manifesteranno si avrà una descrizione completa dei fattori di rischio a cui è esposto il portafoglio. I flussi di cassa degli strumenti finanziari devono essere attualizzati, cioè il loro valore nominale futuro deve essere moltiplicato per un fattore di sconto al fine di determinarne il valore corrente. La scomposizione delle attività finanziarie in flussi di cassa elementari avviene per tutte le tipologie di strumento. I titoli a tasso fisso, ad esempio, sono rappresentati come una successione di pagamenti in corrispondenza delle cedole alle date future e del rimborso del capitale a scadenza, mentre i titoli azionari sono costituiti da un flusso di cassa positivo alla data odierna espresso nella valuta di bilancio.
Rimappatura dei flussi di cassa: dal momento che i flussi di cassa possono essere potenzialmente infiniti, JP Morgan applica una metodologia (chiamata mapping) che consente di ridurne il numero e di ricondurli tutti a scadenze predefinite chiamate “vertici”. In tal modo gli elementi necessari per calcolare il VaR, la volatilità e la correlazione, sono calcolati per un numero finito e relativamente contenuto di vertici, ovvero per un numero limitato di fattori di rischio. La rimappatura dei flussi di cassa viene applicata agli strumenti finanziari soggetti a rischio tasso in quanto questi possono generare numerosi cash flows elementari. Se i cash flow individuati hanno dunque una data valuta diversa dalle date corrispondenti ai risk factors gestiti da JP Morgan, vengono rimappati sui vertici RiskMetrics, cioè viene redistribuito il loro valore attuale sui vertici di risk factor tra i quali il flusso originario è compreso.
Applicazione dell’algoritmo di calcolo: il VaR di tutto il portafoglio viene calcolato sulla base dei VaR delle singole posizioni, tenendo però conto del fatto che esso non corrisponde alla somma dei VaR delle posizioni a meno che non ci sia una perfetta correlazione positiva tra le attività finanziarie. Il VaR della singola posizione è calcolato come il prodotto tra il valore attuale della posizione e la volatilità, cioè:
VaR = Valore attuale posizione * 1.65σ
(σ rappresenta la volatilità, che viene moltiplicata per 1.65 nel caso in cui si voglia avere un intervallo di confidenza del 95%).
Il VaR, dell’intero portafoglio, può essere ottenuto applicando una formula che tiene conto dei VaR delle singole posizioni (calcolate sulle rispettive volatilità) e delle correlazioni.
1.3.1 Esempio applicativo
Di seguito viene riportato un esempio di calcolo del VaR con un fattore di rischio, effettuato con la metodologia RiskMetrics.
Si ipotizzi di detenere valuta americana per un ammontare di 1000 dollari. Si vuole sapere, poiché la valuta base è l’euro, quale sarà la massima perdita potenziale in euro entro il giorno successivo con una probabilità del 95%, cioè si vuole determinare il VaR. Il primo passo verso il calcolo del VaR è calcolare l’esposizione al rischio. Un investitore la cui valuta base è l’euro, con un tasso di cambio USD/euro pari a 1.1776, ha un’esposizione al rischio cambio pari a 1177.6 Euro. Per determinare il VaR della posizione è necessario stimare quanto il tasso di cambio USD/euro può potenzialmente muoversi entro la giornata successiva. Per far ciò si utilizza la volatilità del tasso di cambio fornita da JP Morgan. Se la volatilità stimata giornaliera è, ad esempio, 0.545% il valore a rischio della posizione con il 95% di probabilità è:
Valore a rischio totale (VaR) = 1177.6 euro × 0.545% × 1.65 = 10.58 euro
Non si perderanno dunque entro il giorno successivo, con il 95% di probabilità, più di 10.58 euro.
1.4 La simulazione storica
La simulazione storica è una metodologia di calcolo del VaR che consente di superare alcune delle limitazioni descritte precedentemente. Tale metodologia tenta di predire come si muoveranno i prezzi in un prossimo futuro, basandosi sull’analisi degli eventi di mercato passati. I rendimenti storici sono esplorati in modo tale da generare un gran numero di scenari di mercato realistici per le varie tipologie di strumenti finanziari, da cui ricavare successivamente un numero elevato di potenziali profitti e perdite. Il VaR viene in questo caso stimato sulla base della distribuzione empirica dei profitti e delle perdite potenziali costruite sugli scenari simulati. Analiticamente il calcolo del VaR può essere descritto attraverso i seguenti passaggi:
Vengono raccolti i dati di mercato per i fattori di rischio individuati su un arco di tempo passato (ad esempio N giorni). Successivamente, si determina la variazione percentuale dei prezzi degli strumenti finanziari che compongono il portafoglio (l’eventuale profitto o perdita) tra un periodo e quello seguente. In questo modo viene prodotto un numero elevato di scenari di mercato (nel nostro esempio, N).
Si effettua una nuova valutazione del portafoglio corrente sulla base degli scenari di mercato e dei fattori di rischio, determinando per ognuno di essi quale sarebbe stato il profitto o la perdita del portafoglio se lo scenario si fosse realizzato nelle 24 ore successive.
I risultati degli N profitti e perdite di portafoglio estrapolati dall’analisi vengono raccolti in un istogramma; cioè viene ricavata la distribuzione empirica dei profitti e delle perdite.
Dalla distribuzione empirica si ricava il VaR associato alla probabilità desiderata.
1.4.1 Esempio applicativo
Prendiamo in considerazione un periodo di che va dal 08/01/2014 al 08/01/2015. Per calcolare il VaR, ordiniamo i rendimenti dal più piccolo al più grande. Considerando il valore che si trova sul 99esimo percentile, avremo che:
VAR (99%, 1) = -1.41.
Questo valore indica che la nostra perdita non supererà il 1,41 con probabilità del 99%.
Tabella 1 Rendimenti esempio
08/01/2015 1.815 07/01/2015 1.74 06/01/2015 1.66 05/01/2015 1.52 02/01/2015 1.36 ... ... 15/01/2014 -1.29 14/01/2014 -1.38 13/01/2014 -1.41 10/01/2014 -1.49
1.5 Metodo Monte Carlo
Il metodo di Monte Carlo presenta alcune similitudini con la simulazione storica, in quanto anch’esso simula una serie di scenari sulla base di dati storici. A differenza della simulazione storica tuttavia, è necessario presupporre una precisa distribuzione di probabilità per i fattori di rischio, e questo costituisce un punto di contatto con le metodologie analitiche (RiskMetrics presuppone che i rendimenti sono normalmente distribuiti). Il punto di forza del metodo Monte Carlo è che consente di generale un numero molto elevato di scenari. I dati storici sono utilizzati per determinare i parametri (ad esempio la media, la volatilità e le correlazioni) con cui descrivere la distribuzione di probabilità scelta. Il calcolo del VaR con la metodologia della simulazione Monte Carlo può essere riassunto attraverso i seguenti passaggi:
Scomposizione degli strumenti finanziari presenti in portafoglio in fattori rischio elementari.
Raccolta dei dati di mercato relativi ai fattori di rischio su un arco di tempo passato.
Simulazione degli scenari relativi ai fattori di rischio. Gli scenari sono definiti sulla base della distribuzione di probabilità scelta e dei parametri che descrivono la distribuzione. I parametri sono calcolati sulla base dei dati storici raccolti. Questa fase è caratterizzata da un’elevata intensità di calcolo in quanto con il metodo Monte Carlo è possibile generare un numero molto elevato di scenari.
Ribaltamento degli scenari simulati sul portafoglio. In questo modo si ottengono tanti valori del portafoglio quanti sono gli scenari simulati.
Confronto dei valori di portafoglio ottenuti sulla base degli scenari simulati con il valore corrente del portafoglio. Ciò consente di ottenere tanti valori di potenziali profitti e perdite quanti sono gli scenari simulati.
Raccolta dei profitti e delle perdite su un istogramma per visualizzarne la distribuzione, e individuazione del VaR sulla base della probabilità scelta
dall’investitore.
A causa delle ipotesi descritte su cui è fondata la metodologia Monte Carlo, la distribuzione dei potenziali profitti e delle perdite da cui si ricava il VaR è fortemente influenzata dalla distribuzione di probabilità che si è scelta per “modellare” i fattori di rischio e dai parametri cui essa viene descritta.
1.5.1 Esempio applicativo
Prendiamo in considerazione un portafoglio, dove i suoi rendimenti verranno generati da una simulazione Monte-Carlo. Utilizziamo la formula di Black-Scholes:
𝑑𝑆 = 𝑟 𝑆 𝑑𝑡 + 𝜎𝑆 𝑑𝑊
Dove:
r è il tasso di interesse; 𝜎 la volatilità del titolo W un moto browniano S il prezzo del portafoglio
In questo modo otteniamo una soluzione esplicita:
𝑆(𝑡) = 𝑆(0)𝑒(𝑟− 𝜎2
2 )𝑡+𝜎𝑊
Utilizzando il metodo di Eulero:
𝑆(𝑡 + ∆𝑡) = 𝑆(𝑡)𝑒(𝑟− 𝜎2
2 )∆𝑡+𝜎𝑊+√∆𝑡
Per generare il moto browniano utilizziamo il metodo Box-Muller:
𝑋 = √log(𝑈2) ∗ sin(2 ∗ Π ∗ 𝑈1)
Dove 𝑈1 sono 𝑈2 sono delle distribuzioni normali.
Consideriamo r=5%, 𝜎=30%, dt=0.1. Quindi, facendo circa cento iterazioni otteniamo la seguente realizzazione:
Figura 2 Simulazione Monte-Carlo
Otteniamo in questo modo:
VaR (99%) =-0.1363 ES (97.5%) =-0.1365.
1.6 Expected Shortfall (ES)
Con l’aumento dell’importanza della misurazione del rischio, nasce la necessità di valutare quali proprietà dovrebbe possedere una statistica di un portafoglio in modo tale da essere considerata una buona misura di rischio. Nella gestione del portafoglio vengono adottate tecniche di misurazione del rischio che classificano gli investimenti in base ad una funzione di utilità; ma, nel settore bancario, si tende a scegliere tecniche che abbiano certe proprietà “intuitive”. Quali altre proprietà intuitive deve possedere una misura di rischio per essere considerata ottimale? Supponiamo che l’investimento A domini l’investimento B, in altre parole si ha
che:
rendimento A≥ rendimento B; rischio A≤ rischio di B.
Ogni investitore razionale sarebbe portato alla scelta di A rispetto a B. Eppure alcune misure di base di performance risk adjusted non conservano questa proprietà. Introduciamo ora una serie di assiomi che devono essere soddisfatti, per avere una buona metrica di rischio.
1) monotonia: se A domina debolmente B allora A dovrebbe essere giudicato come più rischioso rispetto a B. Scriviamo questa proprietà matematicamente come:
ρ(A) ≤ ρ(B);
2) sub-additività: la misura di rischio di due portafogli che vengono fusi tra loro, non deve essere maggiore della somma delle loro misure di rischio prima che siano fusi. Infatti:
ρ (A + B) ≤ ρ(A) + ρ(B);
3) omogeneità positiva: cambiando la dimensione di un portafoglio di un fattore moltiplicativo k, la misura di rischio deve essere moltiplicata per k. In altre parole, se raddoppiamo la nostra scommessa, allora raddoppiamo il nostro rischio. Più in generale, per qualsiasi costante k positivo l’assioma omogeneità richiede:
ρ(kA) = kρ(A);
4) invarianza per traslazioni: se aggiungiamo un ammontare di cash h ad un portafoglio, la sua misura di rischio deve diminuire di h
ρ (A +h) = ρ(A)−h.
Sorprendentemente il VaR, pur essendo la misura di rischio adottata come migliore procedura, non è sempre una misura coerente di rischio perché non soddisfa l’assioma della sub-additività. Questa proprietà esprime il fatto che, un portafoglio
composto da sotto-portafogli, avrà un ammontare di rischio che è al più la somma dell’ammontare di rischio dei suoi singoli sotto-portafogli. Per una misura sub-additiva la diversificazione del portafoglio porta sempre a una riduzione del rischio, mentre per le misure che violano questo assioma la diversificazione produce un incremento nel loro valore, quando i rischi parziali sono provocati da eventi che non hanno un andamento esattamente concorde. Quindi, se non viene soddisfatto l’assioma della sub-additività, non vi è incentivo nel tenere portafoglio composti da più investimenti. Il VaR inoltre, non fornisce una stima delle perdite nei punti del grafico in cui la soglia del VaR viene superata. Nasce quindi l’esigenza di una misura di rischio che sia coerente anche nei casi di distribuzioni non normali: l’Expected Shortfall (ES) è una misura sub-additiva del rischio che descrive quanto le perdite siano ampie; in media quando esse superano il livello del VaR. In altre parole l’ES di un portafoglio è la perdita media che esso può subire nell’% dei casi peggiori.
È possibile fornire anche la seguente definizione matematica:
ES(X)= −E [X|X≤ q(X)] = E [X|X ≤VAR(X)]
L’Expected Shortall, a differenza del VaR, considera tutti i risultati inferiori alla soglia prestabilita (ovvero alla perdita massima potenziale PMP()) e ne calcola il valore atteso.
𝐸𝑆𝛼(𝑋) = 1
𝛼 ∑ −𝑥𝑖 ∗ 𝑝𝑖 𝑥𝑖<−𝑃𝑀𝑃𝛼
Figura 3 Rappresentazione grafica dell’Expected Shortfall
1.6.1 Esempio applicativo
Precedentemente abbiamo calcolato il VaR (99%) nel periodo che va dal 08/01/2014 al 08/01/2015 ed era pari a 1.41. Quindi per calcolare l’ES, bisogna considerare le perdite che sono inferiori a 1.41 e farne il valore atteso:
Tabella 2 Rendimenti calcolo ES
03/03/2014 -1,29 05/01/2015 -1.38 24/01/2014 -1.41 25/09/2014 -1.49 12/12/2014 -1.57 𝐸𝑆99% = 1.41+1.49+1.57 3 = 1.49
1.7 Confronto tra Value at Risk e Expected Shortfall
La seguente tabella mostra un esempio numerico che mette in evidenza come l’Expected Shortfall rispetti il principio di sub-additività a differenza del VaR:
Probabilità Portafoglio A Portafoglio B Portafoglio somma (A+B)
3% 70 100 170 2% 90 100 190 3% 100 70 170 2% 100 90 190 90% 100 100 200 Valore iniziale 98,9 98,9 197,8 VaR 5% 8,9 8,9 27,8 ES 5% 20,9 20,9 27,8
Si nota che il VaR ottenuto dal portafoglio somma sia maggiore della somma dei VaR dei singoli sotto-portafogli. Inoltre si osserva anche che l’ES dà risultati opposti e questi godono della proprietà della sub-additività. L’ES quindi, fornisce ulteriori informazioni circa la coda della distribuzione dei Profitti e delle Perdite (Profit and Loss) e matematicamente, possiamo definirlo come la media condizionata delle perdite di un portafoglio dato che esse sono maggiori del VaR. Anche se ad oggi l’Expected Shortfall non è una tecnica ampiamente utilizzata
come il VaR, è una statistica utile che fornisce importanti informazioni addizionali. Si può pensare ad ES come ad una misura media di quanto pesante sia la coda della distribuzione. Infine l’ES presenta alcune proprietà desiderabili che al VaR mancano: ad esempio, sotto alcune condizioni tecniche, ES è una funzione convessa dei pesi del portafoglio, queste proprietà lo rendono estremamente utile nel risolvere problemi di ottimizzazione quando si vuole minimizzare il rischio soggetto a certi vincoli.