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Capitolo I Storia e fonti della cultura musicale in Grecia antica.

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Capitolo I

Storia e fonti della cultura musicale in Grecia antica.

1.1 Le tracce documentarie delle origini

Intraprendiamo questo percorso di studio presentando una analisi delle fonti sulle origini della cultura musicale in Grecia. L’esistenza delle arti musicali in area egea è testimoniata da statuette di età cicladica che ritraggono figure di musici. L’interesse di questa prima parte della ricerca è proprio volto a cogliere le connessioni tra queste testimonianze mute e i riferimenti offerti dalla letteratura greca, al fine di comprendere il valore che le società greche riservarono a queste arti e il modo in cui le accolsero all’interno dei sistemi culturali sviluppati dalle singole poleis.

1.1.1 Musica, mito e letteratura

La linea di indagine che proponiamo mira ad analizzare le fonti letterarie sulla

mousikē prestando particolare attenzione al repertorio mitologico ad essa

relativo.1

Nell’ambito di una ricerca storico-antropologica, lo studio dei miti di argomento musicale permette di trarre argomenti utili a definire le forme di pensiero della società che li ha generati, e pertanto permette di comprendere le dinamiche di ricezione e sviluppo della cultura musicale in Grecia.

Un campo di ricerca privilegiato per la nostra indagine è costituito, in tal senso, dall’epica omerica. L’antichità della materia epica, e il lungo periodo di formulazione della tradizione orale, consentono a questa ricerca di misurarsi con una stratificazione di elementi di civiltà tra cui emerge l’uso delle arti musicali. La peculiarità dell’epica risiede in un doppio ordine di fattori per i

1 La scelta di focalizzare l’attenzione sul mito ha senso nell’ambito di una ricerca

storico-antropologica che mira ad individuare nel repertorio mitologico elementi utili alla comprensione della civiltà che li ha generati. Sulla funzione del mito come elemento di civiltà, cfr VERNANT 1965;1974;1990;DI DONATO 2003.

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quali possiamo renderla oggetto di studio. Essa, oltre a restituirci descrizioni di antiche pratiche musicali, era composta proprio con l’uso della mousikē technē, e pertanto costituisce un modello di riferimento per osservare le forme di espressione letteraria delle arti musicali.

Per ricostruire le origini della pratica musicale e provare a definire le categorie sociali e psicologiche che sottostanno alla sua diffusione, faremo riferimento al vasto patrimonio mitologico che si sviluppa intorno alla tematica musicale, mettendo a fuoco gli elementi sociali per cui si sono generati e sviluppati i vari filoni mitologici.

Si riscontra nell’etimologia del termine mousikē un riferimento alla genealogia che fa capo alle Muse, e di cui fa parte Orfeo.2 Il citaredo, figlio della Musa Calliope e di un sovrano trace, o di Apollo,3 per mezzo delle sue arti incantava la natura, commuoveva gli uomini, addolciva gli spiriti, fino quasi a sconfiggere la morte. Il valore psicagogico della sua musica è stato declinato in modi diversi dal repertorio mitologico, greco prima e romano poi, ma le tracce rilevabili dai miti greci fanno ipotizzare che si sia trattato di un mito di origine molto antica, che riconduce a Orfeo le caratteristiche tipiche di uno sciamanesimo orientale.4

Ad alimentare questa ipotesi è stata la difformità stessa delle fonti greche sul mito, le quali lasciano emergere elementi di una tradizione originaria che appare diversa rispetto a quella vulgata. La più antica testimonianza in questo senso è contenuta in un passo dell’Alcesti di Euripide, nel quale Admeto sembra alludere alla buona riuscita della discesa agli inferi di Orfeo per riportare in vita la moglie Euridice.5

2 Apoll. Bibl. I.3.

3 Un’altra tradizione attribuisce la paternità di Orfeo ad Apollo, cfr Apoll. Bibl. I 3.2.

4 Cfr GRAF 1987;BURKERT 2007.Una teoria sui contatti tra i Greci e le popolazioni di Scizia

e Tracia appartenenti a quella che è dallo studioso definita «società sciamanistica» è proposta in DODDS 1951, p.147.

5 Eur. Alc. 357-362 (438 a.C.) «εἰ δ' Ὀρφέως µοι γλῶσσα καὶ µέλος παρῆν,/ ὥστ' ἢ κόρην

Δήµητρος ἢ κείνης πόσιν/ ὕµνοισι κηλήσαντά σ' ἐξ Ἅιδου λαβεῖν,/ κατῆλθον ἄν, καί µ' οὔθ' ὁ Πλούτωνος κύων/ οὔθ' οὑπὶ κώπηι ψυχοποµπὸς ἂν Χάρων/ ἔσχ' ἄν, πρὶν ἐς φῶς σὸν καταστῆσαι βίον». Una lettura che allude a un esito positivo della discesa agli inferi di Orfeo sembra rilevarsi anche in un passo di Isocrate (Busiride 8). Il primo riferimento a un esito fallimentare della discesa agli inferi di Orfeo si trova in Platone (Simposio 179 d-e), la

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La possibilità di rintracciare nei miti di Orfeo forme religiose della Grecia prestorica non si delinea in modo netto, data la sostanziale ambiguità delle fonti. Un dubbio legittimo, sulla pertinenza dell’associazione tra le arti musicali del citaredo e la sua origine greca, è sollevato dagli studi di Meuli e Dodds, nei quali si analizza lo sciamanesimo praticato in regioni connesse con la Grecia per geografia o contatti commerciali.6 Emerge come i tratti caratterizzanti di queste pratiche sciamaniche - dal potere sugli elementi naturali alla discesa nell’oltretomba per recuperare un’anima - trovino ampi riscontri nella mitologia di Orfeo, che li rielabora in considerazione del sentire religioso greco. A sostegno dell’origine straniera del personaggio si può interpretare la doppia tradizione sulla paternità del citaredo. La figura di Apollo, infatti, sembra essere stata appositamente inserita per legittimare la presenza di Orfeo all’interno del pantheon greco, cancellando le sue origini tracie e assegnandolo ad una stirpe divina strettamente connessa con la sfera musicale. Questa lettura della mitologia del personaggio ci permette di fare delle considerazioni utili al nostro ragionamento. In primo luogo, se l’origine di Orfeo fosse da rintracciare ai confini della Grecia in età prestorica, ricaveremmo un dato cronologico utile ad attestare l’antichità delle pratiche musicali religiose. Inoltre, la presenza del citaredo nel pantheon greco tradizionale, dove è posto in dipendenza da una stirpe divina come capostipite di aedi e musici, andrebbe a sottolineare la ricezione da parte dei Greci della funzione religiosa delle categorie psicagogiche musicali e, dunque, l’espressa volontà greca di appropriarsi di questa tradizione come originale.

Ampliando la prospettiva di indagine al pantheon greco e ai miti ad esso relativi, vediamo che sono presenti molte divinità tra le cui competenze spiccano le arti musicali. Primo fra tutti è Apollo, il dio associato per

variazione del mito proposta non ha precedenti, e si deve ricondurre all’opera stessa del filosofo ateniese, cfr GRAF 1987.

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eccellenza alle Muse, la cui specialità è il canto con la kythara7. Il ruolo di

Apollo in un ipotetico “pantheon musicale” definisce meglio le sue origini all’interno delle influenze culturali ioniche.8 La figura del dio, che in un primo momento è connotata da caratteristiche guerriere, ha assorbito all’interno dei culti una particolare influenza sulle arti musicali. L’analisi delle feste musicali dedicate in Grecia ad Apollo, che proporremo nella terza sezione di questa ricerca, ci permetterà di profilare meglio l’origine e lo sviluppo delle competenze musicali del dio.9 Al momento basterà osservare che le fonti

greche attribuiscono generalmente al dio una specifica competenza musicale. Nell’Iliade il suono della kythara del dio accompagna momenti di danza animati da divinità femminili, quali la sorella Artemide,10 le Ninfe e le Cariti. Celebre è, inoltre, la tradizione relativa alla contesa musicale tra il dio e l’auleta Marsia, secondo la quale si stabilisce la supremazia di Apollo sull’arte musicale e, di riflesso, si conferisce allo strumento che è suo attributo, la

kythara, maggiore dignità rispetto all’aulos.11 Il legame fra Apollo e le celebrazioni musicali religiose è ancora proposto in un passo del De Musica pseudo-plutarcheo. Nel testo in questione,12 Soterico attribuisce al dio, «τὸν πάσαις ταῖς ἀρεταῖς κεκοσµηµένον», la prerogativa di aver scoperto i beni provenienti dalle arti musicali. Dimostrazione di ciò sarebbe, a suo dire, la presenza di performances corali e dell’accompagnamento musicale durante le

7 In realtà, le testionianze più antiche assegnano ad Apollo quale strumento principale la

phorminx (Il. I 603, XXIV 63 Hom. Hymn. Ap., vv.182-188) in un secondo momento sostituito

dalla kythara. La possibilità che i due termini si riferiscano ad uno stesso strumento è ipotesi sostenuta da molti studiosi; cfr BARKER 1984,WEST 1992, CASTALDO 2000.

8 Da questo punto di vista, come avremo modo di osservare nello studio delle feste musicali

greche dedicate al dio, è interessante analizzare la più antica fonte che riguarda l’istituzione del culto di Apollo a Delo, l’Inno omerico ad Apollo. Hom. Hymn. Ap., vv.130 ss.

9 Le celebrazioni musicali dedicate ad Apollo di cui ci occuperemo sono: le Delie, § 3.1 ss.;

le Pitiadi, § 3.2 ss.; le Gimnopedie, § 3.3.1; le Giacinzie, §3.3.2; le Carnee, § 3.3.3.

10 Un riferimento che lega la dea alla phorminx e alle danze è in Hom. Hymn. Aphr., vv.19. 11 L’esistenza di una gerarchia tra gli strumenti musicali è attestata dalla stessa pratica

musicale e trova riflesso nell’attribuzione divina degli strumenti. In modo speciale è dato maggior pregio agli strumenti a corda. Quelli a fiato, invece, pur essendo di derivazione divina, sono associati a divinità che hanno rapporto con l’arte araldica, come Hermes, o sono dominio specifico di divinità connesse con il mondo della guerra o della pastorizia, come è il caso di Atena e Ares con l’uso della salpinx, e di Pan inventore della syrinx. Sulla tradizione che vuole attribuire ad Atena l’invenzione dell’aulos, Corinna (fr. 678 Page), cfr. WILAMOWITZ

-MOELLENDORF 1922, p.145.

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processioni sacrificali in suo onore. Benché quello proposto da Soterico sia un ragionamento costruito a posteriori, è interessante notare la precedenza che una fonte tarda riconosce ai culti apollinei rispetto all’origine dei rituali musicali greci. Le performances corali e l’accompagnamento musicale delle processioni non erano appannaggio delle feste dedicate ad Apollo, ma il sentire comune conservava il ricordo dell’origine apollinea di una pratica che, nel tempo, entrando nell’uso, si era trasformata in consuetudine e diffusa nei culti religiosi delle altre divinità.

Altre divinità che si intrecciano ad Apollo nel rapporto con la musica sono Atena ed Ermes. La dea, alla quale si attribuisce l’invenzione dell’aulos, è anche protagonista del mito di Marsia. La sua figura è variamente rappresentata nell’atto di suonare strumenti a corda e a fiato e, in tal senso, non sembra denotare una competenza specifica nell’ambito musicale.13 Pausania ricorda, tuttavia, l’esistenza ad Argo di un santuario dedicato ad Atena con l’epiclesi di Salpinx, «tromba».14 Nella descrizione il periegeta riferisce che l’area sacra argiva era stata dedicata alla dea da Egeleo, il cui padre Tirseno, figlio di Eracle, aveva inventato lo strumento. Il patrocinio di Atena sull’eroe greco, che da fanciullo era stato allievo di Lino15 per l’apprendimento delle arti musicali, era per altra via connesso con la sfera musicale. In Apollonio Rodio16 si narra, infatti, del dono che Atena aveva fatto a Eracle dei krotala, strumenti a percussione il cui uso era principalmente associato alla danza e che sono generalmente legati ai culti di Dioniso.

Per quanto riguarda Ermes, invece, la tradizione letteraria riguardante le sue competenze musicali si riconduce all’Inno omerico a lui dedicato. Il dio, ancora bambino, è presentato come dotato di un’intelligenza tecnica

13 Primo riferimento alla vicenda che lega Atena e Marsia è nel frammento di un ditirambo di

Melanippide di Mileto (V sec.), riportato da Ateneo (fr. 758 Page).

14 Per l’associazione alla dea della salpinx, cfr. Anth. Pal. VI 46, 159. Altri attributi di ambito

musicale che si riferiscono alla dea sono: Ἀηδών, in Panfilia (Hesych. α 1514); Βοµβύλεια, in Beozia (Hesych. β 791); Ἐγκέλαδος, (Hesych. ε 215).

15 Cfr. Diod. III 67. Secondo il mito, Lino era un maestro di musica figlio della musa Urania

e di Apollo (Ig. Fab. 161), o di Anfiamaro (Paus. 9 29.6).

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assimilabile a quella posseduta dalla dea Atena. Con questa divinità Ermes condivide il merito dell’invenzione di uno strumento, la lyra, che, in base alla versione del mito riportata dall’Inno, Ermes offrirà ad Apollo in cambio del gregge.17

Una prospettiva orientata sugli effetti della musica nei suoi aspetti estatici è quella che afferisce agli ambiti di competenza di altre divinità, quali sono Dioniso, con il suo corteggio di satiri e menadi, Cibele e Pan. Mentre questi ultimi, appartenenti al mondo della pastorizia, sono rispettivamente ricordati per l’invenzione dei tympana e della syrinx, Dioniso è associato all’arte musicale per gli effetti che essa produce sull’anima. Il dio dell’estasi per eccellenza infonde stati di trance per mezzo del vino e della musica. Si tratta di una percezione del suono, non dissimile da quella attribuita a Orfeo, personaggio con il quale il dio condivide una origine non greca. Gli strumenti musicali adoperati da Dioniso, oltre a qualche ricorrenza della lyra, il cui ruolo è più genericamente quello di attributo di dignità regale, sono l’aulos, i

tympana e i kymbala.18 Questi tre strumenti erano senza dubbio quelli più rappresentativi dei corteggi dionisiaci. Essi si prestavano, infatti, all’uso processionale e, specie nel caso dei tympana e dei kymbala, il ritmo delle percussioni si confaceva ad accompagnare il canto ditirambico e i movimenti frenetici delle danze menadiche.

La presenza di una sfera di competenza musicale che attraversa trasversalmente il pantheon classico e associa agli dei l’invenzione degli

17 Ermes fa dono di una lyra a Cadmo per le sue nozze con Armonia, cfr Diod. V 47. Sulla

techne attribuita al dio per la costruzione dello strumento, cfr KAHN-LYOTARD 1995.

18 La presenza dei kymbala, sia nella letteratura che nell’iconografia greca è molto limitata. Si

tratta di strumenti misterici spesso fatti di bronzo, ritenuto dai greci un materiale puro. Il suono ottenuto dalla percussione di strumenti in bronzo era ritenuto capace di allontanare gli influssi negativi e per questo adoperato in rituali religiosi. Cfr CASTALDO 2000. Altri casi riscontrano

una associazione tra il metallo, e il suono che ne deriva, con la morte o il terrore. A tal proposito è interessante il passo di Il. XVIII v. 220, in cui l’urlo di Achille che terrorizza il nemico è definito bronzeo, «ὄπα χάλκεον Αἰακίδαο».

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strumenti e anche di tecniche musicali -come è il caso del nomos “pitico”19

attribuito ad Apollo e di quello “policefalo” escogitato da Atena- legittima l’esistenza della techne musicale artigianale, e le attribuisce prestigio divino. Gli effetti prodotti dal suono erano ricondotti dai Greci alla presenza di una forza divina, la cui azione sugli uomini si avvaleva dell’intermediazione dell’ispirazione delle Muse. Il paradigma che coniuga al sentimento religioso greco la suggestione musicale prende forma, in modo emblematico, nel proemio della Pitica I di Pindaro.

Χρυσέα φόρµιγξ, Ἀπόλλωνος καὶ ἰοπˈλοκάµων σύνδικον Μοισᾶν κτέανον· τᾶς ἀκούει µὲν βάσις, ἀγˈλαΐας ἀρχά, πείθονται δ' ἀοιδοὶ σάµασιν ἁγησιχόρων ὁπόταν προοιµίων ἀµβολὰς τεύχῃς ἐλελιζοµένα. καὶ τὸν αἰχµατὰν κεραυνὸν σβεννύεις αἰενάου πυρός. εὕ- δει δ' ἀνὰ σκάπτῳ Διὸς αἰετός, ὠ- κεῖαν πτέρυγ' ἀµφοτέρωθεν χαλάξαις, ἀρχὸς οἰωνῶν, κελαινῶπιν δ' ἐπί οἱ νεφέλαν ἀγκύλῳ κρατί, γˈλεφάρων ἁδὺ κλάϊθˈρον, κατέχευας· ὁ δὲ κˈνώσσων ὑγˈρὸν νῶτον αἰωρεῖ, τεαῖς ῥιπαῖσι κατασχόµενος. καὶ γὰρ βια- τὰς Ἄρης, τραχεῖαν ἄνευθε λιπών ἐγχέων ἀκˈµάν, ἰαίνει καρδίαν κώµατι, κῆλα δὲ καὶ δαιµόνων θέλγει φρένας ἀµφί τε Λα- τοίδα σοφίᾳ βαθυκόλπων τε Μοισᾶν.20 19 Cfr. § 3.2 ss.

20 Pind. Pyth I, vv.1-15. «Cetra d’oro, possesso comune di Apollo e delle Muse dai capelli

viola,/ che il passo di danza ascolta, principio di festa,/ alle tue note i cantori obbediscono/quando percossa intoni/ i preludi che guidano i cori./ E spegni l’acuminata

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L’ode, che si apre con l’invocazione alla cetra,21 «Ἀπόλλωνος καὶ ἰοπλοκάµων

σύνδικον Μοισᾶν κτέανον», celebra la potenza della mousikē quale elemento di armonia universale, che dà avvio alle feste e guida i cori e le danze. Il suo potere non agisce solo sugli aedi, ma sull’intero mondo divino, che è rappresentato dalla folgore e dall’aquila, attributi di Zeus, e perfino dal dio della guerra, Ares, sul cui animo l’armonia musicale infonde torpore.22

I dati oggetto della nostra riflessione mostrano come la civiltà dei greci abbia interpretato e configurato all’interno del pantheon gli strumenti della mousikē. Alla luce di quanto osservato, volgiamo ora la nostra analisi verso lo studio degli elementi che riguardano la sfera musicale, conservati nell’epica omerica. La letteratura epica attingeva dalla mousikē gli strumenti per la trasmissione orale facendosi portavoce della memoria culturale greca. La funzione di raccordo tra gli elementi musicali da cui l’epica trae origine e forme è contenuta nella nozione di memoria, di cui le Muse erano depositarie.23 Esse ispiravano all’aedo il ricordo, fornendogli la materia del canto, ed erano detentrici di una technē, quella musicale appunto, che nella memoria trova lo strumento di creazione poetica indispensabile alla trasmissione orale.

Tra gli elementi di civiltà proposti dai testi omerici, suscitano particolare

folgore di eterno fuoco./ Sullo scettro di Zeus l’acquila dorme/ calate sui fianchi l’ali veloci,/ sovrana tra gli alati; tu sul capo adunco/ una nuvola buia hai versato/ dolce serrame alle sue palpebre:/ posseduta dal flusso dei tuoi suoni/solleva nel sonno il morbido dorso./ Ares possente egli pure/ allontanando l’aspra punta delle aste/ in un torpore profondo placa il suo cuore;/ anche l’animo dei numi ammaliano i tuoi strali/ grazie all’arte del figlio di Leto/ e delle Muse dall’ampio drappeggio»; trad. GENTILI 1995.

21 L’invocazione alla cetra è presenta anche in Saffo (fr. 118 Voigt) e di nuovo in Pindaro

(Nem. IV, vv 44 ss.).

22 Al v. 8, si attribuisce alla cetra il potere di versare il sonno sulle palpebre dell’aquila di

Zeus, «γˈλεφάρων ἁδὺ κλάϊθˈρον, κατέχευας». L’immagine, di ascendenza omerica, attribuisce allo strumento musicale una prerogativa che nell’epos è esclusivo possesso degli dei e, di conseguenza, l’evidente parallelismo assimila la funzione della musica a quella degli immortali.

23 In Esiodo (Theog., vv.54 ss.) si propone una discendenza delle Muse da Zeus e

Mnemosyne, dea che sovraintende alla Memoria. Nel momento in cui il poeta rimette all’onniscienza delle dee la materia del canto, conferisce all’opera la dignità che la semplice produzione umana non avrebbe potuto garantire. DI DONATO 1999 (p.139 ss.) rileva come a tale rapporto di filiazione non si faccia riferimento esplicito in Omero, sebbene la funzione di memoria è attribuita alle Muse nel momento in cui il poeta le invoca affinché gli ispirino il ricordo della materia del canto. Sull’importanza dell’ispirazione divina dell’epica come attributo di veridicità della narrazione stessa, cfr SETTI 1958; Hes. Theog., vv. 27-28.

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interesse le figure di aedi che sono presentate nell’Odissea. Come fa notare R. Di Donato,24 per la natura stessa della formazione del testo, non si deve

pretendere di ritrovare negli aedi odissiaci riflesso di una unica realtà storica. Femio e Demodoco, rispettivamente collocati nelle due corti di Itaca l’uno e Scheria l’altro, sono essi stessi parte della stratificazione culturale che è alla base del testo, e in funzione di ciò bisogna guardare alle differenze che intercorrono tra loro.

Femio è presentato come colui «ὅς ῥ' ἤειδε παρὰ µνηστῆρσιν ἀνάγκῃ»,25 al

contrario, l’introduzione del personaggio di Demodoco stabilisce la dipendenza della sua arte dall’ispirazione divina. L’aedo è presentato con le caratteristiche di veggenza che associano la sua professione a quella di un indovino: «τὸν περὶ Μοῦσ' ἐφίλησε, δίδου δ' ἀγαθόν τε κακόν τε· ὀφθαλµῶν µὲν ἄµερσε, δίδου δ' ἡδεῖαν ἀοιδήν».26 Egli è eletto della Musa, e la sua cecità fisica fa da contraltare alla capacità di vedere ciò che ai mortali non è comunemente dato. Pochi versi più avanti, quando Demodoco sta per iniziare il canto, si ripropone l’intervento della Musa, la quale «incitò l’aedo a cantare le cose insigni degli uomini, da una traccia la cui fama giungeva allora dall’alto cielo».27 Il rapporto tra il cantore e la Musa non perde di vista quello con il pubblico. La partecipazione di quest’ultimo è di ascolto e supporto, non di costrizione. In tal senso Demodoco dopo ogni pausa è incitato a riprendere il canto dal suo uditorio che ne trae diletto.

Si configurano nell’aedo di Scheria i tratti di sacralità che ne fanno un intermediario privilegiato nella trasmissione agli uomini della memoria di ciò che è stato. Il suo dono di veggenza guarda al passato, e pertanto si contrappone a quello dell’indovino che legge prevalentemente il futuro.28 La

24 Cfr. DI DONATO 1999.

25 Od. I v.154. «che cantava presso i pretendenti perché costretto», trad. DI BENEDETTO 2010. 26 Od. VIII vv. 63-64 «su tutti lo predilesse la Musa, e un bene e un male gli diede: lo privò

della vista, ma gli diede il dolce canto», trad. DI BENEDETTO 2010.

27 Trad.DI BENEDETTO 2010.

28 Sulla nozione di “memoria” e l’assimilazione dell’arte poetica a quella divinatoria, cfr J. P.

Vernant, Aspects mitiques de la mémoire, «Journal de Psychologie» 1959, pp.1-29 e in VERNANT 1965, pp 80-107.

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dignità del personaggio è più volte conclamata nel testo29 e questa sua aura di

sacralità ben si accorda con l’ambiente utopico prefigurato nell’isola feace, la cui organizzazione sociale spesso combacia con quella degli Olimpi.

Il contesto di Itaca, pur essendo contemporaneo sul piano della narrazione, propone in Femio un modello di aedo che pare indipendente dalla divinità nella creazione dei canti, ma costretto alla performance dal suo pubblico. È un poeta che presenta tratti di modernità rispetto all’aedo feace, egli canta in un ambiente potenzialmente reale, nonostante ciò, l’effetto di piacere offerto dal canto di Femio al suo uditorio è parallelo a quello provocato dal divino Demodoco.

La differenza del canto dell’aedo itacese si rintraccia nella consapevolezza di come sia delegata al giudizio del pubblico la lode del canto. L’esposizione di questo nuovo modo di concepire la poesia è affidata in un primo momento a Telemaco. Questi, rivolgendosi alla madre, introduce la cognizione che sia il νόος, la mente, a guidare la scelta del canto dell’aedo.30 A ciò si accompagna una vera e propria dichiarazione poetica espressa nelle parole dello stesso Femio:

«αὐτοδίδακτος δ' εἰµί, θεὸς δέ µοι ἐν φρεσὶν οἴµας παντοίας ἐνέφυσεν·».31 Queste parole, che a prima vista sembrano proporre un’incongruenza all’interno del personaggio, in realtà sono un ottimo strumento per determinarne gli elementi di novità. Seguendo lo studio di Belardi,32 secondo cui bisogna attribuire un valore non riflessivo dei composti con auto- nella lingua omerica, a proposito del passo in questione, si può sganciare l’arte del

29 Demodoco partecipa sia al primo banchetto comune, in Od. VIII vv. 69-71, sia a quello di

commiato, Od. VIII vv. 471-481, in cui Odisseo lo onora preparandogli una porzione di carne tra le migliori perché: «πᾶσι γὰρ ἀνθρώποισιν ἐπιχθονίοισιν ἀοιδοὶ τιµῆς ἔµµοροί εἰσι καὶ αἰδοῦς, οὕνεκ' ἄρα σφέας οἴµας Μοῦσ' ἐδίδαξε, φίλησε δὲ φῦλον ἀοιδῶν» (vv.479-481). L’eroe greco elogia poi l’arte del cantore, ai vv. 489-491, per le sue caratteristiche di “veggenza divina”, «λίην γὰρ κατὰ κόσµον Ἀχαιῶν οἶτον ἀείδεις, ὅσσ' ἕρξαν τ' ἔπαθόν τε καὶ ὅσσ' ἐµόγησαν Ἀχαιοί, ὥς τέ που ἢ αὐτὸς παρεὼν ἢ ἄλλου ἀκούσας».

30 Od. I vv. 346-347, «µῆτερ ἐµή, τί τ' ἄρα φθονέεις ἐρίηρον ἀοιδὸν τέρπειν ὅππῃ οἱ νόος

ὄρνυται;», «Madre mia, e perché non vuoi che l’insigne aedo ci diletti secondo l’impulso della sua mente?», trad. DI BENEDETTO 2010. Riferimento all’importanza della lode del pubblico per

determinare il valore del canto si rinviene più avanti ai vv. 350-352.

31 Od. XXII vv.347-348. 32 Cfr BELARDI 1990.

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poetare, intesa come unione di musica e parola, da un rapporto di dipendenza con le technai soggette ad apprendimento. Ne risulta che la concezione della creazione poetica espressa da Femio mostri come essa «non tragga origine da un trasferimento di sapere o di capacità, sia pure da un dio ad un uomo, sibbene che essa sia connaturazione di un fenomeno divino nella persona umana». Da quanto emerge si può dedurre che i due aedi odissiaci propongono un panorama diacronico relativo al modo di fare poesia e alle forme della sua espressione. In Femio questi due modi di concepire l’arte del poetare si sovrappongono.

Nell’economia della narrazione, dunque, la tradizione orale ha lasciato tracce di una evidente diacronia anche nella figura dell’aedo, la cui arte si nutre del consenso del pubblico, seppure è ancora labilmente legata dalla tradizione ad una qualche influenza del dio. Il quadro che si profila vede nel percorso che ha portato alla formazione del testo scritto una progressiva professionalizzazione della figura dell’aedo, probabilmente frutto del passaggio stesso dalla fase orale alla produzione poetica scritta. Questo passaggio, limitatamente all’ambito poetico-musicale,33 determinerà un diverso modo di concepire la parola pronunciata, che fino ad allora era stata affidataria delle memorie culturali dei Greci.

In questo contesto continueranno ed essere evocati i miti legati al passato ma, come ci dimostra l’andamento della letteratura greca, il poeta assumerà una progressiva indipendenza creativa, preferendo la fama personale, all’attributo di divinità conferitogli dalle Muse.

Un altro livello di lettura ci porta a considerare più in generale le occasioni in cui nei poemi si fa riferimento alla mousikē. Le performances degli aedi, in entrambi i casi esaminati, si collocano all’interno di una corte. La loro funzione è richiesta, in modo particolare, presso i banchetti, dopo il consumo di cibi e bevande. La stretta connessione tra questi due momenti è esplicitamente riferita

33 Bisogna puntualizzare che in altri campi, fino all’età classica inoltrata, continueranno a

sopravvivere forme di ritualizzazione della parola pronunciata. È il caso dell’ambito giuridico e del valore attribuito al giuramento e alla testimonianza.

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dalla prima formula che introduce un canto di aedo: αὐτὰρ ἐπεὶ πόσιος καὶ ἐδητύος ἐξ ἔρον ἕντο µνηστῆρες, τοῖσιν µὲν ἐνὶ φρεσὶν ἄλλα µεµήλει, µολπή τ' ὀρχηστύς τε· τὰ γάρ τ' ἀναθήµατα δαιτός.34

Soddisfatta l’esigenza del cibo, la musica e la danza sono descritte come i primi due elementi cui i banchettanti si volgevano, quasi alludendo a un vero e proprio rituale con la ripetizione del luogo a seguito di ogni momento di convito. L’Iliade conserva in due brani una trasposizione divina del banchetto, ove è Apollo a suonare la cetra.35 In un passo odissiaco è documentato un altro momento essenziale di performance aedica, relativo all’accompagnamento della danza eseguita presso la corte di Alcinoo. Qui, l’aedo, al centro dell’area adibita alla performance, canta al suono della cetra e accompagna i danzatori che si esibiscono attorno a lui.36

Il repertorio così delineato pone l’arte musicale al centro dei principali momenti di aggregazione sociale. Una più accurata analisi delle descrizioni che il testo propone di questi momenti, a partire dal brano sopra citato, ci fa focalizzare l’attenzione su quelli che sono i motivi stessi per i quali i Greci assegnavano alla musica importanza. Si tratta di un’esperienza emozionale, alla musica e alla danza “si volge la mente”, sono attività che coinvolgono il pubblico, il quale ascolta, sedendo, in silenzio.37 Determinanti per questa

interpretazione le parole che Odisseo rivolge al re dei Feaci: Ἀλκίνοε κρεῖον, πάντων ἀριδείκετε λαῶν,

34 Od. I vv. 150-152 «dopo che essi scacciarono la voglia di bere e mangiare, sentirono nella

loro mente interesse per altre cose, il canto e la danza, che sono coronamento del banchetto», trad. DI BENEDETTO 2010. Un altro luogo con una simile formula è in Od. XXI vv. 428-430 «

νῦν δ' ὥρη καὶ δόρπον Ἀχαιοῖσιν τετυκέσθαι ἐν φάει, αὐτὰρ ἔπειτα καὶ ἄλλως ἑψιάασθαι µολπῇ καὶ φόρµιγγι· τὰ γάρ τ'ἀναθήµατα δαιτός.»; cfr anche Od. VIII vv. 72-73, ivi v. 248.

35 Cfr Il. I vv. 601-604, il suono della phorminx del dio qui accompagna il canto alternato

delle Muse; cfr anche Il. XXIV v. 63.

36 Od. VIII vv. 261-264. 37 Od. I vv. 325-326, ivi v. 339.

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ἦ τοι µὲν τόδε καλὸν ἀκουέµεν ἐστὶν ἀοιδοῦ τοιοῦδ', οἷος ὅδ' ἐστί, θεοῖσ' ἐναλίγκιος αὐδήν. 5 οὐ γὰρ ἐγώ γέ τί φηµι τέλος χαριέστερον εἶναι ἢ ὅτ' ἐϋφροσύνη µὲν ἔχῃ κάτα δῆµον ἅπαντα, δαιτυµόνες δ' ἀνὰ δώµατ' ἀκουάζωνται ἀοιδοῦ ἥµενοι ἑξείης, παρὰ δὲ πλήθωσι τράπεζαι σίτου καὶ κρειῶν, µέθυ δ' ἐκ κρητῆρος ἀφύσσων 10 οἰνοχόος φορέῃσι καὶ ἐγχείῃ δεπάεσσι· τοῦτό τί µοι κάλλιστον ἐνὶ φρεσὶν εἴδεται εἶναι.38

Il passo conferma la connotazione sociale della musica, in quanto essa offre un momento di gioia conviviale. L’apprezzamento del pubblico al canto dell’aedo è spesso descritto nelle ricorrenze del poema odissiaco dal verbo τέρπω, il cui uso è costante nell’esprimere il godimento del canto da parte dell’uditorio.39 L’arte del saper suonare e il valore psigagogico ad essa associato non è esclusivo appannaggio degli aedi e degli dei. Emblematico è il passo dell’ambasceria ad Achille, in cui Aiace e Odisseo giungono alle tende dei Mirmidoni per convincere l’eroe a tornare in guerra. Egli era «intento a godere la cetra armoniosa» al cui suono «rallegrava il suo cuore» cantando gesta di eroi.40 La traduzione di Cerri traduce τέρπω, in un caso come “godere” e nell’altro con “rallegrare”, si tratta dello stesso sentimento che produce la musica degli aedi sul pubblico, e anche la materia del canto è la stessa di quella degli aedi odissiaci. Achille, dunque, padroneggia l’arte citarodica e la adopera per placare il suo cuore irato, conoscendo l’effetto prodotto dal suono. Seduto accanto a lui, Patroclo lo ascolta in silenzio, parallelamente a quanto fa il

38 Od. IX vv.2-11 «Alcinoo sovrano, insigne fra tutte le genti, certo questo è bello, stare ad

ascoltare l’aedo, tale qual è costui, per la voce simile agli dei. Non c’è, sono io a dirlo, evento più gradito di quando su tutto il popolo la gioia della festa si diffonde, e per la casa i convitati ascoltano attenti l’aedo, seduti ordinatamente, e accanto i tavoli abbondano di pane e di carne, e dal cratere il vino attingendo il coppiere intorno lo porta e nelle coppe lo versa. Questa a me sembra nel cuore la cosa più bella», trad. DI BENEDETTO 2010.

39 Cfr Od. I v. 347, VIII v. 91. L’etimologia lega alla radice del verbo quella del nome della

Musa che sovraintende alla danza e alla lirica corale, Τερψιχόρη.

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pubblico degli aedi.

Nel passo in questione è ancora importante rilevare come due versi siano dedicati alla descrizione della cetra, di cui si fornisce la provenienza. Lo strumento è parte del bottino derivato dal saccheggio di Tebe, e il suo pregio, che risalta dagli attributi che gli si riferiscono, fa individuare in essa il dono di Ermes per le nozze di Cadmo e Armonia.41

Ultima traccia delle rappresentazioni epico-letterarie della mousikē che prendiamo qui in considerazione, e con la quale ci avviamo verso l’analisi delle testimonianze artistiche, è il passo dedicato allo scudo di Achille.42 Pur trattandosi di un oggetto che nella descrizione narrata esaurisce la sua concretezza, l’attenta descrizione della sua creazione lascia spazio a quegli elementi realistici che giocano con l’immaginazione dell’uditorio, che è quindi portato a ricreare per sé un’idea dell’oggetto. La foggia dello scudo, affidata alla technē artigiana di Efesto, è descritta all’interno di un’atmosfera divina, che accentua l’aspetto eccezionale dell’opera del dio sottolineando la magnificenza dei metalli di cui l’oggetto è costituito. Fa eco a questa composizione, che non è umanamente concepibile per un uso pratico dell’oggetto, una descrizione accurata delle scene che il dio cesella sopra la sua superficie. Il confine con l’elemento mitologico è qui varcato dalla complessità e dal numero di immagini che il narratore dipinge per il suo pubblico, ma è compensato da una descrizione tanto attenta quanto reale di scene che sono specchio della realtà umana, e che sollecitano la partecipazione di un pubblico di ascoltatori proprio facendo leva sull’esperienza reale.

In tre momenti la descrizione si sofferma su elementi che hanno a che fare con la pratica musicale. La loro disposizione crea un percorso che prende le mosse e si conclude circolarmente con la descrizione di un contesto festivo di danza. La prima di queste scene è ambientata in una città in cui si stanno svolgendo

41 Sulla cetra di Achille, cfr AVEZZÙ-CIANI 1994;il passo in cui si parla del dono nuziale di

Ermes a Cadmo è in Diod. V 47.

42 Il. XVIII vv.468-608; uno studio antropologico della descrizione dello scudo come

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«nozze e banchetti», accompagnati e rappresentati dall’imeneo. Il contesto festivo è animato da danzatori che volteggiavano al suono di flauti e cetre, suscitando meraviglia tra gli astanti.43 Nella sequenza “musicale” successiva, di ambientazione agreste, un fanciullo, al suono della cetra, intona un canto tra un corteo di ragazzi e ragazze che tornano dalla vendemmia e sulle sue note iniziano una danza.44

Una sintesi degli elementi che abbiamo trovato in queste due scene è rintracciabile nell’ultima, dopo la quale, il dio-fabbro pone l’Oceano, metaforico limite alla conoscenza umana. La sequenza, ben più lunga delle prime due, è anche più articolata.45 Il suo avvio è delineato dalla presenza di un antecedente mitico, con la similitudine tra lo spazio che Efesto delimita per la danza e l’area che allo stesso scopo era stata progettata a Cnosso da Dedalo.46 La scena si compone nella descrizione di danze di fanciulli e fanciulle, di cui sono accuratamente determinati gli ornamenti e le movenze. Intorno ad essi, una folla festante accentua il clima incalzante di festa e sottolinea la piacevolezza dell’esibizione.

Manca alla descrizione un elemento che è condizione necessaria per la danza, la musica. R. Di Donato propone un quadro degli studi che si sono sviluppati attorno a questa e ad altre incongruenze riscontrate nella sequenza. Ne emerge un insieme di punti di difficile soluzione, che fanno intravedere nel testo una stratificazione di elementi di diversa origine.47

Nonostante l’impossibilità di giungere a una soluzione univoca per l’interpretazione della scena, le scene musicali dello scudo ci hanno fornito una panoramica interessante di momenti in cui trovavano posto tra le attività umane le arti musicali. Con quella che appare essere una descrizione archeologica in

43 Il. XVIII vv. 491-495. 44 Il. XVIII vv. 569-572. « τοῖσιν δ' ἐν µέσσοισι πάϊς φόρµιγγι λιγείῃ ἱµερόεν κιθάριζε, λίνον δ' ὑπὸ καλὸν ἄειδε λεπταλέῃ φωνῇ· τοὶ δὲ ῥήσσοντες ἁµαρτῇ µολπῇ τ' ἰυγµῷ τε ποσὶ σκαίροντες ἕποντο». 45 Il. XVIII vv. 590-606.

46 La similitudine lascia trasparire la concezione greca che eleggeva Creta luogo privilegiato

d’irradiazione dell’arte della danza, e attribuiva al mitico Dedalo la creazione del primo spazio ad essa dedicato. Cfr. CERRI-GOSTOLI 1996, pp. 994-995.

47 Cfr DI DONATO 1999,pp. 62-63. Quanto alla localizzazione della scena, una possibile

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absentia chiudiamo il repertorio di luoghi dell’epica che abbiamo scelto di

trattare in questa sezione, confermando la funzione religiosa e sociale attribuita all’arte musicale. Dal profilo che abbiamo delineato quest’arte è protagonista sia del mondo cittadino che di quello agreste e presiede rituali, quali il banchetto e l’unione matrimoniale che erano per i greci espressione dell’appartenenza alla polis. Il riscontro emotivo che sottostà alle tre scene è affidato alla descrizione della danza, che prende avvio dal ritmo della musica, e alla presenza di un pubblico che è in primo luogo partecipe agli effetti del suono.

1.1.2 La mousikē nelle fonti archeologiche.

Il contributo dell’archeologia è indispensabile ai fini di questa ricerca, poiché attesta, con una notevole precedenza cronologica rispetto alle fonti letterarie, l’esistenza di una cultura musicale in area egea.

I primi testimoni che prendiamo in considerazione sono forniti da siti di “periodo cicladico” databili alla prima età del bronzo.48 Una statuetta marmorea proveniente da Keros, datata intorno al 2700 a. C., presenta la prima attestazione di uno strumento a corda, assimilabile a un’arpa, che è posto nelle mani di una figura seduta. Gli stessi volumi sfuggenti dell’arpista di Keros, si ritrovano intorno al 2200 a. C. nella prima rappresentazione di un suonatore di flauto doppio rinvenuta a Keros, la cui figura stante è allo stesso modo scolpita nel marmo.49

Il ritardo nella rappresentazione del primo strumento a fiato non deve essere letto come simbolo di una successiva scoperta di tutta la categoria. La larga diffusione di immagini relative a strumenti a corda può essere determinata, anche in area egea, da un maggior prestigio che a questi ultimi era attribuito. Graffiti di arpe e lire si trovano senza soluzione di continuità durante i periodi minoico e miceneo. Gli strumenti a corda, che nel tempo furono delineati con

48 L’inserimento di questi materiali all’interno della cultura greca è stato variamente discusso,

cfr WEST 1992,ANDERSON 1994.

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maggiore dovizia di particolari, costituivano in età minoica la decorazione di una particolare categoria di reperti: i sigilli. L’uso di questi oggetti nella burocrazia di palazzo depone a favore dell’interpretazione di un uso elitario degli strumenti a corda. Il prestigio di questi ultimi si associa allo sviluppo di un’iconografia che, dalla fine del Medio Minoico (c.ca 1700 a. C.), li ritraeva in mano a figure di musici, rappresentate nelle pitture parietali dei palazzi minoici e micenei.50 Gli studi condotti su queste forme di espressione artistica hanno classificato gli affreschi di suonatori rinvenuti nei palazzi cretesi come rappresentazioni di divinità, o di officianti di culto.51 Altre interessanti

attestazioni archeologiche di ambito musicale giungono da Creta. È il caso dell’auleta che, nella decorazione del sarcofago di Hagia Triada, partecipa ad una scena sacrificale, o dei suonatori di strumenti misterici, rappresentati nel bassorilievo di un vaso in steatite, che suonano e cantano in una processione di mietitori.52 Questo repertorio di dati definisce un uso minoico della musica che sarà sviluppato dalla produzione artistica greca.

A partire dal VII secolo abbiamo ceramiche con decorazioni tardo-geometriche e influssi orientalizzanti che ritraggono scene musicali. È il caso di un

loutrophoros protoattico, attribuito al “pittore di Analatos”. Su entrambi i lati

di uno dei registri del collo del vaso è rappresentato un suonatore di auloi, circondato da due coppie di giovani che si tengono per mano recando dei

50 Un esempio a proposito è l’affresco, rinvenuto nella “sala del trono” del palazzo miceneo

di Pilo, che ritrae una figura seduta e riccamente vestita nell’atto di suonare uno strumento a corda i cui dettagli sono accuratamente rifiniti (1300 a. C.).

51 Cfr. NILSSON 1927 (II ed. 1950, pp. 155-164); lo studio di Nilsson, dedicato alla civiltà

minoico-micenea, si sofferma nelle pagine indicate sull’analisi delle vesti indossate da figure sacre e officianti del culto. Si riscontra, a proposito, una netta rispondenza fra le sue descrizioni e le vesti dei citarodi cui stiamo facendo riferimento. In particolare: frammenti di una pittura su stucco di un suonatore di lira da Hagia Triada, Creta (1580-1510 a. C.); suonatrice di lira dall’affresco del sarcofago rinvenuto nei pressi di Hagia Triada (1400 a. C.). Cfr. PORTER

NAUERT 1965.

52 La rappresentazione di strumenti misterici nell’arte è molto limitata (cfr. infra n.17).

Quello del vaso di Hagia Triada (Heraklion, Museo Nazionale AE 184) è un esempio emblematico sia per l’antichità, che per la sua associazione a culti agresti. La stessa visione sarà ripresa dal sentimento religioso greco e troverà testimonianza nelle raffigurazioni di questi strumenti in contesti dionisiaci, soltanto in un secondo momento entreranno talvolta a far parte di scene di banchetto, o in scene del tutto sganciate dalla figura di Dioniso, cfr. CASTALDO

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ramoscelli. Si tratta di una processione che possiamo ritenere legata a un rituale matrimoniale se la associamo alla principale destinazione d’uso del vaso.53 Una

hydria, attribuita allo stesso artista, presenta sul registro principale del collo

una scena simile ma, in questo caso, tra due gruppi di giovani è collocato un suonatore di cetra, il cui strumento, ben delineato, presenta cinque corde. Lo sviluppo dell’iconografia musicale greca si connoterà, per quanto riguarda gli strumenti a corda, per la presenza di maggiori dettagli di tipo tecnico, testimoniando, in particolare, il passaggio all’uso della kythara eptacorde. L’innovazione si attribuisce a Terpandro di Antissa, che è annoverato come riorganizzatore e primo vincitore dell’agone musicale alle Carnee di Sparta.54 Traccia dell’opera del citarodo lesbio è unicamente riscontrabile a livello tecnico dai dati archeologici, che in questo caso sopperiscono almeno concettualmente alla mancanza di testi scritti e di notazione musicale. Le prime rappresentazioni di strumenti eptacordi, provenienti sia dall’Attica che dalle isole egee, risalgono alla metà del VII secolo. In un’anfora melia è rappresentata una figura maschile barbata, comunemente interpretata come Apollo, che regge nella mano sinistra una phorminx eptacorde e nella destra ha il plettro.55 Una forma simile ha lo strumento che tiene un musico rappresentato in un frammento di pinax proveniente da Atene.56

In una fase successiva dell’iconografia degli strumenti a corde può essere individuato il passaggio dalla phorminx alla kythara. La differenza nelle figurazioni sarebbe da rintracciare nella forma dello strumento che, nel suo sviluppo più recente, assume un profilo meno tondeggiante, fino ad arrivare ad assumere la forma trapezoidale che è tipica delle rappresentazioni attiche dal VI secolo.57 Il repertorio di scene in cui sono rappresentati dei citaredi dal VI secolo in poi si amplia. Oltre a connotare la figura di Apollo, alla quale si

53 Parigi, Musée du Louvre CA 2985. Il loutrophoros era un vaso rituale la cui funzione,

simile a quella di un’anfora, si caratterizzava per l’uso legato all’ambito nuziale o a quello funerario.

54 Hellan., FGrH 4 F 85.

55 Atene, Museo Nazionale N 3961 (911); LIMC II, tav.270, s.v. Apollon, n. 1008 (650 c.ca). 56 Atene, Agora AP 1085.

57 Lo stesso termine kythara è per la prima volta riscontrato all’inizio del VI secolo che si

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riferisce il maggior numero di rappresentazioni dello strumento musicale,58 il

suono della kithara, richiesto in vari momenti di vita quotidiana, entra a far parte delle raffigurazioni di scene simposiali. La ceramografia, inoltre, sviluppa intorno a rappresentazioni di citaredi scene di danze eseguite da uomini, mentre gli auloi sono spesso inseriti in immagini di danze di ambito dionisiaco.59

Una prima attestazione dell’uso degli strumenti a corda nei rituali di età greca si ritrova nel frammento di un’anfora, datato tra il 600 e il 550 a. C. All’interno della raffigurazione di una processione sacrificale è incluso un citarodo.60

La diffusione dell’uso degli strumenti a fiato testimoniata dalla ceramografia segue un percorso cronologico simile. La divinità che è rappresentata nell’atto di suonare l’aulos, sebbene con occorrenze inferiori rispetto a quelle che legano Apollo alla kithara, è Atena.

La riproduzione di un suonatore di auloi, in un’olpe protocorinzia proveniente da Veio, fornisce nuovi dettagli riguardo questa pratica musicale. Sul primo registro della decorazione tra schiere di opliti in marcia è inserito un giovane nell’atto di suonare un flauto doppio. Il vaso si data alla seconda metà del VII secolo e, oltre a presentarci l’uso dello strumento in contesto militare, per la prima volta attesta l’uso della phorbeia. Si trattava di un supporto di pelle, usato principalmente dagli uomini, che era indossato sul viso per favorire l’imboccatura degli strumenti. La presenza di questo elemento allude ad una professionalizzazione della pratica auletica che non sarebbe altrimenti supportata dalla quantità di raffigurazioni di questo tipo. Primariamente legata all’ambito guerriero era la salpinx, probabilmente per via del suono profondo che emetteva. Lo strumento, la cui forma ricorda quella di una tromba, è variamente rappresentato in mano ad opliti, amazzoni o satiri in assetto da battaglia. Queste tre categorie s’intrecciano cronologicamente, tuttavia si riconosce una precedenza cronologica, nelle attestazioni di vasi a figure nere,

58 Cfr. CASTALDO 2000, pp. 17 ss.

59 E. g. kantharos a figure nere la cui decorazione è fra le prime ritraenti una scena di komos

al suono della kythara (600-550 a. C.); Atene, Museo Nazionale: CC630; ABV 30.7, 29.

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che riguarda i primi due gruppi citati.61

Per avere un repertorio più organico dei contesti di vita in cui gli strumenti a fiato, principalmente gli auloi, erano adoperati, dobbiamo scendere al VI secolo. Si tratta di vasi ancora a figure nere, come lo skyphos, di fabbrica ateniese, che raffigura un auleta che accompagna la danza in due scene di

komos e di simposio.62 La stessa associazione tra lo strumento a fiato e l’arte coreutica si ritrova anche in scene di contenuto mitologico, come nella decorazione di un cratere a colonnette, attribuito a Lydos, in cui a suonare è un satiro circondato da menadi danzanti.63

Frammenti di un cratere rinvenuti sull’Acropoli di Atene mostrano la presenza di suonatori di auloi in quella che sembra delinearsi come una scena di sacrificio. 64 Uguale soggetto è rappresentato su una coppa ateniese cronologicamente poco posteriore, ove è presentata una processione verso l’altare sacrificale seguita anche da un auleta. 65 Il frammento di una pisside, risalente alla metà del VI sec., ci mostra ancora un’altra occorrenza in cui si afferma la pratica auletica che, in questo caso, è inerente le scene di

prothesis.66

Il profilo tracciato fin qui ha tentato di mostrare la progressiva introduzione della techne musicale all’interno del mondo greco che, alla metà del VI secolo, si può dire ormai affermata. A testimonianza di ciò è un ultimo tassello che aggiungiamo al nostro repertorio di immagini e che ha come soggetto le rappresentazioni ceramografiche degli agoni musicali. L’introduzione della pratica agonale in campo musicale risale alla prima metà del VI secolo, quando furono istituite le grandi feste religiose presso i principali santuari

61 Londra, British Museum B 590; ABV, 294, 19; opliti suonano la salpinx. Napoli, Museo

Archeologico Nazionale, 306652 SP 249; ABV 698.1 Bis; scena di guerrieri e amazzoni (550-500).

62 Atene, Museo Nazionale, 46491 (996); CVA 4, 17-18, FIG.2.2, PL.(154) 6.1-5. 63 Atene, Museo Nazionale XXXX350342, Paralipomena 45.

64 Atene, Museo Nazionale, Acropoli Coll.: XXXX16762.

65 Parigi, Stavros S. Niarchos: A031; LIMC II, Pl.760, s. v. Athena 574 (A). 66 Atene, Museo Nazionale, Acropoli Coll.: 1.2203.

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panellenici.67 Principale fonte di testimonianze è fornita dalla documentazione

sull’agone panatenaico, ed è rappresentata dalla classe di anfore pseudo-panatenaiche prodotte dalla ceramografia attica.

Le anfore in questione traevano la forma e lo schema compositivo dai vasi “panatenaici”, che erano creati per contenere l’olio dato in premio ai concorrenti delle gare atletiche. Tale associazione garantisce l’interpretazione delle figurazioni come pertinenti all’ambito festivo e agonale. Gli elementi che caratterizzano il contesto della gara sono la presenza di un podio, sul quale è posto il concorrente, e di un uditorio, che abbiamo visto essere condizione essenziale per la determinazione di una performance.

L’esemplare più antico di questa categoria di vasi si data tra il 570 e il 560 a. C.68 Pur presentando delle differenze compositive rispetto alle anfore create a partire dal decennio successivo, gli studi di Karouzou e Shapiro ne attribuiscono l’ispirazione del tema all’agone panatenaico.69 Il retro del vaso presenta l’esibizione di un auleta il cui pubblico è costituito da tre figure stanti barbate e da un’oca. Nella scena manca un podio e l’inserimento dell’animale non è conforme alle rappresentazioni successive, nonostante ciò la struttura della composizione non lascia adito a dubbi interpretativi. Quello che appare completamente diverso è il lato principale dell’anfora, che in luogo della raffigurazione di Athena Promachos, elemento rappresentativo della classe di vasi panatenaici, riporta un giovane a cavallo. Viene in aiuto per sanare questa discordanza l’interpretazione di Shapiro. Lo studioso colloca il vaso tra i primi creati per commemorare la riorganizzazione della festa nel 566 a. C., e interpreta le rappresentazioni dell’anfora come simbolo delle due categorie agonali che erano presenti prima dell’introduzione delle nuove categorie agonali che subentrarono con l’organizzazione della celebrazione penteterica.70

67 Delfi (582 a. C), Isthmia (581 a. C.), Nemea (573 a. C.), Atene (566 a. C.). 68 Atene, Museo Nazionale 300788 (559); ABV 85.1.

69 Cfr. SHAPIRO 1989,pp. 41 ss.;PAPASPIRIDI KAROUZOU 1938.

70 La proposta si basa sulla testimonianza di Eusebio (Ol. 53.2) che riferisce esplicitamente

alla riorganizzazione del 566 a. C. l’introduzione dell’agone ginnico. La testimonianza lascia pensare, dunque, alla presenza delle categorie di gare equestri e musicali nelle feste annuali che

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L’esempio riportato, è stato scelto come caso particolare, essendo precursore delle testimonianze che saranno oggetto d’indagine nella sezione dedicata all’agone musicale panatenaico. Il caso descritto ci pone di fronte all’evidenza dei limiti che si pongono alla ricerca quando si dispone esclusivamente di dati archeologici.

Combinando alle fonti archeologiche gli elementi ricavati dall’analisi delle testimonianze letterarie, cercheremo di trarre degli elementi utili per una definizione delle origini della mousikē in Grecia. La precedenza del dato archeologico, come è emerso, lega alle estreme propaggini dell’Anatolia e, comunque, all’area egea i prodromi della technē musicale. L’influenza esercitata dall’area geografica in questione sulla formazione della cultura greca non è sconosciuta alle fonti letterarie, sia per quanto riguarda i repertori mitologici, sia in relazione ai dati che si rilevano per le civiltà delineate nell’epica omerica.

La convergenza delle fonti archeologiche e letterarie si attesta anche a proposito dell’origine dell’arte musicale e delle sue implicazioni religiose. È evidente l’esistenza di una continuità nel prestigio che si attribuiva agli strumenti a corda già in area egea, e che trova sviluppo, in età storica, come maggior attributo di una delle divinità principali del pantheon classico.

erano dedicate ad Atena prima di tale data. Le fonti archeologiche, del resto, confermano, almeno dal 550 a. C., l’esistenza dell’agone musicale. Cfr. SHAPIRO 1989,pp. 40-41.

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1.2 Le arti delle Muse nelle società greche.

La Grecia classica presentava una serie di realtà frammentarie che si legittimavano su base poliade. L’organizzazione delle poleis rifletteva questa pluralità culturale, e declinava in maniera originale la propria esperienza politica e sociale. Nonostante le differenze, non veniva meno tra le genti greche la consapevolezza di un retroterra comune, nel quale trovavano origine i principali elementi della cultura greca.

All’interno di questo panorama si inserisce il nostro studio sulla ricezione della

mousikē nelle società greche. Le arti delle Muse godevano di grande prestigio

all’interno dei sistemi poliadi greci, i quali riconoscevano alle discipline musicali una particolare importanza paideutica ed etica. L’indagine che qui proponiamo è volta a cogliere queste caratteristiche formative attribuite alle arti musicali. Il loro valore sociale costituisce un indispensabile punto di partenza per determinare il ruolo che esse assunsero all’interno dell’esperienza religiosa dei Greci, e comprendere le dinamiche secondo le quali, tra il VI e il V secolo, la mousikē trovò uno spazio interamente dedicato nelle feste con l’istituzione degli agoni musicali.

1.2.1 Musica, danza e parola nella paideia.

Troviamo riscontri che ci aiutano a rintracciare le origini dell’educazione musicale, all’interno del repertorio mitologico, cui abbiamo fatto riferimento. Semidei ed eroi erano ritenuti allievi di divinità musicali o di loro discendenti, come nel caso di Eracle e Achille, che furono rispettivamente educati alla

mousikē da Lino e Chirone.1 L’origine divina della mousikē ha attribuito alle arti musicali una particolare considerazione da parte delle classi più alte della società, fin dall’età arcaica.2

1 Lino, figlio di Apollo e della musa Urania, è il primo cantore mitico, e a lui si attribuisce

l’invenzione della melodia. Oltre che di Eracle, era considerato maestro di Orfeo e Tamiri. Il centauro Chirone, figlio di Crono e di una ninfa, fu precettore di Giasone, Asclepio, Peleo e Achille. Fra le sue arti si ricordano la caccia, la medicina e la musica.

2 La pratica delle arti musicali da parte della nobiltà pare essere testimoniata dalle origini dei

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Riflesso di questa importanza elitaria della musica emerge all’interno delle società descritte dall’epica omerica. Nell’Iliade Achille è rappresentato nell’atto di suonare la phorminx e Paride è definito abile nel suonare la

kithara.3 La formazione di Achille, in particolare, appare come paradigma di quelle caratteristiche fondanti dell’educazione che era riservata ai giovani greci. Oltre ad essere esperto nell’arte della guerra, egli era istruito nella techne citarodica. Queste due discipline, pur ponendosi a prima vista su due fronti contrapposti, in realtà erano fulcro della formazione dei cittadini greci, e costituiranno non a caso la materia degli agoni organizzati nell’ambito delle grandi feste panelleniche nel VI sec. a. C.

Riflessi della paideia musicale nella figura di Teseo.

Il personaggio del mito che meglio incarna quegli elementi di formazione giovanile che si rilevano nello svolgimento successivo della società greca è Teseo. L’eroe ateniese è ritratto dal repertorio mitico greco in modo dettagliato. L’insieme di fonti mitiche descrive il percorso di sviluppo del personaggio seguendo una linearità storica tra gli eventi. Le esperienze formative di Teseo intrecciano la regalità dei suoi natali e tre ambiti principali: eroico-militare, religioso e musicale. Nel panorama di miti che a lui fanno riferimento un posto rilevante assume l’impresa cretese, specialmente al fine di osservare la concorrenza degli ambiti di esperienza formativa che abbiamo individuato. All’origine dell’impresa di Teseo la tradizione mitica poneva alcuni rituali, che costituivano l’eziologia di due delle feste greche dedicate ai più giovani cittadini, le Pianopsie e le Oscoforie.4 Le celebrazioni legate a

a. C.) origini nobiliari sia sulla base dell’etimologia del nome, sia considerando il suo coinvolgimento nelle vicende politiche della patria, Efeso, che lo hanno portato all’esilio. Cfr. LESKY 1971; PRIVITERA-PRETAGOSTINI 1997. Sempre sulle competenze musicali delle classi più alte della società, abbassando la cronologia, si trovano riferimenti riguardanti i committenti di Pindaro; si veda a proposito: Ol. I v. 16; Pith. IV v. 259, V v. 114; Nem. IV v. 14. Nell’Atene del V secolo, Aristofane si riferisce ai cittadini che frequentano le palestre e i cori come «οὓς µὲν ἴσµεν εὐγενεῖς καὶ σώφρονας ἄνδρας ὄντας καὶ δικαίους καὶ καλούς τε κἀγαθοὺς». Aristoph. Ran. vv. 727 ss.

3 Il. III v. 54, IX v. 186.

4 I rituali delle due feste possono essere inseriti all’interno di un ciclo che aveva luogo nel

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queste festività ricordavano, infatti, la partenza e il rientro ad Atene di Teseo, con il gruppo di giovani da lui guidato, dopo l’uccisione del Minotauro. I rituali che nell’occasione si evocavano erano relativi alla supplica e alla consacrazione, per propiziare la riuscita dell’impresa, e per ringraziare del buon esito ottenuto.

Il mito accentua il ruolo di Teseo quale guida del gruppo misto di fanciulli e fanciulle destinati al Minotauro e lo connota come corego. Tra le fonti letterarie annoveriamo uno scolio all’Iliade, un passo callimacheo tratto dall’Inno a Delo e un brano del Teseo di Plutarco.5 In tutti e tre i casi si

descrive l’istituzione da parte di Teseo di un coro che danzava in senso circolare. I testi sono discordi a proposito dell’ambientazione della scena, tra Creta e Delo.6 Per quanto sembri preferibile privilegiare il dato cretese, tuttavia l’individuazione del luogo non è determinante alla nostra argomentazione. Prescindendo dal dato geografico, si possono trarre elementi utili dall’insieme delle fonti. Plutarco nel definire la danza riporta una citazione di Dicearco:

καλεῖται δὲ τὸ γένος τοῦτο τῆς χορείας ὑπὸ Δηλίων γέρανος, ὡς ἱστορεῖ Δικαίαρχος.7

La cosiddetta “danza della gru”, il cui nome pare essere dato dai movimenti dei partecipanti,8 fu eseguita da Teseo e dal gruppo di giovani in festa per celebrare l’impresa e ringraziare gli dei. Che si tratti di una danza rituale è evidente dal fatto che le movenze così come sono descritte nei testi non

grande festa delle fratrie che sanciva l’immissione dei giovani greci all’interno del corpo civico vero e proprio. Per riferimenti sull’eziologia di queste feste connessa con Teseo, cfr. Plut.

Thes. 18.1, 22-3. Nel mese di Pianopsione dovevano essere celebrate anche le Tesee, la cui

istituzione in seguito alla sconfitta del Minotauro è citata in Plut. Thes. 23.5; una possibile datazione della festa nell’ottavo giorno del mese si trova sempre in Plut. Thes. 36.5.

5 Cfr. AB Il. XVIII v. 590. Call. Del. vv. 507 ss. Plut. Thes. 21.

6 Lo scolio pone a Cnosso, mentre Callimaco e Plutarco a Delo. A proposito delle diverse

località in cui viene ambientata la scena corale, sembra preferibile individuare in Cnosso la sede tramandata dal mito originale. Seguendo lo studio di Calame su Teseo, sembra storicamente possibile collocare la sostituzione nelle fonti della sede cretese a favore di quella delia nel V secolo, all’interno di una temperie culturale volta ad affermare il legame tra Atene e l’isola, in funzione della politica egemone della polis sulla Lega Delio-Attica; cfr. CALAME

1977p.428;SHAPIRO 1989pp.145-147.

7 Cfr. Plut. Thes. 21.2= Dicaearch. fr. 85 Wehrli; Poll. 4,101.

8 Uno studio a proposito, in riferimento però ad una ambientazione delia della danza, è in Ph.

Bruneau, Recherches sur les Cultes de Délos a l’époque Hellénistique et a l’époque Impériale, Paris 1970, pp. 31ss.

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appaiono casuali, ma ricordano il percorso tortuoso effettuato dall’eroe per uscire dal labirinto.9 Studi archeologici hanno prodotto interpretazioni

interessanti sulla più antica testimonianza artistica, che presenta l’immagine di un Teseo corego, il cosiddetto cratere François.10 La rappresentazione posta su uno dei registri figurati del vaso di Clizia, sembra cogliere il momento dell’arrivo a Creta del gruppo e del primo incontro tra l’eroe e Arianna. La sequenza ha origine con la rappresentazione della nave, e continua con una teoria alternata di quattordici figure di giovani uomini e fanciulle, che si tengono per mano, alla cui testa è rappresentato Teseo.11 La scena si chiude

con la rappresentazione di Arianna, la cui identità è segnata dal gomitolo tenuto su una mano protesa verso l’eroe.

Il riferimento al momento della danza si può cogliere sia dallo schema di rappresentazione dei giovani, sia dall’attributo posto nelle mani dell’eroe, una

lyra. La presenza dello strumento si presta a interpretazioni che vanno oltre una

semplicistica lettura del contesto di danza rappresentato nel vaso, altrimenti non si spiegherebbe l’associazione della lyra a Teseo anche in scene in cui lo strumento non è funzionale alla rappresentazione, come durante l’uccisione del Minotauro.12 Il Teseo di Clinia, come fa notare Shapiro in uno studio sull’eroe, 13 riprende una caratterizzazione tipica delle raffigurazioni contemporanee di Apollo. La similitudine non è limitata all’attributo della lyra,

9 L’occasione così designata fornisce uno dei criteri per cui si ritiene più probabile

ambientare la danza a Creta e non in una tappa successiva del viaggio di ritorno ad Atene, come invece è stato proposto per giustificare la versione delia del racconto.

10 Firenze, Museo Archeologico, 4209. ABV 76.1. Tra gli studi che supportano la teoria

cretese, cfr. JOHANSEN 1945; BEAZLEY 1951, pp. 33-34. Si veda anche SHAPIRO 1989; id. 1991, di cui rendiamo conto nel testo. Una lettura della scena come collocata a Naxos è proposta da SIMON 1981, pp. 72-73. Per un’interpretazione volta a rintracciare nella scena del

cratere di Clizia un accostamento di vari elementi tratti dalla mitologia relativa all’impresa si veda NEILS1987. Un recente contributo agli studi sul cratere è in SHAPIRO-IOZZO-LEZZI 2013.

11 La maggiore statura che la rappresentazione attribuisce all’eroe, rispetto a quella dei

giovani che lo seguono, rende conto di un ordine gerarchico, e designa una differente classe di età giustificata dal racconto mitico.

12 Fra gli esempi più antichi è una coppa a figure nere, di fabbrica ateniese. Il vaso è decorato

esternamente da una banda unica che reca sul rovescio la scena dell’uccisione del Minotauro. Alle spalle di Teseo si riconosce la figura di Atena, individuata dal nome stesso della dea, che incita l’eroe e tiene in mano la sua lyra; Monaco, Antikensammlungen, 2443. ABV 163.2, 160.2.

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