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C o n c l us i on i

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Academic year: 2021

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Conclusioni

Carducci arriva dalla campagna volterrana a Firenze nel primavera del 1849: ha solo quattordici anni, eppure già scrive poesia. Si è formato leggendo i libri di suo padre, carbonaro e manzoniano convinto. È affascinato dalla storia romana e dalla poesia epica; istintivamente ritrova nei sovversivi delle lotte risorgimentali gli eroi e i paladini dei suoi libri. L’idea di letteratura che va maturando è patriottica, civile, impegnata, ma ancora la sua poesia è eclettica, immatura, infedele a una qualsivoglia professione poetica.

A Firenze, a scuola, trova i suoi primi compagni di militanza. L’associazione con dei sodali è la chiave della sua giovinezza intellettuale. Negli anni dell’università ingaggia con gli amici una lotta senza quartiere contro il Romanticismo. È anche una lotta impari: Carducci e i suoi hanno posizioni minoritarie, perdenti, ma osteggiano con ogni mezzo – proclami autoreferenziali, libelli sarcastici, articoli che rasentano l’invettiva – le tendenze della letteratura contemporanea, che accusano di essere il primo fattore della crisi politica italiana.

La lotta letteraria di Carducci continua anche nell’anno di “esilio” a San Miniato, dove prende forma la sua prima raccolta poetica: le Rime, il manifesto dell’opposizione al Romanticismo, del culto per i classici, del rispetto pedissequo per la tradizione italiana. Carducci si aspetta che a Firenze le Rime siano un fiasco: è così, ma è anche un fiasco clamoroso, che riaccende le polemiche e le zuffe tra la fazione romantica e quella degli “autentici tutori” della classicità e dell’Italia: i Pedanti.

Il Cinquantanove segna una svolta per Carducci: la sua militanza poetica e patriottica lo porta a sostenere, per l’unificazione nazionale, l’intervento della monarchia Sabauda. In breve si ritrova dalla parte dei vincitori. A venticinque anni viene nominato professore di Eloquenza italiana a Bologna. È l’inizio di una vita nuova.

Lontano dagli amici e da Firenze – tanto vituperata, ma anche a lungo rimpianta – Carducci inizialmente fatica. La poesia stenta a trovare temi e forme adeguate alle sue ambizioni; fare lezione a pochi, scostanti studenti lo annoia; dà confidenza a pochi colleghi. Si dedica, allora, allo studio, alle ricerche erudite. Le sue letture non sono, però, solamente “di lavoro”; ben presto inizia ad arricchire la propria biblioteca di opere storiografiche e politiche: studia la storia della rivoluzione francese; rilegge Mazzini, legge Proudhon; nelle istanze umanitarie e di giustizia sociale dei Misérables ritrova le proprie idealità e ne è entusiasta. In solitaria, ridefinisce e rinsalda la propria ideologia. Poi, progressivamente, si lega ai personaggi di spicco della Bologna democratica, repubblicana, progressista. Negli stessi anni, intraprende lo studio del

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tedesco e legge la poesia politica francese: inizia così a correggere la sua cultura ristretta e provinciale.

Nel corso degli anni Sessanta matura una forte avversione verso la politica dei governi della Destra: sono troppe le questioni ancora aperte – prima su tutte, Roma – ed è ormai insanabile la rottura tra i moderati, da un lato, e i mazziniani e i garibaldini dall’altro. Carducci è esasperato. Si dedica alla politica con fervore, e ne paga le conseguenze. Sfoga le proprie rabbie nella poesia, ma solo verso la fine degli anni Sessanta riesce a dare una forma soddisfacente ai contenuti impegnati. È la stagione dei «criminosi giambi», che lo soddisfano e lo gratificano come militante e come poeta. In essi, Carducci mette a frutto le sue recenti letture di Heine, dello Chénier politico, di Béranger, di Hugo. I suoi versi vengono pubblicati su riviste e giornali politici, ma anche stampati su volantini e su manifesti poi affissi sui muri di Bologna. Carducci è il poeta della parte democratica; si proclama «vate dell’avvenire»; sente che in Italia non ha eguali.

Il 1870 è il suo annus horribilis. Prima muore sua madre, poi suo figlio Dante. Carducci ne è annientato. Lo sgomento mette la sordina ai grandi eventi politici che ora scorrono senza coinvolgerlo come, invece, avevano fatto pochi mesi prima. Ha la percezione di essere a un passo fondamentale: vuole ad ogni costo pubblicare di nuovo, e nuovamente ordinate in un unico volume, le poesie fino ad allora scritte. Nella primavera del 1871 escono le Poesie di Giosue Carducci (Enotrio Romano). La raccolta è la summa della sua poesia giovanile; a premessa, mette una prosa autobiografica nella quale ripercorre, ora con toni ironici ora con intense note patetiche, la storia dei suoi ultimi venti anni.

Negli stessi mesi conosce una donna, Carolina Cristofori Piva. Per lui è un caso inaspettato e tutt’altro che cercato; è lei che si è fatta avanti e gli chiede dei versi. Il poeta sta al gioco e le dedica una prima poesia. La relazione tra i due si consolida: ne scaturiscono nuove poesie. Carducci è invaghito, oltre che ispirato: da un lato, Lina lo ha preso veramente; dall’altro, lui ha potuto restituirsi all’arte pura, alla «contemplazione serena o quasi idolatrica» del bello, a quei «lavori di cesello» attraverso i quali può distrarsi dal brutto e rigenerarsi nuovamente. Si sente rinascere: a Lina tributa il merito di averlo restituito ai suoi vent’anni, a una nuova giovinezza umana e poetica.

Nelle Nuove poesie del 1873 confluisce la ricchissima e varia produzione di questi suoi ultimi anni, dagli epodi alle poesie d’amore del “ventenne”. È un successo editoriale senza precedenti: Carducci ottiene una visibilità nuova, che va ben oltre Bologna e i democratici: per la prima volta, una sua raccolta acquista un autentico rilievo nazionale.

L’ascesa di Carducci continua sul fronte poetico con la sperimentazione barbara. Nel 1877 Carducci pubblica le sue prime Odi barbare. È la consacrazione che attendeva e che segna l’inizio di un rinnovamento e impone una nuova tendenza nella

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poesia italiana. In sincronia con l’inizio della stagione barbara, volge al declino quella epodica, che dà ancora, ma solo sporadicamente, dei risultati. Intanto la situazione politica sta rapidamente mutando: all’inizio del 1878 muoiono due dei principali protagonisti del Risorgimento e del giovane Regno d’Italia, Vittorio Emanuele II e Pio IX. Due mesi più tardi, Benedetto Cairoli diviene Presidente del Consiglio. La Sinistra garibaldina si salda ai due nuovi, giovani reali: re Umberto I e la regina Margherita. Carducci entra a far parte di questo rinnovo complessivo dell’assetto politico del paese: spinto dai compagni finalmente al governo, si riavvicina alla monarchia. Nel novembre del 1878 scrive l’ode alcaica Alla regina: è un’ode encomiastica, scritta in nome del popolo italiano e per l’unità nazionale. Alla regina consolida e rafforza il primato poetico e culturale che Carducci ha acquisito nel corso degli anni Settanta. Se, da un lato, gli inimica molti di quelli che un tempo avevano acclamato il poeta di Satana, dall’altro lo lega a una dimensione nazionale.

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