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CAPITOLO 5 IL RUOLO DEL DATORE DI LAVORO/ DIRIGENTE NELLA TUTELA DEL LAVORATORE ESPOSTO A RISCHIO MMC 5.1 Misure generali di tutela e obblighi del datore di lavoro

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CAPITOLO 5

IL RUOLO DEL DATORE DI LAVORO/ DIRIGENTE NELLA

TUTELA DEL LAVORATORE ESPOSTO A RISCHIO MMC

5.1

Misure generali di tutela e obblighi del datore di lavoro

Il Decreto Legislativo 81/2008 dedica la Sezione I del Capo III alle Misure di Tutela ed Obblighi e in particolare, l’articolo 15 identifica ed elenca le Misure generali di tutela:

1. Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono:

a) la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza;

b) la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro; c) l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico; d) il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo;

e) la riduzione dei rischi alla fonte;

f) la sostituzione di ciò che é pericoloso con ciò che non lo é, o é meno pericoloso;

g) la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;

h) l’utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro; i) la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;

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l) il controllo sanitario dei lavoratori;

m) l’allontanamento del lavoratore dall’esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e l’adibizione, ove possibile, ad altra mansione; n) l’informazione e formazione adeguate per i lavoratori;

o) l’informazione e formazione adeguate per dirigenti e i preposti;

p) l’informazione e formazione adeguate per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

q) le istruzioni adeguate ai lavoratori;

r) la partecipazione e consultazione dei lavoratori;

s) la partecipazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

t) la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, anche attraverso l’adozione di codici di condotta e di buone prassi;

u) le misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave e immediato; v) l’uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;

z) la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alle indicazioni dei fabbricanti.

2. Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori.

L’articolo 17 prende in esame gli obblighi del datore di lavoro non delegabili stabilendo che il datore di lavoro non possa delegare le seguenti attività:

a) La valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dell’articolo 28;

b) La designazione del responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dai rischi.

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L’articolo 18 elenca gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente:

1. Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono:

a) nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal presente decreto legislativo.

b) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;

c) nell’affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;

d) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente;

e) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;

f) richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione;

g) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto;

g-bis) nei casi di sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41, comunicare tempestivamente al medico competente la cessazione del rapporto di lavoro;

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h) adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa; i) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

l) adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37;

m) astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato;

n) consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;

o) consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), anche su supporto informatico come previsto dall'articolo 53, comma 5, nonché consentire al medesimo rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera r); il

documento è consultato esclusivamente in azienda;

p) elaborare il documento di cui all’articolo 26, comma 3 anche su supporto informatico come previsto dall’articolo 53, comma 5, e, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, consegnarne tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il documento è consultato esclusivamente in azienda;

q) prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio;

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r) comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza al lavoro superiore a tre giorni; l’obbligo di comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni si considera comunque assolto per mezzo della denuncia di cui all’articolo 53 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;

s) consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle ipotesi di cui all’articolo 50;

t) adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei luoghi di lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato, secondo le disposizioni di cui all’articolo 43. Tali misure devono essere adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva, e al numero delle persone presenti;

u) nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro;

v) nelle unità produttive con più di 15 lavoratori, convocare la riunione periodica di cui all’art. 35;

z) aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione;

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aa) comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, in caso di nuova elezione o designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima applicazione l’obbligo di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori già eletti o designati;

bb) vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità.

1-bis. L’obbligo di cui alla lettera r) del comma 1, relativo alla comunicazione a fini statistici e informativi dei dati relativi agli infortuni che comportano l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento, decorre dalla scadenza del termine di sei mesi dall’adozione del decreto

di cui all’articolo 8, comma 4.

2. Il datore di lavoro fornisce al servizio di prevenzione e protezione ed al medico competente informazioni in merito a:

a) la natura dei rischi;

b) l’organizzazione del lavoro, la programmazione e l’attuazione delle misure preventive e protettive;

c) la descrizione degli impianti e dei processi produttivi;

d) i dati di cui al comma 1, lettera r), e quelli relativi alle malattie professionali; e) i provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza.

3. Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico

dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei

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dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico.

3-bis. Il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 19, 20, 22, 23, 24 e 25, ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti.

5.2

Dispositivi di protezione individuale e Ausili

L’articolo 74 del D. Lgs 81/2008 definisce i Dispositivi di Protezione Individuale :

1. Si intende per dispositivo di protezione individuale, di seguito denominato DPI, qualsiasi attrezzatura destinata

ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.

2. Non costituiscono DPI:

a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore;

b) le attrezzature dei servizi di soccorso e di salvataggio;

c) le attrezzature di protezione individuale delle forze armate, delle forze di polizia e del personale del servizio per il mantenimento dell’ordine pubblico;

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d) le attrezzature di protezione individuale proprie dei mezzi di trasporto;

e) i materiali sportivi quando utilizzati a fini specificamente sportivi e non per attività lavorative;

f) i materiali per l’autodifesa o per la dissuasione;

g) gli apparecchi portatili per individuare e segnalare rischi e fattori nocivi.

Le norme di sicurezza ed igiene del lavoro attualmente in vigore in Italia, ed in particolar modo il D.Lgs. 81/2008, prevedono un’organizzazione della sicurezza che privilegi sempre le misure di prevenzione e protezione collettiva, così come stabilito dall’articolo 75, e l’eliminazione alla fonte di qualunque tipo di rischio sia presente nell’ambiente di lavoro.

L’utilizzo di un Dispositivo di Protezione Individuale è quindi sempre subordinato alla corretta verifica dell’avvenuta attuazione di tutti i possibili accorgimenti tecnici e organizzativi per la limitazione o eliminazione dei fattori di rischio.

L’articolo 76 passa in rassegna i principali requisiti dei Dispositivi di Protezione Individuale:

1. I DPI devono essere conformi alle norme di cui al decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, e sue successive modificazioni.

2. I DPI di cui al comma 1 devono inoltre:

a) essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sè un rischio maggiore;

b) essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro;

c) tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore; d) poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità.

3. In caso di rischi multipli che richiedono l’uso simultaneo di più DPI, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell’uso

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simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio e dei rischi corrispondenti.

L’articolo 77, stabilisce gli obblighi cui è soggetto il datore di lavoro nell’ambito dei DPI:

1. Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI:

a) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;

b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI;

c) valuta, sulla base delle informazioni e delle norme d’uso fornite dal fabbricante a corredo dei DPI, le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla lettera b);

d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione.

2. Il datore di lavoro, anche sulla base delle norme d’uso fornite dal fabbricante, individua le condizioni in cui un DPI deve essere usato, specie per quanto riguarda la durata dell’uso, in funzione di:

a) entità del rischio;

b) frequenza dell’esposizione al rischio;

c) caratteristiche del posto di lavoro di ciascun lavoratore; d) prestazioni del DPI.

3. Il datore di lavoro, sulla base delle indicazioni del decreto di cui all’articolo 79, comma 2, fornisce ai lavoratori DPI conformi ai requisiti previsti dall’articolo 76.

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a) mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d’igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie e secondo le eventuali indicazioni fornite dal fabbricante;

b) provvede a che i DPI siano utilizzati soltanto per gli usi previsti, salvo casi specifici ed eccezionali, conformemente alle informazioni del fabbricante; c) fornisce istruzioni comprensibili per i lavoratori;

d) destina ogni DPI ad un uso personale e, qualora le circostanze richiedano l’uso di uno stesso DPI da parte di più persone, prende misure adeguate affinché tale uso non ponga alcun problema sanitario e igienico ai vari utilizzatori;

e) informa preliminarmente il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge; f) rende disponibile nell’azienda ovvero unità produttiva informazioni adeguate su ogni DPI;

g) stabilisce le procedure aziendali da seguire, al termine dell’utilizzo, per la riconsegna e il deposito dei DPI;

h) assicura una formazione adeguata e organizza, se necessario, uno specifico addestramento circa l’uso corretto e l’utilizzo pratico dei DPI.

5. In ogni caso l’addestramento é indispensabile:

a) per ogni DPI che, ai sensi del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, appartenga alla terza categoria;

b) per i dispositivi di protezione dell’udito.

L’articolo 78 stabilisce invece gli obblighi cui i lavoratori sono tenuti:

1. In ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 20, comma 2, lettera h), i lavoratori si sottopongono al programma di formazione e addestramento organizzato dal datore di lavoro nei casi ritenuti necessari ai sensi dell’articolo 77 commi 4, lettera h), e 5.

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2. In ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 20, comma 2, lettera d), i lavoratori utilizzano i DPI messi a loro disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute e all’addestramento

eventualmente organizzato ed espletato. 3. I lavoratori:

a) provvedono alla cura dei DPI messi a loro disposizione; b) non vi apportano modifiche di propria iniziativa.

4. Al termine dell’utilizzo i lavoratori seguono le procedure aziendali in materia di riconsegna dei DPI.

5. I lavoratori segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei DPI messi a loro disposizione.

L’allegato VIII:

- fornisce indicazioni di carattere generale relative a protezioni individuali;

- elenca indicativamente e in maniera non esauriente le attrezzature di protezione individuali;

- elenca indicativamente e in maniera non esauriente le attività e i settori di attività per i quali può rendersi necessario mettere a disposizione attrezzature di protezione individuale;

- fornisce indicazioni per la valutazione dei DPI (rischi da cui proteggere e rischi derivanti dal dispositivo).

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La Comunità Economica Europea al fine di garantire i requisiti essenziali dei dispositivi di protezione individuale e di armonizzare le normative dei diversi paesi, ha adottato due direttive:

• la direttiva europea 89/656 del 30/11/1989 recepita mediante il D.L. 626 del 19/9/1994, relativa dell'uso dei D.P.I.

• la direttiva europea 89/686 del 29/12/1989 recepita mediante il D.L. 475 del 4/12/1992, relativa alla progettazione dei D.P.I..

La regolamentazione italiana con il D. L. 475, inserisce la nuova disposizione sancendo il principio secondo il quale risulta proibito produrre, vendere o

noleggiare dispositivi, apparecchiature o prodotti di protezione personale dei lavoratori che non siano atti a garantire i lavoratori stessi contro i pericoli di qualsiasi natura ai quali esse risultino esposti. Viene così fissato il principio di garantire la protezione individuale dei lavoratori e si denuncia il pericolo di una falsa sicurezza derivante dalla scelta di un'apparecchiatura inadeguata. La

direttiva 89/686 determina, per ciascuna categoria dei DPI le procedure di certificazione e le norme tecniche cui tali apparecchiature devono adeguarsi per poter circolare liberamente nelle CEE. Essa si applica alle maschere per la respirazione, agli occhiali protettivi, alle cuffie, alle protezioni antirumore, alle protezioni contro le cadute dall'alto, alle calzature, agli indumenti e ai guanti di protezione.

I DPI devono anzitutto rispondere ai “requisiti essenziali di sicurezza”, la cui conformità è attestata dal fabbricante, mediante l’apposizione sul DPI stesso della marcatura “CE”.

Nel caso specifico della movimentazione manuale dei carichi, il datore di lavoro fornisce ai lavoratori appositi dispositivi di protezione individuali, ovvero:

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• Guanti: sono dispositivi di protezione individuale che possono migliorare la presa del carico e impedire che sfugga di mano. A tale scopo il materiale dei guanti dovrebbe essere scelto in funzione della struttura della superficie del carico. I guanti appropriati offrono inoltre una protezione contro ferite da taglio ed escoriazioni.

I guanti devono essere progettati secondo le condizioni di impiego in modo da proteggere il più possibile i lavoratori dai rischi derivanti dall’attività lavorativa. E’ cura del fabbricante, progettare e fabbricare guanti destinati a rischi specifici, mentre è cura del datore di lavoro effettuare una scelta oculata del guanto stesso in modo da ridurre il più possibile i rischi derivanti dall’attività svolta dal lavoratore. I requisiti generali e fondamentali che devono possedere tutti i tipi di guanti destinati alla protezione dai rischi lavorativi sono definiti dalla norma UNI EN 420. In particolare sono definiti i criteri di realizzazione dei guanti, e i requisiti generali di innocuità, ergonomia, funzionalità e pulizia.

E’ molto importante prestare attenzione ai livelli prestazionali dei guanti e alla confortevolezza – ergonomia.

I livelli di prestazione del guanto, definiti per ogni tipo di rischio, sono rappresentati da un numero che indica una particolare categoria o intervallo di prestazione con la quale si vanno a graduare i guanti in base

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alle prove di laboratorio. La classificazione è effettuata all’interno di 4,5 o 6 livelli prestazionali a seconda del tipo di rischio.

La confortevolezza è strettamente legata alle taglie delle mani e dei guanti e in merito, si prendono in considerazione la circonferenza e la lunghezza delle mani.

• Scarpe di sicurezza: nella movimentazione manuale dei carichi, circa un quarto degli infortuni è riconducibile a scivolamenti, inciampi, passi falsi. La scarpa di sicurezza è un dispositivo di protezione individuale atto a proteggere i piedi contro:

- le aggressioni esterne: schiacciamento, ustioni da scintille, fluidi caldi o scorie, freddo, perforazioni, vibrazioni;

- nel contatto verso il suolo: pericoli di scivolamento.

A tale scopo, le scarpe di sicurezza, presentano uno o più accorgimenti quali l’adozione di puntale d’acciaio e/o di lamina metallica antiperforazione, la predisposizione di particolari rilievi delle suole, di impermeabilizzazione, il conferimento di resistenza al calore, l’adozione di protezione dei malleoli, di un sistema di sfilamento rapido.

• Indumenti da lavoro: quando si è tenuti ad eseguire lavori pesanti, d’estate t-shirt e shorts sono sicuramente un sollievo. Però occorre ricordare che nella movimentazione manuale dei carichi, la pelle può

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subire lesioni da escoriazioni, rischio che può essere evitato indossando indumenti resistenti, prevalentemente tute la lavoro.

Per il personale che lavora in condizioni di scarsa visibilità o di notte, è molto importante rendersi visibile utilizzando giubbotti, giacche o indumenti da lavoro di colore ad alta visibilità (giallo, arancione, bianco) e con barre rifrangenti (abbigliamento da segnalazione).

Gli ausili per la movimentazione dei pazienti (sollevatori meccanici, carrozzine, cinture per il trasferimento dei pazienti, barelle ecc.) e dei materiali (trans pallet, carrelli manuali, nastri o rulli trasportatori, carrelli elevatori, piattaforme a pantografo, cinghie ecc.) consentono di ridurre l’esposizione dei lavoratori a problematiche muscolo- scheletriche quindi il conseguente sovraccarico biomeccanico. L’efficacia degli ausili deve essere valutata in base alle specifiche esigenze del reparto/ settore di impiego. Un importante requisito richiesto affinchè un ausilio venga effettivamente utilizzato è la sua praticità, che dipende dalla manovrabilità nello spazio lavorativo disponibile, dalla rapidità di utilizzo e nel caso dei reparti ospedalieri dall’accettabilità da parte dei pazienti. E’ importante l’effettuazione di una corretta manutenzione delle attrezzature e degli ausili.

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Sorveglianza Sanitaria

In ambito occupazionale la sorveglianza sanitaria consiste nella periodica valutazione clinica dei singoli individui o nel monitoraggio dello stato di salute di un gruppo di lavoratori (Koh D e Aw TC, 2003).

L’art. 168, comma 2, lettera d), del D.Lgs.

81/2008 prevede che il datore di lavoro sottoponga a sorveglianza sanitaria gli addetti ad attività di movimentazione manuale di carichi.

Tale sorveglianza sanitaria, svolta secondo le previsioni dell’art. 41 del medesimo decreto, viene effettuata dal medico competente e comprende:

• accertamenti preventivi per valutare l’eventuale presenza di controindicazioni alla mansione specifica;

• accertamenti periodici per controllare lo stato di salute del lavoratore nel tempo.

Questi accertamenti comprendono esami clinici ed indagini diagnostiche mirate allo specifico rischio (nel caso, le lesioni del rachide).

L’art. 39, comma 5, chiarisce che “ il medico

competente può avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro, che ne sopporta gli oneri ”.

Le finalità generali della sorveglianza sanitaria sono di tipo eminentemente preventivo e destinate a verificare, prima dell’avvio al lavoro e poi nel tempo, l’adeguatezza del rapporto tra specifica condizione di salute e specifica

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condizione di lavoro dei lavoratori singoli e, in seconda istanza, collettivamente considerati.

La sorveglianza sanitaria a livello individuale ha lo scopo di valutare: - i soggetti portatori di condizioni di ipersuscettibilità;

- i soggetti con patologie allo stato iniziale ed ancora reversibile;

- i soggetti con affezioni conclamate al fine di adottare immediate misure di protezione;

- i compiti più adeguati al lavoratore, gli elementi necessari per gli eventuali provvedimenti medico-legali (obblighi di referto e denuncia agli organi competenti e certificazione di malattia professionale per l’ente assicuratore).

La sorveglianza sanitaria effettuata su un gruppo di lavoratori ha lo scopo di valutare:

- la prevalenza e l’incidenza dei casi di patologie correlate al lavoro;

- l’emersione di nuovi casi, in relazione alla adeguatezza delle misure preventive adottate;

- l’accuratezza della compilazione del documento di valutazione dei rischi fatta dal datore di lavoro attraverso l’analisi critica dei dati anonimi e collettivi in corso di riunione periodica;

- le postazioni di lavoro particolarmente a rischio in relazione alla gravità o frequenza delle patologie riscontrate.

Atto finale della sorveglianza sanitaria individuale è l’espressione di un giudizio sull’idoneità del lavoratore allo svolgimento di una determinata mansione. Ciò significa che il medico del lavoro dovrà poter disporre di tutti gli elementi necessari per mettere a confronto le condizioni e le capacità fisiche e mentali del soggetto con le richieste del compito. I dati raccolti nell’ambito

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della sorveglianza sanitaria dovranno pertanto tenere conto non solo delle condizioni cliniche (presenza di patologie), ma anche delle conseguenze che alterazioni della normale struttura e/o della funzione di un organo o apparato possono avere sulla capacità di svolgere un compito (condizioni di disabilità). La valutazione funzionale andrà in particolare rivolta ad apparati o regioni corporee che sono eventualmente sede di patologie, ma al tempo stesso rilevanti per il tipo di attività lavorative da svolgere.

Avverso il giudizio del medico competente, il datore di lavoro e/o il lavoratore, possono presentare ricorso allo SPISAL competente entro 30 giorni dalla data di comunicazione del giudizio stesso, ai sensi dell’art. 41, comma 9.

La sorveglianza sanitaria viene attivata in base alla valutazione del rischio che deve tener conto del dato epidemiologico quale, ad esempio, la segnalazione di disturbi o patologie del rachide.

Qualunque sia il metodo di valutazione adottato, la sorveglianza è comunque attivata per tutti i soggetti esposti a condizioni di movimentazione manuale di carichi in cui l’indice di rischio sia risultato > 1 secondo il metodo NIOSH, > 1.5 per il MAPO.

Per i valori inferiori (area a rischio lieve o dubbio) è comunque consigliabile effettuare un accertamento preventivo da parte del medico competente, almeno al fine di valutare le iniziali condizioni di salute del lavoratore, e le eventuali condizioni di ipersuscettibilità.

Quindi la periodicità andrà stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio e delle conoscenze relative allo stato di salute individuale e collettivo della popolazione seguita; il medico competente può, inoltre, adottare periodicità differenziate per i singoli soggetti.

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La Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale ha proposto un modello operativo di sorveglianza sanitaria per la raccolta di dati relativi all’apparato muscolo scheletrico che si basa sull’utilizzo di strumenti ampiamente utilizzati in ambito internazionale e che tenga conto delle linee guida per la gestione del soggetto affetto da lombalgia.

Tale modello è composto da una serie di steps, che verranno di seguito elencati:

Screening iniziale: uno strumento utile nelle prime fasi che permette di tracciare un quadro riassuntivo dei disturbi muscolo scheletrici (fastidio, indolenzimento, dolore) e/o delle disabilità (intese come impedimento allo svolgimento delle normali attività lavorative e/o extralavorative) in nove regioni corporee è il Questionario Nordico Standardizzato (Kuorinka I, 1987), ampiamente utilizzato a livello internazionale;

Valutazione clinica: in caso di rilievo di disturbi, in particolare della regione del rachide lombare, si raccomanda l’approccio suggerito dalle linee guida internazionali, riconducibile in sintesi nel triage diagnostico, volto alla classificazione della lombalgia in due grandi categorie, quella aspecifica e quella secondaria, e il proseguimento dell’iter diagnostico in caso di presenza di segnalatori di possibili cause specifiche di lombalgia. Dal momento che tra gli scopi della sorveglianza sanitaria vi è anche la ricerca di condizioni di ipersuscettibilità, indipendentemente dalla presenza di sintomi, l’esame obiettivo del rachide, potrà condurre all’identificazione di gravi patologie, generalmente strutturali che comportano una ridotta resistenza del rachide da un punto di vista biomeccanico;

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Valutazione della disabilità: una corretta valutazione della corrispondenza tra capacità lavorativa del soggetto e compito lavorativo necessita inoltre di una stima degli effetti di un danno funzionale o strutturale della capacità di svolgere una specifica attività. Non esiste, però, una completa concordanza tra la gravità dei sintomi riferiti da un paziente e il grado di disabilità effettivamente presente. Il concetto e il vissuto della disabilità possono essere influenzati da aspetti culturali e sociali, nonché da aspettative rispetto alla propria condizione di salute. Nell’ambito della valutazione dell’idoneità appare pertanto utile monitorare i due aspetti. Per misurare il dolore, lo strumento più semplice è la scala VAS (Visual Analogue Scale), il quale prevede di chiedere alle persone di indicare l’intensità del dolore attraverso un segno su una linea avente agli estremi “nessun dolore” e “massimo del dolore” (Scott J e Huskinsson EC, 1976); il calcolo della distanza dal segno sulla linea dai punti estremi permette di ricavare una misura della percezione del dolore.

Valide alternative, utili nel semplificare la registrazione e la quantificazione del dolore e per la comparazione nelle visite successive, sono rappresentate da una scala numerica o facce con diverse espressioni.

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La misura della disabilità è una componente importante nella gestione del soggetto lombalgico. Accanto alla valutazione della limitazione funzionale, obiettivabile durante l’esame fisico, esiste la possibilità di rilevare in maniera standardizzata il grado di compromissione dell’abilità nel compiere atti di vita quotidiana in un soggetto lombalgico attraverso appositi questionari. Tra quelli più utilizzati vanno citati il Roland Morris Disability Questionnaire (RMDQ) e l’Oswestry Disability Index (ODI). Nell’impiego dei due questionari va considerato che l’ODI tende a produrre punteggi maggiori rispetto al RMDQ; inoltre l’ODI sembra essere migliore nell’identificare modificazioni nei pazienti con un grado maggiore di disabilità, mentre l’utilizzo del RMDQ appare consigliabile in pazienti con un minor grado di disabilità.

Il RMDQ comprende 24 punti ciascuno dei quali descrive una disabilità che potrebbe essere correlata alla lombalgia; il punteggio finale consiste nella somma del numero di affermazioni che il soggetto ritiene applicabili nel momento della compilazione del questionario e va da 0 (nessuna condizione è vera per il paziente, nessuna disabilità) a 24 (tutte le affermazioni sono vere, massimo della disabilità); le dimensioni indagate riguardano le comuni attività di vita quotidiana e in misura

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minore il lavoro (Roland MO e Morris RW, 1983; Roland M et al., 2000).

Risultato del questionario:

- Se i SI sono da 0 a 9: Lombalgia acuta o cronica a bassa disabilità: gestione da parte del medico di medicina generale

- Se i SI sono da 10 a 13: Lombalgia sub- acuta o cronica a media disabilità

- Se i SI sono almeno 14: Lombalgia sub- acuta o cronica ad alta disabilità: gestione da parte di un team specialistico esperto.

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L’ODI è un questionario concepito ai fini di raccogliere informazioni riguardo la capacità di autogestione quotidiana del paziente affetto da lombalgia; è suddiviso in 10 sezioni che riguardano: intensità del dolore, igiene personale, sollevamento pesi, cammino, posizione seduta, posizione eretta, addormentamento, vita sessuale, vita sociale, viaggi. Il punteggio finale viene inserito in una formula per calcolare la percentuale di disabilità (punteggio totale/ 50 x 100= % disabilità), classificata in cinque categorie (Fairbank et al., 1980);

Valutazione della capacità funzionale: la capacità fisica di un lavoratore può essere valutata anche mediante misure oggettive: test di misura della forza (statica o dinamica), attraverso batterie di test standard oppure definiti sulla base dello specifico compito. La valutazione della capacità funzionale o Functional Capacity Evaluation FCE, consiste nell’esecuzione di serie standardizzate di test clinici finalizzati a stimare la capacità del lavoratore di svolgere determinate attività fisiche . Il confronto fra le abilità biomeccaniche del soggetto in esame e le richieste fisiche necessarie per svolgere la specifica mansione cui è adibito (in termini di forza muscolare, mobilità articolare e resistenza) fornisce informazioni potenzialmente in grado di guidare l’inserimento lavorativo o il re- inserimento lavorativo dopo un infortunio (ad esempio un episodio di lombalgia), indicando se un individuo soddisfa (in modo completo o parziale) i requisiti della mansione o meno (Branton et al., 2010). Sono disponibili un elevato numero di protocolli di FCE, differenti in termini di capacità testate e tempo richiesto per l’esecuzione del test, specifici per una determinata patologia o per una determinata mansione (Branton et al., 2010).

Per quanto riguarda la stima delle richieste energetiche queste possono essere espresse in termini di equivalente metabolico (MET: 1 met corrisponde approssimativamente all’energia spesa in posizione seduta a

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riposo e richiede un consumo di ossigeno pari a 3,5 ml/kg corporeo al minuto). Nella seguente tabella si riporta una possibile classificazione delle richieste fisiche legate alle attività lavorative tratta dal Dictionary of Occupational Title (US Department of Labor. Physical demands – Strenght rating defined in Dictionary of Occupational Titles, 1991) modificata (Palmer eCox, 2007).

Livello di

richiesta fisica METs

Forza esercitata per sollevare, trasportare, spingere, trainare o spostare gli oggetti

Occasionalmente (0- 33% della giornata lavorativa) Frequentemente (34-66% della giornata lavorativa) Costantemente (67-100% della giornata lavorativa) S- Lavoro Sedentario < 2 METs < 4,5 Kg Trascurabile Trascurabile

Posizione seduta per la maggior parte del tempo

L- Lavoro

Leggero 2 – 3 METs

< 9 kg < 4,5 kg Trascurabile

Comporta la posizione in piedi o il cammino per una parte significativa del tempo oppure comporta la posizione seduta per la maggior parte del tempo ma comporta spingere e/o trainare oggetti con le braccia/gambe.

M- Lavoro

Medio

4 – 5 METs 9- 23 kg 4,5 – 11,5 kg 4,5 kg

H- Lavoro

Pesante (High) 6 – 8 METs 23- 45 kg 11,5 – 23 kg 4,5 – 9 kg

V- Lavoro

Molto Pesante (Very Heavy)

8 METs >45 kg 23 kg 9 kg

Valutazione della “fitness for work”: il problema del giudizio di idoneità alla mansione specifica per i soggetti che svolgono movimentazione manuale dei carichi è molto delicato. Dal momento che qualsiasi attività lavorativa deve essere sicura ed accettabile per il lavoratore è evidente che il giudizio di idoneità potrà porre problemi al medico del lavoro principalmente nel caso in cui si debba valutare l’accettabilità di compiti lavorativi “mediamente sicuri” per un soggetto che, a causa di patologie pregresse o in corso, possa essere ritenuto a rischio di sviluppare una

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patologia del rachide o di andare incontro al peggioramento di una condizione preesistente. Dunque è fondamentale, per il medico del lavoro, ma anche per l’azienda in cui opera, e in generale per la società, il mantenimento della capacità lavorativa del lavoratore;

Formulazione del giudizio di idoneità: schemi che indirizzino alla formulazione del giudizio di idoneità lavorativa rappresentano uno strumento molto utile per il medico del lavoro, ma possono essere controproducenti se applicati meccanicamente senza un’adeguata considerazione delle caratteristiche dell’ambiente lavorativo e delle condizioni fisiopatologiche e psicologiche del soggetto da esaminare. Vengono di seguito descritte una serie di azioni che il medico del lavoro dovrebbe eseguire per arrivare ad esprimere un razionale giudizio di idoneità alla movimentazione manuale dei carichi:

1) Valutare adeguatamente i compiti: i compiti che il soggetto deve eseguire vanno valutati sotto il profilo biomeccanico, ma anche sotto il profilo fisiologico, relativo al dispendio energetico. La valutazione va fatta sia per i compiti di sollevamento che per quelli di spinta, traino o trasporto. Ovviamente se tale valutazione evidenziasse una situazione di “rischio”, non si potrebbe procedere oltre prima di aver attuato le misure necessarie a riportare il rischio entro limiti accettabili; in questa fase è fondamentale la collaborazione tra Medico Competente e Servizio di Prevenzione e Protezione;

2) Valutare adeguatamente le caratteristiche del soggetto, in relazione ad età, sesso ed alla specifica patologia da cui è affetto: questa valutazione deve tenere conto sia della situazione clinica del soggetto che delle sue capacità dal punto di vista biomeccanico. La situazione clinica del soggetto deve essere valutata per accertare lo stato della patologia, il grado di

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compromissione del distretto muscolo scheletrico interessato e le possibilità terapeutiche; tale valutazione è necessariamente specialistica, pertanto è fondamentale una collaborazione tra il medico del lavoro e i vari specialisti interessati (ortopedico, fisiatra, neurologo, neurochirurgo). Le capacità del soggetto dal punto di vista biomeccanico vanno indagate in relazione ai contenuti dei compiti previsti (sollevamento, trasporto, spinta, traino) con test che simulino il più possibile i compiti stessi, a crescenti livelli di carico;

3) Confrontare requisiti del compito con le caratteristiche del soggetto: in questo confronto sta la vera essenza del giudizio di idoneità. Infatti, se i requisiti del compito non eccedono le capacità biomeccaniche del soggetto, quest’ultimo sarà giudicato idoneo. Se i requisiti del compito eccedono le capacità biomeccaniche del soggetto, si porranno due alternative: o il compito è modificabile in misura tale da poter essere considerato adatto alle caratteristiche biomeccaniche del soggetto (che quindi a questo punto può essere considerato idoneo) o il soggetto va ritenuto in tutto o in parte non idoneo a questa destinazione lavorativa. In entrambi i casi, il medico del lavoro, deve avvalersi della collaborazione con il SPP, al fine di ottenere una corretta valutazione del rischio residuo, successivamente alla modificazione del compito, o in alternativa per avere assicurazione sulla sua non modificabilità. Il medico del lavoro deve tenere conto del fatto che nei soggetti con rilievo anamnestico di lombalgia, ma senza alterazioni anatomiche di rilievo della colonna vertebrale, non vi sono valide indicazioni, sul piano biomeccanico, per controindicare la movimentazione dei carichi. Nei casi di ernia discale operata, senza instabilità

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segmentaria residua, non sembrano esservi indicazioni per limitare il sollevamento dei carichi: eventualmente, si può utilizzare una modifica dell’equazione del NIOSH per tenere conto della diversa rigidità della colonna (Pope et al., 1999).

4) Monitorare assiduamente il soggetto dopo l’inserimento al lavoro: gli strumenti suggeriti per il monitoraggio clinico sono i già citati questionari per la misura della disabilità (RMDQ, ODI), eventualmente associati alla valutazione del dolore (scala VAS). Misure utili nei soggetti portatori di patologie del sistema muscolo scheletrico in relazione alla MMC: recenti linee guida, tra le quali anche quelle dell’ ACOEM (2010) sulla gestione dei soggetti con lombalgia negli ambienti di lavoro, confermano quanto sia importante la riduzione al minimo del periodo di inattività e quindi la precoce ripresa dell’attività lavorativa e sportiva per evitare la cronicizzazione della lombalgia. Proprio per favorire il reinserimento dei lavoratori affetti da lombalgia, una delle possibili misure è quella di valutare una modificazione dell’attività lavorativa; in generale ciò vale per tutte le attività il cui svolgimento va ad aggravare i sintomi del rachide. Infatti, compiere ogni sforzo affinché il soggetto lombalgico possa mantenere il più alto livello di attività fisica e lavorativa possibile, è uno dei principali obiettivi terapeutici. Secondo quanto riportato dalle linee guida statunitensi (ACOEM, 2010) eventuali limitazioni dovrebbero includere indicazioni circa il limite di peso da movimentare e l’assetto posturale. Le modificazioni dell’attività lavorativa nascono con l’obiettivo di favorire il precoce reinserimento al lavoro del paziente lombalgico, pertanto sono da considerarsi temporanee e soggette a periodiche rivalutazioni.

La limitazione dei pesi movimentabili: è pratica comune limitare la movimentazione manuale di carichi da parte di soggetti portatori di

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patologie del rachide o di altri apparati. La base razionale all’origine di questa pratica è costituita dalla considerazione che un rachide patologico non possieda le caratteristiche biomeccaniche di un rachide normale e possa quindi venir leso dall’applicazione di carichi che invece verrebbero tollerati da un rachide normale. Tale pratica, basata sul “senso comune” del medico, non trova riscontro negli studi sistematici sull’argomento. Le più recenti linee guida (Staal et al., 2003; Burton et al., 2006; ACOEM, 2010) sulla gestione dei soggetti con lombalgia negli ambienti di lavoro, non indicano (se non per periodi limitati di tempo e in fase acuta) le restrizioni di peso nel trattamento di questi soggetti, ma al contrario, incoraggiano trattamenti riabilitativi “aggressivi” con il precoce ritorno ai compiti lavorativi ordinari.

Un ulteriore elemento che merita di essere sottolineato riguarda la pratica di definire le restrizioni alla movimentazione manuale dei carichi solo in riferimento ai “pesi movimentabili”, atteggiamento scientificamente immotivato per diverse ragioni:

- nel caso del sollevamento, il peso non è l’unico fattore a determinare il rischio biomeccanico: la distanza dal corpo o l’altezza dell’oggetto al termine del sollevamento possono avere uguale o superiore importanza; - nel caso di movimentazione orizzontale, e quindi di attività quali

spingere e/o tirare, la massa dell’oggetto da spostare, avrà un’ovvia importanza, ma altrettanta ne avranno elementi quali l’attrezzatura usata per la movimentazione, le condizioni del pavimento etc.

Periodicità degli accertamenti sanitari: il D. Lgs. 81/2008 (articolo 41, comma 2, lettera b) indica, in assenza di specifiche norme, una periodicità annuale delle visite; viene tuttavia affidata al Medico Competente la possibilità di modificare la periodicità sulla base dei risultati della valutazione del rischio. Come già indicato nelle Linee Guida per la prevenzione delle patologie correlate alla movimentazione

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manuale dei pazienti (Violante et al., 2008) la letteratura scientifica internazionale non identifica con chiarezza una specifica periodicità negli accertamenti.

Il medico del lavoro, per stabilire la periodicità degli accertamenti, è opportuno che consideri attentamente:

Valutazione del rischio;

Disponibilità e caratteristiche degli ausili per la movimentazione manuale dei carichi;

Organizzazione del lavoro ed aspetti psicosociali; Sesso ed età dei lavoratori;

Risultati della precedente sorveglianza sanitaria e precedenti giudizi di idoneità;

Modalità di accadimento di pregressi infortuni;

Assenteismo dovuto a condizioni sanitarie, in particolare per disturbi a carico del rachide e degli arti superiori;

Informazione e formazione sul tema della movimentazione manuale dei carichi e valutazione della relativa efficacia.

In linea generale, se gli accertamenti precedenti hanno ben caratterizzato la popolazione, non hanno evidenziato particolari problemi di salute e non emergono condizioni di rischio rilevanti, la periodicità può essere triennale. Periodicità annuali o biennali potranno essere evidentemente disposte qualora vi siano condizioni maggiori di rischio o significative suscettibilità individuali.

5.4

Back School: a cavallo tra prevenzione e riabilitazione

L’analisi della letteratura consente di individuare come prima esperienza europea di Back School quella svedese di Marianne Zachrisson (Zachrisson, 1980) che organizzò i primi corsi nel 1969 al Danderyd Hospital di Stoccolma.

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trattamento in precedenza utilizzate nei reparti di fisioterapia per i pazienti lombalgici, diffondendosi non solo in Svezia ma anche negli USA, in Gran Bretagna e in Australia, Il contenuto fondamentale della sua Back School si basa su consigli “ergonomici”, su suggerimenti per evitare le lombalgie ad eziologia meccanica derivanti dagli studi sulle pressioni intradiscali, dalle ricerche elettromiografiche e dagli studi epidemiologici che, parallelamente, venivano svolti in Svezia.

Lo scopo era quello di insegnare al paziente a vivere bene nonostante il mal di schiena, ovvero di insegnare come avere cura della propria schiena e come evitare i peggioramenti, soprattutto mediante: la conoscenza del legame esistente tra lo sforzo fisico e l’aumento dei sintomi, la conoscenza degli atteggiamenti scorretti e delle corrette posture. Il corso era gestito da un terapista della riabilitazione per gruppi di 6-8 persone e consisteva in 4 incontri di 45 minuti, rigidamente strutturati nei contenuti.

La scuola canadese (Hall et al., 1980), avviata nel 1974, presentava un’impostazione differente in quanto sottolineava l’importanza della componente psicologica ed emozionale nella genesi del dolore lombare. Infatti, alle informazioni relative l’anatomia e la biomeccanica del rachide, venivano aggiunte conoscenze sul controllo del dolore e dello stress, proponendo tecniche di rilassamento. I corsi, costituiti da 4 lezioni settimanali della durata di 90 minuti, venivano tenuti da un ortopedico, un fisioterapista e uno psichiatra.

La scuola californiana (Matmiller et al., 1980) istituita nel 1976, attribuiva maggiore importanza all’applicazione personalizzata di specifici suggerimenti di tipo ergonomico e presentava un’impronta più individuale nell’approccio al paziente. I corsi prevedevano tre lezioni settimanali, della durata di 90 minuti

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ciascuna, per gruppi di 4 persone. I pazienti venivano valutati all’inizio del corso posturale, cinetico e della performance generale.

I corsi della scuola francese (Chometon et al., 1987) erano organizzati in modo simile alla scuola svedese.

Altre attività di Back School sono state rivolte ad iniziative di prevenzione in contesti lavorativi specifici e ancora una volta la prima esperienza proviene dalla Svezia ed è stata effettuata negli anni ’70 presso la Volvo. Successive analoghe esperienze sono state realizzate negli Stati Uniti e in Canada.

Le esperienze italiane reperibili in letteratura sono scarse e relativamente recenti. E’ infatti solo a partire dagli anni ’80 che nel nostro paese è stato adottato questo indirizzo educativo per il trattamento delle rachialgie. I corsi di Back School italiani presentano delle caratteristiche peculiari rispetto a quelli degli altri paesi europei. Infatti, accanto al contenuto educativo viene proposta una parte pratica ad indirizzo riabilitativo, anche individualizzato. Ciò è reso possibile dal numero delle sedute che si aggira in media intorno ai 10 incontri e dall’esiguo numero dei partecipanti.

In letteratura sono reperibili pubblicazioni relative a esperienze di Back School condotte all’Università La Sapienza di Roma (Postacchini et al.,1984); alla USL 64 di Bra (Granella et al., 1988); a Trieste (Zadini et al., 1990); alla clinica ortopedica II di Torino (Novarese et al., 1991); a Senigallia (Saveriano et al., 1991).

Negli anni 84-85, presso una grande azienda municipalizzata milanese, è stata avviata la prima Bach School di fabbrica per lavoratori addetti alla movimentazione manuale dei carichi. Già in quella prima esperienza è stata

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effettuata una parziale verifica di efficacia che, dopo 4 mesi, rivelò un netto miglioramento della sintomatologia sebbene non fosse cessata un’attività lavorativa sovraccaricante (EPM, 1994).

E’ a partire da quell’esperienza che l’EPM ha iniziato a coinvolgere servizi pubblici e privati di medicina del lavoro e di recupero e rieducazione funzionale, stabilendo così una collaborazione tra questi settori.

La Back School proposta dall’unità di ricerca EPM prevede prima di tutto l’inquadramento diagnostico delle condizioni funzionali e della patologia del rachide attraverso una serie di procedure cliniche complementari: l’esame clinico funzionale del rachide (comprendente anamnesi fisiologica e lavorativa, anamnesi patologica, rilevazione dei parametri antropometrici, osservazione degli atteggiamenti in stazione eretta, manovre di presso-palpazione, valutazione della motilità analitica dei tre tratti del rachide, valutazione della funzionalità muscolare generale) seguito, se necessario, da un approfondimento diagnostico tramite Rx o TC, da esami bioumorali orientati alla ricerca di forme infiammatorie o metaboliche, dall’esame neurologico per indagare eventuali complicanze.

L’elemento distintivo della Back School è il messaggio educativo attraverso il quale si vuole coinvolgere i pazienti nella corretta gestione del proprio rachide nella vita quotidiana e nel lavoro. Per raggiungere tale

obiettivo è necessario che:

il materiale didattico sia predisposto adeguatamente;

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i contenuti siano articolati secondo la sequenza: anatomo- fisiologia, patogenesi, patologia, igiene posturale, ergonomia;

le nozioni siano ripetute adeguatamente e venga verificato costantemente l’apprendimento;

la sequenza delle fasi di apprendimento pratico sia adeguata; i concetti teorici vengano rinforzati da esercitazioni pratiche.

A tale scopo, i principali contenuti della parte teorica dovranno riguardare: • epidemiologia delle rachialgie e relazione con i lavori a rischio; • concetti di analisi delle posture a rischio;

• cenni di cinesiologia;

• cenni di anatomo- fisiologia del rachide e patogenesi delle principali patologie degenerative,

• patologie e trattamenti; • igiene posturale generale;

• igiene posturale lavorativo specifico.

Per quanto riguarda la parte pratica, gli obiettivi fondamentali nella conduzione delle esercitazioni pratiche sono:

l’insegnamento di esercizi che possano essere utilizzati e riprodotti come programma domiciliare di auto mantenimento;

l’acquisizione di metodiche di autocorrezione degli atteggiamenti posturali da adottare.

Ovviamente, a tale fine, è importante che la valutazione clinico- funzionale del rachide, venga utilizzata per impostare specifici programmi di esercizi.

Gli esercizi più comunemente proposti in letteratura riguardano i seguenti ambiti:

Il rilassamento: può essere proposto come fase iniziale dell’insieme degli esercizi. Lavorare sulla sequenza ”contrazione- decontrazione muscolare” è utile per la percezione della decontrazione o per individuare stati di tensione protratta ed è

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quindi utilizzabile nella vita quotidiana (Auriol H., 1989). I partecipanti vengono educati ad utilizzare la respirazione per un migliore rilassamento muscolare. In alcune esperienze di Back School sono state utilizzate delle tecniche di training autogeno; Lo stretching: i principali obiettivi riguardano il contrasto dell’irrigidimento dei muscoli che non vengono utilizzati, la flessibilità dei tessuti molli del rachide, il rallentamento del fisiologico irrigidimento muscolare dovuto all’età, l’estensibilità muscolare e la conseguente corretta escursione articolare. Per ottenere tali obiettivi è necessario che gli esercizi di stretching siano mirati a un singolo gruppo muscolare e siano attuati lentamente, in progressione e mantenuti per un tempo idoneo alle caratteristiche del muscolo. Bisogna inoltre fornire ai partecipanti informazioni circa la frequenza di esecuzione che dipende, ovviamente, dagli obiettivi che si vogliono perseguire. I gruppi muscolari più coinvolti nei pazienti con rachialgie e per i quali vengono proposti esercizi di stretching sono: gli erettori spinali, gli estensori del capo e del collo, i laterali del collo, i pettorali, gli ischiocrurali, i flessori laterali del tronco, il muscolo ileo psoas, i gruppi muscolari dell’arto inferiore, gli addominali;

Il rinforzo muscolare: è utile per assicurare un corretto uso della colonna vertebrale e un’adeguata acquisizione del movimento di basculla mento del bacino. Inoltre bisogna suggerire un maggior utilizzo degli arti inferiori nelle attività della vita quotidiana. I gruppi muscolari oggetto degli esercizi di rinforzo muscolare sono: addominali, glutei, quadricipiti ed erettori spinali;

Mobilizzazione ed autoallungamento: tra gli esercizi di questo tipo troviamo l’esercizio di bascullamento del bacino (viene solitamente proposto in tutti i corsi di BS poiché è di

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fondamentale importanza), esercizi di autoallungamento, esercizi di mobilizzazione del rachide e in particolar modo del tratto cervicale;

Autocorrezione degli atteggiamenti posturali: per l’acquisizione delle metodiche di autocorrezione è utile concretizzare i concetti teorici impartiti facendo mimare ai partecipanti alcuni movimenti o attività (ad esempio sollevare un carico da terra, riporre un oggetto in alto, spingere o tirare un carrello, lavorare ad un banco di lavoro) che verranno poi analizzati dal gruppo e corretti dal conduttore del corso.

Le verifiche inerenti la comprensione del messaggio educativo e circa l’adozione, da parte dei partecipanti, delle concrete modalità di esecuzione dei compiti lavorativi e non, nonché sulla effettiva esecuzione del programma di esercizi, sono di fondamentale importanza. Queste verifiche possono essere eseguite anche durante lo svolgimento delle lezioni di BS al fine di consentire una periodica messa a punto dei contenuti e delle loro tecniche di trasmissione. Per l’esecuzione di tali verifiche si possono predisporre degli appositi questionari.

Nel progettare gli interventi di Back School è fondamentale la selezione del paziente in relazione alle patologie eventualmente presenti, sia di natura vertebrale che extrarachidee eventualmente associate.

Come in tutte le terapie, un aspetto fondamentale è l’adesione e il coinvolgimento del paziente, la sua motivazione ad apprendere le nozioni di igiene posturale e gli esercizi; aspetti sicuramente non valutabili in fase iniziale.

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Gruppi numericamente piccoli di massimo 10- 12 partecipanti; Minimo di 8- 10 sedute da 60 minuti ciascuna;

Frequenza delle sedute bi- trisettimanale.

Per quanto riguarda l’articolazione dei contenuti del corso nelle differenti sedute, la proposta dell’EPM è la seguente:

I. Nella prima seduta gran parte del tempo (circa 40 minuti) devono essere dedicati alla parte teorica (presentazione del corso, anatomia, fisiologia, eziopatogenesi) e i rimanenti 20 minuti possono essere dedicati ad attività di rilassamento;

II. Anche nella seconda seduta la parte teorica (principali patologie del rachide, efficacia delle cure, igiene posturale) occupa i primi 40 minuti e i successivi 20 minuti si dedicano al rilassamento e allo stretching;

III. La terza seduta è dedicata all’esecuzione delle diverse tipologie di esercizi e l’insegnamento del corretto modo di sollevamento dei carichi da terra;

IV. Anche la quarta seduta è dedicata agli esercizi;

V. La quinta seduta, nella prima metà, ripropone i concetti teorici già impartiti circa la patogenesi meccanica dei disturbi del rachide e l’igiene posturale e nel rimanente tempo si può proporre ai partecipanti di diventare conduttori del corso facendo eseguire agli altri gli esercizi già appresi;

VI. La sesta seduta è dedicata all’esecuzione di vari esercizi;

VII. La settima seduta prevede una discussione di verifica della parte teorica, l’apprendimento delle posture corrette durante i cambi di posizione, l’effettuazione di esercizi già appresi e di altri nuovi esercizi;

VIII. Nell’ottava seduta vengono insegnati alcuni esercizi che possono essere eseguiti anche sul luogo di lavoro;

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X. Nell’ultima seduta i partecipanti conducono gli esercizi, si consegnano i materiali di supporto didattico e si può proporre il questionario di verifica dell’apprendimento.

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