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Capitolo 4. Epidemiologia delle complicanze infettive del paziente sottoposto a trapianto d’organo solido.

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Capitolo 4.

Epidemiologia delle complicanze infettive del paziente

sottoposto a trapianto d’organo solido.

Il miglioramento delle strategie immunosoppressive ha considerevolmente ridotto l’incidenza delle reazioni di rigetto nei pazienti sottoposti a trapianto d’organo solido, aumentando però la suscettibilità di questi stessi pazienti alle più temibili complicanze dell’immunodepressione: infezioni opportunistiche e neoplasie.

In particolar modo le complicanze infettive costituiscono un’importante limitazione al completo successo del trapianto rappresentando la causa più importante di morbidità e mortalità tanto che gran parte della letteratura recente é dedicata all’analisi di tali complicanze.[19]

Genericamente si ritengono conseguenze dirette dell’invasione microbica quelle rappresentate dalle classiche malattie infettive batteriche, virali, fungine o parassitarie, e conseguenze indirette quelle che inesorabilmente accompagnano l’invasione microbica stessa: accentuazione dello stato di immunodepressione dell’ospite che può aprire la strada ad ulteriori agenti opportunisti, danno acuto o cronico a carico del graft ed effetto oncogeno di alcuni patogeni, in particolar modo virali.[21]

I pazienti sottoposti a trapianto d’organo solido sono a rischio di infezioni sostenute non solo da patogeni capaci di infettare l’ospite immunocompetente, ma anche da patogeni considerati “opportunisti” che “approfittano” del particolare stato di immunodepressione dell’ospite per manifestarsi. Microrganismi considerati contaminanti, commensali o saprofiti quando isolati da ospiti immunocompetenti debbono essere ritenuti potenziali patogeni quando isolati da uno o più siti dell’ospite trapiantato.

Una qualunque infezione microbica che si realizzi nell'ospite immunodepresso può risultare più difficile da riconoscere e diagnosticare poiché segni e sintomi tipici della presenza di patologia infettiva, ad esempio leucocitosi e febbre, possono manifestarsi in modo più sfumato rispetto all’ospite immunocompetente.[21,24] Inoltre patogeni responsabili di processi infettivi lievi ed autolimitantisi nell’ospite immunocompetente possono causare

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La conoscenza di tali concetti e l’introduzione di differenti strategie diagnostico-terapeutiche enfatizza alcuni principi essenziali nella pratica clinica per la gestione delle complicanze infettive del paziente sottoposto a trapianto d’organo solido sottolineando la necessità di sorveglianza, prevenzione, diagnosi precoce ed adeguate profilassi o trattamento delle stesse.

Questi stessi concetti rappresentano la chiave di volta dell’operato del medico al fine di salvaguardare la vitalità del graft e dell'individuo trapiantato.

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4.1 Fattori di rischio.

Qualunque tipo di infezione riconosce due protagonisti: ospite suscettibile e microrganismo patogeno; la suscettibilità dei soggetti trapiantati non è la stessa per tutti gli agenti patogeni, ed inoltre la suscettibilità nei confronti di un dato patogeno è un criterio necessario ma non sufficiente per l’instaurarsi di un episodio infettivo.[27,28]

Nei primi 30 giorni dopo il trapianto i fattori tecnici ed anatomici relativi all’intervento chirurgico ed al management del paziente sottoposto a trapianto d’organo solido sono i principali determinanti del rischio infettivo, tra cui fattori correlati alle stesse procedure intra-operatorie (presenza di raccolte liquide e tessuti devitalizzati, contaminazione del campo operatorio) e fattori correlati alla terapia intensiva post-trapianto (uso di multipli

devices, applicazione di drenaggi, intubazione endotracheale).[35,55-60]

Inoltre anche le reazioni di rigetto o GVHD, l’eccessiva durata dell’intervento chirurgico e l’eventuale re-trapianto sono fattori precoci capaci di rendere il graft un locus minoris

resistentiae facilitante il verificarsi di infezioni.[31,32]

Dopo il primo mese il ruolo di primum movens è assunto invece dall’interazione di fattori in grado di incrementare la suscettibilità individuale del paziente sottoposto a trapianto d’organo solido: stato netto di immunosoppressione, e da fattori in grado di aumentare l’esposizione del soggetto ad agenti potenzialmente patogeni: esposizione

epidemiologica.[29,35,49]

Lo stato netto di immunosoppressione è una funzione complessa derivante dal sovrapporsi di numerosi fattori (tabella 7), di cui il più ovvio e probabilmente il più importante è l’immunosoppressione iatrogena il cui effetto “netto” è determinato non solo dall’induzione di uno stato di immunodeficit quantitativo e qualitativo, ma è anche direttamente legato alle diverse posologie usate, ai tempi in cui farmaci differenti vengono utilizzati da soli od in associazioni complesse ed alla sequenza temporale con cui questi regimi terapeutici vengono introdotti; ad esempio pazienti che ricevono un graft da cadavere richiedono un regime immunosoppressivo più sostenuto rispetto a quelli che ricevono l’organo da donatori consanguinei e risultano quindi a maggior rischio di complicanze infettive: in particolare i soggetti a più alto rischio sono coloro che ricevono

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Infezioni da parte di virus “immunomodulanti” quali CMV, EBV, HIV, HBV, HCV e probabilmente anche HHV-6 ed HHV-7 sembrano associarsi ad oltre il 90% di infezioni micotiche opportunistiche.

Infine pazienti sottoposti a splenectomia contestualmente al trapianto o quelli che sviluppano un’importante leucopenia a seguito del trattamento immunosoppressivo od ancora coloro che rimangono uremici od itterici nel post-trapianto vanno incontro a temibili complicanze infettive con un elevato tasso di perdita del graft e di mortalità.[29,35,33,34,48,49]

Tabella 7: Fattori implicati nella genesi dello stato netto di immunosoppressione dei pazienti sottoposti a trapianto d’organo solido.[29]

Fattori favorenti lo stato netto di immunosoppressione:

Terapia immunosoppressiva: posologia, durata e sequenza temporale dei farmaci

Immunodeficit sottostante: patologie autoimmuni, deficit funzionali del sistema immunitario Integrità delle barriere mucocutanee: cateterismo, superfici epiteliali

Tessuti devitalizzati, raccolte di liquidi Neutropenia, linfopenia

Condizioni metaboliche: uremia, malnutrizione, diabete, alcolismo con cirrosi epatica Infezioni da virus “immunomodulanti”: CMV, EBV, HBV, HCV, HIV

Dal punto di vista dell’esposizione epidemiologica i pazienti trapiantati sono considerati come “cartine di tornasole” in grado di rilevare la presenza di microrganismi nell’ambiente: una colonizzazione ambientale eccessiva si riflette infatti invariabilmente nella comparsa di infezioni clinicamente rilevanti in questi soggetti. Le infezioni successive ad esposizione ambientale possono derivare dall’ambiente comunitario tramite contatti, recenti oppure remoti, con agenti patogeni ed in particolar modo con microrganismi endemici naturalmente presenti in comunità; se l’infezione occorre invece in ambito ospedaliero si parla di infezioni nosocomiali spesso sostenute da microrganismi farmaco resistenti (Enterococcus faecium vancomicina-resistente, Staphylococcus aureus meticillino-resistente,

Clostridium difficile, bacilli Gram-negativi con multiple antibiotico-resistenze e Candida spp. azolo-resistenti).[35,50-54]

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Inoltre la patologia sottostante la disfunzione d’organo che ha condotto al trapianto rappresenta un ulteriore fattore di rischio: pazienti diabetici od affetti da epatiti virali da virus epatotropi maggiori mostrano una notevole suscettibilità alle complicanze infettive.

Infine la presenza di infezioni a carico del donatore o del ricevente al momento del trapianto rappresenta un fattore di rischio di notevole impatto a causa della riattivazione o dell’aggravamento di tale processo patologico nel periodo post-trapianto; questa osservazione sottolinea la necessità di un accurato screening microbiologico pre-trapianto atto a valutare attentamente il rischio biologico relativo alla situazione infettiva di donatore e ricevente.[22]

4.2 Successione temporale delle infezioni.

Il rischio infettivo nei pazienti sottoposti a trapianto d’organo solido varia nel tempo: già dai primi studi effettuati su questi pazienti è stato osservato come le differenti patologie infettive occorrenti seguissero una linea temporale stereotipata e spesso predicibile.

Approssimativamente dal 50% al 75% dei trapiantati d’organo solido sviluppa una complicanza infettiva nel primo anno dopo il trapianto e le infezioni più temibili per la vita del paziente tendono a verificarsi con maggior frequenza nei primi 3-4 mesi post-trapianto. Questo è il periodo in cui tutti i fattori di rischio di infezione possono essere contemporaneamente presenti: la malattia di base del paziente può essere ancora in grado di sortire effetti, l’intervento chirurgico e la degenza nelle terapie intensive nel post-intervento sono fattori favorenti rilevanti, la terapia immunosoppressiva ha in questo periodo la sua massima espressione ed infine possono insorgere reazioni di rigetto acuto. In seguito incidenza, morbidità e mortalità da complicanze infettive tendono a ridursi; comunque il rischio infettivo è sempre presente e molto spesso a periodi differenti corrispondono eziologie infettive differenti ed oramai ben note (figura 9).

Le infezioni che si realizzano nei primi 30 giorni dal trapianto (periodo precoce) sono nel 95% dei casi le classiche infezioni post-operatorie associate al sito di intervento e sostenute dai microrganismi presenti sia nel ricevente che nell’organo trapiantato. Comunemente queste infezioni sono sostenute da batteri e da Candida spp. e sono rappresentate da:

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anastomotiche. Molte delle infezioni post-operatorie sono localizzate al sito d’impianto del graft: è oramai noto che i pazienti con trapianto di rene sviluppano frequentemente infezioni delle vie urinarie; trapiantati di fegato, pancreas ed intestino vanno incontro ad ascessi intra-addominali; infine trapiantati di cuore o polmoni possono sviluppare mediastiniti, bronchiti o polmoniti.

Nel rimanente 5% dei casi invece le infezioni sono sostenute da microrganismi presenti nel donatore o nel ricevente prima del trapianto e comprendono: riattivazioni di virus latenti; batteriemie o fungemie misconosciute a carico di donatore e/o ricevente che possono portare alla colonizzazione del graft, in particolar modo a livello delle anastomosi vascolari, provocando la formazione di aneurismi micotici ed eventualmente la deiscenza delle anastomosi.

In questo stesso periodo è relativamente comune l’occorrenza di infezione da Clostridium

difficile[22] mentre altre infezioni opportunistiche sono generalmente assenti in relazione al fatto che gli effetti delle alte dosi di immunosoppressori nei primi 30 giorni non hanno ancora avuto una piena espressione.

Il periodo che va da 1 a 6 mesi dopo il trapianto (periodo intermedio) vedeva in passato occorrere con maggior frequenza le “classiche” infezioni opportunistiche; l’introduzione di profilassi efficaci ha causato la modificazione del pattern “classico” prevenendo generalmente la comparsa di infezioni da virus erpetici, infezioni delle vie urinarie ed altre infezioni opportunistiche (Pneumocystis jirovecii, Listeria monocytogenes, Toxoplasma gondii,

Nocardia spp. sulfametossazolo-sensibili), in favore di infezioni da virus “immunomodulanti” spesso acquisite a partire dal donatore o latenti nel ricevente e il cui periodo di incubazione copre in genere il periodo precoce.

Tra le infezioni occorrenti con maggior frequenza durante il periodo intermedio si ricordano inoltre micosi endemiche, aspergillosi, criptococcosi, malattia di Chagas, strongiloidiasi e infezioni da virus cosiddetti “emergenti” quali poliomavirus (BK e JC virus) ed adenovirus.[22]

Nell’80% dei pazienti sottoposti a trapianto d’organo solido il rischio infettivo tende a diminuire dopo i 6 mesi dall’intervento (periodo tardivo) poiché in soggetti con buona funzione del graft si tende generalmente a diminuire la posologia della terapia immunosoppressiva.

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Ciò che si nota con maggiore frequenza in questi pazienti è la diminuzione dell’occorrenza di infezioni opportunistiche, mentre il rischio di sviluppare infezioni comunitarie da batteri e virus respiratori rimane maggiore rispetto alla popolazione generale.

In un 10-15% di pazienti la cronicizzazione di infezioni virali da HBV, HCV, CMV o HPV può provocare danneggiamento del graft (cirrosi HBV od HCV correlata in trapiantati di fegato), complicanze a carico di altri organi (retinite da CMV) od aumentata incidenza di neoplasie maligne (HCC, PTLD o carcinoma a cellule squamose).

Infine un 5-10% dei pazienti trapiantati possono appartenere alla categoria dei cosiddetti “chronic ne’er-do-wells”, cioè pazienti in cui l’occorrenza di rigetto cronico o di ripetuti episodi di rigetto acuto porta ad una riduzione della funzionalità del graft ed alla necessità di mantenere alti i livelli di terapia immunosoppressiva. Questi pazienti rimangono ad alto rischio per infezioni opportunistiche spesso sostenute da microrganismi inusuali (Listeria

monocytogenes, Nocardia spp., Rhodococcus spp., zigomiceti).

Il rischio infettivo cronicamente aumentato e la diminuita funzionalità del graft rendono necessaria la sorveglianza accurata ed il mantenimento di un regime profilattico long life con cotrimossazolo ed eventualmente fluconazolo in questo sottogruppo di pazienti.

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Nel corso degli anni questa stessa “timeline” ha subito sostanziali modificazioni dovute all’introduzione di nuovi farmaci immunosoppressori, a profilassi antimicrobiche efficaci effettuate ormai di routine in tutti i pazienti sottoposti a trapianto, al riconoscimento di sindromi cliniche precedentemente sconosciute (nefropatia da poliomavirus BK), ai numerosi test microbiologici innovativi sviluppatisi nel campo della diagnostica molecolare ed infine al progressivo aumento della sopravvivenza del graft nel tempo.

La successione temporale delle infezioni per ogni singolo paziente tende a modificarsi rispetto al pattern generico in relazione al tipo di graft, all’occorrenza di episodi di rigetto ed alle variazioni della terapia immunosoppressiva.

La presenza di una “timetable” ben definita quale imprescindibile strumento all’interno del percorso diagnostico-terapeutico delle complicanze infettive del paziente sottoposto a trapianto d’organo solido è funzionale ai seguenti scopi:

• Guida la diagnosi differenziale tra differenti sindromi infettive all’interno di un preciso intervallo di tempo post-trapianto;

• Permette osservazioni di ordine epidemiologico: il verificarsi di infezioni che costituiscono “eccezioni” alla successione temporale “classica” depone per un’eccessiva esposizione ambientale.

• Costituisce la base su cui impostare strategie di controllo e terapia delle

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