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6. Parametri citogenetici

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Academic year: 2021

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6.

Parametri citogenetici

La valutazione degli effetti biologici di un qualunque agente fisico o chimico viene effettuata mediante studi in vitro e studi in vivo.

In letteratura sono riportati numerosi studi in vitro riguardanti svariati parametri biologici che potrebbero risultare alterati in seguito all’esposizione a campi elettromagnetici; tra questi, si elencano di seguito i più studiati:

a) la cinetica della proliferazione cellulare (un’accelerazione o un ritardo dei tempi di crescita fisiologici potrebbe avere ripercussioni sulla promozione della cancerogenesi);

b) la variazione di alcune attività enzimatiche (gli enzimi, proteine che catalizzano moltissime reazioni biochimiche, controllano processi cellulari fondamentali); c) i flussi ionici intramembrana (fondamentali per regolare gli scambi tra interno ed esterno della cellula, per garantire la risposta cellulare agli stimoli esterni e per attivare processi metabolici);

d) l’integrità del corredo cromosomico (alterazioni numeriche o strutturali del genoma), la cui integrità è fondamentale per la funzionalità cellulare.

Tra i possibili effetti biologici indotti in un sistema cellulare, sicuramente ha una grande rilevanza lo studio che riguarda l’induzione di danno al DNA (effetti genotossici), poiché è ben nota l’associazione di tali danni con l’insorgenza di tumori.

Inoltre, è anche noto che danni indotti a carico del patrimonio genetico potrebbero avere conseguenze non soltanto per l’individuo esposto, ma anche per le generazioni successive (nel caso siano state colpite le cellule germinali).

Danni al DNA possono essere sia “spontanei” (in genere provocati da fattori endogeni, o comunque in assenza di specifici agenti danneggianti) sia “indotti”, in seguito ad esposizione ad agenti chimici, fisici e virali (danni esogeni).

Il DNA con la sua tipica struttura a doppia elica, è avvolto a formare i cromosomi, situati all’interno del nucleo di una cellula.

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Fig. 10 Struttura del DNA

Nel DNA sono contenute tutte le informazioni che permettono alla cellula di esplicare le sue funzioni ed in particolare la sua duplicazione.

Alcuni studi hanno dimostrato che le radiazioni elettromagnetiche possono indurre danni al DNA, anche rilevabili a livello cromosomico.

Un danno al corredo cromosomico può manifestarsi in termini di aumento di micronuclei (MN), di scambio di cromatidi fratelli (SCE) e di aberrazioni cromosomiche (AC).

Micronuclei (MN) Scambi tra cromatidi fratelli

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Le AC, consistendo in acquisto, perdita, riallocazione di parti o di interi cromosomi, rappresentano un’alterazione dell’informazione genetica.

Gli SCE, rappresentando scambi reciproci di porzioni di DNA da un cromatidio al suo fratello, non sono considerati dei veri eventi mutazionali in senso stretto perché sono scambiate parti identiche di DNA.

Attualmente non si hanno evidenze di effetti negativi sulla salute umana da parte degli SCE di per sé, mentre numerosi indagini sono concordi nel dichiarare che individui con un’elevata frequenza di AC hanno un più elevato rischio di sviluppare il cancro.

I MN sono piccoli nuclei accessori che si ritrovano nel citoplasma delle cellule che hanno subito un danno cromosomico.

Essi appaiono morfologicamente identici al nucleo principale ma di dimensioni ridotte e sono espressione sia di eventi di rottura (meccanismo clastogeno, che induce cioè alterazioni nella struttura del cromosoma) sia di perdita cromosomica (meccanismo aneuploidogeno, che induce cioè alterazioni nel numero di cromosomi).

Infatti, sia frammenti cromosomici privi del centromero, sia cromosomi interi in ritardo migratorio durante l’anafase, non riuscendo ad essere inglobati nei due nuclei di nuova formazione, tendono ad essere espulsi mediante la formazione di micronuclei.

Per identificare quale dei due meccanismi, clastogeno o aneuploidogeno, sia coinvolto nella formazione di micronuclei, si può usare l’analisi FISH (Fluorescence In Situ Hybridization) con una sonda pancentromerica, che contiene le sequenze centromeriche di tutti i cromosomi e quindi è in grado di marcarne (riconosce) il centromero.

Se la sonda riconosce nel micronucleo la presenza del centromero, (micronucleo centromero positivo, MNC+), si inferisce che al suo interno si trovi un intero cromosoma (meccanismo aneuploidogeno), in caso contrario (micronucleo centromero negativo, MNC-) si inferisce e che nel micronucleo sia presente solo un frammento/i di esso, espressione di rottura (meccanismo clastogeno).

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a) b)

c) d)

Fig. 12 Esempi di linfocita binucleato con formazione di micronuclei (a) e (b);

esempi di MNC+ (c) , MNC+ e MNC

-

(d)

Quindi i micronuclei rappresentano un indicatore diretto di rottura a livello cromosomico, e determinarne la frequenza significa valutare il danno cromosomico esistente.

Il test del MN è attualmente il più usato per valutare il danno da possibili agenti mutageni.

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In particolare, nel nostro lavoro, questo test è stato utilizzato per l’identificazione e la caratterizzazione citogenetica del possibile danno al DNA indotto da esposizione ad onde elettromagnetiche durante i test clinici di MRI.

In collaborazione con la Dott.ssa S.Simi, del Laboratorio di Citogenetica e Biologia Cellulare, presso il CNR di Pisa, inizialmente si è proceduti ad un’analisi della bibliografia sugli effetti biologici delle radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti.

I dati non danno certezze, in molti casi sono contraddittori, anche se prevalgono i lavori che indicano assenza di danno genetico.

L’impossibilità di poter approdare ad un risultato unanime, tuttavia, non stupisce se si considera che numerosi, e di difficile valutazione, sono i fattori che possono influenzare il campione biologico durante l’esperimento stesso.

Con i dati sperimentali fino ad oggi riportati in letteratura, i campi elettromagnetici RF non possono essere considerati agenti iniziatori del processo di carcinogenesi a livello cellulare; infatti, per nessuno di questi dati, la ricerca scientifica ha finora potuto dimostrare l’esistenza di effetti positivi ripetuti e confermati.

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Studio della genotossicità

I risultati sperimentali recentemente ottenuti presso il Laboratorio di Citogenetica e Biologia Cellulare del CNR di Pisa, e che sono stati l’oggetto di una tesi sperimentale a Scienze Biologiche[19], evidenziano e dimostrano la reale possibilità che l’esposizione a radiazione elettromagnetica induca un danno a livello strutturale del DNA.

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Fig. 13 Aumento dei MN in seguito ad esame MRI

In particolare, dalla fig. 13 si osserva un aumento della frequenza dei micronuclei in seguito ad esposizione ad esame MRI.

Questi risultati vogliono significare, che, evidentemente, l’esposizione a radiazioni elettromagnetiche induce un effetto genotossico.

In altri termini, permettono di non escludere che l’esposizione a campi a radiofrequenza possa essere considerata un fattore di rischio per lo sviluppo di tumore.

Tuttavia, come appare evidente dalla precedente figura, non c’è una chiara relazione esposizione-risposta, che giustifichi e quantifichi la gravità di questi risultati.

A tal fine, in questo lavoro di tesi, ci proponiamo di misurare e stimare la quantità di energia assorbita durante un esame MRI, per poi poter ottenere una effettiva corrispondenza tra la dose di radiazione assorbita ed effetto biologico da esso derivante.

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La misura dell’effettivo valore di SAR assorbito durante l’esposizione alle radiofrequenze, servirà ad ottenere una valida interpretazione dei precedenti risultati sperimentali, e al tempo stesso creare i presupposti per una corretta metodica finalizzata ai successivi e relativi studi di genotossicità.

Figura

Fig. 10 Struttura del DNA
Fig. 12 Esempi di linfocita binucleato con formazione di micronuclei (a) e (b);
Fig. 13 Aumento dei MN in seguito ad esame MRI

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