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Capitolo 5 Discussione

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Academic year: 2021

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Capitolo 5

Discussione

I criteri di validità di un sistema di fissazione esterna sono rappresentati da:

1. registrabilità di apparato, cioè la possibilità di ottenere un’accettabile posizionamento dei frammenti di frattura al fine di ricostruire una corretta morfologia anatomica;

2. stabilità d’impianto, cioè la capacità del sistema di mantenere la riduzione ottenuta resistendo alle forze di sollecitazione nel tempo; 3. deformabilità elastica d’impianto, cioè la possibilità di consentire e promuovere micromovimenti a livello del focolaio di frattura per le note induzioni bioelettriche relative e le conseguenti implicazioni callogenetiche;

4. versatilità d’impianto, cioè la possibilità di realizzare montaggi diversi per rispondere a specifiche richieste terapeutiche;

5. minima portata iatrogena, cioè il montaggio deve consentire il massimo rispetto biologico da parte degli elementi di presa, con un’accettabile ingombro peri-corporeo per evitare intolleranze soggettive;

6. semplicità d’applicazione.

In questa tesi sono stati trattati cinque pazienti: tre soggetti presentavano frattura radio-ulnare, uno frattura della tibia ed uno frattura di tibia e fibula; in tutti i casi è stato praticato un intervento di osteosintesi con fissatori esterni a bassa rigidità con barra obliqua

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Il gruppo di cani esaminato si presentava eterogeneo per età, peso, mole e sesso, a dimostrazione del fatto che questo tipo di fissatore ibrido può essere utilizzato in qualsiasi tipologia di paziente, purché il soggetto non sia eccessivamente dinamico ed irrequieto ed il proprietario sia attento e collaborativo. Sono, infatti, di fondamentale importanza in questo tipo di trattamento il contenimento post-operatorio ed il riposo, onde evitare di sovraccaricare l'arto negli stadi iniziali del processo di formazione del callo osseo, con conseguente errato riallineamento.

Il contenimento dell'animale riduce anche le eventuali complicanze che possono presentarsi, quali rottura dei chiodi, fallimento dell'impianto e relative infezioni, che possono compromettere il buon esito del processo di riparazione dell'osso.

In tutti i soggetti presentati in questo lavoro le fratture si sono risolte con ottimi risultati, complicazioni minime sono state incontrate in un unico caso, quello di Kid, per problemi legati al paziente.

I soggetti sono stati seguiti con visite settimanali presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria, in modo da poterne seguire i progressi e porre rimedio ad eventuali inconvenienti. Per quanto riguarda la storia clinica di Teo, Ronny e Salvador i fissatori sono stati dinamizzati in un periodo tra le 7a e la 9a settimana, con ripresa

normale del movimento e della deambulazione a pieno carico sia in stazione che in movimento. La dinamizzazione ha infatti migliorato la capacità d'appoggio dell'arto, riducendone il peso e facilitando la ripresa della naturale andatura.

La rimozione totale del fissatore è avvenuta tra la 10a e la 12a

settimana e le radiografie hanno mostrato una perfetta cicatrizzazione ossea con relativo riallineamento dell'arto.

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Nel caso di Florita i tempi sono stati più brevi, probabilmente ciò è riferito al fatto che si trattava di un cucciolo di otto mesi; infatti dopo soltanto 1 mese dall'intervento il paziente manteneva il pieno appoggio dell'arto anche durante il passo, la dinamizzazione quindi è stata effettuata dopo 6 settimane, e la rimozione totale è avvenuta dopo 8, risultando comunque un successo terapeutico.

L'unico soggetto ad essere incorso in complicazioni è stato Kid, probabilmente a causa del suo carattere particolarmente vivace, difficile da contenere, che ci aveva già portato a rivedere l'impianto dopo appena 10gg dall'intervento, costringendoci ad effettuarne un secondo in cui siamo stati costretti ad aumentare la resistenza e la rigidità del fissatore, introducendo una seconda barra retta ed una curva. Nonostante le medicazioni ed i controlli periodici l'osteosintesi è stata soggetta a nuove complicazioni: l'impianto era mobile ed i segni di flogosi indicavano una forma iniziale di osteomielite. Il soggetto è stato trattato tempestivamente con antibiotici specifici, riducendo ad una settimana il periodo critico e portandoci alla risoluzione del problema senza conseguenze. Nel suo caso non è stata effettuata dinamizzazione, la rimozione totale del fissatore è avvenuta dopo 12 settimane; le radiografie effettuate hanno mostrato ristabilita la morfologia anatomica e recuperata la normale deambulazione con carico costante.

L'utilizzo della barra curva obliqua anteriore ha portato quindi al recupero funzionale in tutti i soggetti in cui è stata applicata.

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Conclusioni

La scelta dell’applicazione di un fissatore esterno con barra obliqua aggiunta si basa su diverse argomentazioni. In primo luogo le fratture che non possono essere adeguatamente ricostruite in modo anatomico, sono candidate alla riduzione a cielo chiuso ed alla stabilizzazione con fissatori esterni. La decisione è nata dalla ricerca di una configurazione che offrisse un’appropriata rigidità senza che questa disturbasse oltre misura i movimenti del paziente; quindi la barra curva obliqua anteriore è stata impiegata per aumentare la stabilità del fissatore e ridurre al minimo i movimenti dei frammenti ossei. Con questa configurazione infatti è stato possibile ottenere una struttura che possedesse una buona rigidità, conferisse stabilità al focolaio di frattura, non appesantisse eccessivamente il soggetto e, nel contempo, offrisse anche la possibilità di una dinamizzazione adeguata, tendente a favorire la guarigione.

Clinicamente, è stato osservato un aumento della rigidità del 450% per la barra obliqua curva aggiunta mediale e laterale (Testa A. et al.), confermato anche dai risultati ottenuti nei nostri pazienti; questi dimostrano che il fissatore ibrido da noi utilizzato risulta essere più stabile del tipo I e II, in quanto la sua configurazione avvolgente garantisce una maggiore robustezza, annulla i movimenti di rotazione dei frammenti ossei facilitandone il riallineamento, diminuisce la flessione antero-posteriore e quindi riduce la possibilità di deformazione del fissatore, cosa che potrebbe provocare un danno meccanico con perdita della struttura. Anche la tolleranza al carico assiale si è dimostrata incrementata, infatti in tutti i nostri pazienti l'appoggio e la ripresa funzionale si sono ristabilite durante la prima settimana post-intervento.

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Oltre ai vantaggi offerti dalla barra curva rispetto ai fissatori a bassa rigidità, questa struttura ne presenta anche se confrontata con le configurazioni più rigide realizzabili con fissatori di tipo III; l’ibrido in questione è più leggero, perché per la sua costruzione vengono utilizzati un numero inferiore di elementi, ed è quindi meno fastidioso da tollerare per il soggetto. La sua rigidità è tale da offrire la stabilità adeguata che lascia spazio ai micromovimenti, i quali agevolano “l’effetto pompa” sul focolaio di frattura incrementando il circolo venoso e linfatico di ritorno, prevenendo la formazione di processi edematosi ed incrementando l'effetto callogenetico.

Le configurazioni che abbiamo sperimentato in questa tesi sono risultate essere anche meno ingombranti rispetto al fissatore di tipo III, soprattutto nelle loro parti più prossimali, e questo agevola i movimenti dell'animale e non lo obbliga a posizioni innaturali; inoltre la loro invasività risulta essere minore in quanto per la loro costruzione è necessario praticare un numero inferiore di fori nell’osso.

Durante la costruzione le fiches possono essere introdotte anche su frammenti piccoli, sfruttando l'inserimento della barra curva obliqua anteriore nella struttura; questo fornisce al chirurgo la possibilità di utilizzare questi ibridi anche nelle fratture comminute. È importante ricordare che prima dell'introduzione di questo tipo di fissatori, per la stabilizzazione delle fratture comminute venivano più spesso utilizzati i chiodi centromidollari, i quali sono molto più invasivi e facili a processi infettivi.

Un altro vantaggio è offerto dalla possibilità di rimuovere la barra curva ad una ragionevole distanza di tempo dall'applicazione del fissatore mediante una piccola modifica a paziente sveglio, quindi

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processo di guarigione, senza comportare inconvenienti concernenti la stabilità dell'impianto.

Possiamo concludere infine dicendo che la barra curva obliqua anteriore associata ad un fissatore a bassa rigidità può essere utilizzata con successo come modifica alle tre configurazioni classiche perché ne ottimizza i vantaggi senza comportare alcuno svantaggio. Quindi, quando ci troviamo di fronte ad un caso in cui non è strettamente necessario l'utilizzo di un fissatore di tipo III, o non ci sono gli spazi, ed i fissatori di tipo I e II sembrano essere poco indicati, questa configurazione può rappresentare una soluzione più che adeguata.

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