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CAPITOLO 3

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CAPITOLO 3

IL LAVORO MINORILE IN PERU’ IN PROSPETTIVA STORICA

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3.1 Il periodo del Tawantinsuyo.

Le culture preincaiche.

La prima grande conquista degli spazi Andini iniziò circa 10.000 anni fa quando i discendenti dei primi migranti che attraversarono il ponte di terra, quello che adesso è lo Stretto di Bering, tra l'Asia e l'America, raggiungendo il Nord del Sud America. A partire dal 2500 A.C. iniziarono a sorgere nelle valli fertili della costa nord del Perù piccoli villaggi abitati da agricoltori e pescatori: il più antico stato che emerse negli altipiani fu il regno di Chavin, che prosperò per circa 500 anni tra il 950 ed il 450 D.C.. Dopo il declino della cultura Chavin attorno agli inizi del millennio Cristiano, una serie di culture crebbe e cadde, sia sulla costa che negli altipiani. Sulla costa si ebbero le civiltà di Gallinazo, Mochica, Paracas, Nazca e Chimù.

Sugli altipiani, la civiltà Tiahuanaco, vicino al Lago Titicaca in Bolivia, e la cultura Wari, vicino all'attuale città di Ayacucho, svilupparono un ampia struttura urbana e un sistema di stato tra il 500 d.c. ed il 1000 d.c.

Il regno Inca

Gli Incas di Cuzco originariamente rappresentarono uno dei gruppi etnici più piccoli e relativamente minoritari, i Quechua. Gradualmente, a partire dal tredicesimo secolo, iniziarono ad espandersi ed a incorporare i vicini: la loro espansione fu piuttosto lenta fino alla metà del XV secolo, quando il ritmo della conquista iniziò ad accelerare, in particolare sotto il dominio dell’imperatore Pachacuti Inca Yupanqui (1438-71) e del fratello Topo Inca Yupanqui (1471-93), quando arrivarono a controllare più di un terzo del Sud America, con una popolazione di 16 milioni di abitanti sotto il loro governo.

Pachacuti promulgò un codice di leggi, chiamato Tawantisuyo, per governare il suo vasto impero e consolidò la sua assoluta autorità temporale e spirituale come Dio del Sole.

Sebbene caratterizzato da dispotismo e gerarchia, le leggi incaiche fornirono anche misure di paternalismo e flessibilità. L'unità locale di base della società era l'ayllu, un nucleo di gruppo di parentele che possedevano collettivamente un territorio, all’interno del quale i terreni per il pascolo erano gestiti in comune (la proprietà privata non esisteva), mentre le terre arabili erano suddivise tra le famiglie in proporzione alla loro dimensione. Poiché l'autosufficienza era l'ideale della società andina, le unità familiari rivendicavano porzioni di terra in differenti nicchie ecologiche dei robusti terreni delle Ande. In questo modo si raggiunse la “complementarietà verticale” che è la capacità di produrre un'ampia varietà di colture, come mais, patate e quinua, a differenti altitudini per il consumo domestico.

Il principio di complementarietà era applicato anche alle relazioni sociali: ogni capo famiglia aveva il diritto di chiedere alleanze e vicinati per l’aiuto nelle sue attività. In cambio era obbligato a rendere cibo, ad aiutare negli appezzamenti di terra di chi aveva collaborato con lui.

Il mutuo aiuto formava la base ideologica e materiale di tutte le relazioni sociali e produttive del mondo andino. Tale sistema di scambio reciproco esisteva ad ogni livello dell’organizzazione sociale: tra i membri dell’ayllus, tra i curaca (che erano i signori locali) e i loro subordinati ayllus e tra lo stesso Inca con tutti i soggetti.

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Tutta la collettività lavorava le terre Inca, che servivano come rappresentanza al Dio del Sole. In cambio ricevevano cibo, chicha1; oppure realizzavano tessuti o vestiario (usati nei riti Inca) o veniva svolta la “mita2” o dei servizi per lavori pubblici e scopi militari che permettevano lo sviluppo dello stato.

A fronte di questi servizi, l’Inca assegnava terre e ridistribuiva parte dei tributi, che si trovavano in magazzini e venivano dispensati durante periodi di scarsità causati da fame, guerra o disastri naturali. In assenza di un’economia di mercato, la ridistribuzione dei tributi serviva come principale mezzo di scambio.

Tra la fine de XV e l’inizio del XVI secolo, l’impero raggiunse la sua massima espansione: all’arrivo degli spagnoli nel 1532, l’impero si era esteso verso nord fino a raggiungere il sud della Colombia ed a sud fino a raggiungere il nord del Cile, tra l’Oceano Pacifico e la foresta Amazzonica. Circa cinque anni prima dell’invasione, questo vasto impero fu colpito da una guerra civile che, combinata con le malattie che avrebbero trasmesso gli spagnoli, avrebbe indebolito la sua abilità di affrontare gli invasori.

La prematura scomparsa del regnante Sapa Inca Huayna Capa (1493-1542) aprì la strada ad una lotta dinastica tra i due figli dell’Imperatore: Huascar (da Cusco) e il figlio illegittimo Atahualpa, poiché entrambi erano eredi di metà impero. Dopo una guerra civile di 5 anni dal 1528 al 1532, Atahualpa vinse, ma questo conflitto interno lasciò gli Inca particolarmente vulnerabili dinnanzi all’arrivo nella Sierra di Francisco Pizarro e delle sue esigue forze.

L’organizzazione Andina del lavoro.

Le concezioni sul lavoro sono variate in base alle diverse epoche storiche, ma forse il periodo che ha segnato le maggiori differenze è stato quello preispanico .

Rilevante è il periodo del Tawantinsuyo, la forma di organizzazione dello spazio e della popolazione andina realizzata dallo Stato Inca nel suo periodo di espansione.

Innanzitutto, va evidenziato che per la popolazione andina il carattere del lavoro non ebbe una concezione strettamente economica, bensì mitica.

Come la maggioranza delle società agricole, l’uomo andino aveva una visione “umana” della natura e circolare della storia. In questo modo le attività agricole avevano come obiettivo la riproduzione della natura stessa e non solamente la soddisfazione delle necessità umane. In tal modo, si riproduceva l’ordine naturale esistente, vale a dire, si realizzava un archetipo che trovava spiegazione attraverso i differenti racconti mitici relativi all’origine dell’uomo, della terra, delle sorgenti, delle pianti e degli animali.

L’organizzazione economica del Tawantisuyo includeva differenti aspetti:

• il controllo dei vari strati ecologici: la diversità ecologica e la necessità di accedere ai prodotti, motivò uno stanziamento disperso della popolazione e il suo continuo movimento per compiere il ciclo produttivo, con la conseguente quasi inesistenza del mercato e della moneta, essendo lo scambio di questi due la base della circolazione dei prodotti.

1 Bevanda di mais fermentato.

2 Rappresentava un lavoro comunale e caratterizzava lo stato Inca come una società collettivista e/o comunitario agraria. Questo era effettivamente tale a livello di comunità campesina ma non a livello dello Stato imperiale.

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• l’organizzazione collettiva del lavoro a due livelli: familiare e comunitario. Nel primo tutti i membri della famiglia realizzavano compiti in base alle loro capacità nella terra e nei pascoli assegnati ad ogni unità familiare. Nel secondo i membri della famiglia svolgevano compiti nelle terre del ayllu e nel compimento delle relazioni di reciprocità con le altre unità familiari. In questo senso, le parentele e l’utilizzo della forza umana come base dello scambio dei servizi divennero fondamentali nelle Ande.

• le relazioni economiche si basavano su due concetti base: reciprocità e redistribuzione. La prima si definisce come “una relazione sociale che vincola una persona con le altre, con i gruppi sociale e con la comunità, così come gruppo con altri gruppi e comunità con comunità e produttori con altri produttori e con i consumatori attraverso il flusso di beni e servizi tra le parti interrelate”.

La redistribuzione è relazionata all’uso dei beni prodotti nelle terre dell’ayllu. Controllati dai curacao, questi beni erano conservati in diversi depositi, a livello locale, regionale o statale, per il loro utilizzo in situazioni di scarsità (carestie, guerre).

La reciprocità e la redistribuzione non erano garanzia dell’inesistenza della disuguaglianza economica e della divisione sociale. I vari gruppi etici erano capeggiati da curacas che amministravano e usufruivano dei prodotti collettivi e conservati nei depositi. In quanto alla ricchezza ed alla povertà, queste dipendevano dall’accesso alla forza lavoro e alla capacità di far fronte alle relazioni di reciprocità. Le unità familiari con membri numerosi possedevano maggiori capacità di avere accesso alle risorse produttive; per questo, la partecipazione di tutti i membri delle unità familiari, anche ai compiti meno specializzati, era importante.

Come si può capire, la suddivisione dei compiti dipendeva dalle capacità e abilità di ogni individuo, uomo o donna. La nozione d’età cronologica era inesistente in una società, come quella incaica, con una concezione circolare della storia. Le mansioni assegnate, le diverse tappe nella vita di ogni individuo e le capacità di comando dipendevano da un unico fattore, vale a dire l’abilità per far fronte alle proprie responsabilità. Ad esempio: nella successione dei signori non si considerava la primogenitura, ma veniva designato erede il figlio che risultava essere il più adatto.

Gli inca non calcolavano la loro età con gli anni, ma in base ai cicli vitali, basati sullo sviluppo e la decadenza del corpo umano. L’età si calcolava come un punto di riferimento sociale e non come quantità: non si aveva cinque o quindici anni, bensì si era bambini, giovani o adulti. La divisione per età differiva secondo le nazionalità andine, ma l’ideale cusqueño, che allora esercitava il dominio, si sforzò di uniformarlo mediante le categorie descritte nel quadro 1. Come si può apprezzare dalla suddivisione, tutti erano coinvolti nella produzione, anche se il peso maggiore del lavoro produttivo a favore dello stato ricadeva sugli uomini e le donne di età tra i 18 e i 50 anni.

In conclusione, mitayo era colui che forniva la propria manodopera ed era l’uomo sposato con o senza figli, mentre gli anziani dai 50 anni in su, sia che fossero sposati o celibi, non venivano considerati come mitayo. Nel caso avessero dei figli celibi tra i 16 e i 20 anni, questi collaboravano con i loro padri.

Nessuno di coloro che si trovava in età produttiva poteva evitare o raggirare il dovere della mita perché senza questo tipo di servizio lo stato non sarebbe potuto sopravvivere.

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QUADRO 1: CATEGORIE D’ETA NEL TAWANTISUYO

MASCHI Da 25 a 50 anni

Acucacamayoc: mita agricola, artigiani, miniera,

esercito e mitmas Da 50 a 80 anni

Puricmachus. Servizio di pulizia nelle case dei

nobili, cameriere, portinaio. Da 80 a più anni

Roctomachu. In generale riposavano, però chi

poteva intrecciava corde, curava conigli. Alcuni lavoravano nei campi dei signori. Erano i narratori di miti, leggende e racconti. La comunità chiedeva loro consiglio

Dai 18 ai 25 anni d’età.

Sayapayac. Pastori, guerrieri, mitayos.

Dai 12 ai 18 anni.

Mactacuna. Caccia, essiccazione della carne,

ottenimento delle piume, servizio al curaca. Dai 9 ai 12 anni.

Tocllayoc huarnacuna. Caccia, ottenimento delle

piume, filare, pastorizia, servizio alle autorità. Dai 5 ai 9 anni.

Puccllacoc huaracuna. Aiutanti dei genitori, in

generale cura dei fratelli minori. Da 1 a 5 anni.

Llullollocac huanracuna. Fuori dalla produzione.

Bambini che si dedicavano al gioco ed erano affidati alle cure di altre persone.

Da 1 giorno ad un anno.

Guagua quiraupicoc. Neonati in allattamento.

FEMMINE Dai 25 ai 50 anni.

Aucacamayo huarmin. Tessitrici di tappeti per lo

Stato.

Dai 50 agli 80 anni.

Payac-cuna. Tessitrici per lo Stato, cameriere,

cuoche,servitrici. Da 80 anni in su.

Punocpaia. Generalmente non facevano niente,

ma quelle che erano in grado si dedicavano ad attività quali tessitura, allevatrici di conigli e cura dei bambini e donna di servizio dell’aristrocazia regionale e statale.

Dai 18 ai 25 anni di età.

Allin suma sipascuna. Donne che venivano

regalate ai nobili e ad altri privilegiati. Dai 12 ai 18 anni.

Rotuscatasca. Dedite alla filatura, pastorizia e a

compiti agricoli nelle terre dei signori. Dai 9 ai 12 anni.

Pagua pallac Si dedicavano alla raccolta di fiori

per la tintura e di erbe necessarie per la dieta familiare e dei signori. Potevano essere portate alla capacucha, i sacrifici umani.

Da 5 a 9 anni.

Pucllacoc huarmi huanra. Svolgevano le stesse

attività dei maschi ma in più erano addette all’attività di cucina, e come “paggetto” delle signore nobili.

Da 1 a 5 anni.

Llucac huarmiguagua. Non facevano parte

dell’attività produttiva e si dedicavano ad attività ludiche.

Da 1 giorno ad 1 anno.

Llullu guagua huarmi. Neonate in allattamento.

Di qualsiasi età

In questo gruppo erano compresi i malati cronici, i muti, i ciechi e tutte le persone con disabilità di entrambi i sessi. Tuttavia svolgevano attività adatte al loro stato fisico. Per esempio i nani come buffoni di corte.

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Solamente chi svolgeva mita di servizio militare, vale a dire chi era occupato permanentemente nelle spedizioni di conquista e spedizione, otteneva privilegi come regali, spose, cibo, coca, etc. Non erano costretti a svolgere altre prestazioni e per tale motivo molti uomini preferirono servire come soldati dello stato e non come mitayos agricoli.

Dal punto di vista dello Stato Inca, il fatto che tutti gli individui lavorassero da un’età precoce e che tutti paesi tributassero, aveva un profondo contenuto educativo.

Le capacità dei paesi di tributare (con persone e risorse) era stabilita dai funzionari dell’Inca, i quali effettuavano visite di ispezione in tutto il regno del Tawantisuyo.

Le stime dei funzionari si basavano su un criterio tributario che, in termini generali, è ancora vigente: nessuno deve tributare più di quello che può, il tributo deve essere proporzionato alla capacità di tributare. Nel caso del Tawantisuyo, questo criterio si basava sulla capacità di offrire forza lavoro.

Infatti, secondo le leggi vigenti “per nessuna causa nè ragione, nessun indio era obbligato a pagare con cose il suo tributo, che doveva essere pagato con il suo lavoro o con il tempo dedicato al servizio del re o della sua repubblica. E per tale questione erano uguali ricchi e poveri”. Era ricco chi aveva figli e famiglia che lo aiutavano a lavorare per far fronte al tributo;

chi non li aveva era considerato povero, anche se ricco di altre cose.

Per le attività agricole e pastorizie si istruiva ogni individuo per la realizzazione di differenti mansioni, a seconda delle stagioni o del fatto che fossero attività o meno.

A riguardo delle attività artigianali che si realizzavano per tributare, queste erano specializzate ed erano realizzate da individui che avevano appreso il mestiere sin da piccoli.

Quello che accomunava le attività agricole o artigianali è che al lavoro partecipavano anche i bambini, per inculcare loro il significato della responsabilità e del lavoro, insegnare loro a realizzare gradualmente compiti più complessi.

Non è chiaro, però, se i tributari potessero svolgere diverse funzioni in differenti momenti della loro vita. La popolazione tributaria era suddivisa in mitayo, mitmaq o yanas3. Ciò significava che in un determinato anno si poteva far fronte ai compiti per lo Stato o per i Signori in qualità di mitayo, ma successivamente, si dovevano compiere i propri doveri come mitmaq: in questo modo si deduce che, per poter accedere a diverse risorse era richiesto uno stanziamento della popolazione disperso e in costante mobilità, che implicava l’organizzazione dei membri delle unità familiari in base ai patti di reciprocità. Nella maggioranza dei casi, per trasferirsi in altre zone ecologiche o realizzare attività comunali o statali, i tributari si muovevano con i loro figli o con una parte della famiglia e ciò faceva parte dell’apprendimento per il lavoro. Un caso particolare è quello degli yana, individui, unità familiari o etnia ai quali era richiesto lo svolgimento di un compito determinato per un tempo illimitato e in diretta dipendenza del Curaca o dell’Inca, per il quale tutti i membri della famiglia, inclusi i bambini, partecipavano alla sua realizzazione.

3 Erano uomini chiamati dall’Inca per servirlo, occuparsi delle greggi imperiali o intraprendere professioni specializzate. Gli yana esistevano anche a livello locale e servivano i curaca. In entrambi i casi il “padrone” doveva nutrirli e vestirli, occupandosi interamente della loro sussistenza.

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Attività economiche svolte dai minori d’età.

Nell’ambito della pastorizia uno dei compiti più importanti affidati ai minori d’età era la cura dei greggi della comunità. Si trattava di giovani tra i 12 ed i 16 anni che aiutavano la famiglia nella raccolta ed in altri compiti quali la pastorizia. Tali mansioni erano svolte nelle zone alto-andine ed erano vincolate ad altri compiti (tessitura) o attività (raccolta di tuberi).

Per la maggior parte, i pastori erano giovani di entrambi i sessi. A volte le greggi a loro affidati appartenevano ai loro familiari, ma partecipavano anche allo svolgimento degli obblighi reciproci del loro gruppo di parenti.

Quando le greggi divennero numerose ed i pascoli lontani, i giovani pastori dovettero essere rimpiazzati dagli adulti, che si occuparono in maniera permanente della pastorizia. Non si sa quando questa transizione ebbe luogo: sicuramente prima dell’invasione europea e prima dell’espansione inca, nelle Ande esistevano già pastori che si dedicavano a tempo pieno alla pastorizia e che abitavano lontani dai loro centri d’origine. Detti pastori continuavano ad appartenere ai loro gruppo di parentela ed il loro isolamento non doveva privarli del loro diritto alla terra da coltivare che erano lavorate per loro dai loro parenti.

Come si è visto, quindi, le attività pastorizie nella regione altoandina furono svolte in prevalenza da bambini e giovani che non perdevano i loro legami di parentela né i loro diritti comunali nel caso in cui avessero dovuto trasferirsi in un’altra zona.

In alcuni casi i pastori erano giovani inviati dall’ayllu a realizzare la saba di turno, e la mansione di pastore continuava ad essere di reciprocità, in quanto il pastore assente (sostituito dal giovane) si alimentava di quanto prodotto dalla sua saya nella sua terra. Mentre il padrone era assente, il michic non solo era responsabile degli animali che accudiva, bensì doveva anche fabbricare corde, cacciare animali dannosi o commestibili e, più in generale, ottenere “profitto” da tutte le risorse della terra.

Un'altra attività che era vincolata alla pastorizia, e per tanto realizzata da bambini e giovani, era quella di mulattiere, cioè accompagnare i lama carichi di lana e patate in pianura per ottenere in cambio mais.

In aggiunta, un’attività in cui vennero coinvolti bambini e bambini era il lavoro nelle miniere: si suppone che i loro compiti riguardassero, soprattutto, la selezione e il trasporto del metallo nei capoluoghi delle province.

Una particolare attenzione è da rivolgere a quelle bambine, dette mamaconas, scelte per la realizzazione di compiti di culto al Sole, di cura delle terre e delle mummie degli inca morti e del servizio all’Inca che consisteva nella tessitura e nella preparazione della chicha. Essendo attività speciali rivolte all’Inca, le mamaconas erano scelte tra le figlie dei signori o dei curacao delle province o delle famiglie principali di Cuzco. I luoghi dove risiedevano queste bambine erano denominati Acllahuasi che significava “Casa delle prescelte”, in quanto venivano selezionate, come spiegato, per stirpe ma anche per bellezza: dovevano essere vergini, per questo scelte dagli otto anni in giù, e avevano il compito di filare e tessere tutti i vestiti dell’Inca e della consorte.

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Secondo studi storici4, anche i bambini maschi venivano scelti per determinati culti, spesso caratterizzati da sodomia, e per la cura dei templi, compiti che vennero soppressi con la colonizzazione degli spagnoli.

Infine, secondo testimonianze di studiosi storici, i bambini non furono al margine delle vicissitudini della guerra: quando i loro genitori erano vincolati alla mita militare, i bambini dovevano svolgere le attività ed i compiti assegnati ai loro genitori.

3.2 Il periodo coloniale

Mentre l’impero Inca fioriva, gli Spagnoli iniziarono ad accrescere la loro preminenza nel mondo Occidentale. L’unione politica di diversi regni indipendenti nella penisola iberica e l’espulsione definitiva dalla Spagna dei mori dopo settecento anni di guerre intermittenti, installarono negli spagnoli ambizioni religiose e militari.

Nel 1524 Pizarro iniziò varie spedizioni, finanziate principalmente con capitale personale, partendo dal Sud di Panama e dirigendosi lungo la costa ovest del Sud America. Dopo alcuni fallimenti, Pizarro riuscì a raggiungere il nord del Perù verso la fine del 1531 con un’esigua forza di 180 uomini e 30 cavalli. Il 15 novembre 1532 arrivò a Cajamarca, residenza estiva dell’Inca situata negli altipiani andini del nord e richiese udienza con Atahualpa.

Gli spagnoli chiesero agli Inca di rinunciare ai loro dei e di accettare un accordo con gli invasori; gli inca rifiutarono e come conseguenza furono attaccati dagli Spagnoli che conquistarono Cajamarca, catturarono Atahualpa e distrussero l’esercito avversario già indebolito dalla guerra civile. La cattura di Atahualpa privò l’impero del suo imperatore in un momento cruciale, ma riaccese la speranza dei sostenitori dello sconfitto Huascar, che avrebbero potuto allearsi con i nuovi contendenti al potere. Atahualpa tentò di ottenere la sua liberazione offrendo agli Spagnoli tesori in oro ed argento, ma una volta arricchitisi, questi ultimi non ebbero più bisogno dell’Inca che fu giustiziato dopo essersi convertito e fatto battezzare come cristiano.

Con la morte di Atahualpa, gli spagnoli procedettero la loro marcia verso Cusco, cuore dell’impero Inca. Il 15 novembre 1533, esattamente un anno dopo l'arrivo a Cajamarca, Pizarro, rafforzato con un esercito di 5000 ausiliari nativi Americani occupò la capitale dell'impero, mise Manco Càpac II, parente di Huascar e della sua fazione, sul trono Inca come fantoccio degli Spagnoli.

Il consolidamento del potere spagnolo, fu rallentato negli anni successivi per la resistenza degli indigeni, e per le divisioni interne agli spagnoli stessi.

La popolazione nativa, inizialmente credette che gli spagnoli, semplicemente, rappresentassero un altro contendente al potere delle Ande, con il quale potersi eventualmente alleare. Di fronte ai continui comportamenti violenti degli spagnoli ed agli effetti negati della struttura coloniale, la popolazione cambiò idea e ciò portò Manco Capac II a rifiutare il suo ruolo di fantoccio degli Spagnoli ed a ribellarsi nel 1536. Incapace, però, di sconfiggere gli spagnoli, Manco Capac si ritirò a Vilcabamba, all'interno delle Ande, dove stabilì un regno Inca indipendente che durò fino al 1572.

A complicare ulteriormente l'affermarsi dei conquistatori fu una feroce disputa tra i seguaci di Pizarro e quelli di Diego de Almagro. A causa di come andarono le cose nella divisione del

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bottino di Cajamarca, dalla quale Pizarro escluse Almagro e le sue forze, questi ultimi sfidarono il controllo a Cusco di Pizarro. Almagro fu catturato nella battaglia di Salinas nel 1538 e giustiziato, ma i suoi sostenitori assassinarono Pizarro nel 1541.

I disordini civili continuavano, così la corona spagnola intervenne cercando di risolvere le dispute ancora aperte, invece scatenò una pericolosa rivolta tra i coloni che decretò la fine del sistema di encomienda5 nel 1542. Lo Corona voleva imporre in Perù le Nuove Leggi (Nuevos Leyes) del 1542, che stabilivano il Viceregno nel Perù e creavano la figura del Vicerè e regolavano le encomiendas, stabilendo che queste potevano essere designate solo dal Re e ritornavano alla Corona una volta che l’encomendero fosse morto. Le Nuove Leggi e l’intervento della Corona non ebbero successo e i coloni si allearono nuovamente attorno alla figura di Gonzalo Pizarro, fratello di Francisco. Gonzalo architettò l'assassinio del Vicerè Don Blasco Nuñez de la Vela e nel 1544 assunse l'autorità del Perù. Il suo potere bruto ed arbitrario causò l'opposizione tra i coloni, cosi che all'arrivo in Perù di un nuovo rappresentante reale, Pedro de la Gasca, al fine di restaurare l'autorità della Corona, i coloni lo appoggiarono nella formazione di forze della Corona che sconfissero e giustiziarono Pizarro nel 1548.

Per porre fine alla resistenza nativa furono necessari altre due decadi, e solo nel 1572 fu sconfitto il regno Inca a Vilcabamba.

Con la scoperta dei giacimenti di argento a Potosì nel 1545 e di mercurio a Huancavelica nel 1563, il Perù diventò il “grande tesoro” della Spagna, e gli Inca furono espropriati da tutte le loro ricchezze, che servirono per il mantenimento dei conquistatori. Accanto a Potosì, la città di Lima divenne un punto importante per l’economia, il commercio e l’artigianato.

Le comunità di nativi (ayllus) erano concentrate nelle zone più povere così da facilitare la conversione dei nativi Americani al Cristianesimo. Il sistema incaico della mita fu utilizzato ma per ottenere persone per la realizzazione di lavori pubblici o per servizi militari e per fornire manodopera nelle miniere ed in altri settori chiave dell’economia e dello stato. In aggiunta, il tributo Inca fu sostituito con il tributo coloniale che doveva essere pagato in moneta.

Il risultato di tutti questi cambiamenti fu che gli spagnoli ed i loro successori creoli ottennero il monopolio di tutte le terre, soprattutto di quelle migliori che erano abbandonate a causa del collasso demografico dei nativi. Gradualmente si venne a creare un sistema polarizzato: da un lato vi erano i grandi latifondi, dall’altro vi erano le rimanenti comunità degli indigeni basate sul sistema di sussistenza. Questa divisione diventerà un ostacolo per il futuro sviluppo e modernizzazione del paese.

L’amministrazione coloniale.

L’espansione dell’amministrazione e dell’apparato burocratico coloniale fu parallelo alla riorganizzazione economica. Il ruolo più importante era quello di Vicerè, al quale erano affidate

5 Istituzione di tipo feudale, introdotta in America Latina dal colonialismo spagnolo nel XVI secolo. Modellata sul sistema di origine romana della commenda, l’encomienda si tradusse in un diritto concesso dal sovrano in favore di un suddito spagnolo (encomendero) sia sul territorio che costui andava a conquistare sia sulle persone che lo popolavano. Il conquistador poteva così avvalersi dei tributi e del lavoro che gli indios dovevano alla monarchia, offrendo in cambio protezione e indottrinamento cristiano. L’istituzione legale dell’encomienda nacque con una disposizione reale del 1503, nella quale si stabiliva l’obbligo per gli indios di convivere con gli spagnoli e di lavorare per essi in cambio di un salario e di un’educazione cristiana. Il documento intendeva così garantire la manodopera necessaria all’organizzazione e allo sfruttamento dei territori appena conquistati, delegando il potere della monarchia nelle mani dell’encomendero, ma solo per un periodo temporaneo che si annullava con la scomparsa del conquistatore.

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varie responsabilità, dall’amministrazione generale (riscossione delle tasse e costruzione di opere pubbliche) alla difesa interna ed esterna ed era supportato da ufficiali giudiziali, ecclesiastici.

Nei primi anni della conquista, la Corona fu impegnata nel prevenire la formazione di un’aristocrazia feudale da parte dei conquistatori o encomenderos, che avrebbe potuto nuocere gli interessi reali spagnoli. A tal fine nel 1542 vennero introdotte le Nuove Leggi che privavano gli encomenderos ed i loro successori dei diritti sui nativi Americani.

Le precedenti funzioni amministrative svolte dagli encomenderos sulle popolazioni indigene (protezione e cristianizzazione), erano ora in mano ainuovi ufficiali dello Stato, i “corregidores de indios” (governatore degli indiani): questi ultimi erano incaricati a livello provinciale dell’amministrazione della giustizia, del controllo delle relazioni commerciali tra i nativi Americani e gli spagnoli e della riscossione dei tributi ed erano assistiti dai curacas, membri dell’elitè nativa, utilizzati sin da subito dai conquistatori come mediatori tra la popolazione nativa e gli europei. Nel corso del tempo i corregidores sfruttarono la loro posizione per accumulare potere così da dominare la società rurale.

Nella seconda metà del XVI secolo la Corona riuscì consolidare la sua autorità politica e la sua abilità di regolare e controllare l’economia locale. In accordo con la struttura del mercato del tempo, la Corona cercò di massimizzare gli investimenti nella produzione di beni per l’esportazione come argento, minerali e prodotti agricoli e di fornire il nuovo mercato coloniale con manufatti importati. A tal fine, la Corona gestì l’esportazione coloniale attraverso lo sviluppo di una burocrazia e di un forte intervento statale.

La ribellione degli indigeni.

Nel XVIII secolo i nativi Americani iniziarono a ribellarsi alla loro sottomissione agli spagnoli. Dopo la conquista, la corona assunse il controllo sul tutto il patrimonio Inca e sulle terre dei nativi, che furono concesse loro in usufrutto in cambio del pagamento dei tributi e dei servizi mita. I corregidores erano incaricati di proteggere i nativi dall’abuso dei colonialisti, ma nonostante questa tutela i colonialisti insieme ai curacao trovarono il modo di raggirare le leggi della Corona ed ottenere controllo sulle terre e sul lavoro degli indios. La situazione di sottomissione raggiunse il suo apice tra il 1740 ed il 1770, quando le terre scarseggiavano sia perché confiscate dai colonialisti sia perché la Corona aveva incrementato le tasse.

Nel 1780 la protesta raggiunse il culmine quando Josè Gabriel Condorcanqui, un curaca con antenati Inca, simpatizzò con la causa dei nativi sottomessi e riuscì a creare una forza armata composta da nativi e creoli dissidenti e Condorcanqui si fece chiamare Tupac Amaru II, risvegliando l’idea tra le masse d’indigeni ad un ritorno al periodo Inca.

Nel 1781 Tupac Amaru II fu catturato dalle forze reali e giustiziato nella piazza principale di Cusco. La ribellione continuava e si espanse verso l’altipiano attorno al Lago Titicaca, ma fu soppressa nel 1782. Negli anni successivi le autorità iniziarono ad applicare alcune delle riforme rivendicate dai ribelli, ma la situazione non era cambiata.

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L’indipendenza del Perù.

Secondo gli storici, il processo che diede inizio all’indipendenza del Perù furono le riforme borboniche che, nel corso del XVIII secolo, determinarono una serie di misure restrittive e repressive che provocarono la partecipazione dei creoli, dei meticci e degli indios a movimenti sociali, ma non ottennero però i risultati sperati: questi movimenti invece di dividere la popolazione in spagnoli e peruviani, portò alla separazione dell’elitè creola e meticcia dagli indigeni, perché i primi temevano che un’insurrezione popolare avrebbe trasformato la struttura gerarchica della società coloniale.

In aggiunta, la guerra tra Spagna e Francia (1793) e, successivamente, quella tra le prime due contro l’Inghilterra (1796) debilitarono la presenza della metropoli nelle colonie americane. Il trionfo degli inglesi non cambiò solo la configurazione del potere in Europa, ma influenzò anche i viceregni perché il loro commercio via mare si svolse in prevalenza con gli inglesi.

In seguito alle riforme borboniche, il sistema coloniale si alterò in maniera significativa e poco a poco si produssero ribellioni indipendentiste nelle periferie dei viceregni, che portarono alla fine del potere spagnolo in America. Per il Viceregno del Perù, l’indipendenza significò garantire con altri mezzi quel controllo che la Spagna non era più in grado di fornire.

Sebbene i diritti ed i benefici dei creoli fossero stati ridotti dalle riforme borboniche e dalla dichiarazione di libero commercio nei porti coloniali, questo gruppo continuava ad essere ben integrato nell’economia mercantilista coloniale e conformava una elitè, che comprendeva anche i latifondisti della costa nord, i commercianti di Lima ed i proprietari delle miniere di argento del Cerro de Pasco e di Potosì.

L’elitè creola limeña, composta da circa 1500 persone, su una popolazione di più di 63.800 abitanti, era la più consistente. L’elitè provinciale si concentrò a Cuzco, Arequipa e Trujillo ed il suo potere era inferiore rispetto a quello dell’elitè limena. L’aristocrazia provinciale mostrò, alla fine del XVIII secolo dopo la ribellione di Tupac Amaru II, un malessere di fronte alla concentrazione del potere nell’elitè di Lima che era vista come una rivale in ambito commerciale. Questo risentimento nei confronti di Lima, diede avvio nei primi anni del XIX secolo, ad una serie di sentimenti separatisti nei confronti di Lima.

Un settore di potere emergente fu quello delle classi medie della sierra andina centrale, che durante il XVIII secolo avevano sviluppato un sistema commerciale e di produzione articolato attorno alle miniera di Cerro de Pasco e Huarochirì: questo nuovo settore vide rapidamente limitata la sua crescita per via del monopolio esercitato dai creoli, e quindi iniziò a contestare il restrittivo sistema coloniale, da sostituire con il libero commercio, e ad appoggiare la causa indipendentista.

Infine, vi era un gruppo di importanza intermedia che si sviluppò nelle zone rurali della costa e della sierra e che era formato da piccoli commercianti, curaca, mercanti e membri della bassa nobiltà indigena. Questo gruppo riuscì ad ottenere un potere sufficiente per dominare direttamente comunità indigene.

L’organizzazione del Viceregno del Perù, alle porte della guerra d’indipendenza, non era più quella dell’inizio del XVIII secolo a causa delle riforme borboniche e della ribellione di Tupac Amaru.

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La crisi dello stato metropolitano spagnolo fu la causa che determinò le idee indipendentiste e le prime ribellioni che si sollevarono in vari luoghi del viceregno peruviano, il cui Vicerè era Abascal.

La maggioranza dei movimenti proponeva riforme economiche e sociali e, solo in alcuni casi, la separazione. Purtroppo questi tentativi di cambiamento furono repressi.

Le ribellioni furono caratterizzate da un’inusuale alleanza tra creoli ed indigeni contro il regime coloniale, ma i creoli successivamente si separavano e attaccavano gli indigeni.

La ribellione più importante del periodo fu quella di Cuzco nel 1814, con la quale i membri della classe media dei creoli e dei meticci letterati si ribellò contro il potere di Cuzco che non aveva applicato la Costituzione liberale del 1912, ma aveva stabilito un regime assolutista. Rapidamente gli indios si aggiusero al movimento e dichiararono di voler creare un impero indipendente da quello di Lima e con base a Cuzco. Ancora una volta l’alleanza tra creoli ed indigeni non durò a lungo, ed i creoli, dinnanzi alla radicalizzazione del movimento da parte degli indigeni e delle loro azioni violente contro tutti gli sfruttatori, tra i quali i creoli ed i meticci erano compresi, si separarono causando il collasso del movimento nel marzo del 1815, ancora prima dell’intervento delle truppe del Vicerè.

La situazione del Perù peggiorò nel 1818 quando alla crisi economica si aggiunse il problema della fine del commercio dello zucchero con il Chile in seguito alla sua indipendenza. L’economia agricola subì un nuovo colpo, mentre l’elitè creola continuava a finanziare, ogni volta in minor quantità, le guerre di repressione e la difesa del Viceregno. Il debito interno dello stato cresceva vertiginosamente all’aumentare delle guerre di indipendenza, mentre il deficit commerciale rendeva impossibile il pagamento delle importazioni dagli inglesi.

Il generale argentino Josè de San Martin, che aveva portato l’Argentina all’indipendenza, riteneva di poter liberare anche il Perù. Dopo aver tentato di entrare dalla zona dell’Alto Perù in svariate occasioni, ma senza alcun esito grazie alla ferrea resistenza dell’esercito reale, San Martin vinse i realisti a Maipù nel 1818 e ottenne l’indipendenza del Cile.

Il 29 dicembre del 1920 la città di Trujillo dichiarò la sua indipendenza, nella costa nord l’armata spagnola si era indebolita e questo consentì la vittoria, e il suo appoggio a San Martin; in seguito anche Piura, Cajamarca, Chachapoyas, Jaen e Mayanas fecero lo stesso.

San Martin alla fine del 1920 era riuscito a consolidare il suo potere nel nord del Perù e nella sierra centrale i settori medi ed i commercianti si organizzavano per sostenere le lotte di indipendenza. Solamente Lima continuava ad essere nelle mani dei realisti il cui esercito era superiore rispetto a quello sanmartiniano: la strategia di San Martin fu quella di negoziare con le autorità del Viceregno e tranquillizzare l’aristocrazia locale, mentre aspettava l’adesione alla causa da parte dei creoli, per poi instaurare un nuovo governo monarchico sotto il comando di un membro della famiglia reale spagnola.

Le forze realiste decisero di spostarsi da Lima verso le Ande dove erano più forti militarmente, quindi, nel luglio 1921 spostarono la loro base a Cusco, mentre San Martin occupava la città di Lima il 10 dello stesso mese. La situazione del Perù era ambigua: Lima si era dichiarata indipendente; la sierra era ancora dominata dai realisti; San Martin era indeciso e non le aveva ancora attaccate e aveva generato disordine, per cui le truppe reali nel settembre 1921 entrarono al Callao e ritornarono militarmente rafforzate nella sierra.

La mancanza di finanziamento, acutizzata dalla crisi economica, frustrò gli intenti di San Martin di incursione nella sierra per cercare di sconfiggere le truppe reali.

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Nel settembre del 1921, mentre a Lima si instaurava il Congresso Costituente con presidente Francisco Xavier de Luna Pizarro, San Martin si incontrò con Simon Bolivar a Guayaquil per chiedergli aiuto. Al suo ritorno, il 21 settembre 1822 San Martin si ritirò dal comando dell’esercito e lasciò il Perù.

Simon Bolivar, con le forze sanmartiniane, procedette nell’attacco delle forze realiste e vinse la battaglia di Junin nell’agosto del 1924.

L’indipendenza del Perù fu portata a termine il 9 dicembre del 1924 quando le forze indipendentiste sconfissero quelle realiste nella pampa di Ayacucho vicino alla città di Huamanga nella sierra.

L’impatto degli spagnoli.

La conquista spagnola del Perù da parte provocò un impatto demografico variato e selettivo, in particolare nelle zone costiere e soprattutto nel nord e nord-est della sierra dove la popolazione scomparve. Quella che in maggioranza sopravvisse all’impatto demografico era composta da bambini e in particolare delle femmine. Il dato è significativo se si considerano le conseguenze economiche della caduta demografica che provocò la diminuzione della produzione agricola perché molte terre dovettero essere abbandonate per la mancanza di manodopera: mantenere il sistema delle terrazze e dei canali di irrigazione richiedeva un’abbondante forza lavoro, per cui la popolazione femminile e in particolare le bambine dovettero supplire in modo tale da mantenere le terre da coltivare.

In aggiunta, con l’arrivo degli spagnoli e l’instaurazione dell’encomienda, il tributo inca fu sostituito dal tributo coloniale che non veniva pagato solo con il lavoro, come succedeva per il primo caso, ma anche con prodotti, di conseguenza le indigene avevano meno possibilità di percepire gli eccedenti dalla coltivazione della terra.

Con il venir meno del tributo inca, scomparvero un certo numero di prestazioni svolte nei templi dell’Impero: i chupachos non fornivano più soldati all’esercito Inca e non esistevano più nemmeno le mamaconas. Nonostante ciò, la lista delle prestazioni dovuta all’encomendero non era da meno: quest’ultimo esigeva non solo il mais, ma anche il frumento, la coca, il miele e i prodotti artigianali introdotti dagli spagnoli quali redini, materassi, ecc.; oltre a possedere la terra per la quale gli indios gli fornivano gruppi di lavoratori per lo sfruttamento e il mantenimento dei campi.

Infine, come al tempo dell’impero Inca, gli indios erano tenuti a fornire un tributo tessile una volta l’anno in cambio di lana. Con gli spagnoli il ritmo era incrementato: da una volta all’anno a una ogni quattro mesi, obbligazione questa tra le più impegnative. Non era facile far fronte alle richieste degli spagnoli anche perché vi era una continua diminuzione della popolazione, a fronte delle continue esigenze, per cui si rese necessario lo sfruttamento della manodopera indigena, dove tutti i membri delle unità familiari collaboravano, anche i figli più piccoli.

Lo spopolamento delle zone rurali non fu causato solo dalla caduta demografica. Lo stanziamento della popolazione andina era disperso ed in costante movimento: la crescente esigenza economica da parte degli spagnoli motivò la migrazione forzata di consistenti gruppi di indigeni sia per le esigenze spagnole di guerra civile o di conquista di nuove terre, sia per sfuggire al tributo coloniale o trasferirsi nelle città fondate dagli spagnoli per soddisfare la

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crescente domanda di manodopera, soprattutto nelle città di Lima, Cusco, Arequipa e Huamanga.

Un altro polo d’attrazione furono i grandi centri di miniere dove si svolgevano lavori accanto ai mitayos assegnati dallo stato coloniale.

Un caso eclatante di migrazione è quello delle bambine e adolescenti che si trasferivano nelle città per realizzare lavori domestici nelle case degli spagnoli (prima che l’importazione di schiavi neri le rimpiazzassero in questa attività), oppure per diventare le conviventi dei conquistatori. In generale questa nuova corrente migratoria non ha nulla a che vedere con il controllo dei vari spazi ecologici, bensì con le conseguenze economiche della conquista spagnola, come quelle di soddisfare la mita delle miniere o il pagamento del tributo. Nelle miniere morirono sepolti molti bambini che vi lavoravano sin dall’età di cinque anni per più di nove ore giornaliere.

Nelle encomiendas il peso delle attività economiche per soddisfare le esigenze degli spagnoli ricadde sui minori, specialmente sulle femmine che rappresentavano quasi la metà della popolazione.

La Chiesa Cattolica.

La Chiesa Cattolica ebbe un ruolo fondamentale durante il periodo coloniale, tenendo i registri di nascite, matrimoni e defunti, e aveva in questo modo un grande potere per accedere alla manodopera indigena, creando dispute con gli encomenderos e i funzionari coloniali. Tuttavia, la Chiesa non si trovò al margine della legislazione che mise un limite all’uso dei bambini come manodopera, specialmente nel caso del lavoro domestico nelle parrocchie. La preoccupazione principale si riferiva alla convivenza dei curati con le femmine soprattutto quando queste erano bambine. A partire dal 1583 venne imposto ai chierici di non convivere con donne o di assumere cameriere indos per il servizio in casa.

Inoltre, esistevano diverse istituzioni di beneficenza amministrati da diversi ordini religiosi, che si facevano carico di bambini abbandonati o orfani, oltre ad insegnare loro un mestiere e lo svolgimento di compiti domestici alle bambine. Queste ultime, nel caso non trovassero marito, avevano così la possibilità di essere accettate come monache in un convento.

Gli artigiani.

Le corporazioni di artigiani fu una delle istituzioni portate in Perù dagli spagnoli; all’interno delle quali avevano molta importanza i maestri e gli apprendisti, bambini o giovani di diverse condizioni che andavano nel laboratorio del maestro per imparare il mestiere. La situazione dell’apprendista era poco vantaggiosa all’interno delle corporazioni e dei laboratori. In principio i sindacati non si occupavano degli apprendisti e solo agli inizi del XVII secolo sorse la necessità di stabilire norme specifiche per l’apprendimento di mestieri nelle città, in vista della crescita di queste ultime e della diversificazione delle attività urbane. Tutto ciò obbligò a regolamentare con maggior attenzione le vie di accesso all’apprendimento del mestiere e il numero di allievi in ogni laboratorio, regole che entrarono in vigore fino all’inizio del periodo repubblicano.

Le prime restrizioni riguardavano il periodo di apprendistato, che variava da un mestiere all’altro: la media era, in generale, di due anni, anche se i maestri riuscivano a prolungare tale periodo grazie a sotterfugi. Se l’età media in cui si otteneva il titolo di lavoratore giornaliero era

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di 25 anni, e si iniziava a lavorare all’età di 10 anni, allora significava che i maestri usufruivano del lavoro dell’allievo per almeno quindici anni.

Il prolungamento di tale periodo era molto conveniente per i maestri del laboratorio, perché in questo lasso di tempo gli apprendisti andavano a vivere nella casa del maestro e in cambio di vitto e alloggio, non solo lavoravano per il laboratorio ricevendo un salario simbolico, ma svolgevano anche diverse attività domestiche.

Gli apprendisti provenienti dalla Spagna, condividevano il loro apprendistato con altri di origine indigena e neri, che cercavano di imparare un mestiere per esercitare in maniera informale o occasionalmente in differenti laboratori.

Gli schiavi, invece, venivano inviati dai padroni stessi a inviare nei laboratori per ottenere così un ingresso fisso. Gli indios, da ultimo, erano obbligati a lavorare per un salario molto basso in alcuni laboratori come le panetterie, usate come carceri.

Inoltre, secondo documenti storici, il Viceré inviava bambini orfani sulle navi dell’Armata Spagnola per apprendere il mestiere di marinaio: “mercoledì 8 febbraio dell’anno 1668, il signor Viceré inviò sei bambini orfani al porto del Callao affinché sappiano essere marinai e con salario del Re nostro signore”.

L’illuminismo.

Gli ultimi decenni del XVIII secolo furono caratterizzati dal sorgere dell’Illuminismo in Perù grazie all’influenza degli spagnoli. In questo periodo si prestò maggiore attenzione alla situazione degli indigeni sotto il regime coloniale ed al lavoro domestico in particolare.

Nonostante le ordinanze del Concilio di Lima, i sacerdoti non smisero di ricorrere alla servitù di giovani indigene, ma questa volta per collocarle nelle case di parenti o amici, che secondo il punto di vista dei sacerdoti avrebbe migliorato la situazione delle indigene, chevenivano trattate con maggiore attenzione, il lavoro era meno duro e veniva dato loro da mangiare. Il problema era che spesso le indigene si concedevano in età prematura e molte morirono quindi acausa di malattie e infezioni.

La situazione dei maschi non era così diversa: anch’essi iniziavano a lavorare a un’età prematura come servitori degli spagnoli nelle città.

In una società rigidamente gerarchica, quale era la peruviana, ogni individuo aveva una sua posizione e quindi vivere ai margini delle regole, con impieghi eventuali e in continuo cambiamento, come accadeva agli indigeni, era la preoccupazione di quel periodo. Si pensava che gli indigeni resistessero a sottomettersi alla “dottrina cristiana” o alla “vita in pulizia”. La disoccupazione o l’impiego eventuale era sinonimo di vagabondaggio od ozio.

La proposta di molti degli illuministi spagnoli di collocare gli indigeni sotto la tutela di padroni era considerata come un modo di recuperarli da parte della Chiesa e dello Stato. Da qua ebbe origine la servitù indigena in varie città come Lima e che rimpiazzò la schiavitù dei neri.

3.3 Il periodo Repubblicano

La transizione storica dal dominio coloniale, durato per circa due secoli, all’indipendenza del 1824 sotto il Presidente Bolivar (1824-26) determinò una instabilità politica. L’indipendenza fece poco per alterare le strutture di ineguaglianza e sottosviluppo create con il colonialismo, e

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semplicemente determinò il trasferimento del potere dagli spagnoli ai settori dell’elitè creola il cui obiettivo era il preservare e rafforzare il loro privilegiato status socio-economico. Inoltre il nuovo potere creolo fu incapace di creare un nuovo ordine costituzionale che sostituisse quello della chiesa e dello stato.

Il congresso costituente del 1822 e la prima costituzione politica del 1823 stabilirono che il Perù sarebbe stato una repubblica con poteri esecutivi e legislativi, basata su principi liberali di democrazia, cittadinanza, proprietà privata e diritti e garanzie individuali. In realtà, poco cambiò nella stratificazione sociale peruviana.

I suoi presidenti sembravano dei re, l’esercito continuava ad avere un’egemonia e gli indios continuavano ad essere oppressi; i settori popolari restarono al margine delle decisioni politiche e dei piani di governo, mentre si configurava uno Stato che favoriva l’aristocrazia limena seguita da quella provinciale.

Un altro problema che permaneva era la crisi economica: negli ultimi anni del viceregno le spese per l’esercito realista repressore e le crisi commerciali e delle miniere furono acutizzare dall’invasione degli eserciti sanmartiniani e bolivariani. La distruzione di latifondi, i saccheggi, le donazioni volontarie ed obbligatori, lasciarono gli antichi gruppi di poter commerciale e produttivo in bancarotta. Le relazioni commerciali internazionali non cambiarono rispetto a quelle degli ultimi anni del colonialismo, in cui il commercio con la Spagna era diminuito a favore dei prodotti nordamericani ed inglesi e questa tendenza si acutizzò in seguito all’indipendenza.

Inoltre, con la nascita della Repubblica si inaugurò una tappa politica segnata da disordine, ambizione e guerre interne, denominata “periodo del caudillismo“. Le guerre d’indipendenza crearono le condizioni affinché vari individui (generalmente latifondisti con uomini sotto il loro comando) accedessero al potere, utilizzando la forza e la coercizione. La mancanza di un gruppo dirigente omogeneo facilitò l’apparizione dei caudillos nella scena politica peruviana tra il 1823 e il 1844.

Un’altra caratteristica di questo periodo fu il clientelismo politico che i caudillos crearono attorno a loro: militari di basso grado, commercianti e stranieri erano i loro funzionari. Il primo militarismo si caratterizzò per le lotte di potere intestine tra fazioni che non permettevano la formazione di uno stato-nazione libero e sovrano. L’autorità dei militari non fu mai il risultato di un consenso sociale o elettorale, ma fu sempre il prodotto di una rivendicazione in quelle regioni economiche che si vedevano pregiudicate dalle politiche applicate da Lima.

Negli anni seguenti alla proclamazione dell’indipendenza, l’esercito si convertì in una sorta di partito politico, guidato dai caudillos. Il reclutamento di uomini si realizzava in maniera arbitraria, senza considerare l’esperienza o l’attitudine militare.

Molte volte i caudillos si attorniavano di militari stranieri ed evitavano di relazionarsi con quelli peruviani di vecchia stirpe per paura di un loro tradimento.

La configurazione della politica e della società peruviana repubblicana poco si differenziavano dal suo passato coloniale, dando inizio ad un nuovo ciclo nella storia del Perù senza, però, quei cambiamenti strutturali necessari per plasmare nella realtà ciò che veniva discusso negli spazi pubblici.

Nel 1841 il commerciante peruviano Francisco Quiros firmò un contratto di sfruttamento del guano per 10 mila soles annui. Negli anni successivi si firmarono vari contratti commerciali tra peruviani e imprese commerciali straniere alle quali veniva venduto il guano, ma il ricavo dello

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stato fu poco più del 30% del valore venduto, sufficiente affinché il paese diventasse solvibile per crediti e prestiti da parte di paesi stranieri. Il guano fu esportato in gran parte a Eueopa e Stai Uniti, seguiti da Costa Rica, Guatemala, Cina e Giappone.

Nel 1847 il presidente Ramon Castilla (eletto nel 1845) nazionalizzò il guano al fine di massimizzare i benefici per lo stato. Gli investimenti di capitale derivati dal boom del guano e da paesi esteri furono impiegati nel settore dell’esportazione, in particolare nella produzione di zucchero, cotone e nitrato e la costa divenne la regione più dinamica dal punto di vista economico.

Tra il 1840 ed il 1875 il valore delle esportazioni aumentò da 6 milioni di pesos a circa 32 milioni, mentre le importazioni passarono da 4 a 24 milioni di pesos. Il modello liberale di esportazione, basato sul guano, riuscì a far superare al Perù il periodo di stagnazione economica della postindipendenza e sembrò avere un grande successo. Purtroppo la regione che si arricchì fu quella della costa, creando disuguaglianze con quelle della sierra e della selva e tale situazione non permise lo sviluppo di un mercato nazionale.

Sorse nel breve periodo il problema dell’aumento della dipendenza del paese dai prestiti esteri, molto spesso usati per finanziare opere pubbliche, con conseguente richiesta di nuovi prestiti.

Inoltre, il Perù dovette affrontare due guerre brevi ma espansive, entrambe vinte: la prima, fu quella contro l’Equador (1859-60) per una disputa di confine; la seconda, nel 1866 contro la Spagna, che tentò di ottenere il controllo della zona di Chincha ricca di guano.

Negli anni del 1870, la crescita economica e la stabilità politica avevano creato le condizioni per l’organizzazione del primo partito politico, il Partito Civilista: era composto dai ricchi mercanti del guano e da uomini d’affari secondo i quali il Perù non sarebbe cresciuto se fosse continuato il potere dei militari. Nel 1873 fu eletto presidente Manuel Pardo, candidato del nuovo partito, che dovette affrontare la depressione economica di quell’anno che portò il Perù ad avere un debito estero elevato. Pardo rimase in carica fino al 1876 e il partito Civilista trovò, nell’attuale situazione sociale e politica, l’espediente per tornare ad una figura militare, Mariano Ignacio Pardo, che fu eletto nel 1876 e dovette affrontare la guerra contro il Cile.

La guerra fu causata da una disputa per lo sfruttamento dei territori contenenti nitrato, che aveva sostituto il guano nelle esportazioni. Il Cile nel 1876 attaccò la Bolivia che invocò l’allenza segreta con il Perù, firmata nel Trattato del 1873.

Il Perù fu obbligato ad entrare in una guerra per la quale era impreparato, in particolare dopo il governo antimilitare di Pardo che aveva tagliato i fondi alla difesa. Nella guerra il Perù perse gran parte della sua flotta e nel 1883 venne firmato il Trattato di pace, con il quale veniva ceduto al Cile la provincia di Tarapacà ricca di nitrato e le province di Tacna e Arica sarebbero rimaste al Cile per dieci anni, quando un plebiscito avrebbe deciso la loro destinazione.

In seguito alla guerra con il Cile, la società era distrutta e non vi era alcun dirigente civile capace di prendere le redini del governo. Nel conflitto con il Cile, il presidente era Miguel Iglesias, militare che portò alla firma del trattato di Ancon del 1883.

Iglesisas fu deposto da Andrei Avelino Caceres, che dopo aver fondato il Partito Costituzionale si presentò alle elezioni e nel giugno del 1886 fu eletto presidente del Perù. Il suo principale obiettivo era la crescita economica del paese attraverso il rifinanziamento del pagamento del debito estero. A tal fine Caceres firmo il Contratto Grace che proponeva delle condizioni svantaggiose per il Perù: agli azionisti rappresentati da William Grace venne dato

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l’usufrutto delle ferrovie per 66 anni e la facoltà di sfruttare il guano, centri minerari e la produzione di carbone. Il Perù iniziò un lungo periodo di crescita sostenuta che sarebbe durata fino agli inizi del 900 e inaugurò dal 1895 un lungo periodo di stato di diritto.

Nel 1895 venne eletto presidente Nicolas de Pierola e il suo governo fu uno dei più importanti del XIX secolo.

La repubblica Aristocratica iniziò con la “Rivoluzione del 1895”, guidata da de Pierola che riuscì a porre fine al regime sempre più dittatoriale di Caceres. Durante questo periodo, il Perù fu caratterizzato non solo da una relativa armonia politica e una rapida crescita economica e modernizzazione, ma anche da un cambiamento politico e sociale: dalla sconfitta della guerra con il Cile, nuove elitès erano emerse lungo la zona della costa e formavano una potente oligarchia basata sulle esportazioni di zucchero, cotone e minerali e dalla reintegrazione del Perù nell’economia internazionale. L’espressione politica di questa nuova classe fu il ricostituito Partito Civilista che, nel 1903, controllando il processo elettorale, riuscì a far eleggere il suo leader Manuel Candamo e a controllare tutta la presidenza fino alla Prima Guerra Mondiale. I Civilisti, produssero dei profondi cambiamenti sociali che avrebbero mutato il panorama politico. Con il graduale sviluppo dell’economia capitalista molti stranieri migrarono in Perù e diventarono proletari che lavoravano nelle nascenti industrie di Lima e a livello nazionale. I tradizionali latifondi e le miniere che potevano essere connessi con il mercato internazionale, dettero vita alle moderne piantagioni agroindustriali ed alle grandi miniere.

Il partito Civilista non fu in grado di gestire le nuove forze sociali; nel 1912 l’uomo d’affari Guillermo Billinghurst organizzò uno sciopero generale per bloccare le elezioni del candidato presidenziale Civilista e favorire la sua elezione al Congresso. Durante la sua presidenza, Billinghurst ebbe vari contrasti con il Congresso, che portarono nel 1914 all’intervento delle forze armate guidate dal colonnello Raimundo Benavides. Alle nuove elezioni nel 1904 venne eletto Jose de Pardo.

Durante il periodo della prima guerra mondiale, il paese dovette affrontare un nuovo periodo di problemi economici e sociali: le esportazioni erano temporaneamente ferme, provocando una recessione, e anche quando il commercio oltreoceano fu restaurato, stimolando la domanda per i prodotti del Peru, una spirale di inflazione fece raddoppiare il costo della vita. L’inflazione ebbe un particolare effetto negativo sulla nuova classe operaia di Lima e in tutto il paese che causò violenti scioperi.

Tutti questi cambiamenti economici e sociali raggiunsero l’apice al termine dell’amministrazione Pardo. Nelle elezioni del 1909 venne eletto Augusto Leguia, ex militante del partito Civilista, che si presentò alle elezioni come indipendente. L’amministrazione di Leguia durò undici anni, conosciuta con il nome di oncenio6, e iniziò con una nuova

Costituzione nel 1920 che dava allo Stato il potere di realizzare delle riforme economiche e sociali. Si generò una crescita economica grazie ai prestiti esteri e la vecchia oligarchia Civilista fu sostituita dalla nuova classe media. Dopo non molto tempo, le tendenze autoritarie e dittatoriali di Leguia si manifestarono: vennero soppressi i movimento dei lavoratori e studenteschi, eliminati gli oppositori dal Congresso e sospesa la Costituzione così che Leguia potesse essere rieletto nelle elezioni del 1924 e 1929. Con la crisi finanziaria mondiale del 1929 il regime di Leguia iniziò a decadere ed ebbe fine nel 1930.

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Il periodo della Grande Depressione7 rafforzò le idee della sinistra, Mariateguì fondò il Partito Comunista Peruviano, mentre Haya de la Torre, ritornato in Perù dopo un lungo esilio, organizzò l’Alleanza Popolare Rivoluzionaria Americana (APRA), un’alleanza rivoluzionaria, antimperialista di respiro continentale, nata in Messico nel 1924.

Dopo il 1930, i militari e le forze della sinistra, in particolare APRA, diventarono nuovi ed importanti attori nelle politiche del Perù. Nelle elezioni presidenziali del 1931 fu eletto Sanchez Cerro, popolare grazie al fatto di aver deposto il dittatore Leguia. Nel luglio del 1932, APRA insorse in una ribellione popolare a Trujillo, ma le forze armate risposero con una dura repressione che costò la vita a molti uomini di APRA.

L’insurrezione di Trujillo fu seguita da un’altra crisi, un conflitto di confine con la Colombia, ma prima che potesse essere affrontato, il presidente Cerro fu assassinato da un militante Aprista e il Congresso elesse Benavides (il precedente presidente) per completare il mandato di Cerro. Benavida riuscì a risolvere pacificamente la disputa con la Colombia e rimase in carica fino al 1939.

Durante gli anni trenta, l’economia del Perù fu profondamente compromessa, ma grazie alla diversificazione delle esportazioni, guidate dal cotone e dai nuovi metalli industriali, il paese nel 1933 iniziò una rapida ripresa. Lungo questo periodo APRA continuò ad essere emarginato, soprattutto per la sua tendenza antimperialista.

Alla scadenza del mandato di Benavides nel 1939, Manuel Prado, banchiere di Lima e figlio del precedente presidente, vinse la presidenza e subito, nel 1941, dovette affrontare un conflitto di confine con l’Ecuador.

Durante la sua presidenza Prado iniziò a instaurare rapporti con APRA, che nel frattempo aveva modificato il suo programma a causa dei mutamenti in ambito nazionale e internazionale dovuti al secondo conflitto mondiale. Nel 1945 il presidente legalizzò il partito che riemerse sulla scena politica dopo trent’anni di emarginazione.

La vittoria degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale rafforzò le tendenze democratiche in Perù e nel 1945, al termine del mandato di Prado, venne eletto Jose Bustamante sulla base di un’alleanza con il partito APRA. Il Presidente e il suo ministro dell’economia diedero fine alle politiche di libero mercato ed incrementarono l’intervento dello stato al fine di stimolare crescita e redistribuzione. In tal modo il governo generò un’espansione fiscale, i salari aumentarono, e si stabilirono controlli sui prezzi e sui tassi di cambio. Tuttavia, le esportazioni che erano aumentate in seguito alla guerra mondiale, iniziarono nuovamente a diminuire generando inflazione, destabilizzando il governo.

Bustamante iniziò ad entrare in conflitto con il Congresso, formato dagli Apristi, ma la situazione precipitò quando alcuni elementi APRA, nel 1947, organizzarono una rivolta. L’esercito, sotto le pressioni dell’oligarchia intervenne e prese il potere, nominando presidente, nel 1948, il Generale Manuel Odrìa.

7 La grande depressione fu una drammatica crisi economica che sconvolse l’economia mondiale alla fine degli anni 20. L’inizio della crisi si ebbe il 24 ottobre 1929 (giovedì nero) con il crollo della borsa di New York. La depressione ebbe effetti devastanti sia nei paesi industrializzati, sia in quelli esportatori di materie prime. Il commercio internazionale diminuì considerevolmente, così come i redditi delle persone fisiche, il gettito fiscale, i prezzi e i profitti.

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I bambini lavoratori domestici.

Le relazioni lavorative nella Lima del XIX secolo sono caratterizzare dalla contrastante situazione degli schiavi negli schiavi neri con quella dei lavoratori domestici indigeni.

Dalla fine del XVIII secolo la schiavitù dei neri era una istituzione in crisi: decretata la fine della tratta di schiavi, i commercianti ed i proprietari avevano grandi difficoltà a ottenere manodopera specialmente nelle tenute. Anche nelle città gli schiavi avevano maggiori libertà ed autonomia d’agire. Per risolvere queste difficoltà i proprietari ricorsero al rimpiazzo degli schiavi nelle tenute con l’importazione di cinesi, mentre per i lavori domestici vennero assunti i bambini indigeni.

Le relazioni di lavoro degli indigeni erano distinte rispetto a quelle degli schiavi neri; questi ultimi avevano maggiori possibilità di migliorare la loro posizione di fronte ai loro padroni. Ciò non significa che gli schiavi furono più combattivi degli indigeni, ma che per i migranti indigeni venuti a lavorare nelle città risultò molto più difficile superare i limiti imposti dai padroni. La realtà repubblicana è sicuramente un punto chiave di questa situazione: la schiavitù era ormai in evidente declino e gli schiavi godevano di una protezione legale che gli indios non ottennero con il declino del sistema coloniale. Gli schiavi, per il solo fatto di essere una “proprietà” ed avere un prezzo, risultavano preziosi per i padroni e per tanto questi ultimi erano obbligati a negoziare di fronte alle resistenze degli schiavi per evitare di perderli; i migranti andini, al contrario, non erano tutelati dalla legge, disprezzati in termini culturali e dovevano affrontare condizioni differenti da quelle in cui erano nati e si trovarono in grande svantaggio per affrontate gli abusi ed i maltrattamenti dei padroni. Un'altra differenza è che il lavoro domestico fu prevalentemente infantile e i bambini provenivano da zone rurali estranee alla vita della città. Non erano abituati alla vita della capitale, non avevano parenti o amici ai quali chiedere aiuto e anche la lingua era un problema, perché questi bambini migranti parlavano il quechua.

I meccanismi di reclutamento dei bambini domestici non erano molto chiari: apparentemente erano inviati a Lima da commercianti della provincia che avevano vincoli di amicizia o di affari con gli aristocratici della zona urbana. In altri casi si trattava di migranti volontari che non trovavano altra soluzione per la loro sopravvivenza se non lavorare al servizio di un padrone.

I compiti svolti dai “cholitos” e “cholitas” (così erano chiamati i bambini e le bambine lavoratori domestici) erano i medesimi di quelli che realizzavano gli schiavi: lavorare in cucina, pulire, stirare.

Successivamente il meccanismo per ottenere lavoratori domestici venne istituzionalizzato e già nel 1859 esistevano a Lima delle agenzie per ottenere dei lavoratori domestici. In aggiunta, si aveva una legislazione al rispetto: in primo luogo vi erano Regolamenti di Polizia in ogni provincia del paese che proibivano di rubare i ragazzi per poi venderli. In secondo luogo, l’esistenza di vari Regolamenti sui lavoratori domestici che più che proteggere i bambini lavoratori, stabilivano misure per evitare la loro fuga dai padroni e questo era per reprimere il vagabondaggio.

Le relazioni tra il bambino lavoratore e il padrone furono caratterizzate da maltrattamento ed abuso, che comprendevano il castigo fisico, che non era qualcosa di strano per quel periodo. Era una combinazione di paternalismo ed autoritarismo, ma il paternalismo non significava benessere per i bambini bensì abuso. Si parla, però, di una società autoritaria dove i figli

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venivano trattati con durezza e l’uso quotidiano della violenza nelle relazioni familiari rendeva quasi naturale l’applicazione di castighi corporali nei confronti dei servitori domestici. La fuga era l’unico meccanismo di resistenza da parte dei lavoratori domestici.

Il primo processo di industrializzazione, 1890 -1930.

Con il sorgere dell’industria moderna iniziò ad apparire in Perù un nuovo problema: il problema sociale relazionato alle condizioni di vita e di lavoro della nascente classe operaia. Fino alla fine del XIX secolo le basi dell’industria si erano ubicate in tre settori: le piantagioni di zucchero nella costa nord, le miniere della serra centrale e gli artigiani delle città. A partire dal decennio del 1890 iniziarono ad introdursi nelle città, specialmente a Lima, nuove industrie, orientate al consumo dei suoi abitanti, quali la tessile, delle costruzioni ed elettrica, etc.

Inoltre, sorse un nuovo settore bancario e finanziario, scomparso dalla Guerra del Pacifico. La classe operaia di quel periodo era numericamente ridotta e geograficamente dispersa, e in più nelle città era confusa con i lavoratori dei vari gruppi artigiani, che durante il XIX secolo erano andati perdendo il loro carattere di corporazioni per diventare sempre più indipendenti. L’apparizione della classe operaia fu motivo di preoccupazione per la classe dominante peruviana, che tentò di proporre leggi che potessero evitare quei problemi sociali che l’Europa stava già affrontando. Tra le varie leggi proposte vi erano anche quelle riguardanti il lavoro dei bambini.

Tra il 1901 ed il 1930 vennero elaborate almeno dieci leggi in materia lavorativa: 1. Regolamento sul servizio domestico, 1901.

2. Legge per gli incidenti sul lavoro, 1911.

3. Legge sul salario minimo dei lavoratori indigeni, 1916.

4. Legge che modifica ed amplia la disciplina degli incidenti sul lavoro, 1916. 5. Legge sul riposo settimanale e le ferie, 1918.

6. Legge sul lavoro delle donne e dei minori, 1918. 7. Legge per la giornata lavorativa di otto ore, 1919. 8. Legge di coscrizione per la viabilità, 1920.

9. Regolamento di legge sul lavoro delle donne e dei minori, 1921. 10. Legge sull’oziosità, 1924.

Le leggi sul lavoro, però, tarderanno vari anni prima di essere approvate perché i settori più conservatori del parlamento ed i rappresentati di fabbriche e laboratori le consideravano svantaggiose per i loro propri interessi.

Dall’altro lato vi erano anche accademici ed intellettuali che ribadirono la necessità di una legislazione operaia per rispondere alla necessità di prevenire le proteste sociali che gli operai realizzavano, in Europa, attraverso gli scioperi e che manifestavano i primi sintomi anche in Perù. Si trattava, quindi della necessità di una legislazione preventiva che riguardasse i principali conflitti tra capitale e lavoro.

La legislazione avrebbe dovuto contenere: • la limitazione della giornata lavorativa; • il riposo domenicale;

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• l’obbligo per i datori di lavoro di pagare i salari in denaro;

• l’obbligo di rispondere per gli incidenti sul posto di lavoro, con la sicurezza garantita; • la tutela delle donne e dei bambini che lavorano.

Il motivo della richiesta di protezione dei bambini lavoratori riguardava il considerarli come soggetti deboli fisicamente e moralmente.

Inoltre la legge avrebbe dovuto stabilire una relazione tra lavoro infantile ed istruzione almeno fino alla conclusione della scuola primaria. Per le bambine, in cambio, si instaurò una relazione tra età e capacità fisiologica riproduttiva, e quindi non si esigeva per le femmine l’obbligatorietà dell’istruzione, ma la limitazione del lavoro fisico eccessivo che potesse compromettere la loro capacità di procreare e pertanto di essere spose e madri.

Tutto ciò si concretizzò nella Legge n. 2851 del novembre 1916 che considerava come “lavoro minorile” tutte le occupazioni svolte per conto terzi, con le seguenti eccezioni: attività realizzate sotto la vigilanza dei genitori o di un tutore, attività svolte nel servizio domestico, e lavori nel settore dell’agricoltura dove è era richiesto l’uso di macchinari.

La legge stabiliva che i minori potessero iniziare a lavorare dopo i 14 anni8: un’eccezione riguardava i minori di 14 anni ma maggiori di 12, che potevano essere ammessi a lavorare solo se in grado leggere, scrivere e avessero un certificato medico di attitudine fisica per il lavoro al quale sarebbero potuti essere ammessi.

I minori potevano realizzare il lavoro notturno (dalle 8 p.m. alle 7 a.m.) solo dopo il compimento del ventunesimo anno d’età. Altrimenti era concesso, sempre dopo i 18 anni, alla presenza di un certificato medico che ne garantisse la capacità fisica.

Era vietato anche lo svolgimento di lavori sotterranei nelle miniere e nelle cave e, in generale, tutte quelle attività che fossero pericolose per la salute e la morale dei minori.

La legge predisponeva che le donne ed i bambini godessero di due ore continue di riposo a metà giornata e che gli indennizzi per incidenti sul lavoro fossero di un 25% in più: purtroppo tale legislazione non veniva rispettata dai datori di lavoro e il modo migliore per evitare i problemi con le autorità incaricate di verificare il rispetto della normativa, era di non inserire i minori nei registri delle fabbriche o dei laboratori, soprattutto in seguito allo stabilimento della giornata lavorativa di otto ore.

Come già spiegato, la legge n. 2851 non riguardava l’attività dei minori nel lavoro domestico. Le relazioni tra padroni e domestici non si erano modificate dall’inizio del XIX secolo: la maggioranza di tali lavori erano svolti da bambini portati dalle zone rurali, soprattutto dai proprietari delle terre che risiedevano a Lima, che subivano abusi e maltrattamenti che, in certi casi, portarono all’assassinio del padrone di casa.

Un'altra legge che riguardò la popolazione dei minori fu la cosiddetta Legge n. 4891 del 18 gennaio 1924 sull’oziosità, attraverso la quale molti bambini furono portati in varie istituzioni di beneficenza ed obbligati a lavorare come aiutanti nella realizzazione di opere pubbliche.

Secondo la legge era considerato vagabondo qualsiasi individuo che, non disponendo di beni o di rendite, non esercitava nessuna professione o non aveva un impiego che gli permettesse di sopravvivere; come pena, l’impiego nei lavori pubblici.

8 Il limite dei 14 anni d’età era in relazione con la legislazione dell’istruzione che stabiliva l’obbligo della scuola

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