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Dal criticismo kantiano all’idealismo romantico: J. G. Fichte

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Dal criticismo kantiano all’idealismo romantico:

J. G. Fichte

L’uomo si chiede la causa del proprio esistere, e Fichte ci dice che la sola causa ragionevole che può avere la nostra esistenza è unicamente quella che noi daremo alla nostra vita, cioè il fine che ci imporremo di conseguire con le nostre forze.

V. E. Alfieri, Introduzione a La missione del dotto Premesse

Abbiamo visto che l’idealismo, che nasce sulla scia del pensiero di Kant, spinge il potere conoscitivo della ragione ben oltre i confini segnati da Kant.

Se Kant mette l’accento sui limiti del conoscere, il quale può spingersi soltanto fino a dove arriva l’esperienza, ovvero fintanto che la ragione si esercita su oggetti sensibili, senza inerpicarsi sul difficile terreno della metafisica, del soprasensibile e dell’Assoluto, abbiamo invece compreso come l’idealismo celebri il ritorno della metafisica e dell’infinito quali oggetti della filosofia.

La filosofia romantica si contrappone dunque – anche se le semplificazioni didattiche sono qui un po’ troppo grossolane – alla filosofia illuministica e kantiana come una filosofia dell’infinito a una filosofia del finito.

Secondo gli idealisti il bisogno che la ragione ha di cogliere i fenomeni metaempirici, di trascendere il sensibile per conoscere il soprasensibile, l’Assoluto e l’infinito (ossia il senso più profondo di tutto ciò che esiste) deve essere soddisfatto dalla filosofia.

Per i diversi significati e la genesi del termine idealismo cfr. manuale, L’idealismo romantico tedesco.

Idealismo: In sintesi:

• il termine idealismo è introdotto nel linguaggio filosofico intorno alla metà del Seicento in riferimento alla dottrina platonica, che fa consistere nelle idee la vera realtà, in opposizione alle cose materiali, mutevoli e precarie, la cui consistenza reale è solo apparente.

• E’ stato poi usato in altre accezioni, e specificamente per designare: 1) l’impianto gnoseologico proprio di varie correnti della filosofia moderna e contemporanea; 2) una corrente storicamente determinata.

• In quest’ultimo senso “idealismo” è il nome di una grande corrente di pensiero che si afferma in Germania nel periodo postkantiano (per opera soprattutto di Fichte, Schelling ed Hegel), secondo cui sola e unica realtà è lo spirito, e tutto quanto esiste è manifestazione dell’attività dello spirito.

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L’idealismo etico di Fichte

1.1. Con Fichte (1762-1814) ha luogo il passaggio dal criticismo kantiano all’idealismo romantico, che – nelle pagine fichtiane – si declina nelle forme di un pensiero morale.

Nonostante Fichte sia un pensatore estremamente teoretico, anzi tra i più teoretici della storia della filosofia, il vero senso della sua filosofia va infatti ritrovato in una decisa esaltazione della vita activa, nel quale la teoria è subordinata alla prassi.

In questo primato che Fichte assegna alla ragione pratica, all’azione più che alla contemplazione, alla ragione morale che riveste un ruolo centrale anche nella teoria della conoscenza, il valore di concetti quali quelli della libertà e dello sforzo attuato per raggiungerla assumono importanza assoluta e fondamentale.

Tuttavia, prima di affrontare il pensiero di Fichte, ritengo sia necessario avere presenti – in via preliminare – un paio di aspetti della sua filosofia che in seguito approfondiremo meglio:

La vocazione filosofica di Fichte è stata occasionata dagli scritti di Kant. Ma Fichte non si ferma agli insegnamenti del maestro, perché:

• Kant aveva voluto costruire una filosofia del finito, Fichte vuole costruire una filosofia dell’infinito

• Ora, per Fichte il concetto romantico di infinito va inteso in senso morale, ossia come infinita e assoluta libertà dell’io, dell’uomo, o dello spirito

• L’uomo deve realizzare la sua essenza, ossia l’infinita libertà che egli è, nella sua dimensione morale (o pratica).

• Ricorderemo Fichte, allora, come il filosofo dell’infinità dell’Io, della sua assoluta attività e spontaneità, quindi della sua assoluta libertà.

• Per la tensione morale che lo caratterizza, l’idealismo fichtiano prende il nome di idealismo etico.

• Questa autonomia può essere garantita solo da una filosofia che afferma l’assenza di ogni dipendenza dell’io rispetto alle cose.

• Questa filosofia è l’idealismo, come atteggiamento filosofico ed esistenziale per cui è il pensiero, lo spirito, la mente dell’io a produrre la materia, non viceversa.

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1.2. Secondo Fichte, la filosofia kantiana non liberava il soggetto dalla sua dipendenza dalla realtà empirica.

E’ questo il cuore della critica fichtiana a Kant, il quale – pur essendosi distanziato da una visione della conoscenza in cui il soggetto è passivo – ha in ogni caso delimitato l’Io penso o Autocoscienza con l’ammissione di qualcosa di esterno e irriducibile a esso: la cosa in sé, limite invalicabile del conoscere.

In questo modo Kant assegna dei limiti al soggetto, e non lo riconosce come infinita originalità creatrice del mondo esterno.

L’idealismo è l’atteggiamento filosofico opposto, e dunque consiste nel partire dall’Io per spiegare il mondo oggettivo (la natura, la materia, i corpi e tutta la realtà, nel lessico fichtiano: il non-Io).

Negando ogni autonomia e indipendenza alla realtà esterna all’Io (realtà esterna che deve semmai la sua esistenza all’Io), e affermando la piena autonomia e l’assenza di ogni condizionamento e dipendenza dell’Io da parte delle cose, il carattere dell’Io è dunque assoluto e infinito.

L’idealismo è la filosofia che meglio esprime la libertà assoluta del soggetto: esso si qualifica come filosofia della libertà.

Nota bene:

Ora, la conseguenza filosofica di questa esaltazione idealistica dell’assoluta libertà e autonomia del soggetto va ritrovata sul piano morale.

Questa libertà va letta come volontà di progredire nel perfezionamento morale e spirituale, un impegno etico la cui possibilità di realizzazione è aperta appunto dal carattere assolutamente libero del soggetto, dalla sua autonomia e sovranità nei confronti di una realtà dalla quale non dipende, e a cui non è asservito, ma che anzi il soggetto stesso plasma e a cui dà senso.

L’affermazione secondo cui, per Fichte, l’Io è essenzialmente libertà significa che l’Io non è secondario né dipendente da un mondo di cose esterne, che non trae significato dalle cose esterne (non-Io), bensì, semmai, che è originario, ossia che è ciò da cui solo trae significato e realtà il mondo.

L’Io è dunque il creatore del senso del mondo, e della sua realtà concreta, il principio primo in base al quale tutto il resto è deducibile.

Sintesi:

Kant: Io limitato dalla cosa in sé Fichte:

1) Io puro (ossia libero dal condizionamento delle cose) come punto di partenza del sistema fichtiano;

2) Io puro come attività libera e priva di limiti;

3) Io puro come infinita attività creatrice del mondo e di se stesso.

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1.3. Caratteri dell’idealismo fichtiano

In sintesi, l’idealismo fichtiano si caratterizza a questo punto per alcuni elementi teoretici distintivi:

• La necessità di prendere a fondamento della nuova filosofia il pensiero kantiano, ma al tempo stesso di affrontare il problema lasciato aperto da Kant, l’esistenza di una nozione come quella di cosa in sé.

• La cosa in sé è, per Fichte, un limite posto alle capacità conoscitive del soggetto. Ciò significa anche porre un limite alla libera soggettività umana.

• Secondo Fichte tutto ciò che si percepisce e si pensa è conoscibile soltanto perché esiste il soggetto, e attraverso le leggi di quello. A questo – che era già stato detto da Kant – Fichte aggiunge il fatto che il pensiero (l’Io) non solo condiziona – kantianamente – l’oggetto (il Non-Io, l’Altro), ma lo pone, ovvero lo costituisce.

• In altre parole l’Io è non solo l’unico principio del conoscere, cioè alla sua attività è dovuto non solo il pensiero della realtà, ma questa stessa realtà nel suo contenuto materiale.

• L’Io è infinito in quanto è l’unica sorgente della realtà materiale. E’ dunque l’Io a determinare le cose esterne; esso è originario, nel senso che l’Io costituisce il mondo.

• L’Io penso o trascendentale kantiano, da organizzatore e unificatore di un molteplice sensibile che gli viene dal di fuori (soluzione kantiana), diventa produttore anche del molteplice sensibile.

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2. La Dottrina della scienza

2.1. La filosofia di Fichte è conosciuta soprattutto attraverso il suo primo testo di carattere programmatico: i Fondamenti dell’intera dottrina della scienza, o anche semplicemente la Dottrina della scienza (1794-95).

Quest’opera di dottrina della scienza teoretica, di carattere dunque epistemologico, conferisce a Fichte il ruolo di vero e proprio fondatore dell’idealismo trascendentale, di cui la Dottrina è considerata il manifesto.

La Dottrina della scienza è pensata come una sorta di “filosofia prima”, ossia di sapere preliminare che sta alla base di ogni altra e ulteriore conoscenza.

Con la sua filosofia teoretica Fichte vuole mostrare come, muovendo dall’Io puro, sia possibile dedurre rigorosamente da esso tutto il reale: la natura, il nostro corpo, le cose intorno a noi.

• Dobbiamo spiegare il significato dell’espressione “idealismo trascendentale”. Il vocabolo kantiano trascendentale significa “che è condizione della pensabilità di qualche cosa”; dunque l’espressione idealismo trascendentale significa più o meno che l’idea (da intendersi come spirito, coscienza, o ancora soggetto pensante) è condizione della pensabilità della materia.

• Il vero protagonista della Dottrina della scienza fichtiana è l’Io puro (dove puro vuol dire fuori da ogni relazione con oggetti esterni): di cosa si tratta? Che cos’è l’Io? Qui sotto proverò a darne alcune definizioni, seguite dalle sue caratteristiche.

Per Io dobbiamo intendere:

 l’Autocoscienza, cioè la ragione nella purezza o assolutezza della sua essenza disincarnata; è la condizione stessa del pensare, quella che è presente in tutti gli uomini, ma che diventa realtà trascendente e separata dall’uomo;

 in altre parole, è la funzione del pensare che, astratta dall’uomo, prende vita autonoma e natura di soggetto in sé e per sé, ossia indipendente dalla realtà, trascendente e fuori dall’uomo;

 l’Io va inteso e pensato come l’universale astratto nello stesso modo con cui ci si riferisce anche al concetto di umanità: essa è l’insieme di tutti gli uomini, pur senza identificarsi con nessun uomo in particolare.

 in ultimo, ma con qualche riserva, potrei dire che l’Io è il soggetto assoluto allo stesso modo in cui lo è dio. Ma questa è una definizione che può andare bene solo se la usiamo come una sorta di analogia, più che come una vera definizione.

Quali sono le caratteristiche dell’Io fichtiano?

 Esso è inesauribile produrre, è un porre illimitato, una pura funzione dinamica che può vivere solo nell’azione, nel fare, nell’attività.

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 E’ attività creatrice del mondo, dato che questo – senza l’Io – non avrebbe né significato né esistenza. L’Io non va dunque confuso con l’io empirico, che è anzi una produzione dell’Io che chiameremo puro o universale.

 L’Io, inteso come infinita originalità creatrice, è infinito nella sua essenza, ed è fuori del tempo (il tempo è anzi la manifestazione della realizzazione successiva e progressiva in cui l’Io, limitandosi, prende coscienza di sé).

 L’Io puro fichtiano è dunque condizione di ogni possibile esistenza.

Questo Io generale, che è presupposto da ogni posizione di esistenza, non è l’io individuale, il soggetto individuale, bensì ciò che ne costituisce il fondo, l’essenza.

 Esso non è il nostro stato di individui limitati, bensì ciò che costituisce il loro presupposto. In altre parole, l’Io puro è la condizione di ogni essere empirico, tra cui l’uomo (io empirico).

 Tuttavia l’Io non può giungere alla coscienza di se stesso se non nelle sue determinazioni empiriche, ossia tramite i modi particolari nei quali la vita cosciente si realizza e si manifesta.

 L’Io è sempre uno e identico a sé, il mondo empirico è invece molteplice.

 In altri termini, l’Io infinito o puro di cui parla Fichte non è qualcosa di diverso dall’insieme degli io finiti nei quali esso si realizza, esattamente come l’umanità non è qualcosa di diverso dai vari individui che la compongono, anche se l’Io infinito, come l’Umanità, perdura nel tempo, mentre i singoli io finiti e i particolari individui sono soggetti alla nascita e alla morte.

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Riepilogo dei concetti chiave e delle questioni di fondo finora trattate

• Per la tensione morale che lo caratterizza l’idealismo fichtiano prende il nome di idealismo etico

• Per Fichte il concetto romantico di infinito va inteso in senso morale

• E cioè, l’io fichtiano è infinita libertà: ciò perché alla sua attività sono dovuti non solo il pensiero della realtà oggettiva, ma questa stessa realtà nel suo contenuto materiale

• Questa autonomia può essere garantita solo da una filosofia che afferma l’assenza di ogni dipendenza dell’io rispetto alle cose

• Questa filosofia è l’idealismo, come atteggiamento filosofico ed esistenziale per cui è il pensiero, lo spirito, la mente dell’io a produrre la materia, non viceversa

• La posizione idealistica è guadagnata in opposizione alla filosofia kantiana

• Secondo Fichte, la filosofia kantiana delimitava l’Io penso o Autocoscienza con l’ammissione di qualcosa di esterno e irriducibile alla coscienza: la cosa in sé come limite invalicabile del conoscere

• In questo modo Kant assegnava dei limiti al soggetto, e non lo riconosceva come forza creatrice del mondo esterno

• L’idealismo è l’atteggiamento filosofico opposto: non vi è nessuna realtà esterna all’io, essa deve semmai la sua esistenza alla presenza dell’io

• Ciò è abbastanza comprensibile se pensiamo che, per affermare che qualcosa esiste, dobbiamo sempre rapportarlo alla nostra coscienza, dunque l’oggetto è sempre un oggetto-per-noi: la coscienza è allora il fondamento dell’essere

• Dunque l’io non solo non dipende dalle cose, ma ne è anzi l’unica ragion d’essere

• Qui abbiamo colto un primo significato del termine fichtiano di libertà:

 il soggetto è libero nel senso che non dipende dalla realtà, a cui non è asservito, ma anzi il soggetto stesso è il principio primo a partire dal quale ha senso dire che qualcosa esiste

 se questo è vero, allora l’io che percepisce, conosce, pensa l’oggetto crea l’oggetto, cioè concretamente produce il materiale sensibile

• L’affermazione secondo cui, per Fichte, l’Io è essenzialmente libertà significa dunque che l’Io non è secondario né dipendente da un mondo di cose esterne, che non trae significato dalle cose esterne (non-Io), bensì, semmai, che è ciò da cui solo trae significato e realtà il fenomeno

• L’Io è dunque il creatore del senso del mondo, e della sua realtà concreta, il principio primo in base al quale tutto il sistema della realtà è deducibile

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• Ora, per Fichte, la conseguenza filosofica di questa esaltazione idealistica dell’assoluta libertà e autonomia del soggetto va ritrovata innanzitutto sul piano morale

• Questa libertà, infatti, va letta anche (ed è un secondo significato del concetto di libertà) come

 volontà di progredire nel perfezionamento morale e spirituale

 per perfezionamento morale quale sinonimo di libertà ho poi inteso qualcosa di molto simile a ciò che intendiamo quando diciamo che il sapere rende liberi

 in altre parole, per Fichte progresso morale significa liberare l’uomo dalle catene dell’ignoranza

 progredire moralmente significa rendere razionale, cioè comprensibile e conoscibile, l’oscuro mistero dell’esistenza e dell’agire della natura

 libertà, o progresso morale, in questo caso, significa ricondurre alla razionalità ciò che appare irrazionale

 realizzare la libertà è anche non accontentarsi dello stato presente dell’umanità, dei rapporti attuali degli uomini tra loro stessi e con la natura, ma puntare “incessantemente verso il futuro e il meglio”, come scrive Fichte in un passo della Missione dell’uomo

 si tratta di credere – con le parole di Fichte dai Discorsi alla nazione tedesca – nella “migliorabilità infinita e nell’eterno progresso della nostra specie”

 questa fiducia nel progresso della razionalità è un vero e proprio riflesso di illuminismo in Germania.

• Poi abbiamo cercato di definire la natura di questo Io puro:

 È l’atto o la funzione del pensare, ma che si fa realtà autonoma fuori dall’uomo, e che lo trascende

 l’Autocoscienza, cioè la ragione nella purezza o assolutezza della sua essenza disincarnata; è la condizione stessa del pensare, quella che è presente in tutti gli uomini, ma che diventa realtà trascendente e separata dall’uomo

 È definibile anche come dio, nel senso di soggetto assoluto, realtà spirituale trascendente da cui tutto deriva, fonte del reale; un dio che produce le cose con un atto del pensiero

• Abbiamo anche tentato di capire cos’è I’Io puro, dandone le caratteristiche:

 E abbiamo detto allora che dobbiamo distinguere tra un Io puro o assoluto o universale e un io empirico

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 L’io empirico non crea problemi, è l’individuo, il soggetto singolo calato nella realtà quotidiana, quello sottoposto alla vicenda del nascere, del divenire e del morire

 L’Io puro invece qualche problema lo dà: innanzitutto, si chiama puro proprio perché non è coinvolto nell’esistenza materiale come l’io empirico

 Anzi, in quanto puro, esso precede la realtà nel suo contenuto materiale ed è la condizione stessa dell’esistenza di tutto ciò che esiste

 E’ insomma il principio assoluto da cui emana la realtà concreta, che a questo punto esiste solo in quanto esiste una realtà spirituale che la pensa, e nel pensarla la rende possibile, ossia la produce materialmente

 esso è inesauribile attività creatrice del mondo, dato che questo – senza l’Io – non avrebbe né significato né esistenza.

 L’Io non va dunque confuso con l’io empirico

 l’Io è infinito nella sua essenza, ed è fuori del tempo

 L’Io puro è la condizione di ogni essere empirico, tra cui l’uomo

 Tuttavia l’Io non può giungere alla coscienza di se stesso se non tramite i modi particolari nei quali la vita cosciente si realizza e si manifesta.

 L’Io è sempre uno e identico a sé, il mondo empirico è invece molteplice.

 L’Io infinito o puro di cui parla Fichte non è qualcosa di diverso dall’insieme degli io finiti nei quali esso si realizza, esattamente come l’umanità non è qualcosa di diverso dai vari individui che la compongono, anche se l’Io infinito, come l’Umanità, perdura nel tempo, mentre i singoli io finiti sono soggetti alla nascita e alla morte.

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3. La vicenda dell’Io universale 3.1. L’Io e la sua attività

Nella Dottrina della scienza si afferma innanzitutto che l’Io puro o universale è infinita attività creatrice. Lo è perché conferisce senso e realtà al mondo, il quale – altrimenti – non potrebbe esistere.

Sappiamo infatti, ormai, che:

 per gli idealisti tutto ciò che esiste è esistente in quanto vi è una coscienza che lo percepisce, che ne ha conoscenza, e che gli conferisce senso e significato

 per l’idealismo, questo rappresentarsi le cose del mondo equivale a crearle.

Noi possiamo dire infatti che qualcosa esiste solo rapportandolo alla nostra coscienza, solo in quanto appare a noi: senza l’io, cioè se l’io non esistesse, non ci sarebbe dunque alcun atto dell’attività conoscitiva (percezione, rappresentazione, pensiero, giudizio, principio logico).

Ora, sulla base di questa elementare considerazione della vita teoretica dell’uomo, della vita della sua mente, ossia la presenza di una coscienza alla quale appaiono gli oggetti, oggetti che – a rigor di logica, idealistica perlomeno – non potrebbero esser detti esistenti senza un io penso, Fichte modella il suo Io puro in generale, come sorta di originario atto di coscienza che a tutto dà senso e tutto fonda.

Questo Io iniziale, creatore del mondo, non è quindi l’io personale o empirico di ciascun individuo (non è – cartesianamente – il cogito ergo sum). Sebbene sia stato foggiato in analogia con la coscienza dell’uomo, esso è la coscienza in generale, l’Io originario o universale.

Si tratta di una realtà spirituale che precede l’esistente: l’Io puro, appunto, come fondamento di ogni realtà.

Questo Io puro o Spirito è un processo creativo e infinito: un porre illimitato e inesauribile.

La dinamicità dell’Io originario si articola in tre momenti essenziali.

Nel primo momento “l’Io pone se stesso”. L’io non potrebbe stabilire alcun rapporto con la realtà al di fuori di sé se non ponesse prima se stesso, cioè se non si ponesse come esistente.

L’io non può affermare nulla senza affermare in primo luogo la propria esistenza.

Esso, a sua volta, non è posto da altri, ma si pone da sé (se lo ponesse qualcuno, ecco che non sarebbe più una realtà originaria, qualcosa infatti sarebbe più originario di lui).

Dunque, il primo principio della Dottrina della scienza afferma che l’Io, pensando se stesso, “pone se stesso” come realtà originaria e autocreatrice.

L’Io, poi, non è immobile, anzi è infinita tensione verso un’ideale meta di perfezione. Allora l’Io sarebbe qualcosa di astratto e di vuoto, se non si trovasse di fronte a un Non-io, ossia a qualcosa che è diverso da sé, e che gli si contrappone, gli resiste, fungendo da ostacolo alla sua attività.

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L’Io universale, dunque, se non ponesse qualcosa di diverso da sé sarebbe solo un’astrazione, qualcosa di perfetto ma vuoto, statico e privo di vita nella sua perfezione.

Ma si è detto che l’Io puro è costantemente impegnato in un’infinita attività creatrice. Ecco allora che per esistere deve dare vita a un’altra realtà.

Da ciò il secondo momento della deduzione fichtiana, che è quello per cui “l’Io” – inesauribile attività creatrice – “pone il non-Io”.

L’Io pone un Non-Io contro la sua propria irrefrenabile produttività. All’Io è opposto quindi un non-Io come realtà altra posta dall’infinita attività produttiva dell’Io. Nasce così un’autolimitazione volontaria, e nasce in modo inconsapevole.

Allora “l’Io si pone nel Non-Io un limite rispetto alla sua stessa produttività infinitamente esuberante. Il soggetto dunque pone e produce l’oggetto per amore di se stesso, per avere un limite e non fluire all’infinito”.

Il perché della posizione del Non-Io sarà chiaro quando parleremo della morale, cioè della dottrina della scienza pratica.

Il non-Io è il mondo della natura e della molteplicità; come tale comprende tutto ciò che è materiale e privo di ragione, anche il nostro corpo e le nostre sensazioni.

In altri termini, l’io non solo pone se stesso, ma oppone anche a se stesso qualcosa che, in quanto gli è opposto, è un non-io (oggetto, mondo, natura, tutto ciò che è sensibile e corporeo).

Tale non-io (la natura, il mondo sensibile), che appare alle coscienze individuali e finite qualcosa di esterno e contrapposto a esse, non è tuttavia tale se considerato dalla prospettiva dell’Io puro.

Il non-io è infatti posto dall’Io stesso ed è quindi interno all’Io puro: è chiaro il tentativo fichtiano e idealistico in genere di spiritualizzazione della natura. La natura, il mondo e gli individui non esistono insomma prima dell’Io, in modo indipendente da esso;

sono piuttosto momenti indispensabili della vita dello spirito, sue manifestazioni.

Ora, però, il principio spirituale, l’Io puro, non sarebbe conoscibile se non si mostrasse nelle sue manifestazioni empiriche: è questo il terzo momento della vita dell’Io; l’Io si particolarizza e si concretizza nei singoli io empirici e finiti, nella pluralità dei soggetti empirici, negli individui (l’uomo inteso come intelligenza o ragione) che trovano di fronte a loro il mondo esterno o non-Io.

L’io empirico e il non-Io hanno nell’Io puro la loro fonte, sono le determinazione empiriche dell’Io puro, che però esiste concretamente solo attraverso le sue manifestazioni particolari, ossia la natura e la molteplicità degli io finiti.

Così è dunque concepibile il mondo: una somma di Non-Io con l’eccezione del proprio io.

E’ necessario precisare che questi tre princìpi, o momenti, dell’“attività liberamente fluttuante” dell’Io universale non vanno intesi in senso cronologico, bensì logico.

Fichte non vuole dire che prima esiste l’Io infinito, che in seguito pone il Non-Io della natura, del quale infine fa parte anche l’io individuale.

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Con il primo principio, afferma Fichte, è subito inevitabilmente pensato e posto insieme anche il secondo. Ciò vuol dire che non vi è assolutamente nessun Io senza un Non-Io e assolutamente un Non-Io senza un Io.

Dire che non esiste un Non-Io senza un Io, a sua volta, significa che non si dà per la natura la possibilità di essere una realtà autonoma, che precede lo Spirito. Essa è qualcosa che esiste soltanto come manifestazione dell’Io, in relazione all’Io e in funzione dell’Io. E quindi per l’Io e nell’Io.

Ma dire che non vi è nessun Io senza un Non-Io significa dire che, posto il soggetto, è necessariamente e contemporaneamente posto anche l’oggetto, e anzi è solo grazie alla presenza del mondo sensibile e dell’io empirico che l’Io può giungere alla coscienza di sé.

L’io individuale incarna in sé in modo concentrato l’Io universale, che dunque viene a manifestazione soltanto nell’uomo; ma se questo è vero, è vero anche che dio viene risolto negli uomini, e gli uomini fanno ingresso nel divino.

Sarà una conquista che, come vedremo, avverrà nel campo della dottrina della scienza pratica, ossia della morale.

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4. La centralità dell’etica 4.1. Io, non io e vita morale

Abbiamo affermato che l’Io puro di Fichte, essendo attività, ha bisogno di porre un oggetto di fronte a sé come proprio limite (o ostacolo), affinché possa superarlo e rivelare il suo aspetto peculiare che risiede nello Streben, “sforzo, tensione”.

L’io è infinito in quanto si rende tale, svincolandosi dalla realtà sensibile che esso stesso pone; e la pone perché senza di essa la sua libertà infinita non sarebbe possibile.

L’insieme delle cose particolari e contingenti è il non-Io.

Il non-Io è necessario perché la nostra attività morale abbia uno stimolo che la faccia sorgere, un ostacolo contro cui lottare.

L’Io pone il limite del Non-Io per avere un oggetto pratico di resistenza, per poter essere attivo in questo limite, per poter superare di nuovo e sempre il Non-Io che gli si oppone.

Per Fichte la presenza del non io (che costituisce appunto questo ostacolo posto all’azione dell’Io) può essere spiegata solo in relazione alla moralità. In altri termini, per Fichte il mondo esterno esiste solo in quanto costituisce il teatro dell’agire morale dell’Io.

Il mondo esterno costituisce pertanto il campo del nostro agire e la natura (comprese le nostre passioni e il nostro corpo) l’ostacolo che l’Io si costruisce per mettersi alla prova, superarlo e, quindi, realizzarsi come libertà.

L’attività dell’Io sul non-io costituisce l’azione morale. Lo sforzo che tende a ricondurre il non io (l’oggetto, la natura) alla pura attività dell’Io, cioè a trionfare su esso e ad affermare su esso il potere della ragione, è l’attività morale, l’agire etico.

In altre parole, di fronte all’uomo sta un mondo naturale, materiale che (sia pure opera della produzione inconscia dello spirito) appare diverso e nemico all’Io, realtà irrazionale che si contrappone alla razionalità della coscienza.

Bisogna allora che anche le cose siano sottomesse alla legge dello spirito: che il loro meccanismo sia dominato dalla finalità, propria del nostro mondo morale: che quella molteplicità che noi non sappiamo perché sia quello che è, perché tale e non altra, sia domata dal nostro lavoro, acquistando così un significato e un valore.

Ed ecco che l’uomo pone mano alle cose, e apre strade, costruisce case, inventa macchine, vince gli elementi, strappa alla natura i suoi segreti, cerca sempre nuove utilità materiali che in tanto si giustificano in quanto servono a rendere più libero l’uomo nella sua opera morale. Solo così si può parlare di una razionalità del mondo esterno, di una razionalità effettiva di esso.

In questa concezione della natura, però, in cui tutto è pensato come materiale per la realizzazione degli scopi dell’uomo, si realizzano effetti entusiasmanti per l’uomo, non per la natura.

Il mondo rimane qualcosa di estraneo, di altro, di cui l’uomo deve fare qualcosa, che assumerà un senso autentico soltanto dopo l’utilizzo da parte umana: sicché Fichte è stato criticato (da Schelling, ad esempio, ma non solo) per aver mancato di cogliere l’intero ambito della natura nella sua bellezza e nella sua autonomia, in ultimo nella sua vera identità e dignità.

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Nella dottrina fichtiana della scienza è solo l’Io a trionfare, quello universale e quello individuale come manifestazione del primo, e in effetti questo primato e questa enfasi sull’io è tipica del romanticismo, con il suo egocentrismo e la sua esaltazione dei moti individuali dell’anima.

Ebbe in questo senso ragione F. Schlegel a dire che le tre grandi tendenze del suo tempo erano la Rivoluzione francese, il Wilhelm Meister di Goethe e la dottrina della scienza di Fichte.

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4.2. La vita morale e la missione del dotto

Per Fichte compito dell’uomo è dunque quello, altamente morale, di affermare la libertà.

L’uomo stesso deve affermarsi come libertà: ciò significa superare tutto ciò che è limite, passività, materia – quindi la natura, la molteplicità delle cose, la nostra stessa corporeità.

E cosa significa superare tutto ciò? Significa che l’uomo realizza se stesso come soggetto etico solo nella misura in cui, da una parte, si rende autonomo, ossia libero da condizionamenti esterni, compresi gli istinti e le passioni, dall’altra introduce la propria razionalità nel mondo esterno (comprendendo le leggi che lo governano e trasformandolo per le proprie necessità).

L’uomo fa tutto questo nel mondo, il quale esiste – dunque – in funzione della sua attività morale, nel fare ciò l’uomo si afferma allora come libertà, realizzando la vera natura dell’Io puro: segue da ciò che la sfera più importante di vita dell’uomo è non tanto la conoscenza, quanto la vita morale.

Potremmo dire che il proposito fichtiano è quello di sottomettere alla razionalità tutto ciò che non è dotato di ragione o non prodotto direttamente e consapevolmente dalla ragione: gli impulsi e le passioni innanzitutto, e il mondo delle cose sensibili.

L’opera dell’attività razionale, la capacità di dominare la natura in noi e fuori di noi, elevando la sensibilità e subordinandola alla ragione, è ciò che Fichte chiama cultura.

L’uomo ha la missione di plasmare se stesso, attuando nella vita quotidiana quell’impegno etico in cui consiste la sua libertà.

Questo è il fine della cultura, che implica l’idea di una educazione e di una formazione continua, attuata grazie alla ragione, che sottomette gli istinti e la sensibilità, subordinando la materia allo spirito, al pensiero.

La perfezione dell’uomo è intesa dunque come continua conquista, come perfezionamento all’infinito, cui la cultura o educazione sono dirette.

Con le parole del filosofo: “L’uomo esiste per divenire egli stesso sempre migliore moralmente e per rendere migliore materialmente e (se consideriamo l’uomo nella società) moralmente tutto quanto lo circonda, conquistandosi così una felicità sempre maggiore”.

Vi è dunque – per Fichte – un ruolo morale della cultura, ed è ciò che è espresso nell’opera considerata il capolavoro fichtiano, La missione del dotto, raccolta di cinque lezioni di educazione morale tenuta a Jena nel 1794, dove la classe dei dotti, ossia degli intellettuali, occupa un ruolo altamente onorevole nella società: essi hanno il compito dell’educazione degli altri uomini; promuovendo il progresso e lo sviluppo della cultura, il dotto guida la formazione morale e spirituale del genere umano.

Questo perfezionamento morale dell’uomo è per Fichte un compito altissimo, ma anche infinito, mentre il dotto – proprio in ragione di questa missione educativa, e in quanto maestro – dev’essere l’uomo moralmente migliore del suo tempo.

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