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CAPITOLO II APPROCCIO CLINICO, DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO ALLE NEOPLASIE MAMMARIE DELLA CAGNA

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CAPITOLO II

APPROCCIO CLINICO, DIAGNOSTICO E

TERAPEUTICO ALLE NEOPLASIE

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2.1 INCIDENZA E FATTORI DI RISCHIO

I tumori mammari rappresentano le neoplasie più comuni nella femmina e sono le seconde in ordine d'importanza dopo i tumori cutanei, andando a costituire circa il 20% dei tumori totali.

La percentuale di neoplasie maligne è di circa il 50-55% nel cane e solo l'1% colpisce i maschi (Romanelli, 2007). In questo caso, in genere, i tumori mammari sono associati alla concomitante presenza di neoplasie testicolari funzionali, come sertoliomi secernenti estrogeni (Marconato e Del Piero, 2005). L'età media di presentazione delle neoplasie mammarie nella cagna va dai 10 agli 11 anni, mentre sono estremamente rare nei soggetti di età inferiore ai 4 anni (Withrow et al., 2007).

Uno studio effettuato su 214 cani del Dipartimento di Chirurgia e Ortopedia dell'Università di Brno, tra il 1997 e il 2001 testimonia infatti che l'incidenza maggiore di neoplasie mammarie è stata rilevata dopo il sesto anno d'età, con un picco massimo tra i 9 e gli 11 anni ( J. Zatloukal et al., 2005).

Spaniels, Barboni, Terrier e Pastori Tedeschi sembrano essere a maggiore rischio, mentre a basso rischio sarebbero Boxer e Chihuahua (Romanelli, 2007). Uno studio effettuato su 101 cani di diverse razze del Dipartimento di Patologia Veterinaria dell'Università di Myazaki tra il 1997 e il 2002 ha evidenziato una diversa incidenza delle neoplasie mammarie maligne tra le razze di piccola taglia e le altre: nei cani di piccola taglia il 25% erano maligne e solo il 6,7% dei soggetti sono morti, mentre negli altri cani il 58,5% dei tumori sono risultati maligni e il 26,8% degli individui è morto. All'esame istopatologico, inoltre, si è notata una prevalenza di neoplasie maligne di grado 0 nei soggetti di piccola taglia, mentre negli altri predominavano i gradi I o II. Questo testimonia quindi una minore incidenza di neoplasie mammarie maligne nei soggetti di piccola taglia (Itoh et al., 2004).

Sembra inoltre che le mammelle più coinvolte nel processo neoplastico siano quelle inguinali e quelle addominali caudali, andando a diminuire progressivamente man mano che ci si sposta prossimalmente (Taylor et al., 1976).

Sia nella donna sia nella cagna i tumori mammari sono ormono-dipendenti. Questo è testimoniato dal fatto che l'ovarioisterectomia precoce riduce l'incidenza di neoplasie mammarie nella cagna (Marconato e Del Piero, 2005). Secondo Schneider e colleghi, infatti, cagne sterilizzate prima del primo calore hanno solo lo 0,5% circa di rischio di sviluppare neoplasie mammarie. Questo

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valore sale all'8% dopo il primo calore fino ad arrivare al 26% se la femmina viene sterilizzata dopo il secondo calore. L'ovarioisterectomia effettuata dopo il secondo calore non riduce il rischio di sviluppare neoplasie mammarie maligne, ma sembra invece diminuire l'incidenza di quelle benigne (Withrow et al., 2007). Inoltre l'ovarioisterectomia praticata entro due anni dallo sviluppo di una neoplasia mammaria maligna mostra una maggiore percentuale di sopravvivenza rispetto ai soggetti interi o sterilizzati dopo più di due anni dalla mastectomia (Sorenmo et al., 2000).

Nessuno studio ha evidenziato alcuna influenza di pseudociesi, numero di gravidanze e di cuccioli, età della prima gravidanza e lattazione sull'insorgenza di tumori mammari, ma è probabile che le femmine nullipare siano a maggior rischio rispetto alle pluripare (Romanelli, 2007).

La mammella normale contiene recettori per gli estrogeni, che stimolano la crescita duttale, e per i progestinici, che stimolano la crescita lobuloalveolare (Romanelli, 2007).

Da uno studio effettuato da MacEwen e colleghi è emerso che i tumori mammari benigni della cagna presentano un maggior numero di recettori per gli estrogeni, probabilmente a causa di una loro migliore differenziazione (l'87% delle lesioni neoplastiche benigne è risultato positivo ai recettori per gli estrogeni). Lo stesso non si può dire per i tumori mammari benigni della donna, che risultano positivi ai recettori per gli estrogeni solo nel 10-20% dei casi, anche se un altro studio ha evidenziato una positività del 50%. In contrapposizione a questo, i carcinomi mammari canini contengono un ridotto numero di recettori per gli estrogeni, risultando negativi nel 70% dei casi.

Secondo Millanta e colleghi, non ci sono variazioni significative nell'espressione dei recettori per il progesterone tra tessuto mammario normale, displastico e tumorale benigno delle cagne oggetto di studio, mentre è stata rilevata una concentrazione più bassa di recettori per il progesterone nei carcinomi mammari.

Le concentrazioni di recettori per gli estrogeni e il progesterone diminuiscono all'aumentare della dimensione della lesione neoplastica (Donnay et al., 1995). La prolungata somministrazione di estrogeni non porta ad un aumento dell'incidenza di tumori mammari nella cagna. Viceversa, la somministrazione di progesterone a giovani femmine di Beagle ha portato allo sviluppo di noduli mammari benigni (Withrow et al., 2005).

È stato ipotizzato che gli estrogeni endogeni, così come i progestinici esogeni, promuovano la cancerogenesi mammaria attraverso un'aumentata secrezione di GH a partire dalle cellule epiteliali della mammella. Quest'ultimo stimolerebbe la proliferazione delle cellule mammarie trasformate mediante meccanismi autocrini o paracrini, favorendo lo sviluppo della neoplasia.

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mammarie: sono infatti stati scoperti recettori per quest'ormone nel 30% circa dei tumori mammari benigni (Marconato e Del Piero, 2005).

Numerose alterazioni genetiche sono state osservate nei tumori mammari canini, quali attivazione di protoncogeni cellulari, disattivazione o perdita dei geni soppressori (come p53) e presenza di anormalità a livello di DNA nucleare (Marconato e Del Piero, 2005). Il gene oncosoppressore p53 è il gene che muta più frequentemente nei tumori umani (Withrow et al., 2007). Secondo Romanelli il 15-30% delle neoplasie mammarie canine esprime mutazione dell'oncosoppressore p53. Uno studio effettuato da Muto e colleghi, che analizzava 63 casi di tumori mammari benigni e maligni del cane mediante tecnica di PCR diretta, ha riscontrato alterazioni del gene p53 riconducibili ad uno stadio neoplastico iniziale e associabili a caratteri di malignità. Tuttavia, non sono state messe in evidenza relazioni significative tra le alterazioni del gene oncosoppressore p53 e l'istotipo tumorale o la razza del cane.

Un altro gene oncosoppressore, il BRCA1, responsabile del tumore del seno ereditario delle donne, presenta alterazioni anche nelle neoplasie mammarie della cagna (Withrow et al., 2007). Il BRCA1 è una fosfoproteina nucleare che partecipa alla regolazione del ciclo cellulare. Uno studio effettuato da Nieto e colleghi su 2 campioni di ghiandola mammaria canina normale, 7 displastici e 44 neoplastici ha evidenziato una significativa riduzione dell'espressione nucleare della proteina BRCA1 nella maggior parte dei tumori benigni, ma soprattutto in quelli maligni, attribuendo a questo gene un ruolo importante nel comportamento maligno di queste neoplasie.

Per quanto riguarda la presenza di anormalità a livello del DNA nucleare, è stata riscontrata una maggiore incidenza di aneuploidia del DNA, che resta comunque inferiore rispetto a quella evidenziata nelle neoplasie del seno nelle donne (Rutteman et al., 1988).

Anche lo stato nutrizionale e la dieta sembrano avere un ruolo importante sul rischio di sviluppare o meno neoplasie mammarie. Secondo uno studio effettuato da Pérez-Alenza e colleghi l'obesità giovanile (a 1 anno d'età) e un anno prima dalla diagnosi di noduli mammari può essere correlata significativamente con una maggiore incidenza di neoplasie e displasie mammarie. Altri fattori di rischio importanti consistono in diete ad elevato contenuto di carni rosse, in particolare manzo e maiale, e a basso contenuto di carni bianche come il pollo.

Inoltre, il rischio di sviluppare neoplasie mammarie in cagne sterilizzate è significativamente ridotto se queste si presentavano in un buono stato nutrizionale all'età di 9-12 mesi (Sonnenschein et al., 1991).

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2.2 DIAGNOSI E STADIAZIONE CLINICA

Nella maggior parte dei casi il cane viene portato alla visita in seguito alla rilevazione, da parte del proprietario, di uno o più noduli non dolenti a livello della ghiandola mammaria, senza altri sintomi specifici (Fig.3).

Fig.3 Voluminosa neoformazione mammaria in una cagna

(http://www.oncologiaveterinaria.it/tumore-della-mammella-del-cane-e-del-gatto/)

L'iter diagnostico corretto prevede, innanzitutto, la segnalazione e la

misurazione di tutti i noduli mammari, l'osservazione della cute sovrastante e la palpazione manuale dei linfonodi ascellari e inguinali.

È inoltre molto utile effettuare un'anamnesi accurata, domandando ai proprietari da quanto tempo è insorta la neoformazione (tempo d'insorgenza), se è rimasta sempre delle stesse dimensioni o è mutata nel tempo, se il paziente ha avuto pseudogravidanze in passato e se ha subito trattamenti ormonali, specificandone eventualmente la tipologia.

I tumori mammari si manifestano clinicamente come noduli singoli o multipli, di dimensioni variabili da pochi millimetri a diversi centimetri di diametro, di consistenza duro-elastica, talvolta cistica, coinvolgenti una o più ghiandole

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mammarie. Nei casi più avanzati i noduli possono essere ulcerati o presentare aree necrotiche.

Un caso particolare è rappresentato dal cosiddetto carcinoma infiammatorio. Questo tipo di tumore deve essere sospettato ogniqualvolta vi sia una rapida crescita del nodulo e il coinvolgimento di più ghiandole mammarie e della cute sovrastante. Il carcinoma infiammatorio si presenta come massa scarsamente circoscritta, eritematosa, edematosa, calda e dolente alla palpazione e si accompagna frequentemente a linfedema. Deve essere differenziato dalla condizione patologica d'infiammazione mastitica, che tende ad essere più localizzata e che, in genere, si manifesta in seguito alla fase estrale del ciclo, alla gravidanza o alla pseudociesi.

Il carcinoma infiammatorio, inoltre, si accompagna a sintomi sistemici quali debolezza, letargia e dolore (Pérez et al., 2001).

Esame citologico

Dopo aver proceduto all'identificazione e all'annotazione di tutte le neoformazioni mammarie e alla palpazione dei linfonodi ascellari e inguinali, può risultare utile eseguire una “biopsia citologica con ago sottile” o FNB. Questo esame può essere impiegato in caso si riscontri clinicamente linfoadenomegalia o nella diagnosi di carcinoma infiammatorio oppure per differenziare una neoformazione mammaria da lesioni di altro tipo, quali lesioni infiammatorie o mastocitomi. La FNB, tuttavia, è un metodo poco sensibile per differenziare un tumore benigno da uno maligno (S.W. Allen et al., 1986).

Per la biopsia citologica con ago sottile vengono impiegati aghi di piccolo calibro (23-27 G) e, se necessario in base alla tecnica utilizzata, siringhe da 5-20 ml. Non dovrebbero essere impiegati aghi di calibro maggiore, sia per evitare di campionare veri e propri frammenti di tessuto, sia per non correre il rischio di contaminare troppo il campione con sangue.

Prima dell'esecuzione dell'esame, il sito di prelievo deve essere pulito con cotone imbevuto di alcool.

La biopsia citologica con ago sottile (FNB) può essere effettuata con due diverse tecniche: mediante agoaspirazione (FNA) o mediante agoinfissione (FNCS). Nel primo caso l'esame consiste nell'infissione, all'interno della lesione, di un ago a cui è connessa una siringa, creando il vuoto tramite aspirazione con lo stantuffo. Occorre evitare, sia la fuoriuscita dell'ago dalla neoformazione, sia l'ingresso di materiale aspirato nel cono della siringa. Questa manovra deve essere praticata in più punti della lesione, se questa risulta di notevoli dimensioni. La pressione negativa creata con lo stantuffo viene rilasciata prima di fuoriuscire dalla lesione. A questo punto il materiale presente

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nell'ago viene espulso su un vetrino e successivamente strisciato.

L'agoinfissione consiste nell'eseguire la procedura appena descritta, ma senza effettuare manovre di aspirazione con lo stantuffo della siringa: in questo caso, infatti, il materiale risale all'interno dell'ago per capillarità, durante l'infissione dell'ago stesso nella neoformazione.

In caso di lesioni di grosse dimensioni è sempre opportuno prelevare materiale dalla periferia, evitando in tal modo possibili aree centrali di necrosi.

Il vetrino così preparato viene a questo punto colorato, utilizzando generalmente colorazioni di tipo Romanowsky (Wright, Giemsa, Diff-Quik o Hemacolor) e successivamente viene osservato al microscopio. Dapprima il campione viene esaminato a piccolo ingrandimento (10x o 20x), in modo tale da valutarne la qualità e l'adeguatezza della preparazione e della colorazione. Dopo l'osservazione del campione a piccolo ingrandimento, si procede ad un esame ad elevato ingrandimento (40x o 100x) al fine di valutare le caratteristiche delle cellule.

Campioni “negativi per neoplasia” possono essere rappresentati sia da campioni inconclusivi, ovvero acellulari o ematici, sia da campioni che, nonostante provengano da tessuto neoplastico, non contengono cellule diagnostiche. In questo caso si renderà necessario ripetere l'esame citologico, dopo un secondo campionamento, oppure l'esecuzione di procedure diagnostiche più invasive, come la biopsia tessutale.

La diagnosi citologica di neoplasia si basa principalmente sulla valutazione delle caratteristiche nucleari e citoplasmatiche delle cellule esaminate. In particolare si prende in considerazione la presenza di cellule con caratteristiche di malignità o di cellule anomale rispetto al tipo di tessuto che è stato campionato.

I criteri citologici di malignità vengono suddivisi come criteri di malignità generali, criteri di malignità nucleare e citoplasmatica, anche se i primi due sono quelli maggiormente considerati nella diagnosi di neoplasia. La presenza di tre o più criteri di malignità nucleare in un'elevata percentuale di cellule rappresenta evidenza di malignità di una neoplasia, mentre la loro assenza è forte indice di neoplasia benigna.

 Criteri di malignità generali: ipercellularità;

pleomorfismo, ovvero la variazione di forma delle cellule di uno

stesso tipo;

anisocitosi, ovvero la variazione di dimensioni delle cellule;

macrocitosi, cioè l'aumento di dimensioni delle cellule.

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anisocariosi, ovvero la variabilità di dimensioni nucleari;

macrocariosi, cioè l'aumento di dimensioni del nucleo;

nuclear molding, ovvero il nucleo assume la forma di quello di

cellule adiacenti;

aumentato rapporto nucleo:citoplasma;

multinucleazione;

irregolarità della membrana nucleare;

mitosi atipiche;

cromatina grossolana e irregolarmente distribuita;

anomalie nucleolari, quali la presenza di macronucleoli o di nucleoli angolati, cioè privi della normale forma rotonda od

ovoidale.

 Criteri di malignità citoplasmatica: basofilia;

vacuolizzazioni;

margini citoplasmatici irregolari o indistinti.

Fig.4: Agoaspirato di un carcinoma mammario in una

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Metastasi

Per metastasi si intende “la diffusione di cellule neoplastiche da un tumore primario a una sede non contigua, dove si stabilisce una crescita secondaria”. Questo processo può avvenire per via ematica o linfatica, in base alla tipologia di tumore ed è estremamente complesso. Si parla infatti di “cascata metastatica” proprio ad indicare la patogenesi per passi successivi.

La prima fase consiste nel distacco di cellule neoplastiche dal tumore primario, processo favorito da una rapida crescita della massa primaria, da necrosi tumorale, stress meccanici e aumentata attività delle proteasi enzimatiche o ridotta efficienza delle molecole di adesione cellulare.

Successivamente le cellule neoplastiche invadono i vasi ematici e/o linfatici grazie ad una loro scarsa resistenza o alla lisi della loro membrana basale da parte di enzimi cellulari (collagenasi).

A questo punto, per sopravvivere, le cellule neoplastiche devono evadere il sistema di difesa dell'ospite, che è costituito da linfociti T, neutrofili, macrofagi e cellule natural killer, che accorrono in massa per distruggere le cellule “estranee”. Nel circolo ematico, inoltre, le cellule tumorali devono contrastare le sollecitazioni meccaniche legate al flusso sanguigno e riuscire a sopravvivere in un ambiente povero di sostanze nutritive e troppo ricco di ossigeno.

La successiva aggregazione di cellule neoplastiche tra loro e con piastrine e leucociti ne consente il successivo arresto e adesione alla parete vasale. Questo processo garantisce inoltre la protezione delle cellule tumorali dai traumi meccanici e ne impedisce l'aggressione da parte delle cellule del sistema immunitario dell'ospite. I punti di arresto delle cellule tumorali sono in genere rappresentati da punti in cui il letto capillare è più fitto, come polmoni e fegato, ma esiste comunque una certa selettività di determinati tipi di tumori per le cellule endoteliali di organi specifici. Questo fenomeno può essere dovuto alla presenza di fattori chemiotattici prodotti dalle cellule, di fattori di crescita e di componenti della matrice extracellulare.

A questo punto s'instaura il processo inverso a quello d'invasione vascolare: le cellule tumorali, infatti, si insinuano tra quelle endoteliali, grazie all'emissione di pseudopodi e alla lisi della membrana basale ad opera di enzimi proteolitici, quali attivatore del plasminogeno, catepsine e metalloproteinasi. Le cellule neoplastiche possono così infiltrarsi nello spazio extracellulare e iniziare una nuova crescita tumorale.

Quest'ultima, per potersi verificare, necessita di fattori di crescita che permettano alle cellule neoplastiche di poter sopravvivere e di moltiplicarsi negli organi bersaglio. I fattori di crescita possono essere prodotti direttamente

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dalla cellula (autocrini) o dall'organo bersaglio (paracrini).

Le cellule tumorali, inoltre, hanno bisogno di un adeguato supporto vascolare, indispensabile per l'ossigenazione e l'apporto di sostanze nutritive. A questo scopo, esse devono essere in grado di indurre la neoformazione di vasi o

neoangiogenesi, grazie alla produzione di fattori di crescita, quali il fattore

basico di crescita dei fibroblasti (b-FGF), angiogenina, prostaglandine e fattori di crescita trasformanti (TGF-ɑ e -ß).

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Nella cagna il 50% circa dei tumori mammari è maligno e, tra questi, il 50% metastatizza per via linfatica ai linfonodi regionali, ai polmoni e, meno frequentemente, ai linfonodi sottolombari, al fegato, ai reni, alle ossa (vertebre lombosacrali, coste, estremità prossimali di femore e omero), ai surreni, al cuore e al sistema nervoso centrale.

Per quanto riguarda i linfonodi, talvolta, si può riscontrare il fenomeno di skip

metastasis, ovvero che non viene interessato il primo linfonodo drenante, bensì

quello successivo.

In uno studio effettuato da Misdorp su 56 cani con carcinoma mammario è stata riscontrata un'incidenza dell'86% di metastasi linfonodali, del 72% ai polmoni, del 12% ai surreni, dell'11% a livello renale e cardiaco e del 10% a carico del fegato e delle ossa.

Il tipo di linfonodo coinvolto dal processo metastatico dipende dalla mammella in cui si localizza la neoformazione: se la neoplasia colpisce le prime tre ghiandole mammarie (toracica craniale, toracica caudale e addominale craniale) i linfonodi coinvolti da metastasi sono quello ascellare e quello sternale; se invece il processo tumorale riguarda le ultime due ghiandole mammarie (addominale caudale e inguinale), le metastasi si localizzano a livello dei linfonodi inguinali superficiali (Moulton et al., 1970).

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Stadiazione clinica del tumore: TNM

Una volta raggiunta una diagnosi tumorale si rende necessaria la “stadiazione” della neoplasia al fine di stabilirne l'estensione, la terapia necessaria (medica o chirurgica), ed effettuare la ricerca di eventuali metastasi.

La stadiazione di una neoplasia prevede l'esecuzione di esami diagnostici specifici, quali: radiografie dirette o con contrasto, ecografie, TC e RM e FNA dei linfonodi satellite per quanto riguarda il tumore primario; radiografie toraciche nelle due proiezioni latero-laterali e, preferibilmente, anche in proiezione ventro-dorsale o dorso-ventrale, ecografia addominale e TC polmonare o total body per la ricerca di eventuali metastasi.

Sono inoltre essenziali l'esame ematobiochimico ed, eventualmente, quello coagulativo del paziente.

Il sistema più conosciuto di stadiazione clinica di una neoplasia è il cosiddetto TNM, che si basa sulla valutazione delle dimensioni del tumore primario (T), sulla sua diffusione ai linfonodi regionali (N) e su presenza o assenza di metastasi a distanza (M).

Le dimensioni del tumore sono categorizzate dalla lesione in situ (T0) a gradi che indicano l'aumento di volume (da T1 a T4). N0 indica il mancato coinvolgimento linfonodale da parte del processo neoplastico, mentre il loro interessamento viene evidenziato da N1, 2 ,3 o 4, in base a gradi crescenti. Le metastasi ematogene sono riportate su una scala da M1 a M2, mentre l'assenza di metastasi si indica con M0.

La stadiazione TNM delle neoplasie mammarie del cane è la seguente:  TUMORE PRIMARIO (T):

 T0: nessuna evidenza di tumore;

 T1: tumore primario di diametro inferiore a 3 cm (T1 a: mobile; T1 b: fissato alla cute; T1 c: fissato al muscolo);

 T2: tumore primario di diametro compreso tra 3 e 5 cm (T2 a: mobile; T2 b: adeso alla cute; T2 c: adeso al muscolo);

 T3: tumore primario di diametro superiore a 5 cm (T3 a: mobile; T3 b: adeso alla cute; T3 c: adeso al muscolo);

 T4: carcinoma infiammatorio di qualsiasi dimensione  LINFONODI REGIONALI (N):

 N0: nessuna metastasi linfonodale;

 N1: linfonodi omolaterali coinvolti (N1 a: mobili; N1 b: fissi);  N2: linfonodi bilaterali coinvolti (N2 a: mobili; N2 b: fissi)

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 METASTASI A DISTANZA (M):

 M0: nessuna evidenza di metastasi a distanza;  M1: metastasi a distanza, linfonodi distanti inclusi

In base alle informazioni raccolte, il paziente può essere inquadrato in uno dei seguenti stadi clinici:

 STADIO I: : T1N0M0

 STADIO II: T1-0N1M0 o T2N1-0M0

 STADIO III: T3NqualsiasiM0 o TqualsiasiN2M0

 STADIO IV: TqualsiasiNqualsiasiM1 o T4NqualsiasiMqualsiasi

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Esami ematologici

Per una corretta stadiazione della neoplasia, ma anche a scopo terapeutico e prognostico risulta utile eseguire un esame emocromocitometrico, un profilo

biochimico ed eventualmente un esame coagulativo del paziente.

Per quanto riguarda l'ematobiochimica è possibile riscontrare un aumento dell'attività della fosfatasi alcalina (ALP) sierica, probabilmente dovuto all'attività osteoblastica delle cellule neoplastiche che vanno incontro a metaplasia ossea, alla produzione di un isoenzima da parte delle cellule mioepiteliali o all'induzione dell'isoenzima corticosteroidi-indotto in seguito a stress cronico (Karayannopoulou et al., 2003).

Il profilo coagulativo può essere indicato in pazienti in cui si ha il sospetto di carcinoma infiammatorio, in quanto questa neoplasia si associa frequentemente a CID (coagulazione intravasale disseminata). In uno studio effettuato da Stockhaus nel 1999, infatti, sono state riscontrate anormalità del profilo coagulativo (conta piastrinica, PT, aPTT, fattori V, VIII e X, prodotti di degradazione della fibrina e del fibrinogeno e ATIII) nei due terzi dei cani oggetto di studio. In particolare, le anormalità emostatiche erano più frequenti in cani appartenenti allo stadio III o IV della neoplasia e in quelli che presentavano metastasi a distanza, estese aree di necrosi tumorale, carcinomi infiammatori e tumori adesi alle strutture sottostanti. Come per i carcinomi mammari delle donne, queste anormalità nel profilo coagulativo possono essere impiegate come indicatori prognostici, ma la loro importanza clinica resta ancora sconosciuta (Stockhaus et al., 1999).

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

La diagnostica per immagini risulta fondamentale per la ricerca di eventuali metastasi a distanza: in particolare, per le neoplasie mammarie, si eseguono routinariamente radiografie toraciche in tre proiezioni e un'ecografia

addominale. Nei casi dubbi è possibile inoltre ricorrere alla Tomografia

Computerizzata (TC). Radiologia

La radiografia è una procedura facile ed economica molto utilizzata nella diagnostica e nella stadiazione di un paziente neoplastico. Il suo limite più grosso è rappresentato dalla sua bassa sensibilità, in quanto non è in grado di

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mostrare lesioni di diametro inferiore a 4 mm. Inoltre, a causa della sovrapposizione tra le strutture anatomiche, non sempre è possibile evidenziare le piccole lesioni iniziali. Per la ricerca delle metastasi polmonari è indicato effettuare tre proiezioni del torace, due latero-laterali e una sagittale (VD o, più raramente, DV). In decubito laterale il polmone più declive è parzialmente collassato e pertanto risulta difficile visualizzare una lesione del parenchima polmonare, per mancanza di contrasto legata all'assenza di aria. Per questo motivo si rende necessario effettuare le due proiezioni latero-laterali, in modo tale da valutare entrambi i polmoni, evitando così potenziali falsi negativi. La proiezione sagittale serve, invece, per identificare la posizione di una lesione. Le metastasi polmonari si manifestano sottoforma di noduli multipli ben delineati, di varie dimensioni e sparsi nel parenchima. Frequentemente le metastasi di diametro inferiore a 4 mm possono presentare pattern interstiziale diffuso e versamento pleurico (Fig. 6).

Per la ricerca di metastasi ossee si rende necessaria una radiografia del segmento scheletrico interessato o la scintigrafia ossea. In genere queste lesioni si rendono evidenti radiograficamente sottoforma di un'estesa reazione periostale che simula un osteosarcoma, o di osteolisi (Misdorp et al., 1966).

Fig. 6: Polmoni normali di cane (1) e metastasi polmonari

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Ecografia

L'ecografia addominale risulta utile nella valutazione dello stato degli organi interni e dei linfonodi, soprattutto di quelli sottolombari, che possono essere interessati dal processo neoplastico.

Questo mezzo diagnostico può inoltre essere d'aiuto nel differenziare un tumore benigno da uno maligno: quest'ultimo si presenta generalmente con margini irregolari, è polimorfo ed eterogeneo da un punto di vista dell'ecogenicità; un tumore benigno, invece, presenta margini regolari e distinti, è sferico od ovale e ha un pattern ecografico interno omogeneo.

Tomografia Computerizzata (TC)

La Tomografia Computerizzata trova impiego nell'identificazione di eventuali metastasi polmonari nei casi dubbi, legati alla bassa sensibilità della radiografia convenzionale.

Fig. 7: metastasi epatiche (**) di carcinoma mammario nel

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2.3 PROTOCOLLO TERAPEUTICO

Trattamento chirurgico

Un nodulo mammario non deve, per nessun motivo, essere lasciato in situ e osservato nel tempo: anzi, deve essere asportato e valutato istologicamente (Marconato e Del Piero, 2005).

La chirurgia rimane infatti il trattamento d'elezione per le neoplasie mammarie della cagna, ad eccezione dei carcinomi infiammatori e in presenza di metastasi a distanza e deve essere attuata il più in fretta possibile dopo la diagnosi (Withrow et al., 2007).

In merito alle procedure chirurgiche esistono diverse teorie: i sostenitori della chirurgia radicale, ovvero della rimozione dell'intera fila mammaria o di entrambe, ritengono che questo consenta l'eliminazione di tutti i tumori, sia evidenti che occulti, prevenendo in tal modo eventuali recidive future e la comparsa di nuovi tumori. Coloro che sono a favore della chirurgia più conservativa, invece, sostengono che la chirurgia radicale aumenti la morbilità, la durata dell'intervento e la spesa, senza prolungare effettivamente la sopravvivenza dei pazienti (Romanelli, 2007).

Secondo uno studio effettuato su 144 cani con tumori mammari maligni non esistono differenze significative sulla percentuale di recidive e di sopravvivenza tra chirurgia semplice e radicale (MacEwen et al., 1985).

Lo standard della chirurgia è quello di rimuovere tutti i tumori, impiegando la tecnica più semplice, che deve prendere in considerazione la possibile estensione delle neoplasie maligne ai linfonodi regionali, attraverso i vasi linfatici (Withrow et al., 2007).

La chirurgia oncologica può essere di diversi tipi:

 Chirurgia preventiva: l'esecuzione di un intervento di ovario-isterectomia precoce riduce il rischio di sviluppo di neoplasie mammarie e annulla quello di neoplasie ovariche e uterine. Lo stesso discorso vale per la criptorchidectomia nel maschio, che annulla la possibilità d'insorgenza di neoplasie testicolari;

 Chirurgia diagnostica: la biopsia escissionale permette di ottenere un campione di tessuto utile ai fini diagnostici e fornisce informazioni importanti per il futuro approccio terapeutico e ai fini prognostici;

 Chirurgia curativa o terapeutica: permette l'eliminazione completa e definitiva della neoplasia nel paziente;

 Chirurgia palliativa: serve in quei casi in cui la neoplasia non può essere guarita completamente ma si può comunque migliorare la qualità di vita

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del paziente, ad esempio, eliminando il dolore (amputazione in caso di osteosarcoma), limitando l'infezione locale e generale (mastectomia di neoplasie mammarie ulcerate ma metastatiche) o bloccando l'emorragia (splenectomia in caso di rottura di emangiosarcoma splenico).

Esistono varie tecniche chirurgiche che possono essere utilizzate per la rimozione delle neoplasie mammarie canine e la scelta di una tecnica rispetto ad un'altra dipende dalle dimensioni del tumore, dalla sua fissità o meno ai piani sottostanti, dal numero di lesioni presenti e dalla probabilità che una cura locale possa avere successo (Withrow et al., 2007).

Nodulectomia: consiste nell'escissione di una massa e di un margine

circostante di tessuto mammario macroscopicamente normale di ampiezza maggiore o uguale a 1 cm. Questa tecnica viene impiegata in caso di neoformazioni piccole (diametro inferiore a 0,5 cm), incapsulate, non infiltrate e situate in superficie o in periferia della ghiandola mammaria. Dopo la resezione chirurgica, la neoplasia deve essere classificata come benigna o maligna: per i tumori benigni anche una rimozione incompleta e a margini ridotti può essere adeguata; se la lesione è piccola, ben circoscritta e maligna, margini ridotti ma puliti, di 1 o 2 cm, possono essere accettati. La resezione chirurgica incompleta di una neoplasia maligna richiederà, invece, una rimozione più aggressiva dell'intera ghiandola mammaria. Lo scolo di latte e di linfa dal tessuto mammario inciso nella ferita può causare infiammazione e disagio nel periodo post-operatorio;

Mastectomia semplice: consiste nell'escissione dell'intera ghiandola

mammaria contenente la neoformazione. Questa tecnica è indicata quando il tumore è localizzato nella parte centrale della ghiandola, ha un diametro superiore ad 1 cm e mostra un certo grado di fissità alla cute o alla fascia. Cute e fascia addominale devono essere rimosse insieme alla neoformazione se sono coinvolte. Rimuovere tutta la ghiandola mammaria può risultare più semplice che incidere il tessuto mammario ed evita i problemi post-operatori legati allo scolo di latte e di linfa;

Mastectomia regionale: implica l'escissione della mammella interessata e

di quelle adiacenti. Questa tecnica viene impiegata quando sono presenti più neoformazioni in ghiandole adiacenti della stessa fila mammaria o quando la massa è situata tra due ghiandole. La mastectomia regionale si basa sul drenaggio venoso e linfatico del tessuto mammario: le mammelle toracica craniale, toracica caudale, addominale craniale e, raramente, addominale caudale sono drenate dal linfonodo ascellare e da quello sternale craniale; i linfonodi inguinali superficiali provvedono, invece, al

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drenaggio linfatico delle mammelle addominale craniale, addominale caudale, inguinale e, raramente, toracica caudale. Di conseguenza, tumori che coinvolgono le mammelle toraciche o la mammella addominale craniale devono essere rimossi in blocco, così come per le neoplasie che interessano le mammelle addominale caudale e inguinale. In quest'ultimo caso si rende necessario asportare anche il linfonodo inguinale, se possibile. Il linfonodo ascellare, invece, deve essere rimosso solo se risulta aumentato di volume e mobile o positivo alla citologia;

Mastectomia totale monolaterale o bilaterale: la mastectomia

monolaterale consiste nell'escissione chirurgica dell'intera fila mammaria e viene eseguita quando sono presenti più neoformazioni sulla stessa fila mammaria. La mastectomia totale bilaterale, invece, può essere praticata quando numerose masse interessano entrambe le linee mammarie. Quest'ultima tecnica, però, viene difficilmente attuata a causa dell'elevata tensione tessutale che rende molto complicata la sutura della cute. Per questo motivo, molto spesso, si preferisce ricorrere a due mastectomie monolaterali, effettuate a distanza di 3-4 settimane l'una dall'altra, in modo tale da consentire la guarigione della cute e il suo rilassamento nei punti di tensione;

Rimozione linfonodale o Linfadenectomia: i linfonodi ascellari sono

raramente interessati dal processo neoplastico mammario nel cane e non devono essere rimossi per profilassi. Se sono fissi, aumentati di volume e/o positivi alla citologia, devono essere asportati chirurgicamente e fatti analizzare insieme al tessuto mammario. I linfonodi inguinali, invece, devono essere rimossi quando si presentano aumentati di volume e positivi all'esame citologico oppure in concomitanza all'asportazione della mammella inguinale, in quanto intimamente connessi a questa ghiandola mammaria.

L'ovario-isterectomia può essere eseguita nel corso dell'intervento di mastectomia, purchè preceda l'asportazione del tumore, in modo tale da evitare la disseminazione di cellule neoplastiche in cavità addominale. Questo intervento, infatti, anche se non potrà prevenire lo sviluppo di tumori mammari, servirà comunque a ridurre il rischio d'insorgenza di patologie uterine, quali la piometra e la metrite e ad eliminare l'influenza ormonale sulle neoplasie mammarie preesistenti.

Secondo uno studio effettuato da Yamagami e colleghi nel 1996 su 175 cagne con tumori mammari maligni nell'area metropolitana di Tokyo, infatti, non esistono differenze significative sulla percentuale di sopravvivenza dopo due anni dall'intervento tra le cagne ovariectomizzate prima e durante la mastectomia.

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Tecnica chirurgica

Il paziente deve essere posizionato sul tavolo operatorio in decubito dorsale, con gli arti anteriori fissati cranialmente e quelli posteriori caudalmente.

Si procede alla tricotomia e asepsi dell'intera parete ventrale dell'addome, della porzione caudale del torace e della regione inguinale.

Viene praticata un'incisione ellittica attorno alla/e mammella/e interessata/e ad almeno 1 cm di distanza dal tumore. Si approfondisce l'incisione attraverso il sottocute fino alla fascia della parete addominale esterna.

Se possibile è preferibile evitare di incidere il tessuto mammario, anche se questo spesso si rende difficile a causa della confluenza dei tessuti di due ghiandole adiacenti nello spazio che le separa.

Il sanguinamento superficiale deve essere controllato mediante l'elettrocoagulazione, il pinzettamento e/o l'allacciatura dei vasi.

A questo punto viene praticata l'escissione in blocco delle mammelle, elevando un'estremità dell'incisione e dissezionando il tessuto sottocutaneo della fascia del muscolo pettorale e retto con un movimento di scorrimento delle forbici. Per facilitare la dissezione si può applicare una trazione sul tratto di cute elevato.

Le mammelle addominali e inguinali si separano facilmente dalla fascia del muscolo retto, in quanto attaccate solo per mezzo di tessuto adiposo e connettivo. Le ghiandole toraciche, viceversa, aderiscono ai muscoli pettorali sottostanti, con l'interposizione di una scarsa quantità di grasso o tessuto connettivo. È necessario asportare il cuscinetto adiposo inguinale e il/i linfonodo/i insieme alla mammella inguinale, mentre il linfonodo ascellare non deve essere rimosso insieme alle ghiandole toraciche. Se la neoplasia ha coinvolto anche i tessuti sottocutanei e la muscolatura addominale, conviene asportare anche la fascia e una porzione della parete addominale.

Si prosegue la dissezione per scorrimento con le forbici fino ad arrivare ai vasi epigastrici superficiali craniali e caudali. Si procede quindi all'allacciatura dei vasi epigastrici superficiali craniali nel punto in cui penetrano nel muscolo retto dell'addome, tra la mammella toracica caudale e l'addominale craniale. I vasi epigastrici superficiali caudali, invece, devono essere legati a livello del cuscinetto adiposo inguinale, vicino all'anello inguinale. A questo punto si legano le branche ventrali e laterali dei vasi intercostali, toracici interni e laterali afferenti alle mammelle toraciche, nel punto in cui penetrano nei muscoli pettorali.

La ferita viene lavata, ricercando al suo interno eventuale tessuto alterato, se ne liberano i margini e si fa avanzare la cute verso il centro della lesione,

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impiegando delle suture di scorrimento. Se lo spazio morto è esteso è possibile applicare un drenaggio di Penrose per prevenire un eventuale accumulo di fluidi.

Si avvicinano i margini della cute con una sutura sottocutanea o intradermica, continua o a punti staccati, utilizzando del filo di sutura assorbibile monofilamento con un ago atraumatico.

Nella regione toracica risulta più complicato riavvicinare i margini della cute, perchè questa risulta meno mobile. In questo caso, se la tensione cutanea è eccessiva, è possibile utilizzare un lembo cutaneo della plica ascellare o del fianco per chiudere il difetto.

La sutura della cute può essere effettuata impiegando suture cutanee di apposizione con filo monofilamento in nylon o in polipropilene oppure con punti metallici (Fossum, 2007).

Fig. 8: SilkieXShih Tzu di 7 anni 30 minuti dopo la fine dell'intervento di

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Trattamento post-operatorio

Nel periodo post-operatorio è necessario somministrare al paziente un'adeguata terapia analgesica e di sostegno. L'addome deve essere bendato in modo tale da sostenere la ferita e assorbire eventuali fluidi. Il bendaggio deve essere sostituito ogni 2-3 giorni oppure ogni giorno, in base alle necessità e deve essere sempre mantenuto asciutto.

La ferita deve essere ispezionata quotidianamente al fine di rilevare eventuale infiammazione, gonfiore, deiscenza o necrosi.

I bendaggi e le suture possono essere rimossi rispettivamente dopo 5-7 giorni e dopo 7-10 giorni dall'intervento chirurgico.

Complicazioni

Le complicazioni che possono verificarsi in seguito all'intervento di mastectomia comprendono: dolore, infiammazione, formazione di seromi, infezione, necrosi ischemica, autotraumatismo, deiscenza della ferita ed edema degli arti posteriori.

Esame istopatologico

L'esame istopatologico rappresenta il metodo d'elezione per la diagnosi e la stadiazione di un processo neoplastico.

Dopo la rimozione chirurgica, il campione bioptico deve essere inserito in un contenitore di materiale infrangibile, non di vetro, che permetta la corretta manipolazione del campione senza doverlo forzare all'imboccatura o comprimere. Si procede quindi alla fissazione in formalina tamponata al 10%, rispettando una proporzione tra tessuto e formalina di 1:10, in quanto quest'ultima ha un ridotto potere di penetrazione nei tessuti. Per ottenere una corretta fissazione, i campioni devono permanere nella formalina almeno 24 ore. Nel caso di noduli mammari multipli, il chirurgo deve preoccuparsi di identificarli singolarmente mediante l'applicazione di punti di sutura, in modo tale da permettere al patologo di conoscere l'esatta posizione di ciascun nodulo e di valutarne l'istotipo, vista la frequente eterogenicità tumorale nel cane. È inoltre necessario inviare all'istopatologo anche il linfonodo regionale asportato,

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per consentire una sua valutazione.

I contenitori devono essere correttamente etichettati in modo indelebile per evitare scambi ed è bene che campioni diversi dello stesso soggetto siano posti in contenitori diversi o, se nello stesso recipiente, identificati con un punto di sutura diverso.

Tutti i pezzi istologici devono essere accompagnati al laboratorio di analisi da una scheda completa che comprenda almeno:

 specie;  razza;  sesso;  età;  taglia e peso;  sito anatomico;

 numero e dimensione di ciascun nodulo;  tempo d'insorgenza;

 eventuale interessamento linfonodale e/o metastasi a distanza.

Per classificare correttamente la neoplasia si può aggiungere, alla colorazione di routine con ematossilina ed eosina, l'immunoistochimica indiretta.

Il compito del patologo è quello di determinare il tipo di lesione, se benigna o maligna, l'istotipo, il grado e la completezza d'escissione. Nel referto inviato al clinico il patologo, a parte la diagnosi, deve utilizzare parole chiave per descrivere la neoplasia: in particolare, neoplasia benigna o maligna, demarcazione, tipo cellulare, grado di differenziazione o anaplasia, presenza di capsula, infiltrazione capsulare, stromale e/o vascolare, indice mitotico, percentuale di necrosi, reattività linfoide, presenza o assenza di cellule neoplastiche sui margini di rimozione chirurgica ed infiltrazione linfonodale. Tutti questi parametri istologici si correlano al comportamento biologico della neoplasia e quindi risultano molto utili ai fini prognostici. I criteri morfologici di malignità, infatti, non sempre sono sufficienti per valutare il comportamento biologico di un tumore.

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Terapia medica

 Chemioterapia: la chemioterapia adiuvante è spesso considerata lo standard per la cura dei tumori del seno nelle donne, ma esistono ancora poche informazioni sulla sua efficacia nel trattamento delle neoplasie mammarie canine. Le indicazioni per la chemioterapia sono: escissione chirurgica incompleta, evidenza istologica d'invasione linfatica, presenza di metastasi, sia linfonodali, sia a distanza, recidiva locale e tipo istologico aggressivo (carcinoma invasivo, solido, carcinosarcoma, sarcoma). I protocolli chemioterapici attualmente disponibili prevedono l'impiego della doxorubicina in monochemioterapia o in combinazione con la ciclofosfamide e il 5-fluorouracile, della gemcitabina e della doxorubicina incapsulata in liposomi. Secondo Sartin e colleghi, la doxorubicina presenta attività antitumorale su linee cellulari in vitro, nonostante non ci siano ancora risultati analoghi in vivo. In uno studio effettuato da Karayannopoulou nel 2001 su un gruppo di 16 cagne affette da tumori mammari maligni, trattate con un protocollo chemioterapico a base di doxorubicina e 5-fluorouracile, si è riscontrato un effetto positivo di questa terapia, in confronto ad un gruppo di controllo trattato solo chirurgicamente, sia sull'intervallo di tempo tra eventuali recidive tumorali, sia sulla sopravvivenza post-chirurgica.

Altri chemioterapici potenzialmente efficaci sono mitoxantrone, cisplatino e carboplatino, anche se i protocolli polichemioterapici a base di doxorubicina mostrano risultati migliori. Per i tumori mammari avanzati sono tuttavia necessari nuovi studi su larga scala, per verificare quale sia il trattamento migliore.

Al termine dei cicli di chemioterapia è necessario effettuare un accurato follow-up clinico e radiologico della cagna per monitorare il suo stato di salute e la risposta al protocollo terapeutico. Dopo i primi tre mesi e per il primo anno i controlli devono essere eseguiti ogni tre mesi, poi ogni sei e, dopo il secondo anno, annualmente (Marconato e Del Piero, 2005);

 Radioterapia: la radioterapia è un trattamento antineoplastico locale, di solito utilizzato dopo un intervento chirurgico conservativo per sterilizzare i focolai neoplastici residui, riducendo in tal modo la percentuale di recidiva locale. La radioterapia, non diminuendo il potenziale metastatico, non prolunga tuttavia la sopravvivenza dei pazienti. È indicata in caso di tumori mammari inoperabili e, in forma palliativa, può essere utile per il controllo del dolore, se sono presenti metastasi ossee e sindromi compressive midollari. Il protocollo consigliato consiste nel somministrare frazioni di 8 Gy per due o tre sedute. Tuttavia, come per la chemioterapia, sono necessari ulteriori studi

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per valutare l'efficacia della radioterapia per il trattamento dei tumori mammari della cagna;

 Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS): La ciclossigenasi-2 o COX-2 è un enzima inducibile correlato alla crescita e all'angiogenesi tumorale. L'espressione di questo enzima si rende evidente in un'ampia gamma di patologie neoplastiche dell'uomo, inclusi i carcinomi mammari e quelli del colon (Millanta et al., 2006). La COX-2 è presente nell'organismo solo durante i processi infiammatori nei tessuti colpiti da infiammazione. È infatti responsabile della conversione dell'acido arachidonico (AA) nella prostaglandina endoperossido H2 e nei trombossani (www.wikipedia.it). Questi ultimi, fisiologicamente, hanno il compito di preservare il flusso ematico renale e la mucosa gastrointestinale. In condizioni patologiche, prostaglandine e trombossani promuovono il processo infiammatorio. Macrofagi e cellule sinoviali esprimono le COX-2, aumentando così la concentrazione di prostaglandine e trombossani nella cascata infiammatoria. Condizioni cellulari quali ipossia, citochine (IL-6), oncogeni e fattori di crescita dell'endotelio vascolare, aumentano l'espressione delle COX-2 che, a loro volta, favoriscono la progressione neoplastica, promuovendo l'invasività tumorale, l'angiogenesi e la metastatizzazione e inibendo l'apoptosi cellulare (Heller et al., 2005).

In uno studio effettuato da Lavalle e colleghi nel 2009 su 46 neoplasie mammarie (tra cui 27 carcinomi metaplastici e 19 carcinomi duttali) è stato riscontrato che il 100% dei tumori esaminati esprimeva le COX-2. Inoltre, Heller ha evidenziato che esiste un'associazione tra i livelli di espressione della COX-2 e l'istotipo tumorale: i carcinomi anaplastici, infatti, mostrano una maggiore espressione della COX-2 rispetto agli adenocarcinomi mammari.

L'utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei anti-COX-2 a scopo antitumorale ha già fornito buoni risultati. In uno studio, infatti, la somministrazione di piroxicam ha determinato la remissione parziale di adenocarcinoma mammario in un cane su tre. Nonostante questo, visto il numero estremamente limitato di casi presi in esame, si rendono necessari ulteriori studi per la conferma dell'utilità terapeutica di questo farmaco (Marconato e Del Piero, 2005);

 Dieta: Secondo uno studio effettuato da Pérez-Alenza e colleghi l'obesità giovanile (a 1 anno d'età) e un anno prima dalla diagnosi di noduli mammari può essere correlata significativamente con una maggiore incidenza di neoplasie e displasie mammarie. Altri fattori di rischio importanti consistono in diete ad elevato contenuto di carni rosse, in particolare manzo e maiale, e a basso contenuto di carni bianche come il

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pollo. Si è visto inoltre che una dieta postmastectomia a basso contenuto di grassi (inferiori al 39%) e ricca di proteine (superiori al 27%) influenza positivamente i tempi di sopravvivenza dei pazienti (Marconato e Del Piero, 2005);

 Terapia ormonale: in medicina umana si utilizzano ormai da tempo gli ormoni e le sostanze che modificano i livelli ormonali per il trattamento delle neoplasie ormonodipendenti. Tale strategia sta recentemente prendendo campo anche in ambito veterinario.

Come già precedentemente descritto, il tessuto mammario normale della cagna presenta recettori, sia per gli estrogeni che per il progesterone. Lo stesso discorso vale per le neoplasie mammarie benigne, mentre quelle maligne presentano un bassa espressione recettoriale. È ormai accertato che l'ambiente endocrino del paziente influenzi l'espressione recettoriale del tumore: un ambiente povero di estrogeni (cagna sterilizzata), infatti, favorisce il subclone ER-, mentre un ambiente ricco di questi ormoni (cagna intera) favorisce il subclone ER+. Un intervallo lungo di tempo (superiore a 2 anni) tra l'ovarioisterectomia e la scoperta del tumore seleziona in genere il subclone ER-, mentre una cagna intera fino al momento della diagnosi tumorale risulta ER+ e quindi trarrà maggiori benefici dalla sterilizzazione e dalla terapia ormonale.

É ormai risaputo che la sterilizzazione precoce, ovvero prima del primo calore, riduce in modo significativo il rischio d'insorgenza di neoplasie mammarie, ma solo se l'intervento avviene entro i due anni di età. L'ovarioisterectomia successiva a questa data, infatti, potrebbe addirittura risultare nociva per la selezione del subclone ER-: sarebbe meglio pertanto eseguire la sterilizzazione solo in caso di comparsa di tumori mammari o di patologie dell'apparato genitale.

Un farmaco che viene impiegato per la terapia ormonale degli ER+ è il

tamoxifene, un antiestrogeno non steroideo di sintesi derivato del

trifeniletilene che compete con gli estrogeni per lo stesso recettore citoplasmatico, a livello degli organi bersaglio. Il complesso tamoxifene-recettore trasloca quindi nel nucleo, dove altera i meccanismi di regolazione della sintesi proteica e inibisce la replicazione cellulare. Di conseguenza, il tamoxifene agisce su tutte le forme tumorali che presentano recettori per gli estrogeni. Questo farmaco, inoltre, riduce il fattore di crescita insulinosimile, che stimola la proliferazione delle cellule maligne, sia nelle neoplasie ER+, sia in quelle ER-. In medicina umana, il tamoxifene viene impiegato come trattamento adiuvante dei carcinomi mammari ER+ metastatici nelle donne dopo la menopausa, nella prevenzione della recidiva tumorale, dopo la sua asportazione chirurgica e nella terapia del carcinoma endometriale in fase avanzata.

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Sono attualmente in corso studi riguardanti l'azione del tamoxifene come profilassi per lo sviluppo di carcinomi mammari nelle donne. In medicina veterinaria, la valutazione recettoriale non viene ancora eseguita di routine e gli studi riguardanti l'efficacia del tamoxifene sono ancora pochi e controversi. In uno studio effettuato da Morris nel 1993 su 93 cagne, ad esempio, è stata evidenziata una ridotta tolleranza da parte dei pazienti al farmaco, a causa della comparsa di effetti collaterali, principalmente di tipo estrogenico, che hanno portato allo stop del trattamento prima della fine in 9 casi su 23 esaminati. Questi effetti collaterali comprendono edema vulvare, scolo vaginale, incontinenza, infezioni del tratto urinario, piometra e segni clinici dell'estro (Withrow et al., 2007).

Dagli studi effettuati finora sembra che il 50% circa delle neoplasie canine sia ER+ e che potrebbe quindi beneficiare della terapia ormonale. I tumori che rispondono maggiormente al trattamento sono quelli meno anaplastici, trattabili tra l'altro con la sola chirurgia.

Il tamoxifene, come già accennato, possiede una modesta attività estrogenica residua, che è responsabile dello sviluppo di endometrite nelle cagne intere e delle manifestazioni estrali in quelle sterilizzate. Per questo motivo questo farmaco deve essere impiegato solo nelle cagne sterilizzate e con tumori mammari ER+.

La dose consigliata è 0,5-2 mg/kg per via orale al giorno per almeno 6 mesi, cominciando dal dosaggio più basso e aumentandolo, se ben tollerato. Gli eventuali effetti collaterali sono comunque reversibili con la sospensione del trattamento.

Il tamoxifene non può essere utilizzato insieme a chemioterapici citotossici, a causa dell'effetto antagonista, ma eventualmente in alternanza successiva.

Altri possibili trattamenti ormonali dei tumori mammari canini comprendono gli estrogeni di ultima generazione, come, per esempio, il

raloxifene, che possiede una minore tossicità e una maggiore

maneggevolezza e gli inibitori dell'aromatasi, che agiscono bloccando la sintesi degli estrogeni. Per il loro utilizzo, tuttavia, sono ancora necessari ulteriori studi randomizzati.

La scoperta, a livello mammario, di recettori per l'ormone rilasciante l'ormone luteinizzante (LHRH) ha creato la possibilità futura di utilizzare ormoni diversi dagli antiestrogeni per il trattamento delle neoplasie mammarie della cagna. Il goserelin, ad esempio, è un LHRH agonista e la sua somministrazione sottoforma di deposito, ogni 21 giorni per 12 mesi alla dose di 60 µg/kg, è in grado di ridurre le dosi circolanti di estradiolo e progesterone ed ha una ridotta tossicità. Probabilmente questo farmaco agisce inibendo il fattore di crescita epidermico, responsabile della

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proliferazione cellulare. Nella donna il goserelin viene attualmente impiegato per il trattamento del carcinoma mammario metastatico.

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2.4 PRINCIPALI FATTORI PROGNOSTICI

La definizione prognostica nei tumori mammari canini è complessa e multifattoriale, ma di estrema importanza per individuare i tumori che rispondono adeguatamente alla terapia locale e quelli che, invece, richiedono una terapia adiuvante post-operatoria.

I principali fattori prognostici nelle neoplasie mammarie della cagna sono i seguenti:

 Dimensioni del tumore primitivo: tumori più piccoli di 3 cm di diametro si associano ad una prognosi notevolmente migliore rispetto a quelli di dimensioni maggiori di 3 cm (Sorenmo, 2003);

Tabella 1: Rapporto tra dimensione del tumore maligno primitivo e prognosi (Marconato e Del

Piero, 2005)

 Età: l'età avanzata al momento della diagnosi sembra essere un fattore prognostico negativo. Tuttavia, l'età, non è generalmente associata ad una maggiore malignità fenotipica e può non rappresentare un fattore prognostico negativo di per sé. Molti studi in ambito veterinario hanno mostrato che cani più vecchi hanno una minore sopravvivenza rispetto ai più giovani, ma non è stato correlato allo stadio tumorale e al trattamento effettuato. Inoltre, cani più vecchi, muoiono più facilmente per altre cause non correlate alla neoplasia, rispetto ai più giovani (Sorenmo, 2003);  Razza: è stata valutata anche l'influenza della razza in base alla taglia e al

peso del paziente. Uno studio ha riscontrato che cani appartenenti a razze di piccola taglia hanno una maggiore sopravvivenza, ma presentano anche una più alta incidenza di tumori benigni. Nei cani con tumori maligni, la razza e il peso non influenzano la percentuale di sopravvivenza (Withrow et al., 2007);

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grassi (<39%) e molte proteine (>27%) è in grado di prolungare la sopravvivenza (Marconato e Del Piero, 2005);

 Ovarioisterectomia: l'ovarioisterectomia praticata entro due anni dallo sviluppo di una neoplasia mammaria maligna mostra una maggiore percentuale di sopravvivenza rispetto ai soggetti interi o sterilizzati dopo più di due anni dalla mastectomia (Sorenmo et al., 2000);

 Stadiazione clinica TNM: così come avviene per molti altri tumori solidi, cani con neoplasie mammarie presentano una prognosi peggiore all'aumentare dello stadio clinico di differenziazione: cani con metastasi linfonodali (stadio III) mostrano una sopravvivenza più breve rispetto a quelli che non hanno coinvolgimento linfonodale e cani con metastasi a distanza (stadio IV) hanno una prognosi peggiore rispetto a quelli negativi o con sole metastasi linfonodali (Sorenmo, 2003). In particolare, secondo la maggior parte degli autori, le metastasi linfonodali si associano ad una percentuale di recidiva dell'80% nell'arco di 6 mesi. Se, invece, i linfonodi regionali non sono interessati, la percentuale di recidiva è del 30% dopo 2 anni dalla mastectomia (Marconato e Del Piero, 2005);

 Fattori istologici: i parametri istologici importanti ai fini prognostici sono la presenza d'invasione linfatica o vascolare, la proliferazione stromale, la diagnosi istologica di sarcoma, il basso grado di differenziazione nucleare, il grado istologico elevato e la scarsa reattività linfoide intorno al tumore. Sarcomi e carcinomi infiammatori hanno prognosi peggiore e, tra i carcinomi, la malignità cresce secondo questa scala: carcinoma non infiltrante o in situ, tubulare, solido e anaplastico; la malignità decresce, invece, dal carcinoma semplice a quello complesso. Anche il grado istologico della neoplasia è strettamente correlato alla prognosi del paziente: la percentuale di recidiva è, infatti, solo del 19% per i tumori di grado 0, del 60% per il grado I e del 97% per le neoplasie di grado II (Marconato e Del Piero, 2005). Per quanto riguarda il grado di differenziazione nucleare è stato evidenziato un rischio di sviluppare recidive locali o metastasi in meno di due anni dalla mastectomia del 90% per i cani con tumori scarsamente differenziati, del 68% per quelli moderatamente differenziati e solo del 24% per i pazienti con carcinomi ben differenziati (Withrow et al., 2007). La reattività linfoide intorno al tumore è evidenza morfologica di risposta immunitaria antitumorale e si associa ad una minor percentuale di recidiva dopo la chirurgia (Marconato e Del Piero, 2005);

 Attività dei recettori ormonali: lo sviluppo della maggior parte dei tumori mammari canini è estrogeno-dipendente ed esprime recettori per gli estrogeni. Esiste una relazione inversa tra l'espressione dei recettori

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per gli estrogeni e la differenziazione istologica: tumori benigni e ben differenziati sono, in genere, positivi ai recettori per gli estrogeni; tumori anaplastici o scarsamente differenziati, invece, tendono ad essere più facilmente negativi ai recettori per gli estrogeni (Sorenmo, 2003). In particolare, secondo uno studio recente, i recettori per gli estrogeni e per il progesterone tendevano ad essere presenti se il tumore era più piccolo di 3 cm, senza metastasi linfonodali, con crescita di tipo tubulopapillare, di grado istologico I e II, senza crescita intravascolare e necrosi e con infiltrati linfocitici (Marconato e Del Piero, 2005);

 Espressione delle COX-2: In uno studio effettuato da Millanta sul ruolo del COX-2 come indicatore prognostico nei tumori mammari maligni del cane, è stato riscontrato che tale enzima non si trova nei tessuti sani, mentre si osserva nel 100% dei carcinomi invasivi e la sua espressione si associa ad una prognosi peggiore (Millanta et al., 2006);

 Indici di proliferazione cellulare: si correlano ad una prognosi peggiore se sono presenti in concentrazioni elevate, poiché riflettono una crescita tumorale aggressiva (Marconato e Del Piero, 2005);

 Regioni nucleolari argentate organizzate (AgNOR): consistono in marker di proliferazione cellulare e un loro aumento è correlato ad una ridotta sopravvivenza dei pazienti (Marconato e Del Piero, 2005);

 Neoangiogenesi e densità vascolare: la densità dei vasi a livello tumorale può essere correlata con il grado di malignità delle neoplasie mammarie: tumori maligni hanno una maggiore densità microvascolare rispetto a quelli benigni (Sorenmo, 2003);

 Caderina-E: è una molecola di adesione che media la coesione calciodipendente tra le cellule epiteliali e che inibisce l'invasione tumorale. Si perde con l'aumentare della malignità della neoplasia, consentendo alle cellule di staccarsi dagli aggregati e di raggiungere il circolo ematico. Bassi livelli di caderina-E e un'anomala distribuzione si associano a prognosi peggiore, perchè correlati ad un fenotipo invasivo e metastatico (Marconato e Del Piero, 2005);

 Aneuploidia: l'aneuploidia, ovvero la presenza di un numero anormale di cromosomi, si correla a prognosi peggiore rispetto a quei tumori in cui è presente diploidia, ovvero cromosomi in numero normale (Marconato e Del Piero, 2005).

Riferimenti

Documenti correlati

Il presente PDTA delle neoplasie dello stomaco è il risultato di una condivisione tra i vari specialisti della patologia e mira ad offrire al paziente che accede presso il

JCO 2017; Presented at the European Society Medical Oncology Congress, Madrid, September 8-12, 2017. NEUROENDOCRINE NEOPLASMS:

SCINTIGRAFIA OSSEA (23/09/2014) Quadro di malattia ossea secondaria pluridistrettuale (regione occipitale sn, IX costa dx, arcata orbitaria dx).. Quadro citologico compatibile

Proporreste alla pz un trattamento locoregionale epatico di consolidamento dopo la cht di induzione..

l’epitelio secernente o luminale e quello basale o mioe- pitelio. Queste componenti possono proliferare con- giuntamente caratterizzando i c.d. tumori complessi della cagna,

Per quanto riguarda il cane, i campioni esaminati per sospetta lesione neoplastica della cute sono stati 466, di cui 219 diagnosticati come tumori benigni (47%), 110 ma- ligni (24%)

5 Cane femmina (Età 10 anni) Carcinoma tubulare semplice +++ (88) DA LEGGERA A MODERATA.. 6 Cane femmina (Età 11 anni) Carcinoma tubulare semplice +++

Nell’ambito del gruppo dei soggetti trattati, quindi, una parte ha sviluppato effetti collaterali dopo un periodo di tempo relativamente breve dalla data di inizio della