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Il numero di nuclei primari omogenei per unità di volume non cristallizzato al tempo t è

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Academic year: 2021

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3 Nucleazione primaria

3.1 Nucleazione primaria

Per nucleazione primaria si intende il processo da cui si generano i nuclei che per successivo accrescimento diventeranno cristalli. In questo capitolo si affronterà nel dettaglio questo aspetto della cristallizzazione cominciando dallo distinguere con quali modalità può avvenire. Alla fine del capitolo vengono riportati alcuni interessanti scoperte fatte negli ultimi anni.

3.2 Nucleazione primaria omogenea

I nuclei primari possono essere omogenei o eterogenei, a seconda che i germi cristallini siano o meno della stessa natura chimica della sostanza che cristallizza[27]. Nel caso della nucleazione primaria omogenea i germi cristallini si formano a seguito di fluttuazioni locali di densità, per spontanea aggreagazione di tratti di catena appartenenti alla stessa macromolecola od a macromolecole diverse. Tali aggregati possono avere una struttura più o meno regolare e al di sotto della temperatura di fusione possono diventare nuclei stabili e dare il via alla cristallizzazione.

Nuclei omogenei si formano nel corso di tutta la cristallizzazione; nel fuso ciò porta ad avere sferuliti di dimensioni diverse: infatti, sferuliti originatisi da nuclei comparsi all’inizio della cristallizzazione hanno avuto maggiori possibilità di accrescersi che non quelli formatisi più tardi.

Il numero di nuclei primari omogenei per unità di volume non cristallizzato al tempo t è:

( )= t ( )

0

dt t N t

N & (3.1)

con N&(t) velocità di nucleazione omogenea, espressa come numero di eventi di nucleazione nell’unità di tempo, per unità di volume non cristallizzato; l’obiettivo della seguente trattazione è di trovare una forma esplicita per tale grandezza.

Si comincia con lo studio di un caso facile, quello dei liquidi semplici; le considerazioni svolte per essi saranno valide anche nel caso dei polimeri.

(2)

Il primo aspetto da trattare è puramente termodinamico. Si suppone che il nucleo in crescita abbia forma sferica, quindi il problema è stabilire quale è il raggio minimo per cui il nucleo formatosi risulti stabile. In via del tutto generale si può dire che:

+

=

i Ai i

F V

G (3.2)

dove V è il volume del nucleo, 3F la variazione di energia libera per unità di volume, Aiarea della superficie i-esima, 5i energia libera della superficie i-esima (per unità di superficie). Nel nostro caso:

2

3 F 4 r

3 r

G=4 + (3.3)

dove r è il raggio della sfera. Al di sotto della temperatura di fusione 3F è negativo, mentre 5 è sempre positivo: si hanno dunque due effetti contrapposti come è visibile in fig. 3.1: dapprima prevale il termine di superficie, successiva prende il sopravvento il temine di volume.

Si dà il nome di embrioni ai nucleo con raggio minore di r*; sono instabili sia dal punto di vista termodinamico che cinetico: infatti, per il loro accrescimento richiedono un aumento di 3G. Una volta formatisi, quindi, tendono di nuovo a disciogliersi, anche se la probabilità di un ulteriore accrescimento non è nulla.

Per un raggio compreso tra r* e rssi parla di nuclei omogenei. I germi sono instabili dal punto di vista termodinamico, ma accrescendosi abbassano 3G.

Per dimensioni superiori a rssi parla di nuclei stabili.

Figura 3.1. Affinché un aggregato sia sufficientemente stabile da dare origine ad un cristallo occorre che la sua energia libera ( G) sia negativa.

Oltre r* il germe cristallino cresce fino a diventare cristallo; oltre rsè stabile.

In figura sono anche indicati i contributi di volume e di superficie.

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Per ricavare il valore di r* è sufficiente porre uguale a zero la derivata prima di 3G e usando (2.10):

T H

T 2 F

r*= 2 = m (3.4)

con 3T sottoraffreddamento; da qui si può ricavare 3G* sostituendo nell’equazione (3.3):

( )2

m2 3

*

T H

T 3

G =16 (3.5)

Come si vede sia r* che 3G* aumentano al diminuire di 3T, cioè innalzando la temperatura a cui il materiale viene fatto cristallizzare; quanto più 3T è piccolo tanto più è difficile per il sistema cristallizzare.

Oltre all’aspetto termodinamico occorre tenere conto anche dell’aspetto cinetico del fenomeno: per avere la formazione dei nuclei occorre che le singole molecola possano diffondere verso la superficie di accrescimento. Se si suppone che nel sistema alla temperatura T<T* si trovino NT

aggregati con dimensioni tra 0 e rs, di questi i nuclei critici saranno:

= RT

exp G N

N* T * (3.6)

Ammettendo che basti l’addizione di un solo elemento strutturale per trasformare l’aggregato critico in un nucleo la frazione A di queste che riesce a superare l’interfaccia nell’unità di tempo è:

Figura 3.2.La velocità di nucleazione ( &N)in funzione della temperatura presenta un massimo vicino alla temperatura di fusione T°f. Questo accade per la competizione di due fattori: a basse temperature è impedito il movimento delle molecole verso il cristallo, mentre ad alte temperature è molto elevata la barriera energetica che la molecola deve superare per poter far parte del cristallo.

(4)

= RT exp E

S* D

0 (3.7)

dove A0 è la concentrazione di unità strutturali per unità di superficie, S* è la superficie dell’aggregato, 3EDè l’energia di attivazione del processo di diffusione.

Perciò la velocità di nucleazione omogenea, espressa dal numero di aggregati di dimensioni critiche che vengono raggiunti da un ulteriore elemento strutturale del materiale, è data da:

= +

= RT

E exp G

S N N

N& * T 0 * * D (3.8)

La velocità di nucleazione dipende quindi sia dalle dimensioni del nucleo critico che dalla dinamica delle particelle. Si hanno dunque due fenomeni antagonisti tra loro: a basse temperature le particelle diffondono lentamente, mentre le dimensioni del nucleo critico sono piccole; ad alte temperature (prossime cioè a Tm) la diffusione non è impedita, ma il nucleo critico aumenta notevolmente di dimensione. Il risultato è visibile in fig 3.2.

Passando ora alle sostanze polimeriche si dimostra, in modo molto più complesso, che vale la relazione, analoga a (3.8):

= +

RT E exp G

t cos

N& * D (3.9)

dove 3EDè l’energia libera di attivazione relativa alla diffusione a breve distanza degli elementi che devono cristallizzare attraverso l’interfaccia del cristallo. L’andamento è analogo a quello della viscosità: piccola ad alte temperature con un deciso aumento attorno alla temperatura Tg di transizione vetrosa.

Per quanto riguarda 3G, usando (3.2) e fig.3.3:

( ) 2 e

0 0

2

0l F 2a m n l 2mna

mna

G= + + + (3.10)

Derivando rispetto a m, n e l si trovano i valori critici:

(5)

T H a

T n 4

m

0

* m

*= = (3.11)

T H

T

l= 4 e m (3.12)

( )2

m2 2 e

*

T H

T

G =32 (3.13)

3.2.1 Nucleazione termica e atermica

Quando un sistema comicia a cristallizzare al suo interno si formano diversi aggregati di varie dimensioni: per descrivere tale situazione si definisce una funzione di distribuzione delle

Figura 3.3. Tipica schematizzazione della catena polimerica usata nelle teorie sulla

cristallizzazione dei polimeri: la catena è schematizzata come un parallelepipedo e il processo di cristallizzazione è visto come una serie di parallelepipedi che si affiancano tra di loro (vedere anche § 2.5 e seguenti).

Figura 3.4. Nuclei primari si possono ottenere in due modi:

a) un nucleo è stabile perché è più grosso delle dimensioni critiche (nucleazione termica);

b) un nucleo, instabile ad una certa temperatura, diventa stabile perché si abbassa la temperatura (nucleazione atermica).

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dimensioni f(r); se r>r* si hanno nuclei che, probabilmente, si accresceranno. In questo caso, trattato fino ad ora, si parla di nucleazione termica.

Va detto che sia f(r) che r* sono funzioni della temperatura e ciò ha importanti ripercussioni. Si immagini di cominciare la cristallizzazione a temperatura T1: a tale temperatura avremo una funzione f1(r) e un r1*. Se ad un certo istante la temperatura è abbassata a T2cambieranno sia f(r) che r*; ammettendo che vari solamente r*, il quale scende a r2*<r1*, un aggregato che era instabile a T1 diventa immediatamente stabile (purchè abbia r>r2*) per semplice cambiamento di temperatura, senza cambiamento di dimensione. Si parla in questo caso di nucleazione atermica.

3.2.2 Autonucleazione

Una tecnica speso usata per ottenere cristalli consiste nel self-seeding o autonucleazione ; con questa tecnica si riescono a produrre cristalli molto perfetti. Questo metodo consite nel cristallizzare il polimero uno prima volta; quindi il campione viene nuovamente riscaldato ad una temperatura superiore a quella di fusione per un certo periodo; a questo punto viene nuovamente raffreddato.

Nel secondo processo di cristallizzazione la velocità con cui il polimero si riorganizza è molto veloce; ciò viene spiegato in due modi: anzitutto alcune regioni cristalline non fondono completamente e appena il campione raffredda si comportano da nuclei di cristallizzazione; inoltre, da un punto di vista topologico, la cristallizzazione genera regioni prive di entanglements, le quali per riformarsi, una volta che il cristallo viene rifuso, possono richiedere tempi anche molto lunghi.

3.3 Nucleazione primaria eterogenea

Si ha nucleazione primaria eterogenea quando i germi che fungono da nuclei di cristallizzazione sono di natura chimica diversa rispetto alla sostanza che sta cristallizzando. Tali nuclei cominciano ad accrescersi contemporaneamente e istantaneamente non appena la temperatura scende al di sotto della temperatura di fusione. Va detto che, comunque, si continua ad avere anche nucleazione omogenea e quindi:

( )= + t ( )

0 0 N t dt N

t

N & (3.14)

con N0numero di nuclei eterogenei per unità di volume, costante ed indipendente dal tempo; per gli altri termini vedi §3.1.

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Gli agenti nucleanti possono essere sia residui del processo produttivo (ad esempio dei catalizzatori), oppure introdotti di proposito allo scopo di controllare il processo di cristallizzazione.

3.4 Alcuni dati sperimentali

Nello studio dei fenomeni connessi con la cristallizzazione si ha spesso a che fare con un ben preciso problema: i polimeri usati negli esperimenti sono sempre caratterizzati dal fatto di avere una distribuzione di pesi molecolari attorno ad un valor medio; questa è sicuramente la maggiore differenza tra studi di tipo simulativo o teorico ed indagine sperimentale.

Ultimamente grazie ad un metodo di sintesi messo a punto da Whiting e collaboratori si è riusciti a produrre omopolimeri esattamente monodispresi e questo ha reso possibile indagare anche a livello sperimentale i fenomeni connessi con tale tipologia di polimeri.

In particolare si è visto che:

I. I cristalli polimerici tendono ad avere uno spessore proporzionale a 1/n (n intero) volte la lunghezza della singola macromolecola; ciò significa che la molecola si ripiega in modo da avere i gruppi terminali sulla supeficie del cristallo. Ogni macromolecola può presentare più fasi con un numero diverso di ripiegamenti: ciò che determina quale fase si formerà è la temperatura alla quale il campione viene raffreddato. La fase più stabile è quella con le catene completamente estese ed è quindi quella che presenta temperatura di fusione più elevata e che si forma a bassi raffreddamenti [10].

II. Per pesi inferiori a 150 atomi di carbonio non si è osservato ripiegamento [10].

III. Si osserva un andamento quantizzato dello spessore della lamella: infatti una lamella composta da catene ripegate su sè stesse e sottoposta a riscaldamento non si inspessisce in modo continuo. Quello che succede è che aumentando la temperatura la macromolecola

“salta” da una configurazione con n ripegamenti ad una con n-1 ripiegamenti [10].

IV. Durante i primi istanti della cristallizzazione da melt il cristallo polimerico presenta una struttura disordinata che gli permette di avere uno spessore non proporzionale a 1/n (n inteno) volte la lunghezza della molecola; tale struttura scompare nel tempo trasformandosi in una fase che presenta ripiegamenti o catene completamente estese [15, 17].

V. Sia il tasso di crescita che quello di nucleazione presentano un minimo alla temperatura di transizione tra cristallo con catene completamente estese e cristallo con catene ripiegate una volta. Si pensa che ciò sia dovuto ad un fenomeno detto self-poisoning. Come detto nel punto II ogni macromolecola può presentare più fasi a seconda della temperatura a cui il campione viene raffreddato. Si supponga di essere ancora nella regione di stabilità della fase

Commento: Metter i reference

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con molecole completamente distese, ma non troppo lantano dalla temperatura a cui si forma la fase con un ripiegamneto: in questo caso il cristallo tenderà, ovviamente, a scegliere la prima delle due fasi, ma non è assurdo pensare che alcune molecole possano ripiegarsi una volta e aderire in questo modo alla superficie in crescita. La presenza di tali catene impedisce che catene completamente distese riescano ad aderire alla superficie: ciò provoca un “ritardo” nella crescita del cristallo, che prima di inglobare altre catene deve rimuovere quelle una volta ripiegate [17, 45-47,50].

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