• Non ci sono risultati.

CAPITOLO PRIMO

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAPITOLO PRIMO"

Copied!
144
0
0

Testo completo

(1)

1

CAPITOLO PRIMO

IL FINANZIAMENTO PUBBLICO ALLE

CONFESSIONI RELIGIOSE

SOMMARIO: § 1.1. Le sovvenzioni statali alla Chiesa cattolica dal 1848 al 1929. § 1.2. I finanziamenti pubblici nella prospettiva della Carta Costituzionale. § 1.3. L’Accordo di Villa Madama e la legge 20 maggio 1985 n. 222. § 1.4. Le forme di finanziamento diretto: retribuzione degli insegnanti di religione cattolica, remunerazione dei cappellani in servizio presso le forze armate, gli istituti di detenzione e pena e le strutture ospedaliere, assegnazione di contributi per l’edilizia di culto. § 1.5. Le forme di finanziamento indiretto: buoni scuola, contributi a favore degli oratori, il cinque per mille. § 1.6. L’iter legislativo delle agevolazioni tributarie dall’Ici alla Iuc.

§ 1.1. Le sovvenzioni statali alla Chiesa cattolica dal 1848 al 1929

L’attuale disciplina organica del finanziamento pubblico alle confessioni religiose trova la sua origine nell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense, sottoscritto a Roma il 18 febbraio del 1984 e nelle intese, successivamente stipulate dallo Stato, con le diverse confessioni religiose1.

Fino al 1984 l’intervento dello Stato a favore della Chiesa cattolica2, sola confessione a beneficiare di un contributo pubblico3, era

1 I. PISTOLESI, Il finanziamento delle confessioni religiose, in G. Casuscelli (a cura di), Nozioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2015, p. 323.

2 Secondo M. PIACENTINI, voce Congrua, in “Novissimo Digesto Italiano”, Torino, 1959, p. 98, il trattamento di favore riservato al clero cattolico si giustifica non solo in base alla considerazione per cui la maggioranza della popolazione italiana è cattolica, ma anche perché lo Stato italiano si è sentito in dovere di riparare ai danni subiti dalla Chiesa a seguito della legislazione eversiva del patrimonio ecclesiastico.

3 L’unica eccezione riguardava la Chiesa Valdese, alla quale veniva corrisposto un assegno perpetuo dell’importo annuo di Lire 7.754,75, disposto da Carlo Alberto nel 1843, a titolo di risarcimento delle persecuzioni subite. Cfr. I. PISTOLESI, Il finanziamento delle confessioni religiose, in G. Casuscelli (a cura di), op. cit., pp. 323-324. Le Comunità ebraiche, invece, potevano esigere, tramite l’intervento dello Stato, un contributo obbligatorio, che tutti gli appartenenti alla Comunità erano tenuti a

(2)

2

strutturato intorno al beneficio ecclesiastico, le cui origini risalgono al periodo feudale4.

Il beneficio ecclesiastico è un istituto giuridico caratterizzato da due elementi5: “l’ufficio ecclesiastico ed il diritto, proprio del titolare dell’ufficio stesso, di percepire i redditi prodotti dalla massa patrimoniale annessa all’ufficio”6, costituente, appunto, il c.d. beneficio. Il sistema beneficiale ha subito una significativa influenza da parte dell’intervento statale, in epoca risorgimentale.

Con la legge 29 maggio 1855, n. 8787, il Regno di Sardegna ha soppresso sia gli ordini religiosi non addetti “alla predicazione, all’educazione o all’assistenza degli infermi” (art. 1), sia i Capitoli delle Chiese collegiate, “ad eccezione di quelli aventi cura d’anime od esistenti nelle Città, la cui popolazione oltrepassa[va] ventimila abitanti” (art. 2), sia, infine, i benefizi semplici, “i quali non [avevano] annesso alcun servizio religioso che [doveva] compiersi personalmente dal provvisto” (art. 3).

versare, per il finanziamento della confessione stessa. Si veda G. VEGAS, Spesa pubblica e confessioni religiose, Cedam, Padova, 1990, p. 361 ss.

4 M. FERRABOSCHI, voce Congrua, in “Enciclopedia giuridica Treccani”, 1988, p. 1.

5 Si veda il can. 1409 del Codex Iuris Canonici del 1917.

6 N. FIORITA, Remunerazione e previdenza dei ministri di culto, Giuffrè, Milano, 2003, pp. 63-64.

7 Tale legge era preceduta da alcuni interventi legislativi, sempre nel Regno di Sardegna. Il primo, a cui si vuole fare cenno, è rappresentato dalla legge 25 agosto 1848, n. 777, la quale scioglie le case e le congregazioni della Compagnia di Gesù in Piemonte, ai cui componenti è vietato di continuare a vivere adunati e le case della Corporazione delle Dame del Sacro Cuore di Gesù. Il secondo, invece, trova espressione nella legge 5 giugno 1850, n. 1037 (una delle c.d. “leggi Siccardi”, dal nome del giurista e uomo politico), che si è occupata del divieto di acquisizione di immobili da parte di enti morali, siano essi ecclesiastici o laici, senza previa autorizzazione regia e parere del Consiglio di Stato. La legge ha previsto analogo procedimento anche per le donazioni fra vivi e per le disposizioni testamentarie a pena d’inefficacia.

(3)

3

Contemporaneamente a tali soppressioni, viene istituita la Cassa Ecclesiastica, ente autonomo e distinto dallo Stato8, in cui confluiscono i beni degli enti venuti meno9.

La Cassa ecclesiastica doveva, non solo provvedere all’amministrazione di detti beni, ma anche devolvere le relative rendite al soddisfacimento delle esigenze di culto della popolazione. In altre parole, “tanto si ricavava dalla messa a frutto del patrimonio già ecclesiastico, tanto si spendeva per soddisfare i bisogni religiosi della popolazione”10, nel rispetto del principio di matrice liberale che sul bilancio dello Stato non doveva gravare alcun tipo di onere per soddisfare i bisogni religiosi della popolazione11.

La Cassa ecclesiastica disponeva inoltre, al fine di garantire il sostentamento del clero, l’erogazione di sussidi ai parroci poveri, che precedentemente venivano corrisposti dallo Stato12.

Per fare fronte a tali numerose incombenze e per rendere più equa la distribuzione della ricchezza ecclesiastica, la legge del 1855 istituiva, inoltre, all’art. 31, la quota di annuo concorso, onere che gravava sugli enti ecclesiastici conservati, in modo progressivo13.

8 La Cassa Ecclesiastica è distinta dallo Stato in quanto ente autonomo con finanziamento proprio (patrimonio già ecclesiastico), ma con amministrazione statale dipendente dal Ministero della giustizia e degli affari ecclesiastici.

9 Si ricordi che mentre in altri paesi europei (quali, ad es., Belgio, Spagna, Francia, Germania), interessati dal medesimo fenomeno, il patrimonio degli enti ecclesiastici soppressi era incamerato dallo Stato, che si faceva carico di provvedere alle spese del culto cattolico, in Italia ed in Austria invece, detto patrimonio, era devoluto a speciali enti: in Italia, dapprima alla menzionata Cassa ecclesiastica e poi al Fondo per il culto, in Austria al Fondo di religione. Cfr. M. FERRABOSCHI, voce Congrua, in “Enciclopedia del diritto”, Giuffrè, Milano, 1961, p. 1087.

10 P. CONSORTI, Diritto e religione, Laterza, Roma-Bari, 2014, p. 165.

11 A.C. JEMOLO, Lezioni di diritto ecclesiastico, Giuffrè, Milano, 1979, p. 38 e p. 243.

12 M. PIACENTINI, voce Congrua, cit., p. 97.

13 R. JACUZIO, voce Fondo per il culto, in “Novissimo Digesto Italiano”, Torino, 1965, p. 516.

(4)

4

Con l’unificazione del Regno, le sorti della Cassa non mutano, anzi le sue competenze vengono estese alle province, che via via vengono annesse al Piemonte14.

Con il decreto legislativo 7 luglio 1866 n. 3036, il quale sopprime gli enti ecclesiastici in modo uniforme e generale in tutto il Regno15, è abolita la Cassa ecclesiastica. Tuttavia, non solo il suo patrimonio, ma anche le sue funzioni, traslano al Fondo per il culto.

Il Fondo per il Culto adempie a diversi obblighi, fra i quali, il più importante, è corrispondere un supplemento di assegno ai parroci, compresi i prodotti casuali [cioè le c.d. tasse di stola bianca e nera] calcolati sulla media di un triennio, con un reddito minore di lire 800 annue16.

14 La legge 29 maggio 1855, n. 878 viene infatti riproposta, con alcune varianti, nel decreto del commissario generale per l’Umbria, 11 dicembre 1860, in quello del commissario generale per le Marche, 3 gennaio 1861, ed in quello del luogotenente generale per le Due Sicilie, 17 febbraio 1861. Cfr. A.C. JEMOLO, voce Asse Ecclesiastico, in “Enciclopedia Italiana Treccani”, 1929.

15 L’art. 1 del decreto legislativo prevede espressamente che “non sono più riconosciuti nello Stato gli ordini, le corporazioni e le congregazioni religiose regolari e secolari, ed i conservatori e ritiri, i quali importino vita comune ed abbiano carattere ecclesiastico. Le case e gli stabilimenti appartenenti agli ordini, alle corporazioni, alle congregazioni ed ai conservatori e ritiri anzidetti sono soppressi”. I beni appartenenti alle corporazioni soppresse sono devoluti al demanio (il passaggio dei beni dalla Cassa ecclesiastica al demanio viene regolato dalla legge 21 agosto 1862, n. 794 e dal regolamento 25 novembre 1862, n. 855), con l’obbligo per lo Stato di iscrivere a favore del Fondo per il Culto (già Cassa ecclesiastica) una rendita corrispondente a quella accertata e sottoposta al pagamento della tassa di manomorta, fatta deduzione del 5% per spese di amministrazione. I beni immobili degli altri enti morali ecclesiastici, eccetto quelli appartenenti ai benefizi parrocchiali e alle chiese ricettizie, vengono, allo stesso modo, convertiti ad opera dello Stato, mediante iscrizione, in favore degli enti medesimi, di una rendita uguale a quella accertata e sottoposta, come sopra, al pagamento della tassa di manomorta. Cfr. art. 11 cit. l. Il processo eversivo del patrimonio ecclesiastico viene però portato a compimento tramite la successiva legge 15 agosto 1867, n. 3848, sulla liquidazione dell’asse ecclesiastico, che prevede l’eliminazione di tutti gli enti secolari, ritenuti superflui dal legislatore, per la vita religiosa del paese. I beni degli enti, anche in questo caso, vengono devoluti al demanio. Tuttavia, quanto ai beni immobili, il Governo iscrive a favore del Fondo per il culto una rendita del 5%, uguale alla rendita dei medesimi accertata e sottoposta alla tassa di manomorta, fatta deduzione del 5% per spese di amministrazione; quanto, invece, ai canoni, censi, livelli, decime, ed altre annue prestazioni, provenienti dal patrimonio delle corporazioni religiose e degli altri enti morali, soppressi dalla legge 7 luglio 1866 e dalla presente, il demanio le assegna al Fondo, ritenendone l’amministrazione per conto del medesimo. Si vedano artt. 1 e 2 cit. l.

16 Cfr. art. 28, cit. l. L’articolo in parola fissa un ordine di priorità nell’adempimento dei diversi oneri gravanti sul Fondo per il culto, ragione per la quale il versamento dei supplementi di congrua rimane inizialmente sulla carta. Infatti, la corresponsione di

(5)

5

Con questo intervento finanziario “lo Stato supplisce ai redditi dei benefici più poveri, e garantisce per tutti i titolari un livello minimo di sostentamento”17, ritenuto indispensabile per il decoroso mantenimento dell’investito.

Nel dettaglio, lo Stato versa i supplementi di congrua ai titolari di alcuni benefici (in particolare a quelli aventi cura d’anime: vescovi, parroci, membri di capitoli cattedrali, etc.) con un reddito inferiore ad una somma predeterminata per legge, di modo che tale reddito possa raggiungere, con l’integrazione statale, la cifra ritenuta adeguata e più precisamente congrua18.

Con l’avvento dei supplementi di congrua, intervengono anche contestuali forme di controllo da parte dello Stato, sul patrimonio ecclesiastico conservato, sul presupposto che una sua non corretta amministrazione ne comportava una diminuzione di valore e di conseguenza un maggiore impegno economico dello Stato per supplire alle deficienze dei benefici19.

A seguito degli eventi che portano, il 20 settembre 1870, alla liberazione della città di Roma e poi alla sua successiva annessione al Regno d’Italia20, lo Stato unitario si trova ad affrontare un problema particolarmente complesso: le future relazioni con la Santa Sede.

La soluzione trovata viene espressa dal Parlamento italiano con la c.d. “legge delle guarentigie”21 che da una parte, regolava le

una parte dell’assegno prima e dell’intero ammontare poi, diviene effettiva solo tramite le leggi 14 luglio 1887, n. 4727 e 30 giugno 1862, n. 317. Si veda, in tal senso, P. CONSORTI, La remunerazione del clero. Dal sistema beneficiale agli Istituti per il sostentamento, Giappichelli, Torino, 2000, pp. 39-40.

17 C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 377. 18 R. JACUZIO, voce Fondo per il culto, cit., p. 517.

19 N. FIORITA, Remunerazione e previdenza dei ministri di culto, cit., p. 65.

20 L’annessione della città di Roma al Regno d’Italia viene formalizzata con la legge n. 6165 del 31 dicembre 1870. Cfr. C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 157.

21 Legge 13 maggio 1871 n. 214. Secondo P. BELLINI, voce Confessioni Religiose, in “Enciclopedia del diritto”, Giuffrè, Milano, 1961, p. 927, tale legge, “pur nelle singolari difficoltà del momento, seppe conciliare le idealità laiche dello Stato liberale con l’indipendente espletamento, da parte della gerarchia cattolica, della propria azione in campo spirituale”.

(6)

6

prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede e dall’altra, si occupava di disciplinare le relazioni dello Stato con la Chiesa.

La legge delle guarentigie confermava il sistema di sostentamento del clero in vigore ed inoltre prevedeva all’art. 4, a favore della Santa Sede, a titolo di riparazione, la dotazione di lire 3.255.00022. Tale somma veniva iscritta nel Gran Libro del Debito pubblico in forma di “rendita perpetua ed inalienabile al nome della Santa Sede”.

Come è noto, “i proventi di questo fondo non furono però mai ritirati, perché la Chiesa contestava fortemente l’unilateralità della legge e temeva di poter essere, in futuro, messa sotto scacco dall’Italia, che avrebbe sempre potuto revocare le garanzie accordate”23. A causa del venir meno del proprio sistema di entrate, la Santa Sede “dovette ricorrere a nuove modalità di finanziamento ad opera delle contribuzioni delle comunità cattoliche del mondo”24.

A completare il quadro appena delineato, occorre menzionare la legge 19 giugno 1873 n. 1402 che estende alla provincia di Roma le leggi eversive del patrimonio ecclesiastico, stabilendo tuttavia un regime particolare per gli enti della capitale25.

22 La suddetta cifra resterà tale sino all’esercizio 1928-29, ad eccezione del 1872, in cui è di L. 6.450.000, del 1873, con L. 9.675.000, del 1874, con L. 12.900.000, del 1875, con L. 16.125.000 del 1876, con L. 19.350.000. Cfr. G. VEGAS, Spesa pubblica e confessioni religiose, cit., p. 347, in nota p. 420.

23 P. CONSORTI, Diritto e religione, cit., pp. 166-167. È importante sottolineare come solo in base alla Convenzione Finanziaria, allegata al Trattato Lateranense, venivano risarciti da parte italiana i danni materiali subiti dal Pontefice con la perdita del potere temporale, tramite lo stanziamento, a favore della Santa Sede, della somma di L. 750.000.000 e la consegna di un miliardo consolidato in titoli al portatore 5%. Si veda E. GRAMAGLIA, La vocazione finanziaria del Vaticano, in “Paginauno”, n. 11/2009. 24 G. VEGAS, Spesa pubblica e confessioni religiose, cit., p. 347. Sugli effetti economici dell’“Obolo di San Pietro”, si veda C. CROCELLA, Augusta miseria. Aspetti delle finanze pontificie nell’età del capitalismo, Niei, Milano, 1982, in particolar modo p. 170 ss.

25 P. COLELLA, voce Fondo per il culto, in “Enciclopedia del diritto”, Giuffrè, Milano, 1968, p. 875, rileva come “in forza di quest’ultima legge fu istituito il «Fondo speciale per gli usi di beneficenza e di religione per la città di Roma», cui furono assegnati i beni degli enti ecclesiastici soppressi nella città di Roma con il compito di adempiere, in maniera analoga, agli stessi scopi per i quali venne eretto il Fondo per il culto per il restante territorio nazionale, tenendo in particolare considerazione la circostanza del luogo ove detti beni si trovavano”.

(7)

7

Il quadro dei finanziamenti alla Chiesa cattolica rimane pressoché inalterato sino alla prima guerra mondiale, quando gli effetti dell’inflazione si fanno sentire sui livelli delle erogazioni ed in modo particolare sui supplementi di congrua.

A tal proposito, prima con il decreto luogotenenziale 17 marzo 1918, n. 396 e poi con il decreto luogotenenziale 6 luglio 1919, n. 1156 viene innalzato il livello di congrua da garantire ai parroci e la spesa conseguente, essendo divenute le entrate patrimoniali del Fondo per il culto del tutto insufficienti a far fronte ai vari oneri disposti a suo favore dalle molteplici leggi susseguitesi nel tempo, per cui viene a disporsi a carico del Ministero del Tesoro un annuo contributo a favore del Fondo medesimo26.

Di conseguenza il Fondo per il culto perde la sua originaria fisionomia, pur restandone immutati i compiti, accollandosi lo Stato l’onere di finanziare il Fondo e quindi di sostenere il clero in cura d’anime27. In altre parole, viene meno il principio cardine alla base della legislazione del secolo precedente, ovvero quello “della corrispondenza tra spesa di culto e rendita del patrimonio già ecclesiastico”, in ossequio alle istanze separatiste fra Stato e Chiesa dell’epoca. La spesa di culto tornava, conseguentemente, a gravare quindi sul bilancio dello Stato, per la prima volta, dopo il 185528.

La legge 2 febbraio 1922, n. 164 aggrava ulteriormente la situazione e sancisce la definitiva rottura con il principio sopra citato, disponendo che il sostentamento, fino ad allora riservato ai soli parroci, venga esteso agli ordinari diocesani, ai dignitari canonici, ai beneficiati dei capitoli cattedrali, ai vicari e ai cappellani curati con cura d’anime29.

26 G. DALLA TORRE, voce Fondo per il culto, in “Enciclopedia giuridica Treccani”, 1989, p. 2.

27 Ibidem.

28 P. CONSORTI, La remunerazione del clero. Dal sistema beneficiale agli Istituti per il sostentamento, cit., p. 40.

(8)

8

Successivi decreti provvedono poi ad aggiornare il limite di congrua, con ulteriori pesanti conseguenze economiche30.

La stabilizzazione dei supplementi di congrua interviene a seguito del Concordato Lateranense, nella prospettiva di una raggiunta conciliazione fra Stato Italiano e Chiesa cattolica31.

L’art. 30, c. 3, disponeva infatti che “lo Stato italiano, finché con nuovi accordi non sarà stabilito diversamente, continuerà a supplire alle deficienze dei redditi dei benefìci ecclesiastici con assegni da corrispondere in misura non inferiore al valore reale di quella stabilita dalle leggi attualmente in vigore”32.

Tale comma consolida quindi l’obbligo costante, da parte dello Stato, della corresponsione dei supplementi di congrua, che vengono anche adeguati all’andamento dell’inflazione.

Gli antichi supplementi di congrua diventano in breve la congrua, “un vero e proprio stipendio pubblico dei sacerdoti cattolici, senza più alcun riferimento al reddito beneficiale, talvolta minimo se non nullo”33.

In definitiva, la funzione dei supplementi di congrua subisce una notevole evoluzione nel corso degli anni: dalla prevalente funzione risarcitoria dei beni ecclesiastici espropriati dalla legislazione eversiva,

30 M. FERRABOSCHI, voce Congrua, in “Enciclopedia del diritto”, cit., p. 1088. 31 Il Concordato, insieme al Trattato ed alla Convenzione finanziaria, costituiscono i Patti Lateranensi, sottoscritti a Roma, nel Palazzo apostolico lateranense, dal Segretario di Stato card. Gasparri, per la Santa Sede, e dal Capo del Governo Mussolini, per l’Italia, l’11 febbraio 1929. L’esecuzione dei Patti nell’ordinamento giuridico italiano è stata disposta con la legge 27 maggio 1929, n. 810, entrata in vigore con lo scambio delle ratifiche, avvenuto in Vaticano il 7 giugno 1929. Cfr. C. MIRABELLI, voce Patti Lateranensi, in “Enciclopedia giuridica Treccani”, 1990, p. 1. Per l’applicazione del Concordato sono emanate due leggi: la legge 27 maggio 1929 n. 847 per il matrimonio e la legge 27 maggio 1929, n. 848 per gli enti ecclesiastici. Si veda E. VITALI, A.G. CHIZZONITI, Manuale breve. Diritto ecclesiastico, Giuffrè, Milano, 2011, p. 9.

32 In dipendenza di tale impegno, l’art. 25 della legge 27 maggio del 1929, n. 848, dispone che “l’attuale trattamento economico del clero diviene definitivo anche per i miglioramenti che le disposizioni finora emanate considerano come temporanei”. 33 P. CONSORTI, Diritto e religione, cit., p. 168.

(9)

9

si passa alla costituzione di una vera e propria retribuzione da parte dello Stato34.

A questo punto si sente la necessità di riordinare la materia delle congrue in un testo unico, approvato con R.D. 29 gennaio 1931, n. 227 ed accompagnato dal relativo regolamento, approvato con R.D. 29 gennaio 1931, n. 22835.

Il sistema appena descritto prevede un singolare connubio fra il sistema beneficiale di origine canonistica ed il sistema delle congrue di origine statale, dando vita al c.d. sistema beneficiale-congruale che rimane in vigore sino alla riforma del Concordato Lateranense del 1984, quando viene definitivamente abbandonato36.

§ 1.2. I finanziamenti pubblici nella prospettiva della Carta Costituzionale

Dopo aver delineato il modus operandi, con cui lo Stato italiano è intervenuto, nel corso dei decenni, a sostegno della Chiesa cattolica, il punto di arrivo è rappresentato dalla Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, che costituisce una forte rottura con il precedente regime di matrice fascista e segna la nascita della Repubblica, come nuova forma di governo, scelta a seguito del referendum istituzionale del 2 giugno del 194637.

La Costituzione rappresenta un documento giuridico di notevole importanza ed è frutto del compromesso fra le allora forze politiche

34 G. VEGAS, Spesa pubblica e confessioni religiose, cit., p. 350.

35 Il T.U. sulla liquidazione e concessione dei supplementi di congrua, degli onorari e degli assegni per spese di culto al clero ha subito modificazioni di rilievo con la legge 26 luglio 1974, n. 343, che è stata successivamente modificata con la legge 27 maggio 1977, n. 282, la legge 6 marzo 1980, n. 58 e la legge 25 marzo 1982, n. 107. Tutto questo sistema è stato travolto dall’art. 51 della legge 20 maggio 1985, n. 222, recante “Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”. Si veda M. FERRABOSCHI, voce Congrua, in “Enciclopedia giuridica Treccani”, cit., p. 1.

36 I. PISTOLESI, Il finanziamento delle confessioni religiose, in G. Casuscelli (a cura di), op. cit., p. 323.

37 In tale data, insieme alla scelta sulla futura forma di governo, i cittadini italiani (comprese per la prima volta le donne) sono chiamati ad eleggere anche i componenti dell’Assemblea Costituente, deputata a redigere la nuova Carta costituzionale.

(10)

10

(marxista, liberal-democratica e cattolica) che hanno cooperato, in seno all’Assemblea Costituente, alla formulazione di disposizioni il più possibile condivise e condivisibili.

In tale contesto, i Padri costituenti hanno posto particolare attenzione al fenomeno religioso, fonte di non poche discriminazioni nel periodo antecedente38. Ne sono espressione gli articoli 8 e 19 della Costituzione, che si occupano rispettivamente della libertà religiosa collettiva ed individuale; l’art. 7, che stabilisce la reciproca indipendenza fra Stato e Chiesa cattolica; l’art. 20, che garantisce la libertà degli enti ecclesiastici. Collegati alla tutela del sentimento religioso sono anche l’art. 2, quando riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità; l’art. 3, quando nell’affermare la pari dignità sociale e l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, vieta ogni distinzione fondata anche sulla religione ed attribuisce, inoltre, alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli, che impediscano il pieno sviluppo della persona umana; l’art. 4, infine, quando prescrive che ogni cittadino ha il dovere di svolgere un’attività che concorra al progresso spirituale della società.

Il microsistema delle norme costituzionali appena citato, malgrado sottolinei chiaramente il valore attribuito alla libertà religiosa nelle sue varie forme ed espressioni, ha risentito fortemente dell’influenza della dottrina prevalente in quegli anni, ponendo particolare attenzione al rapporto tra ordinamenti39, nella prospettiva di un diritto ecclesiastico inteso in senso “verticale”40.

Verso la metà degli anni ’50, tuttavia, si è assistito ad una diversa lettura delle questioni inerenti il diritto ecclesiastico, non più viste solo

38 Ne sono manifestazione le leggi razziali fasciste del 1938 e la legge 24 giugno 1929, n. 1159, ancora in vigore, sui culti ammessi, la quale aveva dato vita ad una normazione fortemente lesiva dei diritti delle minoranze.

39 R. ASTORRI, Il finanziamento tributario delle confessioni religiose. Profili comparatistici, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, 2006, 1, p. 10. 40 P. CONSORTI, Diritto e religione, cit., p. 11 ss.

(11)

11

nel quadro dei rapporti fra Stato e Chiesa cattolica, ma inquadrate alla stregua di una diversa lettura del diritto di libertà religiosa, inteso come fonte di espressione di un bisogno primario, diffuso nella collettività, a cui lo Stato deve rispondere, facendosi garante della sua attuazione verso tutti e non solo nei confronti dei cittadini. In questo senso il diritto ecclesiastico sembra aver perso la sua connotazione originale, “dall’alto della piramide scende[ndo]41 alla base, dove incontra le forme di spiritualità proprie della vita concreta degli uomini e delle donne, garantendone la libertà”42.

Tutto questo si è sviluppato in concomitanza con i repentini cambiamenti del contesto etico-sociale del paese, in cui lo Stato italiano ha assunto una forma ben precisa: sociale, pluralista e laica. Proprio la laicità rappresenta il punto di approdo di un percorso evolutivo svolto dalla Consulta, che ha desunto l’esistenza di tale principio, qualificato dalla stessa come “supremo”, dal combinato disposto degli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione. Secondo la Corte Costituzionale, “il principio di laicità”, […] implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”43.

A fronte del citato principio di laicità e dell’interesse manifestato dallo Stato sociale nei confronti di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini, si colloca la problematica del finanziamento pubblico alle confessioni religiose. Questa tematica ha

41 Inciso aggiunto al pensiero dell’autore (si v. nota seguente).

42 P. CONSORTI, Diritto e religione, cit., p. 15. Si veda anche R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico. Valori religiosi e società civile, Giappichelli, Torino, 1998, p. 123 ss., il quale colloca la questione nell’ottica di una diversa interpretazione dei rapporti fra Stato e organi periferici, ritenuti maggiormente competenti a realizzare effettive modalità di tutela del diritto di libertà religiosa.

43 Cfr. C. cost., 11 aprile 1989, n. 203. La fattispecie, oggetto di esame della Consulta, riguardava la presunta illegittimità costituzionale dell’art. 9, punto (recte: numero) 2, della legge 25 marzo 1985, n. 121 e dell’art. (recte: punto) 5, lettera b), numero 2, del Protocollo addizionale all’Accordo di Villa Madama sottoscritto il 18 febbraio 1984, inerenti l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado, per contrasto con gli artt. 2, 3, e 19 della Costituzione.

(12)

12

suscitato un ampio dibattito nella dottrina, che ha cercato di trovarvi un fondamento valido, non essendoci una norma costituzionale, che si occupi espressamente della legittimazione del finanziamento pubblico alle confessioni religiose.

Secondo la dottrina maggioritaria, lo Stato laico, pluralista e sociale44 non accetta i postulati separatisti fondati sull’estraneità fra società e religione e non esprime ostilità verso i diversi aiuti, che l’ordinamento offre a favore delle confessioni religiose. Viceversa, “esso parte dal presupposto che il fenomeno religioso è fenomeno essenzialmente sociale, e che quindi deve essere considerato alla stregua delle altre manifestazioni di socialità, tutelandolo con guarentigie negative e positive e con l’approntamento di mezzi che favoriscano la effettività del diritto di libertà religiosa”45. Detto diversamente, lo Stato è arrivato, nel corso del tempo, ad una percezione piena del significato che la religione ha assunto nella vita dei singoli quale fattore di crescita personale. Di conseguenza, se intende assumere come compito primario quello della promozione della persona umana (ex art. 3, c. 2 Cost.), non può mantenersi indifferente dinanzi alla religione, la quale acquista specifica rilevanza, alla stregua degli altri interessi che possono essere

44 Si è espresso a favore del finanziamento pubblico a sostegno delle confessioni religiose, sulla base della evoluzione dello Stato contemporaneo come Stato sociale, R. ASTORRI, Il finanziamento tributario delle confessioni religiose. Profili comparatistici, cit., pp. 5-6, il quale ha, tuttavia, sostenuto che “la moltiplicazione delle forme di finanziamento alle confessioni religiose, anche a causa della politica dello Stato sociale […] ha portato ad una sottovalutazione, sia da parte dello Stato sia da parte delle confessioni religiose, della finalità della cooperazione economica, che va guardata come un momento di sostegno alla libertà religiosa garantita dalle costituzioni, piuttosto che come un riconoscimento delle attività di carattere sociale svolte dalle confessioni”.

45 C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 204 ss. Dello stesso autore e nello stesso senso, si veda anche la voce Religione (libertà di), in “Enciclopedia del diritto”, Aggiornamento, Volume II, Giuffrè, Milano, 1998, la voce Stato e confessioni religiose, V) Il regime finanziario, in “Enciclopedia giuridica Treccani”, 1993, p. 2 e Otto per mille e offerte deducibili, in I. Bolgiani (a cura di), Enti di culto e finanziamento delle confessioni religiose, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 225 ss.

(13)

13

definiti come sociali, i quali contribuiscono alla crescita ed allo sviluppo della personalità umana46.

L’argomentazione appena esposta, pur riscuotendo ampi consensi tra i giuristi che si sono occupati della questione, risulta tutt’altro che pacifica e si contrappone alla dottrina secondo cui lo Stato è incompetente in materia religiosa e di conseguenza non può attuare il proprio intervento positivo di sostegno alla realizzazione di finalità religiose, ma deve limitarsi ad assicurare la libertà di perseguire tali finalità con i mezzi propri delle confessioni47. In altre parole, “lo Stato apprezza l’importanza sociale degli interessi spirituali e organizza per essi particolari garanzie di libertà, ma il loro concreto soddisfacimento è rimesso alle confessioni, alla cui competenza appartiene”48.

Accanto a queste posizioni principali occorre prendere in considerazione anche due posizioni minoritarie. Secondo la prima, l’intervento statale in materia religiosa deve essere quanto più delimitato possibile, mentre la seconda richiede che esso, “lungi dal poter essere esaminato isolatamente, venga riportato all’interno di quei criteri generali che devono guidare l’azione promozionale dello Stato in ogni settore”49.

46 P. MONETA, Solidarietà sociale e religione: organizzazioni di utilità sociale ed enti ecclesiastici, in AA.VV. (a cura di), Studi in onore di Francesco Finocchiaro, Volume II, Cedam, Padova, 2000, pp. 1308-1309.

47 G. MASSA GALLERANO, Il finanziamento pubblico ‘indiretto’ delle confessioni religiose e il caso delle esenzioni fiscali a favore degli immobili ecclesiastici, in N. Fiorita, D. Loprieno (a cura di), La libertà di manifestazione del pensiero e la libertà religiosa nelle società multiculturali, Firenze University Press, Firenze, 2009, p. 200. 48 F. ONIDA, voce Separatismo, in “Enciclopedia del diritto”, Giuffrè, Milano, 1989, p. 1347. Condivide tale posizione S. LARICCIA, voce Interesse religioso, in “Enciclopedia del diritto”, Giuffrè, Milano, 1990, p. 3 ss.

49 N. FIORITA, Remunerazione e previdenza dei ministri di culto, cit., p. 20 ss., il quale riassume per la prima impostazione le tesi elaborate da S. Lariccia e A. Vitale, mentre riporta per la seconda l’opinione espressa da G. Di Cosimo. Secondo detto Autore, fra l’altro, partendo dal presupposto che lo Stato continui ad intervenire in favore dei ministri di culto, non resta altra possibilità che quella di ricostruire diversamente le motivazioni a supporto del mantenimento di un intervento pubblico promozionale a favore delle confessioni religiose. Due sono i fattori che legittimano tale intervento: da una parte viene in evidenza un giudizio di apprezzamento per le attività socialmente utili svolte dal ministro di culto, dall’altro emerge la necessità di eliminare lo stato di bisogno in cui si trova tale soggetto, che non sia in grado di

(14)

14

Tutte queste considerazioni devono essere completate alla luce di una ulteriore riflessione sui cambiamenti in corso, che appaiono idonei a modificare la struttura che il nostro Stato ha acquisito a seguito dell’entrata in vigore della Carta Costituzionale50. È indiscusso che attualmente lo Stato sociale stia vivendo un periodo di forte crisi; questo porta a ripensare sia i compiti cui deve assolvere, sia gli interventi che deve attuare. Questi mutamenti fanno emergere nuovi profili di valutazione, dovendosi prendere come riferimento non solo il piano della legittimità dell’intervento pubblico, quanto quello della sua opportunità, compatibilità e necessità con le nuove politiche sociali adottate dai governi e con le ridotte risorse finanziare disponibili. Questo comporta la necessità di procedere alla redazione di criteri validi per guidare la scelta del legislatore su cosa finanziare ed in che misura, procedendo ad una selezione fra i molteplici interessi meritevoli di tutela, fra i quali rientrano senza dubbio quelli inerenti la materia religiosa51.

§ 1.3. L’Accordo di Villa Madama e la legge 20 maggio 1985 n. 222

Alla luce delle precedenti osservazioni occorre notare che, malgrado la Carta Costituzionale non menzioni espressamente il finanziamento pubblico alle confessioni religiose, il sistema delle congrue è rimasto in vigore nonostante numerosi inconvenienti ed ingiustizie.

svolgere una qualsiasi attività lavorativa, in quanto dedito a seguire la propria vocazione e quello che ne comporta.

50 Si ricordi che l’Italia ha oggi una forma di Stato costituzionale, democratica, sociale, pluralista e laica. Si veda, in tal senso, S. TROILO, La libertà religiosa a sessant’anni dalla Costituzione, Atti del convegno internazionale su “Diritti dell’uomo e libertà religiosa”, Università di Bergamo, 5-6 ottobre 2007, p. 1, disponibile sul sito http://www.forumcostituzionale.it.

51 N. FIORITA, Remunerazione e previdenza dei ministri di culto, cit., p. 25. Cfr. anche Id., Enti ecclesiastici ed agevolazioni fiscali: brevi note su alcuni recenti provvedimenti governativi, in “Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose”, 2005, p. 12 ss. e G. MASSA GALLERANO, Il finanziamento pubblico ‘indiretto’ delle confessioni religiose e il caso delle esenzioni fiscali a favore degli immobili ecclesiastici., in N. Fiorita, D. Loprieno (a cura di), op. cit., p. 200. Sul tema, per una analisi dettagliata, si veda M.C. FOLLIERO, Enti religiosi e non profit tra welfare state e welfare community. La transizione, Giappichelli, Torino, 2010.

(15)

15

In primo luogo, si è reputato questo sistema discriminante rispetto all’uguaglianza tra sacerdoti52, venendo il personale ecclesiastico diviso fra titolari e non titolari di benefici53 e fra titolari di benefici ricchi e titolari di benefici poco redditizi54.

In secondo luogo, questo sistema ha avuto nel tempo un effetto sterilizzante sul pur notevole patrimonio ecclesiastico. Lo Stato, sabaudo prima ed unitario dopo, ha realizzato incameramenti di beni appartenenti ad enti ecclesiastici, facendo tuttavia salvi alcuni benefici e prevedendo, per questi ultimi, delle procedure burocratiche molto complesse per la loro alienazione. Il fine perseguito è stato quello di assicurare i mezzi per la cura delle anime e di salvaguardare la condizione di quei religiosi maggiormente laboriosi e più vicini al popolo, i quali si sono contrapposti all’alto clero, considerato parassita della società55.

Tale sistema ha avuto il pregio di salvaguardare il valore di un immenso patrimonio, ma ha parallelamente bloccato qualsiasi ulteriore possibilità di valorizzarlo, considerato che per alienare anche una piccola porzione di terreno beneficiale, era necessario avviare una procedura molto complessa, che vedeva coinvolti Prefetto, Ministero dell’Interno, Consiglio di Stato e Capo dello Stato. Questo sistema, tollerabile finché l’Italia è rimasta una società agricolo-artigianale, è divenuto fonte di ingenti danni, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, in quanto i beni ecclesiastici, a cagione dello spopolamento

52 G. GIACHI, Il nuovo volto della Chiesa in Italia, in “La civiltà cattolica”, Quaderno 3297, Anno 1987, p. 287.

53 Nel precedente sistema, infatti, erano titolari di un beneficio solo i vescovi, i parroci ed i canonici dei capitoli delle cattedrali. Cfr. G. GIACHI, Il nuovo volto della Chiesa in Italia, cit., p. 286.

54 C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 376-377.

55 Lo Stato stabiliva, per legge, il reddito sufficiente al decoroso sostentamento del clero; nel caso in cui non si raggiungesse il minimo richiesto, esso si impegnava a corrispondere un assegno supplementare di congrua. Tale supplemento veniva erogato, nello specifico, dal Fondo per il culto, il quale aveva il compito di amministrare i beni incamerati dallo Stato e di metterli a frutto.

(16)

16

delle zone montane e del sopraggiunto deterioramento, hanno iniziato a perdere di valore56.

In terzo luogo, il sistema beneficiale-congruale ha assunto una configurazione equivoca. Lo Stato ha contribuito direttamente alle esigenze dei sacerdoti attraverso i supplementi di congrua, che hanno assunto la sostanza di un contributo stipendiale57. Questa struttura amministrativa è risultata pericolosa, perché ha reso il sacerdote uno stipendiato statale, influenzandone l’indipendenza e la libertà del suo ministero.

Strettamente collegata a quest’ultimo rilievo è la considerazione per cui il sistema, nel suo complesso, ha avuto effetti diseducativi non solo per il clero, a causa dell’“indebito godimento dei frutti beneficiali da parte del singolo e non della Chiesa” e per la conseguente “distrazione del ministro sacro dall’attività pastorale a vantaggio di quella materiale”58, ma anche per i fedeli, i quali erano a conoscenza che i parroci ed i vescovi venivano mantenuti sostanzialmente dallo Stato e quindi si sentivano esentati dal concorrere, con i propri mezzi, al sostentamento dei sacerdoti59.

La revisione del sistema è dunque apparsa necessaria, sia per le motivazioni appena citate, sia perché lo Stato ha preso coscienza della necessità di rivedere il proprio intervento nella sfera religiosa, fondandolo su nuove e costituzionalmente orientate motivazioni.

La riforma dei Patti Lateranensi “affonda le sue radici nella mozione parlamentare approvata nel 1967 che afferma «l’opportunità di riconsiderare talune clausole del Concordato in rapporto all’evoluzione dei tempi e allo sviluppo della vita democratica» e che invita il Governo

56 G. GIACHI, Il nuovo volto della Chiesa in Italia, cit., p. 289.

57 Secondo C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 377, “nei fatti così è considerato quando, nel 1982, si riconosce il diritto dei titolari dei benefici congruati alla indennità di contingenza, così come corrisposta agli impiegati civili dello Stato (legge 25 marzo 1982, n. 107)”.

58 P. CONSORTI, La remunerazione del clero. Dal sistema beneficiale agli Istituti per il sostentamento, cit., p. 22.

(17)

17

«a prospettare all’altra parte contraente tale opportunità in vista di raggiungere una valutazione comune in ordine alla revisione bilaterale di alcune norme concordatarie»”60. Nel 1971 si pongono le basi del negoziato con la Santa Sede, il cui avvio delle trattative si concreta solo nel 1976, con la nomina di due commissioni, una italiana61 e una vaticana62, aventi il compito di elaborare delle proposte di modifica del Concordato. Quattro sono le bozze formulate fra il 1976 ed il 1979, di cui sono da segnalare la II e la III, nelle quali si cerca di realizzare un effettivo superamento del sistema beneficiale63. Dopo la stesura di due ulteriori bozze nel 1982 e nel 1983, finalmente nel 1984 l’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi ottiene mandato, da parte del Parlamento, a concludere l’accordo64.

Il nuovo Concordato fra Stato italiano e Santa Sede viene sottoscritto il 18 febbraio 1984 a Villa Madama65 e si compone di un Accordo di modificazioni66 e di un Protocollo Addizionale, che

60 C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 227.

61 La Commissione italiana è composta da G. Gonnella, A.C. Jemolo e R. Ago (Segretari: C. Mirabelli, G. Dalla Torre).

62 La Commissione vaticana è composta da Mons. A. Casaroli, Mons. A. Silvestrini, Padre S. Lener S.J.

63 G. GIACHI, Il nuovo regime dei beni ecclesiastici. Una libertà senza privilegi, in “La civiltà cattolica”, Quaderno 3243-3244, Anno 1985, pp. 287-288.

64 C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 228-229.

65 L’Accordo fra Stato e Chiesa del 1984 non assume la denominazione di «Concordato», in quanto segnala una continuità ed una innovazione rispetto al Concordato lateranense, e sottolinea la collocazione della nuova intesa nel sistema dei Patti Lateranensi del 1929. Si veda, in tal senso, C. MIRABELLI, voce Patti Lateranensi, cit., p. 2. Peraltro l’Accordo di Villa Madama ha riguardato solo il Concordato del 1929 e non anche il Trattato, il quale risulta essere tuttora in vigore, salvo alcune modifiche, la più rilevante fra le quali risulta essere il venir meno del principio della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano, espresso nell’art.1 del Trattato. Cfr. E. VITALI, A.G. CHIZZONITI, Manuale breve. Diritto ecclesiastico, cit., pp. 20-21.

66 Nel Preambolo dell’Accordo troviamo le linee essenziali seguite per addivenire alla riforma del Concordato: in primo luogo, si tiene conto del processo di trasformazione politica e sociale, verificatosi nel nostro paese negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa Cattolica dal Concilio Vaticano II; in secondo luogo, lo Stato italiano tiene presenti i principi democratici sanciti dalla sua Carta Costituzionale, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948 e la Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Vaticano II, con enunciazione del pensiero cattolico nelle relazioni con la comunità politica, senza dimenticare la prima attuazione sistematica del Concilio stesso, rappresentata dal nuovo Codice di diritto canonico, promulgato nel 1983.

(18)

18

comprende disposizioni che esplicano o integrano le norme facenti parte dell’Accordo67.

All’atto della firma del nuovo Concordato, viene istituita una Commissione paritetica italo-vaticana68, delegata a formulare le norme da sottoporre all’approvazione delle due Parti “per la disciplina di tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici”69. Di conseguenza il negoziato concordatario si è frazionato, compendiando l’Accordo alcune norme “di principio” sugli enti e beni ecclesiastici (art. 7, n. 1-5), mentre le trattative in seno alla Commissione paritetica hanno investito norme di dettaglio.

La Commissione paritetica ha elaborato e sottoscritto nei sei mesi previsti dal Protocollo Addizionale (art. 3, lett. b), la c.d. Relazione sui principi70, destinata a rappresentare il punto di partenza per la realizzazione di mutamenti profondi in uno dei settori più delicati del sistema dei rapporti Stato-Chiesa, “nel rispetto dell’autonomia e della libertà di organizzazione della società religiosa, della neutralità della

67 Tale distinzione, tuttavia, non comporta gerarchia, o differenza qualitativa, fra i due tipi di norme, concorrendo entrambi i testi a formare il nuovo Concordato. Cfr. C. CARDIA, voce Fonti del diritto, III) Diritto ecclesiastico, in “Enciclopedia giuridica Treccani”, 1989, p. 8.

68 La delegazione dello Stato, presieduta dal prof. F. Margiotta Broglio, era composta dall’ambasciatore B. Bottai, dal prof. C. Cardia, dal prefetto A. de Filippo, dal prof. A. Malintoppi (sostituito in itinere da V. Caianello), dal prof. C. Mirabelli, dal prof. G. Tremonti. Della delegazione della Santa Sede, presieduta da mons. A. Nicora, facevano parte mons. G. Lajolo, mons. Tino Marchi, l’avv. E. Boitani, il prof. P. Cipriotti, l’avv. M. Giovannelli, il prof. G. Feliciani. Cfr. G. FELICIANI, Introduzione, in I. Bolgiani (a cura di), op. cit., p. 8.

69 Accordo fra la Santa Sede e la Repubblica italiana che apporta modificazioni al Concordato lateranense, art. 7, par. 6, consultabile sul sito http//www.vatican.va. Si rammenta che, sebbene, l’Accordo di Villa Madama non contenga una esplicita menzione inerente la questione del sostentamento del clero, era naturale che la riforma dei rapporti finanziari riguardasse anche questo campo; ragione per la quale tale tematica sarà presa in considerazione dai lavori della Commissione paritetica. Cfr. P. CONSORTI, La remunerazione del clero. Dal sistema beneficiale agli Istituti per il sostentamento, cit., p. 43.

70 La Relazione sui principi si apre con una premessa, si articola in tre parti e si chiude con una considerazione finale.

(19)

19

società civile, dell’uguaglianza giuridica e della libertà di tutti i cittadini”71.

Questi i principi a cui si sono ispirati i componenti della Commissione paritetica.

Da parte sua la Chiesa, influenzata dalle indicazioni provenienti dal Concilio Vaticano II72, recepite giuridicamente dal nuovo Codice di diritto canonico emanato poco prima della riforma del Concordato73, sottolinea in primo luogo, come il principale responsabile del sostentamento del clero deve essere la comunità, in cui il sacerdote vive e svolge l’ufficio che riveste un’importanza fondamentale primaria, a discapito della parte beneficiale, la quale perde, di conseguenza, la sua centralità74; in secondo luogo, propone di convogliare tutti i beni,

71 F. MARGIOTTA BROGLIO, Riforma della legislazione concordataria sugli enti e sul patrimonio ecclesiastico: i «principi» della Commissione paritetica Italia-S.Sede, in “Foro italiano”, Parte V, Monografie e varietà, Roma, 1984, p. 369.

72 Il Concilio Vaticano II si svolge in Vaticano tra l’11 ottobre 1962 e l’8 dicembre 1965. Viene convocato da Papa Giovanni XXIII e continuato da Paolo VI.

73 Il Codex Iuris Canonici è la raccolta ufficiale delle norme vigenti nel diritto canonico. La prima versione viene promulgata nel 1917 da Benedetto XV ed entra in vigore il 19 maggio 1918. La seconda versione, appena citata nel testo, è emanata nel 1983 da Giovanni Paolo II ed entra in vigore il 27 novembre 1983. Il nuovo codice non è una semplice revisione del precedente; si tratta, in effetti, di una riforma completa delle norme, dovuta alla necessità di tenere conto delle risultanze del Concilio Vaticano II. Si veda la voce Codex Iuris Canonici, in “Enciclopedia Treccani”, 2000. 74 Principio che troviamo espresso chiaramente nel Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri, meglio noto come Presbyterorum Ordinis., emanato dal Concilio Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI il 7 dicembre 1965, consultabile sul sito http://www.vatican.va. Al n. 20, dedicato all’equa distribuzione, si può infatti leggere che “[…] se non si provvede in altro modo a retribuire equamente i presbiteri, sono i fedeli stessi che vi devono pensare, dato che è per il loro bene che essi lavorano; i fedeli, cioè, sono tenuti da vero obbligo a procurare che non manchino ai presbiteri i mezzi per condurre una vita onesta e dignitosa. Spetta ai vescovi ricordare ai fedeli questo loro grave obbligo, e provvedere […] all'istituzione di norme che garantiscano un mantenimento dignitoso per quanti svolgono o hanno svolto una funzione al servizio del popolo di Dio. Quanto poi al tipo di retribuzione che deve essere assegnata a ciascuno, bisogna considerare sia la natura stessa della funzione sia le diverse circostanze di luogo e di tempo. Comunque è bene che tale retribuzione sia fondamentalmente la stessa per tutti coloro che si trovano nelle stesse condizioni, e che soddisfi veramente i loro bisogni ed esigenze: il che significa che deve anche consentire ai presbiteri di retribuire il personale che presta servizio presso di loro e di soccorrere personalmente in qualche modo i bisognosi, dato che questo ministero a favore dei poveri è stato tenuto in grande considerazione da parte della Chiesa fin dalle origini. […] Comunque, il rilievo maggiore va dato all'ufficio che svolgono i sacri ministri. Per questo, il sistema noto sotto il nome di sistema beneficiale deve essere abbandonato, o almeno riformato a fondo, in modo che la parte beneficiale - ossia il diritto al reddito di cui è dotato l'ufficio ecclesiastico - sia trattata come cosa

(20)

20

provenienti dagli ex benefici, in un ente diocesano, che avrebbe provveduto ad amministrarli in maniera moderna e razionale, cercando di migliorarne la redditività, al fine di concorrere con le singole parrocchie al sostentamento del clero75.

Da parte sua lo Stato, come già precedentemente affermato, chiede di rivedere le modalità del proprio intervento per diversi motivi, due dei quali determinanti: “«no» a uno Stato confessionale, a una religione cattolica come religione di Stato, […]; «sì» a uno Stato democratico, che apprezza i valori etico-sociali, che arricchiscono il Paese e promuove la realtà che li generano, e quindi riconosce il rilievo della cura pastorale svolta dai sacerdoti cattolici”76.

In pratica, la Commissione all’uopo preposta, da un lato, ha considerato le profonde innovazioni del nuovo Codice di diritto canonico, il quale prospetta un progressivo superamento del sistema beneficiale e dall’altro, ha “riconosciuto l’indubbio interesse collettivo all’introduzione di forme moderne di finanziamento delle Chiese, attraverso le quali si agevoli la libera contribuzione dei cittadini per il perseguimento di finalità e il soddisfacimento di interessi religiosi”77, forme di finanziamento che dovevano rispettare alcuni criteri,

secondaria, e venga messo in primo piano, invece, l'ufficio stesso. D'ora in avanti, inoltre, per ufficio ecclesiastico si deve intendere qualsiasi incarico conferito in modo stabile per un fine spirituale. Si veda anche CIC, can. 222 §1, can. 281, can. 1261, §2. 75 Anche questo principio è espressamente menzionato nel Decreto Presbyterorum Ordinis, al n. 21, intitolato Fondo comune e previdenza sociale, nel quale è possibile leggere che “è estremamente conveniente che per il mantenimento del clero esista una istituzione diocesana, amministrata dal vescovo con la collaborazione di sacerdoti delegati, e anche di laici esperti in economia, se ce ne fosse bisogno. È anche auspicabile che, nei limiti del possibile, venga costituita in ogni diocesi o regione una cassa comune, da cui possono attingere i vescovi per far fronte ai propri impegni nei riguardi delle persone, che prestano servizio a favore della Chiesa e per affrontare i diversi bisogni della diocesi. Con questa cassa comune, inoltre, le diocesi più dotate potranno venire incontro a quelle più povere, in modo da bilanciare con la propria abbondanza la loro scarsezza. È bene che anche questa cassa comune sia formata soprattutto in base alle offerte dei fedeli; ma vi potranno affluire pure i beni derivanti da altre fonti, che il diritto dovrà precisare”. Si veda anche CIC, can. 1272, che prevede una tendenziale soppressione del sistema beneficiale, ed il can. 1274, il quale riprende le indicazioni contenute nel decreto, n. 21.

76 G. GIACHI, Il nuovo volto della Chiesa in Italia, cit., p. 290.

77 Dalla Relazione sui principi, in “Foro italiano”, Parte V, Monografie e varietà, Roma, 1984, p. 375.

(21)

21

espressamente menzionati nella Relazione sui principi, sulla base dei quali, la Commissione ha poi disegnato il sistema attualmente vigente78. In base a queste linee guida la Commissione paritetica, dopo aver ricevuto il “via libera” da parte del Senato della Repubblica79, porta a termine i suoi lavori, approvando le norme regolatrici per quanto attiene gli enti ed il patrimonio ecclesiastico. L’articolato, così predisposto, viene approvato con alcune minime varianti e sottoscritto dalle Parti con il Protocollo del 15 novembre 198480. Con la legge 25 marzo 1985, n. 121 viene data esecuzione al nuovo Concordato. Per quanto attiene invece, al recepimento della normativa relativa agli enti e beni ecclesiastici, si procede tramite un duplice meccanismo: la legge 20 maggio 1985 n. 206, che autorizza il Presidente della Repubblica a ratificare il Protocollo sottoscritto il 15 novembre 1984 con le varianti predette, la legge n. 222 che approva invece, senza emendamenti, le disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici81, nonostante le due leggi,

78 S. CARMIGNANI CARIDI, L’otto per mille dell’Irpef e la XIV legislatura: prospettive “de jure condendo”, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, 2006, 1, p. 140. Secondo la Relazione sui principi, cit., p. 375, “Tra i principi ispiratori del nuovo sistema si possono segnalare i seguenti: 1) pieno rispetto delle scelte dei cittadini e riconoscimento del valore del loro diretto apporto, nella autonoma responsabilità di ciascuno, alla vita delle comunità ecclesiali e confessionali; 2) predisposizione di meccanismi di autofinanziamento facilitato nel quale convergano le indicazioni dei cittadini e il concorso strumentale della Pubblica Amministrazione; 3) finalizzazione dei flussi finanziari che ne derivano al sostentamento del clero e ad altri determinati scopi; 4) individuazione di un sistema che assicuri un decoroso sostentamento del clero, anche mediante forme di perequazione tra «istituti diocesani» di diversa consistenza patrimoniale, nonché l’effettiva corresponsione degli emolumenti agli ecclesiastici e che preveda la conoscibilità, attraverso adeguata pubblicità, delle effettive destinazioni dei predetti flussi finanziari”.

79 “Via libera” consistente nell’approvazione, da parte del Senato, del disegno di legge di ratifica dell’Accordo, dopo essere stati resi noti al Parlamento i contenuti della Relazione sui principi elaborati dalla Commissione paritetica. Si veda G. VEGAS, Spesa pubblica e confessioni religiose, cit., p. 71.

80 Secondo alcuni autori, “il Protocollo concordatario ha […] dato vita ad «una regolamentazione unitaria, civil-canonistica» del sostentamento del clero, ottenuta mediante «un singolare intreccio tra normativa civile e normativa canonica»”. Cfr. P. CONSORTI, La remunerazione del clero. Dal sistema beneficiale agli Istituti per il sostentamento, cit., p. 45.

81 Per quanto riguarda l’iter parlamentare dei due disegni di legge relativi ai provvedimenti appena menzionati, occorre ricordare che l’inizio del loro esame alla Camera dei deputati è dipeso dalla conclusione di quello della ratifica del nuovo Concordato che, approvato dal Senato, non viene esaminato dalla Camera, sino a presentazione da parte del Governo di disegni di legge relativi alla materia finanziaria.

(22)

22

nella sostanza, abbiano un uguale contenuto82. La nostra attenzione tuttavia è rivolta, in particolar modo, alla legge 222 del 1985, vera novità rispetto all’articolazione del 1929, come non hanno mancato, sin da subito, di osservare gli studiosi dell’epoca83.

La legge 20 maggio 1985, n. 222, recante “Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”84, entrata in vigore il 3 giugno 1985 contestualmente all’esecuzione dell’Accordo, si compone di quattro titoli (Titolo I – Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti; Titolo II – Beni ecclesiastici e sostentamento del clero; Titolo III – Fondo edifici di culto; Titolo IV – Disposizioni finali), per un totale di 75 articoli.

I capisaldi della riforma, nella materia di nostra pertinenza, possono essere, come a seguire, così sintetizzati.

1. Per quanto riguarda la struttura dell’organizzazione ecclesiastica, in ogni diocesi viene eretto, entro il 30 settembre 1986, con decreto del Vescovo diocesano, l’Istituto per il sostentamento del clero (IDSC)85, mentre la Conferenza episcopale italiana (CEI) erige, entro lo stesso termine, l’Istituto centrale per il sostentamento del clero (ICSC), che ha il fine di

La Camera infatti non riteneva sufficiente, a soddisfare l’obbligo di informare il Parlamento, la comunicazione della Relazione sui principi, della quale si era accontentato il Senato. Dopo l’approvazione del disegno di legge di ratifica dell’Accordo, prima la Camera e poi il Senato, approvano i due disegni di legge. Cfr. G. VEGAS, Spesa pubblica e confessioni religiose, cit., p. 74. Sulla procedura di approvazione dei due disegni di legge, si veda anche G. LONG, Concordati e intese fra «legge formale» e «tautologia legislativa», in “Quaderni Costituzionali”, 1985, p. 585 ss.

82 C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., pp. 229-230.

83 E. VITALI, Note in tema di applicazione dell’otto per mille, in A. Talamanca, M. Ventura (a cura di), Scritti in onore di Giovanni Barberini, Giappichelli, Torino, 2009, p. 469.

84 Tale legge si connota per una particolare forza di resistenza rispetto ad eventuali modificazioni unilaterali, in quanto riconducibile alla bilaterale negoziazione fra Stato e Chiesa cattolica nel contesto della riforma del Concordato. Cfr. Governo Italiano, Presidenza Del Consiglio Dei Ministri, Servizio per i rapporti con le confessioni religiose e per le relazioni istituzionali, Otto per mille dell’Irpef a diretta gestione della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose. Cenni storici, disponibile sul sito http://www.governo.it.

(23)

23

integrare le risorse degli Istituti diocesani per il mantenimento del medesimo (art. 21)86; ogni Istituto diocesano provvede ad assicurare, nella misura periodicamente determinata dalla CEI, il congruo e dignitoso sostentamento del clero, che svolge servizio in favore delle diocesi (art. 24); contemporaneamente all’erezione degli Istituti, si estinguono i diversi benefici ancora esistenti nelle diocesi ed i loro patrimoni sono trasferiti di diritto all’Istituto stesso (art. 28); tali beni, successivamente, tramite provvedimenti dei vescovi diocesani, vengono assegnati a diocesi, parrocchie e capitoli non soppressi (art. 29).

2. Per quanto riguarda, nello specifico, il sostentamento del clero, la legge 222 stabilisce che i sacerdoti comunichino annualmente all’IDSC: a) la remunerazione che ricevono dagli enti ecclesiastici, presso i quali esercitano il ministero; b) gli stipendi ad essi corrisposti da altri soggetti (art. 33). L’Istituto, a tal proposito, verifica i dati ricevuti e, qualora la somma dei proventi non raggiunga la misura determinata dalla CEI, stabilisce l’integrazione, dandone comunicazione all’interessato (art. 34)87.

3. Infine, per quanto riguarda il finanziamento pubblico, gli artt. 46 e 47 stabiliscono due tipologie di interventi dello Stato a favore della Chiesa cattolica.

Riprendendo dal punto 3, è bene precisare come le suddette tipologie di interventi statali siano rappresentate, nello specifico, dal sistema dell’otto per mille e dalle erogazioni volontarie dei cittadini.

La prima è considerata, nella classificazione più consueta delle forme di sovvenzione alle confessioni religiose, una forma di

86 L’art. 22, a sua volta, precisa che “l’Istituto centrale e gli Istituti per il sostentamento del clero acquistano la personalità giuridica civile dalla data di pubblicazione nella G.U. del decreto del Ministero dell’interno, che conferisce ad essi la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto”.

87 Gli IDSC provvedono all’integrazione di cui all’art. 34 con i redditi del proprio patrimonio; qualora tali redditi risultino insufficienti, gli Istituti richiedono l’intervento dell’ICSC (art. 35).

(24)

24

“finanziamento diretto”, in quanto lo Stato eroga una certa somma di denaro a favore dei diversi culti, che accettano di partecipare a tale sistema; la seconda invece, è definita come una forma di “finanziamento indiretto”, perché in questo caso lo Stato rinuncia a percepire una parte dell’imposta sul reddito dei cittadini, i quali scelgono liberamente a chi destinare tale parte, mediante libere e non tassate donazioni economiche88.

Partendo dal primo canale di finanziamento pubblico, ovvero dal sistema dell’otto per mille e ricordando in tale contesto solo le linee essenziali del suo funzionamento (in quanto tale tema sarà trattato più approfonditamente nel secondo e terzo capitolo) possiamo dire che esso consiste nel versamento “a decorrere dall’anno finanziario 1990, [di] una quota pari all’otto per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica” (art. 47, c. 2). La ripartizione delle quote viene stabilita “sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi”, mediante apposita sottoscrizione. In caso di scelte non espresse, vale a dire quando i contribuenti non abbiano indicato nella dichiarazione dei redditi alcuna preferenza, “la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse” (art. 47, c. 3). Tali quote sono utilizzate solo per destinazioni predeterminate dallo Stato: “per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali”; dalla Chiesa cattolica: “per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo” (art. 48), di cui annualmente la CEI trasmette apposito

88 I. PISTOLESI, I diversi modelli di finanziamento pubblico: uno sguardo d’insieme, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale”, n. 34/2012, p. 5 ss. Dello stesso autore, si veda anche Il finanziamento delle confessioni religiose, in G. Casuscelli (a cura di), op. cit., p. 324 ss.

(25)

25

rendiconto all’autorità statale competente (art. 44). È bene sottolineare come tale sistema sia stato esteso a tutte le confessioni religiose, dotate di intesa con lo Stato, ai sensi dell’art. 8, c. 3, della Costituzione89.

Il secondo canale di finanziamento è costituito dalle c.d. “erogazioni liberali in denaro”90. L’art. 46 della legge 20 maggio 1985, n. 222, a tal proposito, recita: “A decorrere dal periodo d’imposta 1989 le persone fisiche possono dedurre dal proprio reddito complessivo le erogazioni liberali in denaro, fino all’importo di lire due milioni, a favore dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana. Le relative modalità sono determinate con decreto del Ministro delle finanze”91.

La norma, “che predispone un meccanismo di autofinanziamento facilitato nel quale convergono gli apporti dei cittadini ed il concorso strumentale della Pubblica Amministrazione”92, in pratica, agevola il contribuente, il quale è esentato dall’imposta sulla somma devoluta, fino ad un limite, “di deducibilità, non di offerta”93, che oggi è pari a 1.032,91 euro94, “realizzando dunque un risparmio fiscale proporzionale all’aliquota marginale che lo riguarda”95.

Appare opportuno sottolineare, che queste erogazioni volontarie sono vincolate per la Chiesa cattolica, sia soggettivamente, che oggettivamente: “esse [infatti]96 sono deducibili in sede fiscale solo in

89 E. VITALI, A.G. CHIZZONITI, Manuale breve. Diritto ecclesiastico, cit., p. 117. 90 Tale forma agevolativa è pensata, durante la preparazione della riforma, come la prima fonte di sostentamento per il clero cattolico in servizio nelle diocesi. Cfr. A. NICORA, Gli accordi del 1984 e la legislazione ecclesiastica successiva: riflessioni su un ventennio di sperimentazione, in I. Bolgiani (a cura di), op. cit., p. 361.

91 Le entrate derivanti dalla disposizione in esame sono, secondo la dottrina, di diritto privato, in quanto costituenti veri e propri atti di liberalità dei fedeli, anche se agevolati fiscalmente da parte dello Stato. Cfr. G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2000, p. 183.

92 Dalla Relazione sui principi, cit., p. 375. 93 P. CONSORTI, Diritto e religione, cit., p. 171.

94 P. CAVANA, voce Patrimonio ecclesiastico, in “Enciclopedia giuridica Treccani”, Aggiornamento, 2008, p. 4.

95 G. FELICIANI, Introduzione, in I. Bolgiani (a cura di), op. cit., p. 10. Per il calcolo del vantaggio tratto dai contribuenti che abbiano effettuato l’oblazione si veda, nello specifico, G. VEGAS, Spesa pubblica e confessioni religiose, cit., p. 294 ss.

Riferimenti

Documenti correlati

di approvare la convenzione tra il Consorzio degli enti locali della Valle d’Aosta (CELVA) e la Fondazione montagna sicura (FMS) per la realizzazione di

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente Paolo Gentiloni e del Ministro dell’economia e ha approvato il disegno di legge relativo al bilancio di previsione dello

Ritenuto, pertanto, di provvedere con il presente atto ad ap- provare le modifiche ai disciplinari di produzione integrata per quanto riguarda le “Norme generali”, le “Norme

Interventi per la digitalizzazione della PA, per favorire crescita digitale di cittadini e imprese.. Una strategia dinamica

Paternita' Maternita' Luogo Nascita Data Nascita Atto Nascita Stato Civile Cittadinanza Data matrimonio Luogo matrimonio Cognome Coniuge Nome Coniuge Atto matrimonio Data morte

Si tenga presente che alla data di redazione del presente report risultano in itinere le determinazioni di accertamento di IMU/TARI/affitti per complessivi €

4. Se esposto in segno di lutto, il Gonfalone avrà un nastro nero a forma di fiocco frangiato in argento posto sopra il nastro tricolore. L'uso di detto nastro si rende

296/2006, rispettivamente in 1.400 miliardi di lire e in 2.000 milioni di euro, non sono stati raggiunti ad oggi, se non in ben limitata parte; segnatamente, per la Dife- sa