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II. Freispruch für Medea

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Academic year: 2021

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II.

Freispruch für Medea

§ II.1 Il riscatto di Medea

Nelle riproposizioni moderne della storia della principessa colchica, Medea continua spesso a incarnare il prototipo di donna ferita, che si vendica sul marito uccidendo i suoi figli, sebbene il tema della madre assassina lasci spazio a quello della rivendicazione femminile, e della emancipazione della donna in una società rappresentata dall’infedele marito Giasone. Ursula Haas, nata ad Aussig an der Elbe, nella Boemia settentrionale (odierna Repubblica Ceca), il 2 aprile 1943, riprende il mito di Medea trasponendolo in chiave moderna;1 se infatti l’ambientazione e il tempo in cui si svolgono i fatti rimangono quelli dell’antica Grecia, la protagonista del suo romanzo,

Freispruch für Medea (1987), è il prototipo dell’emancipazione femminile, che si rifiuta

di portare alla luce il figlio avuto da un marito ingrato che la ripudia, ed è anche il simbolo della straniera screditata agli occhi della società in cui è immigrata, che la emargina non considerando quanto di bene ha apportato dalla sua cultura, relegandola piuttosto ai margini del proprio mondo “civilizzato”. I pregiudizi sulla (maga) straniera e la condizione della donna, relegata nella prigione dorata dei lavori domestici o, sempre al servizio dell’uomo, nei saloni delle cortigiane, sono i due temi che occupano la parte centrale del romanzo, oltre alla scissione dell’animo della donna tradita che medita vendetta. La chiave di lettura della vicenda narrata dalla Haas è la prospettiva moderna, e quasi femminista, di una donna che decide di provocarsi l’aborto per reagire al disonore dell’abbandono e ai pregiudizi sociali, e non accetta le condizioni imposte dagli altri, ossia lasciare il proprio figlio in una città straniera, in balìa delle possibili discriminazioni, ed essere esiliata.

1 La poetessa collaborerà in più occasioni come librettista con il compositore Rolf Liebermann, il quale

nel 1995 ad Amburgo presenta l’opera Freispruch für Medea, in cui è trattato il tema dell’omosessualità incarnato dalla coppia Giasone/ Creonte (che ricopre in questo caso il ruolo di Creusa).

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Il romanzo segue lo sviluppo psicologico del personaggio di Medea, dal periodo spensierato della sua giovinezza, sui vasti prati della misteriosa Colchide ai piedi del Caucaso, al distacco dall’infanzia, che nella storia avviene nella scena della guarigione del padre, ed è fatto coincidere con l’arrivo del menarca, e allo stesso tempo con la consapevolezza crescente che il riavvicinamento alla figura paterna non sia dovuto all’affetto, bensì al bisogno che lui ha delle arti magiche di lei. In questo punto della narrazione Medea, appena entrata nel mondo degli adulti, è per la prima volta sfruttata a favore degli altri, situazione nella quale si ritroverà più volte nel corso della storia. Durante il periodo trascorso a Corinto, Medea subisce una radicale trasformazione, un’educazione alla civiltà occidentale fisica e mentale, poiché la donna dalla pelle scura deve amalgamarsi alle compagne e diventare di una bellezza “greca”, e dunque sottomettersi alla società, rinchiudendosi nella quotidianità dei lavori domestici. Perfino quando sembra che ad Atene la donna possa vivere in tranquillità accanto al sovrano Aigeus, grazie alla nascita del figlio Medos, la scoperta dell’esistenza del primogenito del sovrano ateniese, Theseus, provoca un nuovo abbandono della donna da parte del marito, che preferisce un erede al trono puramente greco, benché illegittimo, e quindi disconosce il figlio avuto con la barbara, esiliandoli entrambi.

Oltre al tentativo di Medea di avvelenare l’eroe greco e impedire il suo riconoscimento da parte del padre, dietro all’esilio che il sovrano ateniese impone alla moglie si nasconde la discriminazione del diverso, dello straniero, come rivelano le ultime righe del cap. 33 del romanzo:

Aigeus ließ Medea und Medos durch zwei Wächter abführen und in ein dunkles Verlies stecken. Sippenhaft. Die Giftmischerin und ihr Sohn. Der Vater nabelte ihn ab, weil ein besserer aufgetaucht war.2

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Tra l’episodio della vita trascorsa alla corte di Corinto e quella ad Atene, la scrittrice inserisce un capitolo dedicato alla visita di Medea a Tebe, presso Herakles,che al tempo del viaggio a bordo di Argo aveva promesso alla principessa colchica aiuto in caso di bisogno.3

Alla strage della famiglia regale si aggiunge poi la fine cruenta degli innocenti figli della stessa Medea che – subito dopo tali eventi – lascia la città per rifugiarsi prima a Tebe presso Eracle e poi ad Atene ove confida nella protezione del re Egeo.4

L’eroe, perseguitato dalla dea Era, ha ucciso i due figli in preda alla pazzia, credendoli due bestie inviate ad assalirlo, e Medea, con la sua conoscenza delle proprietà delle erbe, gli ridona la ragione, così come anni prima nel palazzo nativo aveva guarito il padre dall’infermità fisica. Alla follia indotta dalla divinità si sostituisce nell’animo di Herakles quella provocata dal dolore della consapevolezza dell’omicidio dei propri eredi; mentre allo stesso tempo Medea ha un’evoluzione psicologica, passando da uno stato depressivo, causato dall’abbandono di Jason e dall’aborto, alla ferma volontà di vendetta nei confronti del genere maschile. Questo passaggio è usato come motivazione della scelta della donna di recarsi ad Atene, per sedurne il sovrano e, oltre ad assicurarsi una dimora sicura, procreare con lui un erede meticcio al trono, affinché la sua natura barbara regni sui Greci. Medea, dunque, medita una doppia vendetta, che però non riuscirà a portare a termine: sfruttare i maschi per i propri scopi, così come l’uomo (il padre e Jason) in passato aveva sfruttato lei, e vendicarsi dei pregiudizi della civiltà greca.

3 Freispruch für Medea, p. 159 4 Cfr. Susanetti 2005, p. 215

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§ II.2 Ursula Haas e Christa Wolf

La rivisitazione della storia di Medea, che da maga crudele e infanticida è riconsiderata come vittima dei pregiudizi della società in cui vive e assoggettata allo sfruttamento di Giasone, è il fulcro di un altro romanzo tedesco, Medea. Stimmen, pubblicato nel 1996, dalla scrittrice tedesca Christa Wolf. Il romanzo ha riscosso un’ampia popolarità fra il pubblico, e la figura rivoluzionaria di questa nuova versione di Medea ha avuto eco nelle schiere del movimento femminista, che ha consacrato la scrittrice, e le sue opere, come bastione della rivendicazione femminile. Il successo ottenuto da tale opera, a mio avviso, lascia trapelare una sorta di ingiustizia nei confronti di U. Haas, la quale, soltanto nove anni prima, aveva pubblicato nella stessa Germania il suo romanzo, Freispruch für Medea, i cui contenuti, benché le due storie procedano su diverse trame, si discostano allo stesso modo di Medea. Stimmen dalla tradizione euripidea, presentando una rielaborazione del mito di Medea dagli sviluppi innovativi. La riabilitazione della donna e madre, considerata dalla tradizione mitologica una infanticida, era dunque già stata compiuta prima dell’avvento del romanzo della Wolf. La storia della Medea rivoluzionaria, che non si lascia sottomettere dalla società occidentale, e porta avanti la sua battaglia per liberarsi dal suo ruolo di subordinazione all’uomo, è dunque frutto della penna della Haas, prima che di quella della Wolf, che comunque ha cominciato a progettare le basi per il suo romanzo non prima dell’inizio degli anni Novanta. Sebbene la Wolf non abbia mai fatto menzione del libro della Haas, sembra impossibile che la scrittrice non fosse a conoscenza dell’esistenza del precedente romanzo. Ritengo infatti molto probabile, che vi sia stato perlomeno un contatto con il contenuto del romanzo della Haas, dal momento che una scrittrice, il cui scopo è quello di sviluppare una rielaborazione innovativa, di stampo pressoché femminista, del mito di Medea, è indotta a cercare appoggio e spunto da ogni fonte possibile, ed è perciò inverosimile che non sia venuta conoscenza dell’esistenza di tale libro, soprattutto perché appartenente alla letteratura nazionale. Inoltre, ho riscontrato diversi punti in comune nei due romanzi, che mi hanno portato a concludere, che deve per forza esservi stata una lettura da parte della Wolf, poiché il suo romanzo è quello più recente, del contenuto della rielaborazione mitologica della Haas.

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§ II.3 Freispruch für Medea e Medea. Stimmen: elementi in comune nei due romanzi

In entrambi i romanzi, attraverso due sviluppi narrativi in gran parte divergenti, la principessa colchica è scagionata dall’accusa d’infanticidio. Benché in Freispruch für

Medea non uccida, come nella tragedia euripidea, i figli avuti con Giasone, l’eroina si

macchia tuttavia della “colpa” di aborto, poiché, dopo l’abbandono di Jason, decide di interrompere la gravidanza. Nella storia raccontata dalla Wolf non si menziona invece alcun delitto provocato da Medea, e si identificano i colpevoli dell’infanticidio negli abitanti di Corinto,5 che alla fine del romanzo lapidano i suoi figli per vendicarsi delle molte sciagure accadute nella città, ed erroneamente attribuite alla donna. Glauce, infatti, non muore per mano della maga straniera (come accade anche nel romanzo della Haas)6, bensì si getta nel pozzo suicidandosi; e pure l’uccisione del fratello Apsirto, di cui Medea è accusata, è stata voluta dal re della Colchide Eete per mantenersi al potere, e attuata dalla cerchia delle fanatiche colchiche. In entrambe le storie, il tema principale sembra essere quello della difficoltà incontrata dalla protagonista, straniera e donna proveniente da una cultura orientale di stampo matriarcale, nell’integrarsi in una società che si considera civile, con gerarchie di potere patriarcali, e che non lascia spazio al diverso.

Una donna travagliata sì dall’amore, ma ancor più dall’incapacità degli abitanti di Corinto di integrare una cultura come quella della Colchide, per sua natura non incline alla violenza. Non un’infanticida, dunque, al contrario una donna forte e generosa, depositaria di un remoto sapere del corpo e della terra, che una società intollerante emargina e annienta […]7

5 A questo riguardo rimando al cap. I MEDEA - le varianti del mito pre- euripideo 6 Freispruch für Medea, p. 154

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Nel romanzo di Christa Wolf, sebbene le due interpretazioni del mito di Medea non procedano nella medesima direzione, si possono riscontrare alcuni elementi comuni al testo di U. Haas, che talvolta sembrano un’eco delle scene vissute dalla Medea in

Freispruch für Medea durante la parabola del suo viaggio verso Occidente, il soggiorno

in Grecia, e il ritorno nella Colchide. In primo luogo, il contrasto stesso fra Oriente e Occidente si presenta in entrambi i romanzi come lo specchio di due diverse realtà opposte fra loro: la civiltà greca, con le sue gerarchie patriarcali, e la Colchide, il cui popolo fonda la propria società su principi matriarcali (sebbene nella storia raccontata dalla Wolf il patriarcato sia giunto fino nella terra nativa di Medea, manifestandosi in forma di violenza, con l’uccisione del successore al trono, voluta dal sovrano per mantenersi al potere)

Nel caso di Medea, dunque, sembra di poterne seguire le orme lungo tutta la narrazione. Anzitutto la polarizzazione tra Oriente, patria del matriarcato, e Occidente, dove l’affermazione del potere maschile matura prima, è il principio che struttura l’antitesi fra la Colchide e Corinto […]8

 Entrambe le autrici descrivono la difficoltà che Medea incontra nel momento in cui deve integrarsi nella società greca, facendo risaltare la diversità delle due culture: quella della civiltà occidentale, basata su principi patriarcali, e la cultura orientale della Colchide, più antica, e fondata su tradizioni matriarcali. Medea, considerata dai Corinzi la barbara selvaggia, si meraviglia della sottomissione delle donne greche,9 a cui spetta

8 Mirto, Intersezioni, a. XX n.3

9 Agameda scopre di non avere nemmeno il diritto di prendere la parola durante un incontro ufficiale,

benché organizzato affinché ella testimoni contro Medea, ma deve essere introdotta da Presbo, che parla a suo nome al funzionario di stato Acamante, e solamente dopo avere ottenuto il permesso dell’uomo alla donna è consentito cominciare a parlare:

«In Korinth ist es, anders als in Kochis, geboten, daß der mann zuerst spricht, sogar, eine lächerliche Sitte, daß der Mann für die Frau spricht», Medea. Stimmen, p. 79

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un gradino più in basso nella scala sociale rispetto all’uomo, paragonandole ad animali addomesticati, come scrive la Wolf:

Ich bin keine junge Frau mehr, aber wild noch immer, das sagen die Korinther, für die ist eine Frau wild, wenn sie auf ihrem Kopf besteht. Die Frauen der Korinther kommen mir vor wie sorgfältig gezähmte Haustiere. 10

oppure a uccellini, come scrive più volte nel suo romanzo la Haas, rinchiuse nella loro profumata voliera:

Eigentlich hatte Medea sie gestört, was sie nun in den Tag hinein, der buntduftend in ihrer Volière ablief. Sie waren in einem süßen Nest versorgt.11

 La tradizione funebre colchica, che prevede due diversi riti di sepoltura, ossia l’inumazione per le donne, legate alla terra, e l’avvolgere i corpi maschili in pelli di bue, per lasciarli pendere dai rami degli alberi, affinché siano consacrati all’aria, e gli uccelli ne ripuliscano lo scheletro dalla carne,12 è descritta in entrambi i romanzi, e si identifica come uno dei tratti più evidenti, che sottolinea la differenza di cultura fra Oriente e Occidente, facendo apparire il primo come popolo primitivo, che coltiva tradizioni dall’apparenza barbara e incivile.

10 Medea. Stimmen, p. 18 11 Freispruch für Medea, p. 140

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La simmetria tra i due paesi è ridotta dal ritardo con cui la cultura barbara si dispone all’evoluzione verso il nuovo assetto sociale – secondo il modello bachofeniano di universale ma non omogenea articolazione della storia umana nelle fasi di promiscuità primitiva («eterismo»), ginecocrazia, patriarcato – ma l’antitesi fra Oriente e Occidente è più marcata in relazione ai tratti etnici e agli usi funerari. […] un costume, tramandato da Apollonio Rodio, che attirò l’attenzione di Bachofen perché dimostrerebbe l’opposizione tra il principio materno «tellurico» e quello spirituale paterno: i cadaveri degli uomini non vengono cremati né inumati, come quelli delle donne, ma avvolti in pelli di bue e appesi ai rami dei salici, perché l’aria abbia la propria parte non diversamente dalla terra.13

U. Haas inserisce questa usanza etnica in maniera fugace, come immagine evocata da Kirke, in un soliloquio dedicato al suo amante Odysseus:

Die andern hängen in Ochsenhäuten in den Wipfeln der Weidenbäume, den Vögeln zum Fraß. Lieb die Frauen, Odysseus, lieb vielleicht mich. Laß uns die Frauen in der Erde begraben. Wir lieben die Erde.14

e nella descrizione dei contadini colchici nei ricordi di Medea, in fuga con gli Argonauti a bordo di Argo:

Auch die Toten wurden in die Runde mit einbezogen. Männer und Frauen fassten sich an den Händen und umtanzten den heiligen Baum Panjassan im

13 Mirto, Intersezioni, a. XX n.3 14 Freispruch für Medea, p. 35

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georgischen Hain, in dem tote Männer in Stier- und Büffelhäuten ihre letzte Ruhe gefunden hatten.15

Nel testo di C. Wolf Giasone descrive più dettagliatamente questa immagine, dipingendola attraverso il filtro civilizzato del punto di vista del cittadino greco, che osserva le usanze primitive di un popolo da lui considerato selvaggio:

Aber bis heute kann ich den Schauder spüren, der mich ergriff, als wir das niedrige Weidengestrüpp am Ufer durchquert hatten und in einen Hain regelmäßig gepflanzter Bäume gerieten, an denen die entsetzlichsten Früchte hingen. Beutel aus Rinder-, Schaf-, Ziegenfellen umhüllten einen Inhalt, der an schadhaften Stellen nach außen trat: Menschliches Gebein, menschliche Mumien waren da aufgehängt und schwangen im leichten Wind, ein Grauen für jeden gesitteten Menschen, der seine Toten unter der Erde oder in Felsengräbern verschlossen hält. Der Schrecken fuhr uns in die Glieder. Wir mussten weiter.16

ed è poi rievocata più avanti, nello stesso capitolo, quando Medea tenta di spiegare al futuro marito il significato di tale usanza:

Nur diese Totenfrüchte hat sie mir einmal ernsthaft erklärt – wir mussten uns öfter treffen, und sie merkte, wie mir vor diesem Hain schauderte -; daß bei den Kolchern nur die Frauen begraben würden; männliche Leichen würden in den Bäumen aufgehängt, wo die Vögel sie bis aufs Skelett säubern könnten, dann würden diese Skelette, nach Familien getrennt, in Felsenhöhlen aufbewahrt, es sei eine säuberliche und ehrfürchtige Methode, was mich daran störe.17

15 Freispruch für Medea, p. 69 16 Medea. Stimmen, p. 46 17 Medea. Stimmen, p. 63

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 La processione di donne descritta nel libro della Haas, che esce dalla città guidata da Medea per celebrare la dea Demetra,18 affinché ponga fine alla carestia, è

riproposta nelle ultime pagine del libro della Wolf, in cui la processione di donne è dedicata alla dea Artemide (alla quale, in Freispruch für Medea, è rivolta la processione di fanciulle che giungono al cospetto del sovrano Pelias)19, per fare cessare l’epidemia

di peste e, dopo avervi partecipato, la principessa colchica raggiunge le altre connazionali, per unirsi a loro nella celebrazione della primavera, ovvero, al culto della dea Demetra.20 Entrambe le scrittrici attribuiscono il merito della fine della carestia di Corinto all’ingegno di Medea che, grazie alla tradizione culinaria colchica e al commercio con l’Oriente, riesce a risolvere il problema della carenza di alimenti.

Als die anderen Frauen ermattet und befriedigt aus ihren Orgien erwachten, wuchs vor Medeas Augen ein praktischer Plan, die Hungersnot in Korinth zu beenden. In den nächsten Wochen ließ sie Viviane und besonders vertraute Dienerinnen im Hafen von Korinth nach kolchischen Schiffen Ausschau halten. Als sie dort Gerste entdecken, kauften sie die ganze Ladung, und Medea bereitete Saatlinge, die sie bei Korinth in ein Feld pflanzen ließ. Zur gleichen Zeit hörte die lange Trockenperiode auf, die die Hungersnot herbeigeführt hatte. Als dann endlich die russische Gerste emporschoß und schließlich das Getreide zu Mehl und Brot verwertet werden konnte, hielten die Hellen das für Medea Verdienst.21

Übrigens hat dich Akamas‘ Verhältnis zu Medea verändert, seit sie die Hungersnot abgewendet hat, die Korinth nach der großen Dürre zweier Jahre drohte. Nicht durch Zauber. Da behaupten die Korinther. Aber sie verbreitete ihre

18 Freispruch für Medea, pp. 106- 117 19 Freispruch für Medea, pp. 86- 92 20 Medea. Stimmen, pp. 187- 210 21 Freispruch für Medea, p. 116

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Kenntnis der essbaren Wildpflanzen, die unerschöpflich zu sein scheint, und sie lehrte, nein, zwang die Korinther, Pferdefleisch zu essen.22

Medea in Freispruch fürMedea, e Agameda in Medea. Stimmen, riescono a imporre allo stesso modo agli uomini il piano da loro progettato, facendolo abilmente apparire, come se fosse stato escogitato dagli uomini stessi (nel primo caso Medea propone al padre le prove da superare per ottenere il Vello d’Oro, mentre nel secondo Agameda suggerisce ad Acamante lo stratagemma per accusare e condannare Medea).

[Medea] Einen schlauen Plan habe sie sich übergelegt, überraschte sie den Vater, und den wolle sie ihm gerne sagen. Sie legte ihm daraufhin das Vorhaben so geschickt in den Mund, daß es schließlich der Plan des Aietes war, den Argonauten auf diese Weise zu besiegen.23

[Agameda] Auch ich will in Schicksale eingreifen, und ich bin dazu genauso begabt wie er, und keine andere Lust übertrifft die, die in mir aufschießt, wenn ich meine Gedanken und Absichten einem anderen Menschen eingegeben habe, so daß er sie als die seinen empfindet.24

22 Medea. Stimmen, p. 49 23 Freispruch für Medea, p. 61 24 Medea. Stimmen, p. 81

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