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Analisi sperimentale dei tassi di rimozione di PPCP nei processi di fitodepurazione a flusso subsuperficiale

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Academic year: 2021

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Cap. 1- Introduzione

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Cap. 1 – Introduzione

Negli ultimi anni, nelle acque di approvvigionamento e nei reflui trattati sono stati identificati oltre ai più diffusi microinquinanti metallici (Zn e CU), composti derivanti in larga parte da antibiotici ad uso umano e animale, farmaci di prescrizione e generici PPCPs (Pharmaceuticals and Personal Care Products). Caratteristica comune dei PPCPs è la loro presenza nelle acque in concentrazioni molto basse, dell‟ordine dei ng/L, al massimo qualche μg/L, e pertanto sono chiamati anche microinquinanti. Tali composti hanno proprietà chimico-fisiche tali da indurre effetti avversi sugli organismi, in particolare quelli acquatici. Questi inquinanti prendono il nome di composti emergenti, poiché molti sono ancora non normati. Limitare l‟impiego di tali sostanze al fine di ridurne la loro presenza nell‟ambiente è ragionevole ed economico, anche se è difficilmente attuabile. Un ruolo fondamentale nel controllo dell‟inquinamento ambientale da microinquinanti è assunto dagli impianti di depurazione, poiché i prodotti quotidianamente impiegati per la cura e l‟igiene personale e i farmaci escreti come tali o come metaboliti attivi con le urine o le feci dei pazienti si ritrovano nelle acque fognarie dirette agli impianti di trattamento delle acque reflue. I depuratori, purtroppo, non sono progettati per rimuovere sostanze tanto complesse, così diverse tra loro e a concentrazioni tanto basse, e così, molte di queste sostanze non sono degradate e rimosse in misura completa e permangono, quindi, anche nelle acque reflue trattate, riversandosi e accumulandosi nell‟ambiente. Da qui nasce la necessità di studiare miglioramenti da apportare ai sistemi di rimozione dei microinquinanti, orientandosi su sistemi di depurazione naturale, quali la fitodepurazione. La ricerca della mia tesi sperimentale si è focalizzata sulla valutazione dell‟efficienza di abbattimento dei microinquinanti: metalli pesanti e PPCPs, quali carbamazepina e paracetamolo, tramite l‟utilizzo di sistemi di fitodepurazione a flusso subsuperficiale con piante non convenzionali. La sperimentazione che ho effettuato dal 09/11/2011 al 28/08/2012 è stata il prosieguo naturale di una ricerca iniziata il 20 giugno 2011 con l‟installazione presso la serra del CNR di Cisanello (Pisa) di 6 lisimetri stratificati, contenenti ghiaia di pezzatura variabile, costituente il supporto per l‟installazione delle macrofite utilizzate nei processi di fitodepurazione. Nella mia ricerca però si è tenuto conto anche

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Cap. 1- Introduzione

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dell‟installazione di un nuovo lisimetro denominato “controllo”, riempito di sola ghiaia dalle stesse caratteristiche fisico-chimiche degli altri lisimetri, utile per verificare i processi di adsorbimento nella rimozione dei composti emergenti e valutarne l‟impatto rispetto alle capacità di abbattimento offerte dalle singole piante. In laboratorio sono state preparate soluzioni sintetiche, che simulassero le caratteristiche dei reflui civili e sono state introdotte nei lisimetri, dove sono state mantenute per intervalli regolari di tempo crescente, prima di essere raccolte e analizzate.

La tesi è strutturata in due parti: la prima di ricerca bibliografica, dove si sono messi in luce, nei primi capitoli, i concetti fondamentali della fitodepurazione, la pericolosità della diffusione dei PPCPs e i loro effetti sull‟ambiente, la seconda di attività sperimentale, riportando gli obbiettivi specifici, i materiali e i metodi impiegati per la realizzazione delle prove e i risultati ottenuti con le conclusioni finali.

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Cap.2 – La fitodepurazione per il trattamento delle acque reflue

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Cap. 2 – La fitodepurazione per il trattamento delle acque

reflue

La Fitodepurazione è un sistema ingegnerizzato, che è stato progettato e costruito per utilizzare i processi naturali che coinvolgono le “zone umide”, gli assemblaggi di vegetazione, il suolo, e la microbica associata per il trattamento delle acque reflue. Gli impianti sono progettati per sfruttare molti degli stessi processi, che si verificano nelle zone umide naturali, ma in un ambiente più controllato.

Le zone umide sono state utilizzate per molti secoli per il trattamento delle acque di scarico prodotte dagli insediamenti abitativi e da alcune attività produttive. Nella maggior parte dei casi però molte di queste zone; spesso delle vere e proprie paludi venivano utilizzate come una sorta di bacino di accumulo prima dello sversamento nel corpo idrico recettore finale e non come sistemi di trattamento, con la conseguenza di ottenere irreversibili degradazioni della loro qualità con scarichi incontrollati ed inesistenti valutazioni sull‟impatto provocato su di esse dalle acque inquinate. Culturalmente, infatti, le zone umide sono state storicamente considerate come malsane ed inadatte alla vita umana, e quindi, fino a quando la visione antropocentrica ha prevalso, sono state letteralmente accantonate anche dal mondo scientifico e solo negli ultimi trenta anni si è invece assistito ad un netto aumento di interesse e ad un radicale cambiamento nella loro considerazione.

Il ricorso a sistemi depurativi naturali dovrebbe essere la scelta obbligata quando il numero di abitanti equivalenti da servire è compreso tra poche decine ed alcune centinaia: su questi intervalli di utenza i sistemi ad alta tecnologia hanno dimostrato problemi gestionali derivanti dalla difficoltà economica legata ad una gestione continua e specializzata (Masi 2003). Ecco che nasce il concetto di “depurazione decentralizzata”, in base al quale si tendono ad eliminare le elevate spese per l‟installazione di nuovi collettori fognari, realizzando i trattamenti il più possibile vicini all‟utenza; nell‟ottica di ridurre i costi e di mantenere nello stesso tempo soddisfacenti i rendimenti di depurazione.

Nella maggior parte dei casi bisogna specificare che si parla di trattamenti biologici secondari, in quanto necessitano a monte di un trattamento primario di sedimentazione, quale una fossa Imhoff e/o terziari, di affinamento. La rimozione dei nutrienti e dei

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batteri avviene attraverso gli stessi processi fisici, chimici e biologici dei fanghi attivi, attraverso filtrazione, adsorbimento, assimilazione da parte degli organismi vegetali e degradazione batterica. Tali impianti (in inglese si usa l‟espressione “constructed

wetland” , cioè sistema di fitodepurazione artificiale ricostruito) rappresentano quindi

un‟alternativa alla depurazione tradizionale, rispettano l‟ambiente e sono vantaggiosi dal punto di vista economico (v. risparmio di energia elettrica, in un‟ottica di sviluppo sostenibile, limitati costi di gestione) ed ambientale (miglior impatto sul paesaggio, eliminazione di trattamenti di disinfezione).

La prima esperienza di un impianto di fitodepurazione in scala reale, risale al 1977, costruito a Othfresen in Germania per il trattamento dei reflui urbani (Kickuth 1977). Oggi la diffusione delle ―constructed wetlands‖ rappresenta una scelta ampiamente diffusa nella maggior parte del mondo.

Nello specifico, attualmente esistono in Europa circa 5600 impianti di varie tipologie, la cui diffusione è visualizzata nel grafico sottostante (grafico 2.1).

A us tri a B el gi o R ep . C ec a D an im ar ca Fr an ci a Ge rm an ia U ng he ria N or ve gi a P ol on ia P or to ga llo S lo ve ni a S ve zi a S vi zz er a Ol an da R eg no U ni to 1 10 100 1000 10000 Distribuzione degli impianti di fitodepurazione nei paesi europei

Numero impianti

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L‟Italia ha avuto notevoli ritardi nello sviluppo e nella diffusione delle tecniche di fitodepurazione, nonostante siano presenti condizioni meteoclimatiche più favorevoli rispetto ai paesi nordeuropei.

La causa principale che ha determinato questo ritardo è da ricercare nella mancanza di riferimenti normativi che prendessero in considerazione questa tipologia impiantistica. Il punto di svolta è segnato dal Decreto Legislativo n. 152/99 e successive modifiche ed integrazioni, che recepisce le direttive europee 91/271/CEE e 91/676/CEE. Tra gli obiettivi del Decreto vi è quello di incentivare , dove possibile , l‟uso di tecniche depurative naturali, quali la fitodepurazione ed il lagunaggio. Il D.Lgs 152/99 e succ.mod. (258/00), al paragrafo 3 dell‟allegato 5, relativo agli scarichi degli insediamenti con A. E. (abitanti equivalenti) con popolazione compresa tra i 50 ed i 2.000 A.E., introducendo il concetto di “trattamento appropriato”, auspica il ricorso a tecnologie di depurazione naturale.

Dal Decreto Legislativo:

“I trattamenti appropriati devono essere individuati con l’obiettivo di:

a) rendere semplice la manutenzione e la gestione;

b) essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico idraulico ed organico;

c) minimizzare i costi gestionali.

Questa tipologia di trattamento può equivalere ad un trattamento primario o ad un trattamento secondario a seconda della scelta tecnica adottata e dei risultati depurativi raggiunti. Per tutti gli insediamenti con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2.000 A.E. si ritiene auspicabile il ricorso a tecnologie di depurazione naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione, o tecnologie come filtri percolatori od impianti ad ossidazione totale.

Peraltro tali trattamenti possono essere considerati adatti se opportunamente dimensionati, al fine del raggiungimento dei limiti della tabella 1, anche tutti gli insediamenti in cui la popolazione equivalente fluttuante sia superiore al 30% della popolazione residente e laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo consentano. Tali trattamenti si prestano, per gli insediamenti di maggiori dimensioni con popolazione equivalente compresa tra i 2.000 e i 25.000 A.E., anche a soluzioni

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6 integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, a valle del trattamento, con funzione di affinamento‖.

2.1 Tipologie impianti di fitodepurazione

Le aree destinate alla fitodepurazione possono essere posizionate in qualunque fase del trattamento complessivo anche se generalmente viene applicata in due stadi del processo: per compiere trattamenti secondari e di affinamento.

 Trattamento secondario: è il trattamento principale tramite il quale si rimuove la componente organica biodegradabile ed i solidi sospesi.

 Trattamento di affinamento: definito trattamento terziario, ha lo scopo di rimuovere la materia organica, i composti tossici ed i solidi sospesi.

I diversi sistemi depurativi che si possono costruire dipendono comunque essenzialmente dal tipo di ecologia di piante utilizzate.

Si possono avere sistemi con macrofite galleggianti; dotate di apparato radicale:―Eichhornia crassipes‖ (giacinti d‟acqua),‖Hydrocotyle umbellata‖

(soldanelle), ―Hydrocotyle ranunculoides (ranuncoli d‟acqua), ―Pistia stratiotes‖ (lattughe d‟acqua); scarsamente dotate di apparato radicale: ―Lemnacee‖ (lenticchie d‟acqua), ―Trapa‖ (castagna d‟acqua) (figura 2.1), macrofite radicate sommerse (―Egeria densa‖ (egeria), ―Elodea canadensis‖ (peste d‟acqua), (figura 2.2), macrofite radicate emergenti (―Phragmites australis‖ (cannucce di palude), ―Scirpus lacustris‖ (giunchi di palude), ―Tipha latifolia‖ (staince, mazze di tamburo), ―Carex-acutiformis‖ (carice), ―Iris pseudacorus (iris, gladiolo delle paludi, giglio giallo), (figura 2.3) ed infine sistemi multistadio che combinano tutte e tre le precedenti classi. L‟ azione delle macrofite si esplica attraverso il trasferimento di ossigeno verso il fondo del bacino tramite gli apparati radicali e rizomatosi, fornendo al di sotto del pelo dell‟acqua una superficie di supporto per l‟adesione dei microorganismi responsabili dei processi biologici. Le macrofite sono morfologicamente adatte alla crescita in terreni saturi grazie alle loro ampie cavità interne che consentono il trasporto dell‟ossigeno prelevato dall‟atmosfera verso gli apparati radicali e rizomatosi. L‟ossigeno che si diffonde verso le radici favorisce la colonizzazione di batteri aerobi a contatto con le radici e con i rizomi. Nelle zone adiacenti del terreno si sviluppano, invece, batteri anaerobi. I sistemi

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a macrofite radicate emergenti possono subire una ulteriore classificazione dipendente dal cammino idraulico delle acque reflue:

Figura 2.1 Trapa

Figura 2.2 Elodea canadensis Figura 2.3 Carex acutiformis

 Sistemi a flusso sommerso orizzontale (SFS-h o HF)

I sistemi SFS-h o HF (flusso sommerso orizzontale, figura 2.4) sono costituiti da vasche contenenti materiale inerte con granulometria prescelta al fine di assicurare una adeguata conducibilità idraulica (i mezzi di riempimento comunemente usati sono sabbia, ghiaia, pietrisco); tali materiali inerti costituiscono il supporto su cui si sviluppano le radici delle piante emergenti (sono comunemente utilizzate le “Phragmites australis‖); il fondo delle vasche

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deve essere opportunamente impermeabilizzato facendo uso di uno strato di argilla, possibilmente reperibile in loco, in idonee condizioni idrogeologiche, o, come più comunemente accade, di membrane sintetiche (HDPE o LDPE 2 mm di spessore); il flusso di acqua rimane costantemente al di sotto della superficie del vassoio assorbente e scorre in senso orizzontale grazie ad una leggera pendenza del fondo del letto (circa 1%) ottenuta con uno strato di sabbia sottostante il manto impermeabilizzante.Durante il passaggio dei reflui attraverso la rizosfera (cioè la porzione di terra che circonda le radici delle piante) delle macrofite, la materia organica viene decomposta dall‟azione microbica, l‟azoto viene denitrificato, se in presenza di sufficiente contenuto organico, il fosforo e i metalli pesanti vengono fissati per adsorbimento sul materiale di riempimento; i contributi della vegetazione al processo depurativo possono essere ricondotti sia allo sviluppo di una efficiente popolazione microbica aerobica nella rizosfera sia all‟azione di pompaggio di ossigeno atmosferico dalla parte emersa all‟apparato radicale e quindi alla porzione di suolo circostante, con conseguente migliore ossidazione del refluo e creazione di una alternanza di zone aerobiche, anossiche ed anaerobiche con conseguente sviluppo di diverse famiglie di microrganismi specializzati e scomparsa pressoché totale dei patogeni, particolarmente sensibili ai rapidi cambiamenti nel tenore di ossigeno disciolto. I sistemi a flusso sommerso assicurano una buona protezione termica dei liquami nella stagione invernale, specie nel caso si possano prevedere frequenti periodi di copertura nevosa. Gli impianti descritti in letteratura si dimostrano affidabili nei riguardi della rimozione del carico organico, dei solidi sospesi, indipendentemente da variazioni anche considerevoli del carico idraulico, delle caratteristiche di composizione delle acque in ingresso e delle temperature esterne. Gli impianti a flusso sommerso orizzontale presenti sul territorio nazionale sono in larga parte dimensionati con criteri dettati dalla letteratura internazionale. Le prestazioni migliori si ottengono con un riempimento di ghiaia del diametro inferiore a 10 mm ed un'area specifica che varia tra 2,5 e 5 m2/a.e.; la pendenza del fondo non supera mai il 2% e la profondità media del medium è di 0,70 m (Del Bubba, 2001).

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9 Figura 2.4 Sistema a flusso sommerso orizzontale

 Sistemi a flusso sommerso verticale (SFS-v o VF)

La configurazione di questi sistemi (figura 2.5) è del tutto simile a quelli appena descritti. La differenza consiste nel fatto che il refluo da trattare scorre verticalmente nel medium di riempimento (percolazione) e viene immesso nelle vasche con carico alternato discontinuo, mentre nei sistemi SFS-h si ha un flusso a pistone, con alimentazione continua.

Questa metodologia con flusso intermittente (reattori batch) implica l'impiego di un numero minimo di due vasche in parallelo per ogni linea che funzionano a flusso alternato, in modo da poter regolare i tempi di riossigenazione del letto variando frequenza e quantità del carico idraulico in ingresso, mediante l‟adozione di dispositivi a sifone autoadescante opportunamente dimensionati. Il medium di riempimento si differenzia invece dai sistemi a flusso orizzontale in quanto non si utilizza una granulometria costante per tutto il letto, ma si dispongono alcuni strati di ghiaie di dimensioni variabili, partendo da uno strato di sabbia alla superficie per arrivare allo strato di pietrame posto sopra al sistema di drenaggio sul fondo. Questi sistemi, ancora relativamente nuovi nel panorama della fitodepurazione ma già sufficientemente validati, hanno la prerogativa di consentire una notevole diffusione dell'ossigeno anche negli strati più profondi delle vasche, giacché la diffusione di questo elemento è circa 10.000 volte più

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10 Figura 2.5 Sistema a flusso sommerso verticale

veloce nell'aria che nell'acqua, e di alternare periodi di condizioni ossidanti a periodi di condizioni riducenti. I tempi di ritenzione idraulici nei sistemi a flusso verticale sono abbastanza brevi; la sabbia superficiale diminuisce la velocità del flusso, il che favorisce sia la denitrificazione sia l‟adsorbimento del fosforo da parte della massa filtrante. I fenomeni di intasamento superficiale, dovuti al continuo apporto di solidi sospesi, sono auspicati per un primo periodo, in quanto favoriscono la diffusione omogenea dei reflui su tutta la superficie del letto, mentre devono essere tenuti sotto controllo nel lungo periodo onde evitare formazioni stagnanti nel sistema. Le esperienze estere su tali sistemi mostrano comunque che non si rilevano fenomeni di intasamento quando si utilizza una alimentazione discontinua inferiore al carico idraulico massimo del sistema con frequenza costante e quando si ha adeguato sviluppo della vegetazione (l‟azione del vento provoca infatti sommovimenti della sabbia nella zona delle radici e intorno al fusto, contrastando i fenomeni occlusivi).

Per esempio le esperienze italiane di vasche normalmente riempite con sabbia grossolana (0,05-0,1 mm) ed alimentate in discontinuo con pompe elettromeccaniche o sifoni di cacciata, mostrano elevate capacità di nitrificazione (Bonomo 1996). Gli impianti italiani, per il trattamento secondario di reflui civili o domestici sono in genere realizzati con coefficienti d‟area di 2-5 m2/a.e. e tra le macrofite preferite la ―Phragmites australis‖. Con le indicazioni

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di letteratura (3 m2/a.e., 60 cm di sabbia grossolana, carico di 50 litri/m2.giorno) è possibile ottenere la rimozione di circa 60-90% di azoto ammoniacale, 92-99% di COD, 97-99% di BOD5 (Bonomo 1996).

Recentemente le nuove configurazioni impiantistiche prevedono spesso l‟utilizzo di sistemi combinati e propongono l‟abbinamento di sistemi HF a sistemi VF, sia per la riduzione delle aree superficiali necessarie al raggiungimento degli obbiettivi della depurazione, sia per migliorare alcuni processi depurativi come l‟abbattimento dell‟azoto e del fosforo.

 Sistemi a flusso superficiale (FWS)

I sistemi FWS (figura 2.6) consistono in vasche o canali dove la superficie dell‟acqua è esposta all‟atmosfera ed il suolo, costantemente sommerso, costituisce il supporto per le radici delle piante emergenti; anche in questi sistemi il flusso è orizzontale e l‟altezza delle vasche generalmente limitata a poche decine di centimetri.

In questi sistemi i meccanismi di abbattimento riproducono esattamente tutti i fattori in gioco nel potere autodepurativo delle zone umide.

Figura 2.6 Sistema a flusso superficiale

2.2 Situazione degli impianti in Italia

Il censimento effettuato nel corso del 1999-2000 dall‟Università di Torino, in sinergia con le attività del gruppo specialistico IWA (International Water

Association), ha prodotto una lista di circa 150 impianti. I dati raccolti riguardano

l‟ubicazione, i parametri progettuali e le rese depurative. La loro distribuzione sul territorio è tutt‟altro che regolare: la maggior parte è infatti concentrata nel nord del

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Paese (figura 2.7). Le varie tipologie impiantistiche vengono realizzate o singolarmente oppure combinate tra loro (grafico 2.2). Dal grafico si vede che l‟impianto più utilizzato è il sistema a flusso subsuperficiale orizzontale (HF), preferito per la semplicità di realizzazione e di gestione. Entrambi i sistemi a flusso subsuperficiale (HF e VF) sono, per la maggior parte dei casi, installati come stadio di trattamento secondario per i reflui domestici o civili. I sistemi a flusso libero (FWS) sono impiegati per realizzare stadi di trattamento terziari di impianti biologici esistenti (fanghi attivi, biodischi, ecc.), o come stadio finale in impianti di fitodepurazione ibridi, per favorire la disinfezione dell‟effluente e per raffinare il processo depurativo ai fini del riuso agrario o industriale delle acque trattate. La Regione Veneto, che vanta il più alto numero di impianti, ha effettuato molte esperienze utilizzando anche zone seminaturali (NW, cioè zone caratterizzate da utilizzazione agro-silvopastorale estensiva) o ricostruite (RCW, cioè aree che in precedenza erano zone umide artificiali e che sono state modificate o restaurate a scopo naturalistico).

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Cap.2 – La fitodepurazione per il trattamento delle acque reflue

13 Grafico 2.2 Tipologie impiantistiche

In Toscana molto importante è stata la recente realizzazione di un impianto di fitodepurazione a Pisa per il trattamento reflui drenaggio dei fanghi di dragaggio del canale dei Navicelli. Nel caso in questione è stato realizzato un sistema combinato (figura 2.8) con primo stadio con sistemi a flusso sommerso verticale (su due linee) e secondo stadio con sistema a flusso sommerso orizzontale (Rocco Sturchio 2010, Navicelli SPA). Sono stati realizzati tre letti di fitodepurazione funzionanti in serie/parallelo di dimensioni ciascuno:

 Altezza strato drenante 0,60 m  Larghezza 6,00 m

 Lunghezza 20,00 m

 Superficie totale 3 letti 360 mq  Sezione trasversale 10,80 mq

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Cap.2 – La fitodepurazione per il trattamento delle acque reflue

14 Figura 2.8 Pianta dell‟impianto di fitodepurazione per il trattamento dei fanghi di dragaggio presso i Navicelli di Pisa

2.3 Efficienza dei sistemi di fitodepurazione

Se mettiamo a confronto gli impianti di fitodepurazione nel trattamento dei fanghi con altre tecnologie (convenzionali) come la centrifugazione e il compostaggio si vede una elevata efficienza in termini di disidratazione dei fanghi (TS proximately 30%) e stabilizzazione (40-50% VS), che porta ad un prodotto finale, che può essere adatto per i campi delle colture agricole, e dissodamenti, anche senza compostaggio ulteriore dei fanghi trattati. Ciò offre l'opportunità di un trattamento in loco, specialmente nel caso delle acque reflue di piccole comunità. Il prodotto finale può essere convertito in un fertilizzante organico o ammendante adatto a coltivazioni agricole o bonifica. Tuttavia, l'accumulo di inquinanti organici e inorganici nei fanghi possono impedire tali applicazioni a causa dei rischi ambientali che ne derivano.

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Pertanto, è necessaria la valutazione di tali inquinanti potenziali (cioè metalli pesanti, indicatori microbici fecali, ecc) prima dell‟ applicazione al terreno dei fanghi trattati, come indicato nella Direttiva Europea sui fanghi (Consiglio dell'Unione europea

(1986)) e raccomandato nel 3 ° documento Bozza di lavoro dell'UE fanghi (Ambiente DG, UE, 2000). Comunque grazie al processo d‟assorbimento delle piante in special

modo ―Phragmites australis‖, la rimozione dei metalli pesanti risulta efficiente, mentre per quanto riguarda gli indicatori microbici fecali, Obarska-Pempkoviak et al. (2003) hanno dimostrato che è diminuita la concentrazione del batterio Escherichia coli nei fanghi insieme ad altri batteri patogeni come la Salmonella, dopo 8 mesi di trattamento. Nielsen (2007) ha invece analizzato una riduzione di batteri fecali indicatori nei fanghi da zone umide di trattamento dopo un periodo di 1-4 mesi dal carico ultimo. I risultati hanno mostrato una diminuzione nella concentrazione a valori inferiori al 2 MPN/100g per Salmonella e inferiori a 10 CFU / g di enterococchi e al di sotto 200 MPN/100g per E. coli.

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

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Cap. 3 – La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli

scarichi urbani

Negli ultimi decenni l‟interesse a preservare l‟ambiente e il progredire di tecniche analitiche di sempre maggiore sensibilità e accuratezza hanno portato alla luce il contributo all‟inquinamento, specialmente degli ecosistemi acquatici, da parte di sostanze di uso comune quali cosmetici, sostanze adoperate per la cura della persona e in particolare farmaci (Pharmaceuticals and Personal Care Products, PPCPs). L‟industria farmaceutica rappresenta ormai una fetta consistente della produzione di prodotti chimici. Il numero di farmaci prodotti via sintesi organica e/o mediante metodologie biotecnologiche è in continua crescita; attualmente i livelli di produzione ammontano a migliaia di tonnellate l‟anno, in alcuni casi paragonabili a quelli registrati per fertilizzanti e altri prodotti di uso comune in agricoltura. Sul mercato può accadere che vengano messi accidentalmente farmaci il cui impatto, anche solo strettamente riguardante la salute umana, non sia stato valutato appieno; da qui è facile immaginare che fino ad alcuni anni fa le conseguenze sullo sversamento nelle riserve idriche di molte delle sostanze ad uso umano fosse una preoccupazione del tutto secondaria rispetto ai vantaggi in campo medico e in campo economico.

La principale via di immissione nell‟ambiente di farmaci per uso umano è l‟escrezione dall‟organismo (figura 3.1); va però presa in considerazione anche la dispersione di

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

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medicinali adoperati per uso veterinario che normalmente raggiungono direttamente il terreno sotto forma di concime e possono essere dilavati tramite fenomeni naturali fino a raggiungere acque superficiali o di falda. Altre vie di ingresso ai corpi idrici sono costituiti dallo smaltimento improprio di farmaci o dagli scarichi delle industrie farmaceutiche.

Una volta assunti dall‟organismo, normalmente per ingestione, questi composti entrano nei processi metabolici attraverso i quali possono essere eventualmente degradati completamente o subire trasformazioni chimiche che portano alla formazione di metaboliti; in numerosi casi tuttavia una percentuale variabile del composto di partenza viene escreto tal quale e raggiunge gli impianti di depurazione delle acque reflue. In molti casi gli impianti STP (Sewage Treatment Plants), deputati ad accogliere gli scarichi domestici, non sono in grado di eliminare completamente composti di questo tipo, permettendone dunque l‟ingresso nelle acque superficiali.

I rischi maggiori si rilevano in zone altamente popolate e con risorse idriche quali laghi e fiumi in stretta vicinanza con impianti STP non all‟avanguardia laddove la presenza di xenobiotici nelle acque può diventare permanente. La presenza di farmaci rilevata in acqua potabile (Heberer T. et al. 1996; Ternes T. A., 2001) è un chiaro segnale di questo fenomeno.

I danni dovuti alla presenza anche in basse concentrazioni di queste sostanze nell‟ambiente sono in gran parte associati a fenomeni di accumulo locale, bioaccumulo in specie che popolano le acque, eventuale biomagnificazione (amplificazione del contaminante) lungo la catena trofica e intossicazione cronica; tali composti sono infatti progettati appositamente per interferire con sistemi biologici interagendo con recettori e enzimi specifici specialmente a bassi dosaggi.

La classe delle molecole di uso farmaceutico è vastissima, presenta diverse categorie a seconda delle indicazioni terapeutiche e del tipo di trattamento, i principi attivi possono differire sia per struttura chimica che per modalità di azione anche all‟interno di una stessa categoria (antibiotici, antidolorifici, antinfiammatori, anticoagulanti, ipocolesterolemizzanti, ormoni…).

Tra i PPCPs più diffusi, presenti nelle acque reflue civili, che sono stati oggetto di studio durante la mia sperimentazione, troviamo la carbamazepina e il paracetamolo.

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

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3.1 La carbamazepina

La carbamazepina (CBZ) è uno dei farmaci più impiegati nella terapia antiepilettica; è usato anche nelle nevralgie del trigemino e nelle psicosi maniaco-depressive. Viene eliminato prevalentemente nel fegato, dove viene metabolizzato in Carbamazepina 10,11-epossido e altri derivati. Solo il 2-3% della dose somministrata viene escreta in forma immodificata. Ciononostante, concentrazioni fino a diverse centinaia di nanogrammi per litro sono state rilevate nelle acque di superficie.Siccome talvolta delle significative concentrazioni di carbamazepina sono state rilevate in corsi corsi d'acqua dove affluivano gli emissari degli impianti di trattamento delle acque reflue (STP), l'eliminazione di tale sostanza nella STP è diventata di elementare interesse e deve essere presa in considerazione già durante il processo di progettazione (M. Clara*, B. Strenn, N. Kreuzinger 2004).

La Carbamazepina sembra essere molto persistente nell'ambiente, quindi si qualifica come un marcatore adatto per le influenze antropiche nell'ambiente acquatico e terrestre. In base a molte indagini il farmaco non causa effetti tossici acuti agli organismi quando viene rilasciato nell‟ambiente, tuttavia un „esposizione cronica al farmaco può comportare dei livelli di pericolosità non trascurabili. Molti rapporti indicano che la CBZ è persistente quando rilasciata nell'ambiente, e la sua efficienza media di rimozione negli impianti di trattamento delle acque reflue (WWTP) è al di sotto del 10% (Zhang, Y., Geissen, S.U., Gal, C., 2008). Alte concentrazioni pari a 6.3 g / L sono state misurate in “wastewaters‖; mentre concentrazioni medie fino a 2,3 g / L sono state misurate in campioni di acque di scarico. Valori tra il range di 0,1-1g / L sono stati rilevati per le acque superficiali, con livelli fino a 1,1 e 0,03 g / l rispettivamente nelle acque sotterranee e acque potabili (Fent, K.,Weston, A.A., Caminada, D., 2006). Alcuni studi interessanti hanno riguardato gli effetti di tossicità provocati sulla cozza del Mediterraneo (―Mytilus galloprovincialis‖).

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

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3.1.1 Effetti delle concentrazioni ambientali del farmaco antiepilettico carbamazepina sui biomarcatori e cAMP-mediata delle cellule di segnalazione nel “Mytilus galloprovincialis”

Alcuni test di laboratorio hanno valutato i possibili effetti rilevanti per l'ambiente delle concentrazioni di CBZ sulla cozza del Mediterraneo. Due strategie sono state seguite: in primo luogo, sono stati valutati la possibile tossicità cronica della CBZ attraverso la valutazione di sei biomarcatori consolidati, che seguono l‟esposizione e l‟effetto proposto nell‟approccio ―2 –tier‖ per il biomonitoraggio ambientale. Tale approccio è adatto anche per valutare metallo e contaminazione organica degli scarichi delle acque reflue (Gagnè, F., Blaise, C., Andrè, C., Gagnon, C., Salazar, M., 2007). In secondo luogo, è stato verificato se la CBZ colpisce il percorso cAMP-dipendente della cozza. La CBZ ha mostrato di interagire nei meccanismi cellulari con la conseguente riduzione dei livelli intracellulari di cAMP. L'adenosina monofosfato ciclico (AMP ciclico o cAMP) è un metabolita delle cellule prodotto grazie all'enzima adenilato ciclasi a partire dall'ATP. È un importante "secondo messaggero" coinvolto nei meccanismi di trasduzione del segnale all'interno delle cellule viventi in risposta a vari stimoli (Chen, G., Pan, B.,Hawver, D.B.,Wright, C.B., Potter,W.Z., Manji, H.K., 1996; Montezinho, L.P., Mork, A., Duarte, C.B., Penschuck, S., Geraldes, C.F., Castro, M.M., 2007).

Alcune cozze sono state esposte a 0,1 altre a 10 μg di CBZ per litro d'acqua per 7 giorni (grafico 3.1) e hanno mostrato rispettivamente 60% e 80% di riduzione nella cellula emocite della stabilità della membrana lisosomiale. Inoltre si è verificato, l'aumento del lipide neutro e della lipofuscina nella ghiandola digestiva, e sono stati osservati la perossidazione lipidica nelle branchie e nel mantello / gonadi. Non è stato riscontrato nessun danno del DNA. L'esposizione ha comportato una significativa riduzione dei livelli di cAMP e attività PKA nella ghiandola digestiva, branchie e mantello / gonadi delle cozze, e ha abbassato il mRNA espressione dei geni codificanti tre differenti MXR trasportatori connessi nei tessuti stessi (grafico 3.2-3.3).

In conclusione, la CBZ, a concentrazioni a partire da quelli ampiamente trovate nell'ambiente, è dannosa per le cozze, agendo anche su specifici processi biochimici .In questo senso l'attenzione agli effetti cronici di residui farmaceutici è necessaria per migliorare e definire le politiche di valutazione del rischio.

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Grafico 3.1 Concentrazione carbamazepina μg /L

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

21 Grafico 3.3 Attività di PKA in differenti tessuti di mitili esposti esposti a carbamazepina

Altri aspetti importanti restano ancora da chiarire tramite altre ricerche sugli effetti del farmaco sugli organismi viventi (Laura Martin-Diaza, Silvia Franzellitti, Sara Buratti, Paola Valbonesi, Antonio Capuzzo, Elena, 2009).

3.1.2 Difficoltà di rimozione della CBZ negli impianti di depurazione

La CBZ risulta essere una sostanza molto persistente e da ciò che è stato osservato in molti impianti di trattamento dei fanghi non è degradata o trattenuta indipendentemente dal tempo di ritenzione dei solidi (SRT), che è il principale parametro per la progettazione degli STP; mentre, in campionamenti effettuati nelle acque sotterranee, le minori concentrazioni rilevate non sono altro che il risultato di processi di diluizione. In uno studio di rimozione condotto a Berlino sono stati valutati dei tassi di rimozione per la CBZ dell‟8% e considerati non significativi (M. Clara*, B. Strenn, N. Kreuzinger, 2004) Il campionamento effettuato in 11 impianti per il trattamento delle acque reflue ha evidenziato bassi tassi di rimozione della CBZ (grafico 3.4).

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

22 Grafico 3.4 Confronto tra le concentrazioni affluenti ed effluenti di carbamazepina in impianti a scala di laboratorio (L1-L4) e a tra 11 STP relativo alla concentrazione c0 corrispondente dell‟ affluente

Solo in un caso si è evidenziato un tasso di oltre il 20% di rimozione mentre in tutti gli altri impianti le concentrazioni rilevate negli effluenti erano all‟incirca simili a quelle misurate nei liquami affluenti, anzi talvolta le concentrazioni degli affluenti si presentavano superiori.

Le forti variazioni osservate in alcuni impianti possono essere spiegate con significative fluttuazioni giornaliere di concentrazione, in quanto il campionamento è stato effettuato indipendentemente dal tempo di ritenzione idraulica. È interessante notare anche come vi sia poca differenza di trattamento della CBZ tra un impianto convenzionale e un impianto bioreattore a membrana (MBR).

Le concentrazioni effluenti del CASP e l'MBR si differenziano solo leggermente all'interno dello stesso range di misurazioni. Inoltre, i diversi SRTS non sono di alcuna influenza sul potenziale di ritenzione (grafico 3.5). Nonostante la presenza di una membrana ad ultrafiltrazione nel MBR non si rileva una marcata capacità di ritenzione del farmaco rispetto ad un impianto convenzionale.

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

23 Grafico 3.5 Confronto tra le concentrazioni (valori medi, deviazione standard) dell‟ affluente e effluente di un impianto convenzionale a fanghi attivi vegetali (CASP) con 7000 pe e quelle di un bioreattore a membrana (MBR)

3.2 Il paracetamolo

Il paracetamolo è un analgesico antipiretico piuttosto comune (acetaminofene), molto utilizzato in tutto il mondo. In uno studio condotto nel 2000, il paracetamolo è stato classificato come uno dei primi tre farmaci prescritti in Inghilterra, tanto che la quantità di paracetamolo consumata in quello stesso anno era pari a 400 tonnellate (Sebastine, I.M., Wakeman, R.J., 2003).

Il paracetamolo, essendo come la carbamazepina un farmaco piuttosto persistente, costituisce anch‟esso un marker adatto nella misurazione dell‟inquinamento delle acque reflue, in quanto la sua esposizione cronica crea effetti negativi, quali tossicità acquatica, lo sviluppo di resistenza nei batteri patogeni, genotossicità e alterazione del sistema endocrino negli esseri viventi. Ecco perché recentemente molti studi scientifici si sono concentrati nel valutare l‟efficacia di rimozione del paracetamolo tramite tecniche di rimozione elettrochimiche, ozonizzazione, e metodi di ossidazione tramite ultravioletti H2O2/UV. La rimozione del paracetamolo tramite ozonizzazione è stata

ampiamente investigata sia su soluzioni sintetiche che reali. I vari studi presenti in letteratura hanno dimostrato che questo trattamento permette di raggiungere elevate percentuali di degradazione dei composti oggetto di studio (Huber et al., 2004; Huber et

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

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al., 2005; Alum et al., 2007; Zhang et al., 2008). Il problema di questo processo è correlato alla formazione di sottoprodotti di degradazione, che a volte rischiano di essere anche più tossici dei composti rimossi. È, quindi, evidente che il processo di ozonizzazione deve essere sempre sotto controllo per evitare che sottoprodotti di degradazione vengano rilasciati nell‟ambiente.

3.2.1 Studio di ossidazione elettrochimica del paracetamolo

Uno studio di ossidazione elettrochimica del paracetamolo ha riguardato materiali elettrodi, che producono radicali OH all'anodo per ossidazione dell‟acqua (Katie Waterston, Jenny Weijun Wang, Dorin Bejan and Nigel J. Bunce, 2006).

È stato utilizzato nell‟esperimento Paracetamolo (4-acetamidophenol, 98%) e solfato di sodio come elettrolita di supporto. Le soluzioni sono state preparate utilizzando acqua

proveniente da un sistema reagente di acqua “Milli-Q‖ avente resistività non inferiore a 10 MΩ cm. Sono stati utilizzati come anodi un elettrodo di diamante drogato con boro (BDD), un anodo dimensionalmente stabilizzato (DSA) rivestito di Ti con IrO2, e un DSA fatto di Ti rivestito con SnO2; mentre come catodo è stata utilizzata una piastra in nichel. Infine è stata adoperata una membrana a scambio cationico. Le elettrolisi sono state effettuate con reattore elettrochimico costruito in plexiglas, che consisteva di due compartimenti, ciascuno avente dimensioni 58 mm x 15 mm x 4.5 mm, separati da una membrana a scambio cationico Nafion-424. Le dimensioni esterne di tutti gli elettrodi erano 50 mm x 15 mm. La cella è stata azionata con gli elettrodi in posizione verticale, per consentire la fuoriuscita dei gas emessi durante l'elettrolisi.

Il reattore è stato fatto funzionare in modalità di presa di flusso, con soluzioni separate passate attraverso l'anodo e il catodo a portate uguali di 0,5-1,5 ml/min, utilizzando una pompa peristaltica C / L Masterflex. L‟anolita (50 ml) era una soluzione di 0,5-2,0 mM di acetaminofene disciolta in acqua con 0,025 M di Na2SO4 come supporto elettrolita,

mentre il catolita era una soluzione 0,05 M di Na2SO4, che è stato fatto passare

attraverso il reattore una sola volta. Tutte le elettrolisi sono state eseguite galvanostaticamente in soluzioni non tamponate a correnti di 100-800 mA. I tempi di elettrolisi totale variavano da 200 a 400 min

Il grafico 3.6 mostra la scomparsa dell‟ acetaminofene, utilizzando la cella divisa del reattore “plug-flow‖ nella modalità a ricircolo con materiali anodici differenti: Ti/IrO2,

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

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Ti/SnO2, e BDD. Durante l'elettrolisi il pH della soluzione è sceso dal valore iniziale di

7,8 a seguito dell‟ossidazione sia del substrato e dell‟acqua, raggiungendo valori vicini a 1,4.

Grafico 3.6 Scomparsa dell‟ acetaminofene, nella cella divisa del reattore “plug-flow” in modalità a ricircolo con materiali anodici differenti: Ti/IrO2, Ti/SnO2, e BDD

Dall‟esperimento si concluse che il paracetamolo era stato mineralizzato ad alta efficienza a anodi (BDD e Ti/SnO2), generando radicali idrossilici. Il fatto che l‟attacco

radicale idrossile abbia avviato un meccanismo catena radicalico di ossidazione ha ridotto la necessità da parte di ogni substrato molecolare di avvicinarsi alla superficie anodica direttamente. In contrapposizione a ciò che è stato detto prima, nel caso dell‟anodo Ti/IrO2, che funzionava mediante ossidazione diretta alla superficie

dell'elettrodo, il rendimento di corrente è stato basso (grafico 3.7).

Il grafico 3.8 mostra l‟apparente tasso di rimozione dell‟acetaminofene in un reattore diviso “plug-flow‖ con l‟anodo BDD con una concentrazione iniziale di 1.0 mM e flusso costante di 1 ml/min in modalità di ricircolo. Si vede che il tasso di rimozione varia linearmente con la corrente. Questi dati sono coerenti con una reazione bimolecolare tra paracetamolo e radicali OH, che si sono formati da elettrolisi dell'acqua, essendo approssimativamente proporzionali alla corrente applicata. L'effetto

BDD

Ti/IrO2

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

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vero di portata è stato osservato quando il reattore è stato fatto funzionare in modalità a singolo passaggio, come si vede nel grafico 3.9, che mostra come la concentrazione di paracetamolo uscita dal reattore varia con la portata (concentrazione iniziale 1,0 mm, corrente di 500 mA). La perdita di acetaminofene, in termini di variazione di concentrazione, sul passaggio attraverso il reattore è diminuita con l'aumentare della portata.

Grafico 3.7 Scomparsa di paracetamolo e comparsa di p-benzochinone utilizzando un anodo Ti/IrO2 diviso in un reattore con flusso a pistone

Grafico 3.8 Variazione con la corrente del tasso Grafico 3.9 Variazione con la corrente del tasso apparente di scomparsa del paracetamolo in un apparente di scomparsa del paracetamolo in un anodo BDD di un reattore plugflow diviso. anodo BDD di un reattore plugflow diviso. Concentrazione iniziale 1.0 mM; velocità del Concentrazione iniziale 1.0 mM; corrente flusso 1 mL/min in modalità ricircolo applicata 500 mA

Scomparsa acetaminofene Comparsa benzochinone

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

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3.2.2 Studio di ossidazione fotocatalitica del paracetamolo

Alcuni studi scientifici si sono occupati, attraverso processi di ossidazione fotocatalitica, di capire quali fossero le migliori condizioni operative per ottenere una degradazione del paracetamolo nell‟acqua. L‟utilizzo dei raggi UVA (365 nm) come sola radioterapia ha portato ad una degradazione trascurabile della quantità di paracetamolo, mentre gli studi hanno riscontrato una maggior efficacia dell‟irradiazione di UVC (254nm).

In presenza di TiO2, la fotodegradazione ha raggiunto maggiori velocità; il

paracetamolo si è mineralizzato e sono stati rilevati effetti di degradazione sul 95% dello stesso.

Gli esperimenti sono stati condotti in un reattore semi-batch costruito in scala di laboratorio, facendo ricircolare una soluzione di 150 mL di TiO2 e paracetamolo in

acqua “Millipore Direct-Q‖ tra un serbatoio e il fotoreattore ad una portata di 0,15 L/min. È stata utilizzata una micropompa con un tempo di permanenza della soluzione al di fuori del reattore inferiore a 30 s. Un agitatore magnetico ha indotto una miscelazione soddisfacente della soluzione nel serbatoio. La sospensione è stata introdotta tangenzialmente nel fotoreattore attraverso un distributore in acciaio inossidabile posizionato sul fondo.

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Cap. 3 - La pericolosità degli inquinanti PPCPs presenti negli scarichi urbani

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La temperatura del sistema è stata mantenuto a 26° C grazie una “camicia” di acqua di raffreddamento che circondava il serbatoio. Sono stai effettuati campionamenti ogni 25-40 min e filtrati attraverso una siringa filtro di 0.2 μm PTFE per rimuovere il catalizzatore delle particelle prima delle analisi (Liming Yang, Liya E. Yu, Madhumita B. Ray ,2008).

Il grafico 3.10 mostra la degradazione del paracetamolo, facente uso di 5 condizioni di reazione.

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Cap. 4 - Obbiettivi della sperimentazione

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Cap. 4 – Obbiettivi della sperimentazione

L‟attività sperimentale svolta in questa tesi, che è stata finalizzata alla verifica della rimozione di microinquinanti dalle acque reflue in particolare modo dei PPCPs e dei metalli pesanti più comuni presenti negli scarichi delle acque reflue (zinco e rame); costituisce il proseguo naturale del precedente studio sperimentale che era stato allestito per la valutazione dell‟abbattimento delle concentrazioni di N e P, tramite processi di fitodepurazione con piante non convenzionali. Nel corso infatti del mese di giugno 2011 era stata realizzata, presso uno spazio verde dell‟Area di Ricerca del CNR a Cisanello (Pisa), un impianto sperimentale costituito da 6 lisimetri, alti 110 cm e aventi diametro di 30 cm. I lisimetri, aventi un tappo forato per permettere il drenaggio dell‟acqua, erano stati riempiti alla base con 20 cm di ghiaione (pezzatura 1-3 cm), e 75 cm di graniglia (pezzatura 6-8 mm). Sia il ghiaione che la graniglia erano stati precedentemente sottoposti a lavaggio per eliminare i residui corpuscolari, mentre tra i due strati di differente pezzatura era stata predisposta una rete di plastica a maglia sottile per impedire fenomeni di intasamento, dovuti alla presenza di materiale fine, essendo state piantate al di sopra degli strati di ghiaia le varie tipologie di piante adottate per il processo di fitodepurazione naturale (figura 4.1).

Figura 4.1 Stratigrafia del lisimetro

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Cap. 4 - Obbiettivi della sperimentazione

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Il 20 giugno 2011 erano state piantate oltre alla “Phragmites australis‖, comunemente utilizzata negli impianti di fitodepurazione, altre specie non convenzionali, pregevoli dal punto di vista estetico-ornamentale come: “Iris pseudacorus‖ (giglio giallo),

―Zantedeschia‖ (calla), ―Canna indica‖,‖ Carex‖,‖ Miscanthus‖ . L‟esito della

sperimentazione ha interessato in prima persona il Comune di San Giuliano (Pisa), dove sono attivi e presenti degli impianti di fitodepurazione; perciò la scelta di ricadere su questa tipologia di piante è stata condizionata dall‟utilizzazione delle stesse in impianti già esistenti e funzionanti all‟interno dell‟area comunale.

In ogni lisimetro era stata piantata una specie vegetale diversa: erano state inserite tre piante per la “Phragmites australis‖ e due piante per ognuna delle altre specie (figura 4.2). Per circa tre settimane, le piante erano state irrorate con acqua irrigua potabile per favorirne la radicazione e l‟adattamento; in seguito al raggiungimento di un buono stato vegetativo, ha avuto inizio la prima fase sperimentale mirata alla valutazione della rimozione di N e P.

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Cap. 4 - Obbiettivi della sperimentazione

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La sperimentazione che invece mi ha coinvolto in prima persona ha visto l‟aggiunta di un settimo lisimetro denominato “controllo” in quanto è stato riempito per 20 cm di ghiaia di pezzatura sempre di 1-3 cm e per altri 85 cm di ghiaia di pezzatura 6-8 mm, avente le medesime caratteristiche fisiche e chimiche degli altri lisimetri. Come per gli altri lisimetri i due strati sono stati separati con l‟interposizione di una rete di plastica a maglie fini 4,5 mm x 4,5 mm ed è stato inserito sul fondo del lisimetro un tubo dotato di valvola di chiusura e apertura per effettuare il drenaggio dei liquami contenuti.

L'obiettivo di questa fase è stato quello di valutare l'efficacia delle diverse specie vegetali nella rimozione di metalli (rame e zinco) e contaminanti organici appartenenti alla categoria degli inquinanti emergenti (carbamazepina e paracetamolo), oltre a continuare la valutazione della capacità di rimozione dei nutrienti (N e P), in modo da avere un confronto diretto tra i valori di abbattimento delle singole piante e quelli ottenuti dal settimo lisimetro contenente solo ghiaia (“controllo”). Il refluo sintetico (acqua reflua sintetica), preparato in laboratorio con acqua deionizzata, conteneva delle concentrazioni di Cu e Zn rispettivamente di 1.2 mg/L e 3 mg/L. Tali concentrazioni sono state selezionate aumentando di circa 5-10 volte i valori limite per lo scarico in acque superficiali e sul suolo (“Dlgs. 152/2006, parte terza, All. 5, tabelle 3 e 4‖) e sulla base di precedenti studi di letteratura (Cheng S. ,Grosse W, Karrenbrock F.,Thoennessen M., 2002). Per quanto riguarda il paracetamolo e la carbamazepina sono stati aggiunti delle quantità tali da ottenere una concentrazione nel refluo sintetico rispettivamente di 50 μg/L e 5 μg/L, valori che mediamente sono stati trovati nelle acque reflue civili (Clara, M.; Strenn, B.; Kreuzinger N., 2004; Waterston K., Wang J.W., Bejan D., Bunce N.J., 2006; Yanga L., Yua L.E., Ray M.B., 2008; Martin-Diaz L., Franzellitti S., Buratti S., Valbonesi P., Capuzzo A., Fabbri E., 2009).

La scelta di selezionare questi due farmaci è stata dettata dal fatto che sono composti di largo consumo, che non vengono completamente rimossi dalle unità di trattamento convenzionali e quindi vengono rilasciati nei corpi idrici recettori (anche se in concentrazioni molto basse) con possibili conseguenze negative per l'ambiente e la salute umana.

Accanto ai metalli pesanti e ai PPCPs si sono aggiunti rispettivamente 280 mg/l di N, di cui 154 mg/l di NH3 e 126 mg/l di NO3-, e 30 mg/l di P. Nella scelta si è fatto

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Cap. 4 - Obbiettivi della sperimentazione

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reflua civile: 100 mg/l di N e 10mg/L di P. In conclusione la scelta di tutte le concentrazioni dei vari composti è stata fatta nell‟ottica di eseguire degli esperimenti a mesoscala per ottenere degli effetti più marcati in seguito ai trattamenti imposti. Qui sotto (tabella 4.1) si riportano le quantità dosate dei composti utilizzati in laboratorio per la sperimentazione.

Tabella 4.1 Elenco dei composti chimici con le rispettive quantità dosate utilizzate nella sintetizzazione della soluzione madre

Composti chimici Quantità

NH4NO3 (nitrato di ammonio) 182 g

(NH4)2HPO4 (fosfato di ammonio) 32 g

CuSO45H2O (solfato di rame) 1,178 g

ZnSO47H2O (solfato di zinco) 3,318 g

Acetaminofene 12,5 mg

Carbamazepina 1,25 mg

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Cap. 5 – Materiali e metodi

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Cap. 5 – Materiali e metodi

La soluzione è stata sintetizzata in laboratorio, mescolando 182 g di NH4NO3, 32 g di

(NH4)2HPO4, 1,178 g di CuSO45H2O, 3,318 g di ZnSO47H2O, 12,5 mg di

Acetaminofene, 1,25 mg di Carbamazepina e 3 g di Las. I composti, quali il fosfato di ammonio, il nitrato di ammonio e i composti metallici sono stati pesati attraverso una bilancia di precisione (figura 5.1), approssimata al grammo; mentre si è fatto uso di una bilancia approssimata al μg per gli altri composti (figura 5.2).

Figura 5.1 Bilancia di precisione approssimata al grammo

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Cap. 5 – Materiali e metodi

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Gli 1,25 mg di carbamazepina sono stati sciolti in 100 ml di etanolo, mentre i 3 g di Las in 100 ml di H2O. Entrambe le soluzioni portate a volume all‟interno di ampolle di

vetro di 100 ml sono state fatte agitare con l‟ausilio di ancorine magnetiche su appositi agitatori magnetici, al fine di ottenere un perfetto mescolamento della soluzione e favorire lo scioglimento di ogni residuo corpuscolare.

Gli altri composti sono stati riuniti all‟interno di un'unica ampolla di vetro da un 1 L e si è portato a volume con acqua deionizzata. Anche in questo caso si è proceduto a effettuare un‟ agitazione magnetica della soluzione. La soluzione è stata poi versata e suddivisa in contenitori trasparenti di plastica di 100 ml e ad ognuno di essi si sono aggiunti rispettivamente 10 ml di Las e 5 ml di Carbamazepina in modo da avere in ogni barattolino 115 ml di soluzione finale (figura 5.3).

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Cap. 5 – Materiali e metodi

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Il contenuto di ogni barattolo è stato diluito in 25 L di acqua e si è proceduto al riempimento di ogni lisimetro con il refluo sintetico fino a saturare l‟intero letto di ghiaia. Si è pianificato la sperimentazione che, è partita il 9 Novembre 2012 ed è terminata il 28 Agosto 2013, suddividendola in due periodi di 5 mesi ognuno caratterizzato da intervalli regolari crescenti tra ogni svuotamento come riportato in tabella 4.2.

Tabella 4.2 Suddivisione degli intervalli di campionamento

Intervallo Durata

9- 23/11/11 (I° periodo) 15 giorni

24/11/11-20/12/11 (I° periodo) 30 giorni

23/12/11-16/01/12 (I° periodo) 30 giorni

17/01/12-19/03/12 (I° periodo) 60 giorni

23/03/12-04/04/12 (II° periodo) 15 giorni

12/04/12-10/05/12 (II° periodo) 30 giorni

17/05/12-14/06/12 (II° periodo) 30 giorni

26/06/12-28/08/12 (II° periodo) 60 giorni

Nel primo periodo si è cercato di eseguire il riempimento con il refluo sintetico via via preparato il giorno dopo lo svuotamento; mentre nel secondo periodo si è atteso almeno una o due settimane, per favorire la ricrescita e la fioritura delle piante negli intervalli di riposo.

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Cap. 5 – Materiali e metodi

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Tutte le volte che i lisimetri sono stati completamente svuotati, si sono raccolti campioni di 1,5 L in bottiglie di plastica, e le acque raccolte (acque di post-trattamento) sono state sottoposte ad analisi per la determinazione di pH, Conducibilità Elettrica, contenuto di N e P (ammoniaca, nitrati, fosforo solubile), contenuto di metalli pesanti (Cu , Zn) e PPCPs.

5.1 Prove a scala di laboratorio

5.1.1 Prove di misurazione del pH

La misurazione del pH è stata effettuata con un phmetro professionale (Metrohm

Titroprocessor 672,figura 5.4), che è stato sempre calibrato prima di ogni misurazione

in funzione della temperatura rilevata nel laboratorio. Per la calibrazione si è fatto uso di due soluzioni standard: pH 4,01 (acido forte) e pH 7,01 (soluzione neutra). Lo strumento dotato di elettrodo immerso in ordine nelle due soluzioni riportava i valori in mV in modo da costruire un retta di calibrazione il cui coefficiente angolare era il coefficiente di correzione da attribuire automaticamente in seguito ad ogni misurazione delle soluzioni post trattamento.

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Cap. 5 – Materiali e metodi

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5.1.2 Prove di misurazione della conducibilità elettrica

Si è fatto uso di un conducimetro Orion model 150 (figura 5.5) calibrato con una soluzione tampone avente dei range di valori in funzione della temperatura per costruire la retta di calibrazione.

Figura 5.5 Conducimetro Orion model 150

5.1.3 Prove di misurazione dell’ammoniaca

Per calibrare lo strumento di misurazione dell‟ammoniaca, un SevenMulti METTLER

TOLEDO (figura 5.6) si sono effettuate delle misurazioni potenziometriche con delle

soluzioni standard di 1, 5 e 10 ppm (mg/L) di ammoniaca. Si è immesso l‟elettrodo selettivo dello strumento in un becker contenente ogni volta le diverse soluzioni in ordine così riportato, mantenendole in agitazione con ancorine magnetiche. E‟stata aggiunta soda acido molare NaOH 10M per rendere il pH basico. Riportando nel piano cartesiano, in ordinata i potenziali (mV), registrati sull‟apparecchio di lettura, corrispondenti alle soluzioni standard preparate e in ascissa il logaritmo delle loro concentrazioni preparate (mg/L), si è ottenuto la retta standard. Entro questo range di

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Cap. 5 – Materiali e metodi

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concentrazioni la retta mantiene la sua linearità, rendendo possibili letture accurate di azoto ammoniacale. A questo punto per misurare l‟ammoniaca si sono diluiti un 1 ml della soluzione di ciascun campione in 50 ml di H20 deionizzata e si è immerso

l‟elettrodo dotato di membrana filtrante. Anche in questo caso si sono aggiunte gocce di soda acido molare tramite una pipetta.

Figura 5.6 misuratore ammoniaca SevenMulti METTLER TOLEDO

5.1.4 Prove di misurazione dei nitrati

La determinazione dei nitrati è stata effettuata per via spettrofotometrica, con spettrofotometro UNICAM UV 500 (figura 5.7) dotato di software per la registrazione dei dati. Il metodo utilizza la banda UV dei nitrati (210 nm), valore stabilito in base alle esperienze fatte da molti studi. Nel caso delle acque di post trattamento analizzate, le principali interferenze, a questa lunghezza d‟onda, sono dovute alle sostanze organiche. Per la loro eliminazione si poteva filtrare il campione su carboni attivi in ambiente alcalino (metodo particolarmente indicato per elevate concentrazioni di sostanze

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Cap. 5 – Materiali e metodi

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organiche), oppure si poteva sfruttare il fatto che la banda di assorbimento delle sostanze organiche è molto allargata. Poichè anche eventuali sostanze organiche disciolte possono assorbire alla lunghezza d‟onda di 210 nm, mentre i nitrati non assorbono a 270 nm, una seconda misurazione a 270 nm è stata usata per correggere il valore relativo ai nitrati. Sono state preparate delle provette da 10 ml in cui si è portato a volume 0,2 ml di ogni soluzione – campione con acqua Milli Q, in modo da avere una diluizione di 1:50. Si sono effettuate le letture a 210 nm, dopo aver versato il contenuto delle provette all‟interno di cuvette al quarzo (essendo la lettura all‟ultravioletto, figura 5.8 – 5.9), contro un bianco per ottenere i valori relativi al nitrato e a 270 nm per determinare le interferenze dovute alla materia organica disciolta. La sottrazione tra i due valori ha permesso di ottenere il valore dell‟assorbanza dei nitrati.

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Cap. 5 – Materiali e metodi

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Figura 5.8 Cuvette al quarzo Figura 5.9 Cuvetta al quarzo in rilievo

5.1.5 Prove di misurazione dei fosfati

Anche per i fosfati si è proceduto ad una determinazione spettrofotometrica utilizzando lo stesso spettrofotometro usato per i nitrati.

È stato prelevato 1 ml di ciascuna soluzione campione e trasferito in una provetta da 10 ml. È stata aggiunta una goccia della soluzione di p-nitrofenolo e, goccia a goccia, NaOH 5M sufficiente a far virare al giallo il colore dell‟indicatore. Subito si è diluito a circa 5 ml d‟acqua Milli Q e si è aggiunto 1 ml di reattivo specifico per il fosforo e si è portato a volume, aggiungendo 5 ml sempre di Milli Q. Il reattivo specifico è stato preparato sciogliendo 1,5 g di acido ascorbico in 100 ml di reattivo C, ottenuto mescolando la soluzione A (12,5 mg di H2SO4 sciolti in 40 ml di H20) e B (1 g di

molibdato di ammonio sciolto in 30 ml di H20 e riscaldato a 60°) con 10 ml di

antimonio tartrato allo 0,5% e portato a 100 ml con acqua bidistillata.

5.1.6 Prove di misurazione dei metalli

Prima di effettuare le misurazioni si procede ad una digestione acida a caldo di 20 ml di ciascun campione aggiungendo 5 ml di acido nitrico e portando a 145°C. A causa poi dell‟evaporazione generata dall‟alta temperatura si riporta tutto a 25 ml.

Il metodo consiste in una digestione dei campioni acquosi con acido concentrato a caldo, in tubi di idrolisi chiusi di 50 ml riscaldati da piastre all‟interno di cappe chiuse,. La digestione dei campioni che può avvenire con modalità più o meno drastiche, dà una stima del metallo totale, che è funzione oltre che delle condizioni sperimentali anche

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Cap. 5 – Materiali e metodi

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delle proprietà specifiche del metallo. I metalli totali così ottenuti sono stati analizzati con spettrometria di assorbimento atomico.

La spettrofotometria di assorbimento atomico, indicata con l'acronimo inglese AAS (da

Atomic absorption spectroscopy) è una tecnica analitica impiegata per la

determinazione sia quantitativa che qualitativa di ioni metallici in soluzione. Il principio chimico-fisico su cui si basa questa tecnica è il fatto che i livelli energetici atomici sono discreti, pertanto le transizioni elettroniche permesse per eccitazione radiativa (hv) sono

caratteristiche per ogni atomo. Quando un atomo è colpito da una radiazione, uno o più elettroni possono essere promossi a livelli energetici superiori, con assorbimento di energia dalla radiazione incidente. Se l‟energia trasportata dalla radiazione è pari al salto energetico:

allora l‟elettrone passa al livello superiore ma subito dopo ritorna allo stato fondamentale prevalentemente mediante rilassamento termico, cioè cessione dell‟energia che aveva assorbito nella transizione sotto forma di calore, a causa degli urti con gli atomi circostanti a quelli eccitati. In definitiva si avrà assorbimento parziale della radiazione incidente, proporzionale al numero di atomi eccitati. Questo fenomeno viene chiamato nel suo insieme assorbimento atomico. L‟analita che si vuole determinare (di solito una molecola presente in una soluzione), dovrà prima essere vaporizzato e quindi atomizzato ad elevata temperatura (mediante appositi sistemi di atomizzazione come fiamme, ecc.) ed infine eccitato mediante un‟opportuna radiazione caratteristica di quel tipo di atomo: misurando l‟attenuazione della radiazione incidente, che viene assorbita, si avrà un parametro proporzionale alla concentrazione della specie atomica che assorbe. L‟entità dell‟assorbimento della radiazione caratteristica che provoca l‟eccitazione dell‟atomo, è ovviamente proporzionale alla quantità di atomi che assorbono e che si trovano inizialmente allo stato fondamentale. Da qui nasce l‟idea dell‟assorbimento atomico come tecnica per l‟analisi quantitativa. L‟analita è di solito presente in soluzione ed in forma molecolare: è quindi necessaria una fase di vaporizzazione per l‟eliminazione del solvente, seguita da una fase di atomizzazione in cui si disgrega la molecola e si producono atomi allo stato fondamentale; entrambe possono essere realizzate mediante per esempio una fiamma avente opportune

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caratteristiche. Successivamente si farà arrivare sul vapore atomico una radiazione in grado di provocare l‟eccitazione, che sarà parzialmente assorbita; tale radiazione dovrà essere particolarmente monocromatica (figura 5.10).

Figura 5.10 Fenomeno dell‟assorbimento atomico

Come spettrometro di assorbimento atomico si è fatto uso del CONTRAA 300 (figura 5.11), p tramite il quale è stato possibile analizzare i metalli pesanti Cu e Zn. La sorgente di radiazione elettromagnetica in questo macchinario non è più una lampada a catodo cavo, bensì una lampada allo xeno ad arco corto. L‟utilizzo di questa nuova sorgente è in particolare dovuto al fatto che essa può essere utilizzata per l‟individuazione di qualsiasi elemento, superando così la specificità delle lampade a catodo cavo, e anche perché, grazie all‟utilizzo dello xeno, la lampada garantisce l‟emissione di radiazioni ad alta densità e continue all‟interno di tutto l‟intervallo spettrale. Come nei classici spettrometri anche nel CONTRAA 300 viene utilizzato come atomizzatore un bruciatore nebulizzante, con nebulizzatore pneumatico aspirante. Il campione di soluzione viene aspirato e nebulizzato dall‟apposito nebulizzatore che successivamente lo spruzza all‟interno della camera di mescolamento; qui l‟aerosol della soluzione viene mescolato con acetilene, aria e ossidi nitrosi, prima di emergere attraverso una apposita fenditura all‟interno del bruciatore. La fiamma può essere impostata su una lunghezza di 5 o 10 mm, mentre la larghezza sarà sempre di pochi millimetri. La soluzione nebulizzata viene quindi fatta passare attraverso tutta la lunghezza della fiamma. Il macchinario è dotato di un sistema automatico di controllo del gas che rende estremamente più sicuro il suo utilizzo. Lo scopo di questo sistema è quello di assicurarsi che l‟acetilene e l‟ossidante raggiungano la fiamma con un flusso

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Cap. 5 – Materiali e metodi

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C6 d

di la regi

Figura 5.11 Spettrometro ad assorbimento atomico CONTRA 300

dati.

costante, privi di fluttuazioni di pressione. Il bruciatore può utilizzare due differenti tipi di fiamma, a seconda di quali siano le componenti da atomizzare. La fiamma acetilene-aria può essere utilizzata per la maggior parte degli elementi conosciuti, mentre la fiamma acetilene-ossidi nitrosi per quegli elementi difficili da atomizzare come l‟alluminio o il boro. Le testine del bruciatore sono prodotte in titanio per garantire una notevole durata, anche se sottoposte a contatto con soluzioni aggressive. Il monocromatore, che deve garantire la selettività dell‟analisi, è realizzato attraverso un monocromatore doppio ad alta risoluzione basato su un prisma ottico e su di un reticolo monocromatore di Echelle. In questo modo si garantisce un ingombro minimo del macchinario mantenendo comunque un‟ alta risoluzione spettrale. La precisione del monocromatore viene assicurata da una calibrazione che fisicamente si basa sullo

Figura

Figura 2.5 Sistema a flusso sommerso verticale
Figura 2.8 Pianta dell‟impianto di fitodepurazione per il trattamento dei fanghi di dragaggio presso i Navicelli di Pisa
Figura 3.1 Vie d‟immissione nell‟ambiente di farmaci per uso umano
Figura 4.2 Specie vegetali piantate nei lisimetri
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