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Il Postmodernismo Russo 3

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Academic year: 2021

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CAPITOLO I

Il Postmodernismo Russo

1.1 POSTMODERNISMO EUROPEO VS POSTMODERNISMO RUSSO

Tra la moltitudine di definizioni in circolazione sul termine di Postmodernismo, vorrei portare all’attenzione del lettore una definizione la cui comprensione non necessita di conoscenze critiche:

Il Postmodernismo è l’espressione usata per connotare la condizione antropologica e culturale conseguente alla crisi e all’asserito tramonto della modernità nelle società del capitalismo maturo, entrate circa dagli anni 1960 in una fase caratterizzata dalle dimensioni planetarie dell’economia e dei mercati finanziari, dall’aggressività dei messaggi pubblicitari, dall’invadenza della televisione, dal flusso ininterrotto delle informazioni sulle reti telematiche. In connessione con tali fenomeni, e in contrasto con il carattere utopico, con la ricerca del nuovo e l’avanguardismo tipici dell’ideologia modernista, la condizione culturale postmodernista si caratterizza soprattutto per una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo, e per l’abbandono dei grandi progetti elaborati a partire dall’Illuminismo e fatti propri dalla modernità, dando luogo, sul versante creativo, più che a un nuovo stile, a una sorta di estetica della citazione e del riuso, ironico e spregiudicato, del repertorio di forme del passato, in cui è abolita ogni residua distinzione tra i prodotti ‘alti’ della cultura e quelli della cultura di massa. [Enciclopedia Treccani]1

La definizione sopra proposta è molto generalizzata e non tiene conto delle differenze geografiche e del sostrato culturale sul quale il

1 Enciclopedia Treccani (1994) “Postmodernismo”. Roma: Enciclopedia di scienze,

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Postmodernismo si va ad innestare ma è un buon punto di partenza per inquadrare allo stesso tempo periodo storico e culturale.

Si registra la comparsa del termine per la prima volta in Antología de la

Poesia Española Hispanoamericana, un saggio di critica letteraria di

Federico de Onìs, datato 1934, utilizzato dall’autore per indicare una corrente poetica contrapposta al modernismo letterario spagnolo.

Considerando il nome stesso di “Post-modernismo” si deduce che esso rappresenti la tappa successiva al modernismo, la cui crisi sappiamo risalire agli anni Sessanta del secolo precedente. Il modernismo storico nasce tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo come scontro tra discorsi in lotta tra di loro, ognuno dei quali proponeva una propria versione di rinnovamento, nasce nell’emigrazione degli anni Sessanta e Settanta (sia in Russia che in Occidente) come critica delle concezioni moderniste di modernità [Lipoveckij 2014: 21].

Ceserani sottolinea la particolarità del fenomeno Postmodernismo, che si auto-definisce solo per mezzo dell’uso del prefisso post indicando con ciò:

una diffusa incapacità di attribuire un nome distinto al periodo e probabilmente anche una difficoltà intrinseca in ogni tentativo di selezionare la caratteristica più importante del nuovo periodo che lo caratterizzi [..] suggerendo implicitamente una tendenza a rompere e al contempo a mantenere con la modernità una certa continuità2.[Ceserani 1997: 94]

2[.. a widespread incapacity to give a distinguishing name to the period, and probably also an

intrinsic difficulty in any attempt at selecting the most important feature of the new period to characterise it. [.] with the implicit suggestion that it tends at the same time to break away from Modernity and to maintain a certain continuity with that period.] Le traduzioni proposte, salvo diversamente specificato, sono mie.

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In questo momento storico sono appena cadute le grandi ideologie, nessuno sembra sapere cosa sia reale: ognuno ha quindi il suo pensiero, la sua prospettiva, il suo credo.

Viene quindi a mancare un sistema di valori universalmente riconosciuto perché ognuno si rifà il proprio. La situazione contemporanea è caratterizzata dall’incertezza ontologica.

Come vedremo, questo si tradurrà in una situazione artistica di incertezza, indeterminatezza, pluralità e frammentarietà.

Generalmente, si propone come data orientativa di nascita del movimento l’inizio della seconda metà del secolo ormai trascorso, decennio più, decennio meno a seconda del critico e del paese di volta in volta preso in considerazione.

«Si tratta di un momento di grande cambiamento sociale ed economico causato in buona parte dall’introduzione della tecnologia nelle comunicazioni, dalla nascita delle multinazionali, dall’enfasi sul consumo, che accelera i mutamenti sociali in tutti i campi: dalla produzione culturale al consumo culturale». [Jenks 1996: 52-62]

Parlare del Postmodernismo in senso generalizzato è molto più semplice che scendere nelle singole particolarità. Innanzitutto urge distinguere come il movimento abbia attecchito in Occidente e come in Russia. In Occidente si comincia a parlare di Postmodernismo verso la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta indicando quei testi che rifiutavano il modernismo e le gerarchie, facendo uso di un pluralismo stilistico e culturale e ponendo sullo stesso piano arte d’élite e arte di massa. In Russia, invece, si inizia a parlare di Postmodernismo agli inizi degli anni Novanta, soprattutto in riferimento al Concettualismo moscovita, che in letteratura si era formato come movimento visibile fra gli anni Settanta e Ottanta ma che fino agli inizi degli anni Novanta non è mai stato denominato Postmodernismo. [Possamai 2000: 7]

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Se in Occidente il Postmodernismo si concretizza come riflessione sul livello di sviluppo della modernità, in Russia il contesto in cui prende vita il movimento altro non è che la cultura totalitaria. Il Postmodernismo si sviluppa poi parallelamente, opponendosi ai modelli moderni di critica del mondo e del mito sovietico.

Savickij afferma che il discorso postmoderno guarda all’esperienza delle Avanguardie e del Modernismo europei, tentando di ignorare la parentesi del Realismo Socialista (tesi che sarà ampiamente confutata da studiosi come Groys, Epštejn, Šnejdman):

I neoavanguardisti leningradesi non hanno assolutamente intenzione di seppellire il Modernismo, poiché ritengono che il suo potenziale non sia assolutamente esaurito.[..]La letteratura ufficiale cercava di riprodurre l’esperienza del Modernismo e delle Avanguardie dell’inizio del XX secolo [..] Dal punto di vista storico, qua si può parlare non tanto di eclettismo, quanto di un ritorno alla tradizione letteraria degli anni Dieci e Venti, che ignora gli anni Trenta e Quaranta. [Savickij 2002: 167-168]

Dobbiamo riconoscere che il Postmodernismo, come movimento completo e formato, arriva dopo in Russia, come un trionfo ottenuto dalle letterature degli altri paesi. Tuttavia, come detto sopra, già negli anni ‘60 gradualmente maturarono varie forme di opposizione artistica alla lingua del potere, alla lingua della soppressione.

I giovani artisti cercavano in tutti modi di far esplodere il testo: ne è un esempio la Sots-art nella pittura e il concettualismo nella poesia che divennero il punto di inizio dell’epoca del Postmodernismo russo.

Le prime tracce del percorso postmodernista sono riscontrabili già a partire dalla prima guerra mondiale quando in Russia arriva nell’arte il movimento avanguardistico, la cui opera distruttiva si concentrò sulla cultura, sull’estetica e sulla letteratura.

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In seguito l’avanguardismo fu soppiantato dal Realismo Socialista o arte ufficiale o ancora arte del regime totalitario. Un periodo non facile in cui determinati valori e norme culturali venivano imposte all’individuo dal governo così come una determinata istruzione ideologica.

È in quest’ottica che prende forma il valore dell’eroica resistenza al totalitarismo. Ora che dopo 70 anni la letteratura si è liberata dalla pressione del regime totalitario compare la possibilità di una rinascita, di una ricostruzione della spiritualità russa negli ultimi anni castrata e incanalata dal regime. Le potenzialità artistiche potrebbero esprimersi in infiniti modi ma il risultato è inaspettato: molti artisti si smarriscono, gli intelletti sono confusi.

Nel percorso critico proposto da Donatella Possamai nel libro Che cos’è

il Postmodernismo? emergono, proposti da diversi critici, elementi di

continuità e di discontinuità tra le due realizzazioni geografiche del movimento.

In questo testo vengono analizzate le visioni di critici quali Michail Berg, Michail Epštejn, Boris Grojs, Vjačeslav Kuricyn ed infine Mark Lipoveckij. Quest’ultimo rileva l’inapplicabilità alla situazione sovietica e post sovietica di molte teorie del Postmodernismo formatesi nel contesto della civiltà occidentale; tuttavia ricorre all’opinione di Condee e Padunov i quali ritengono che sia nel Postmodernismo occidentale che in quello russo svolgano un ruolo determinante la morte del mito, la fine dell’ideologia, l’atteggiamento critico nei confronti dei valori istituzionalizzati, il movimento della cultura verso le culture, la profanazione del canone e il rifiuto delle meta narrazioni. [Lipoveckij 1997: 109]

Nonostante ciò, Possamai, ricalcando il pensiero di Lipoveckij, sottolinea che il Postmodernismo russo si configura come diametralmente opposto a quello occidentale in quanto l’ultimo è un moto dall’organicità alla

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frantumazione, mentre il Postmodernismo russo, partendo già da una situazione scissa e frammentata, « tenta quantomeno all’interno dei confini di un unico testo, di ricostruire e di rianimare l’organicità per mezzo del dialogo di lingue culturali eterogenee». [Lipoveckij 1997: 301] Grojs già alla fine degli anni Settanta aveva stabilito in cosa differisse il Postmodernismo occidentale da quello russo: se in America e in Inghilterra l’arte concettuale aveva il carattere « di un esperimento scientifico che rende evidenti i confini e le peculiarità delle nostre facoltà cognitive, in Russia l’unità dell’anima collettiva è ancora talmente viva nel nostro paese che ci si rappresenta l’esperienza mistica in modo non meno chiaro e trasparente di quella scientifica»[Grojs 1993b: 262].

Grojs trova nella lotta contro la censura un punto di incontro tra le due culture postmoderniste : contro la censura estetica nel caso del Postmodernismo occidentale e contro la cultura officiale sovietica nel secondo.

Di tutt’altra opinione è il teorico e critico Kuricyn, che preferisce non dividere il Postmodernismo occidentale da quello russo, vedendo nel secondo una variante locale del fenomeno in generale.

Lipoveckij va oltre il semplice confronto tra Postmodernismo occidentale e Postmodernismo russo: risale ai movimenti (alcuni universalmente riconosciuti, come per esempio nel contesto del Postmodernismo occidentale, altri più dibattuti come nel caso della Russia) che hanno dato origine volontariamente o involontariamente alla corrente postmodernista.

«Il Postmodernismo occidentale nasce da un processo di decostruzione della cultura monolitica e fortemente gerarchizzata del modernismo, di un’avanguardia quindi canonizzata, mentre in Russia un’equivalenza da questo punto di vista può essere ritrovata unicamente nel Realismo

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socialista. Il parallelo Modernismo occidentale/Realismo socialista mette però in luce anche le notevoli dissonanze tra i due fenomeni: il trionfo del sistema modernista in occidente è stato il risultato di un processo organico, mentre in Russia l’avvento del canone del Realismo socialista è costato la totale distruzione di un sistema culturale già non coeso di per sé». [Possamai 2000: 67-68]

Nel libro della Possamai i cinque critici si sono confrontati col problema di come interpretare il Realismo socialista in rapporto al Postmodernismo russo: Berg non lo considera centrale ai fini della determinazione dei meccanismi di funzionamento della letteratura, secondo Epštejn, l’affinità strutturale tra il Realismo Socialista e il Postmodernismo russo testimonia come in entrambe le correnti siano ancora presenti quelle tendenze tradizionali e secolari della cultura russa [Kataev 2002: 70]: ritrovando tratti postmoderni già agli albori della civiltà russa, include così il Realismo socialista nella situazione postmoderna sebbene «il Postmodernismo russo non può essere pienamente identificato con il Realismo socialista, ma non può nemmeno essere separato da questo». [Epštejn 1995b: 207]

Grojs al contrario vede nel Realismo socialista delle caratteristiche tipiche moderniste, una sorta di anello di congiunzione che collega il Postmodernismo alle tendenze avanguardistiche, antitradizionalistiche e radicali della cultura russa e mondiale e lo denomina quindi ‘uno stile e mezzo’ tra Modernismo e Postmodernismo; Kuricyn, individuata l’opposizione tra il paradigma avanguardista (il modernismo) e quello antiavanguardista (il Postmodernismo) considera il Realismo socialista come parte integrante del primo.

Lipoveckji, parte del cui pensiero è stata accennata sopra, riconosce nella eterogeneità della cultura sovietica la fonte della sopravvivenza del modernismo e rinviene nella sua progressiva postmodernizzazione gli esiti attuali.[Possamai 2000: 25]

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Con l’intenzione di delineare la problematicità del Postmodernismo attraverso un percorso di critiche, lo studioso Mark Lipoveckij [Lipoveckij 2014: 22-27] ha esaminato le coordinate principali del Postmodernismo riconoscendo due assi portanti.

Il primo asse propone una serie di critiche mosse da coloro che considerano l’estetica postmodernista troppo lontana da quelle che erano state le costanti della tradizione culturale russa.

A questo proposito porta a campione alcune argomentazioni pubblicate sulla rivista “Kontingent” nel 1997:

1. Il Postmodernismo non è compatibile con l’idea fondamentale della cultura russa secondo la quale «l’arte è importante fintanto

che ha un senso e fintanto che comunica e rivela una qualche verità»: verità dell’esistenza divina, della natura umana,delle forze

ed energie demoniche.

2. Il Postmodernismo rifiuta la categoria dell’Ideale, e in casi estremi

anche dell’Assoluto (religioso e morale). Questi erano i principi

cardine della cultura russa che adesso vengono spazzati via dalla mancanza di fede del Postmodernismo. Al posto della fede è rimasto il vuoto.

3. Il Postmodernismo eredita le tendenze radicaliste culturali e storiche.

4. Il Postmodernismo è antiumano e freddamente razionalista.

« Il Postmodernismo non tollera né le lacrime, né qualsiasi emozione in generale, disprezza il pathos e la sofferenza; necessita dell’indifferenza e dell’apatia verso tutto ».[ Gal’cevaja 1997: 319] Sul secondo asse troviamo le opinioni dei critici europei ed americani che, interpretando il Postmodernismo come il prodotto dell’ultima fase di

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sviluppo del modernismo, non ritrovano gli elementi del Postmodernismo occidentale in quello russo. Uno dei critici più esperti in materia di letteratura russa, Noah Šnejdman, propone una visione del Postmodernismo russo influenzata dal Realismo Socialista:

L’attuale Postmodernismo russo non è una reazione al Modernismo, quanto piuttosto nasce come il risultato del rifiuto di riflesso dei valori sociali, ideologici ed estetici sovietici e come reazione al Realismo socialista. [il Postmodernismo russo]è la combinazione di quello che può essere chiamato Realismo Postsocialista con alcuni elementi del Postmodernismo occidentale. [ Šnejdman 1995: 173]

Interpretazione analoga ma più radicale arriva da Evgenij Dobrenko dieci anni dopo la pubblicazione del libro di Šnejdman:

Questa cultura [postmoderna] si può considerare come una specie di parodia della cultura rivoluzionaria. [..]Questo processo ricorda quello della ricrescita della coda alla lucertola: è come se la cultura rivoluzionaria fosse “ricresciuta” al posto della tradizione, spazzata via dalla rivoluzione. Il Realismo Socialista è “ricresciuto” al posto delle Avanguardie, l’attuale Postmodernismo al posto del Realismo Socialista. [Dobrenko 2004: 38-39]

Come emerge dalla lettura di questi pensieri critici, il Postmodernismo è un fenomeno tutt’altro che definito, è un movimento multiforme, in continua evoluzione (anche in questo caso gli studiosi e i critici sono divisi tra chi ritiene il Postmodernismo russo in evoluzione e chi, come Berg, vede la sua crisi a causa dell’esaurimento dei procedimenti del Concettualismo Moscovita [Possamai 2000: 37]) e la sua indeterminatezza suscita una serie malintesi che in alcuni studi di critici

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portano a definizioni tautologiche, polemiche o eccessivamente superficiali.

Afferma Umberto Eco: «Malauguratamente “post-moderno” è un termine buono à tout faire. Ho l’impressione che si applichi a tutto ciò che piace a chi lo usa. [..] Penso all’atteggiamento post-moderno come a quello di chi ami una donna, molto colta, e che sappia che non può dirle “ti amo disperatamente”, perché lui sa che lei sa (e che lei sa che lui sa) che queste frasi le ha già scritte Liala». [Eco 1980: 528-529]

Il termine “postmoderno” sembra essere un sicuro e comodo contenitore che, ad hoc, si adatta a molteplici e differenti contenuti.

Un dispositivo che ingloba tutto e che viene quindi a rappresentare tutto ciò che è ibrido e che non vuole rientrare in un contenitore formalmente definito, tutto ciò che non vuole essere classificato.

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1.2 IL POSTMODERNISMO RUSSO

Il Concettualismo Moscovita

Particolare attenzione merita il Concettualismo Moscovita,

indubbiamente fondamentale per la comprensione del Postmodernismo russo, percepito sia come fase del Postmodernismo (Epštejn), come corrente (Lipoveckij) o, in casi estremi, viene fatto coincidere direttamente con il Postmodernismo.

«Il vuoto è la rappresentazione emblematicamente esaustiva del senso profondo e della superficie tutta della società sovietica. Questo vuoto l’artista può solo cercare di delimitarlo, catturarlo, marcandone i confini con segni grafici e verbali che lo trasformano in spazio e ne fanno il soggetto vuoto dell’opera. L’arte concettuale è tutto quello che c’è attorno a questo vuoto: parole, gesti, linee, colori, spettatori.» [Caramitti 2010: 108]

Il Concettualismo Moscovita è una corrente dell’arte concettuale russa che nasce all’inizio degli anni Settanta nell’ambiente dell’underground moscovita da suggestioni occidentali filtrate attraverso la cortina di ferro. Il termine “Concettualismo Moscovita”, è apparso soltanto nel 1979 nella pubblicazione dell’articolo del critico d’arte Boris Groys “Concettualismo moscovita romantico”. Nell’articolo l’autore descrive il movimento, i suoi principi e alcuni dei suoi rappresentanti, e paragona il concettualismo russo degli anni sessanta e degli anni settanta al concettualismo occidentale dello stesso periodo.

Uno dei tratti distintivi del Concettualismo è l’estensione del movimento non solo alla letteratura ma anche alle arti figurative: in questo modo arte e letteratura divengono pari oggetti sotto lo sguardo critico dello studioso.

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In quest’ottica, il Concettualismo moscovita si lega a doppia mandata alla Sots-art, la versione russa della Pop art americana.

L’artista prende un oggetto, banale e povero, possibilmente dotato di carica emotiva e lo rappresenta così com’è, con mezzi semplici ma questa rappresentazione implica una componente straniante. Nella descrizione finale dell’oggetto, visivo o su carta, non si riconosce né l’autore né l’intento estetico: questi gravitano intorno all’oggetto e attendono di essere percepiti attraverso «i processi logici ed estetici suscitati dall’opera nel destinatario ideale. L’opera d’arte vive grazie al pubblico che la concettualizza. L’oggetto si trasforma così in un concetto, una specie di idea platonica semiseria» [Caramitti 2010: 109] Il lettore concettualizza l’oggetto o il personaggio attraverso la componente grafica, registrando tutte le voci dell’ambiente circostante, inclusi quindi gli slogan e i manifesti ufficiali. Tra i concettualisti la rappresentazione grafica ha un posto privilegiato, la prosa non è molto utilizzata perché viene avvertita «troppo monologica» [Caramitti 2010: 116] eccezion fatta per Sorokin, che ha magistralmente applicato le teorie concettuali alla totale decostruzione dei generi prosastici.

Il concetto di arte come illustrazione di determinate tesi politico-teoriche era già familiare alla massa sovietica; nel Concettualismo Moscovita, quindi, l’impiego di testi al posto di rappresentazioni figurative, all’interno di uno spazio artistico, perde la nota fortemente polemica e di opposizione caratteristica invece della variante anglo-americana, per acquisire un carattere di riflessione sul funzionamento della cultura di massa sovietica. Cambiano di conseguenza anche i materiali testuali impiegati a questo scopo «i concettualisti moscoviti impiegano testi della vita di tutti i giorni, testi ideologici, burocratici e testi letterari, divenuti parte della coscienza di massa sovietica come ad esempio,

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testi di Puškin, Tolstoj e Dostoevskij.» [Grojs 1997: 441], come fanno, ad esempio, gli scrittori Vladimir Sorokin e Dmitrij Prigov.

La fortuna che il Concettualismo Moscovita riscontrò nel pubblico fu dovuta all’uso di forme e di testi ben radicati nella coscienza di massa, rendendo facile ed immediata la comprensione, la percezione e la ricezione. Questi testi vengono completamente desemantizzati, acquisendo uno status di decorazioni visive, senza però al contempo perdere la possibilità di essere ‘letti’ con la loro usuale portata semantica. In pratica, la novità apportata dai concettualisti sta nell’aver introdotto nella sfera della cultura, non solo russa, l’elemento profano dell’arte totalitaria. [Possamai 2000: 49-50]

Nei primi anni Settanta intorno all’artista Il’ja Kabakov si radunarono una manciata di artisti e scrittori che condividevano una serie di intenti che solo nel 1979 presero il nome di Concettualismo Moscovita: Viktor Pivovarov, Dmitriij Prigov, Lev Rubinštejn e i più giovani Vladimir Sorokin e Andrej Monastyrskij. Un gruppo di amici e sodali che producono «una poetica e una prassi artistica comune, non riconducibile alle Avanguardie, sia per la non programmaticità e non rigidità dei confini sia per una visione estetica radicalmente differente: infatti non si costruisce un’arte nuova ma la si soppianta in quanto tale. »[Caramitti 2010: 109]

Amante della parola e probabilmente meno rigido di Kabakov, è Viktor Pivovarov, artista nel senso generale, aperto verso il fascino, per esempio, del surrealismo e della intertestualità postmoderna.

L’emblema più lampante del Concettualismo è Dmitrij Prigov, un vero e proprio regista delle parole, che lui sceglie e muove a suo piacimento fino a che non trova la collocazione ideale.

« Prigov è interamente scritto dalle sue parole, dentro e fuori dei versi, come vuole il Concettualismo.». [Caramitti 2010. 113]

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Appartenente al nucleo storico del movimento, Lev Rubinštejn soleva leggere in pubblico dopo il lavoro delle ‘schede’, che rappresentano la quintessenza del metodo concettualista: contenevano frammenti di dialoghi appartenenti a comunicazioni automatiche e stereotipate, citazioni reali e simulate, riflessioni, aforismi, impressioni, brevi narrazioni, il tutto sullo sfondo di un alienante universo sovietico e dei suoi stereotipi culturali e letterari.

Il critico Grojs, studiando il movimento concettualista, ne elabora la genesi, ritenendo che questo « nasca dalla stessa volontà di riformare il Realismo socialista che si era già manifestata a cavallo degli anni ’50-’60 al tempo del disgelo krusceviano, nella produzione letteraria ad esempio degli šcestidesjatniki, in cui il Realismo socialista cominciava a cedere gradatamente il passo al Realismo tradizionale [Possamai 2000: 51-52] Berg offre una profonda e dettagliata analisi del Concettualismo moscovita. Ci presenta curiosamente la figura del concettualista come ‘espropriatore degli espropriatori’ che è riuscito ad occupare una posizione forte nella coscienza sociale proprio perché i suoi procedimenti sono stati interpretati come strumenti restauratori di giustizia. I concettualisti, attraverso un percorso di de ideologizzazione e di de mitologizzazione, hanno decostruito le opere classiche mondiali, e più nello specifico, i concettualisti russi hanno decostruito ‘la lingua sovietica’ e quindi l’intero sistema totalitario. La distruzione delle vecchie strutture non è mai stata fine a sé stessa, bensì rivolta alla ricerca del potere, mascherata poi sotto forma di vari procedimenti.

Berg considera il Concettualismo la strategia che ha ottenuto il maggior successo, sopravvivendo alla perestrojka.

Nella teoria della ‘ridistribuzione del potere’ identifica due strategie principali: la prima, che si è presto esaurita, è quella del vlastitel’ dum (il

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dominatore delle menti) efficace nelle situazioni in cui proprio il potere garantisce tanto il successo quanto la significatività del testo, mentre la seconda è quella dei ‘manipolatori’ (è il caso del concettualismo moscovita) i quali mescolando e miscelando le formule ideologiche sacrali vengono a occupare la posizione che il potere riserva a se stesso. Quest’ultima strategia si è rivelata la più duratura ed è sopravvissuta alla perestrojka. [Possamai 2000: 32-35]

Come è stato accennato all’inizio del capitolo, il Concettualismo è percepito con sfumature diverse dai critici Epštejn e Lipoveckij.

Da un lato Epštejn suddivide il Postmodernismo in due fasi, la prima occupata dal Realismo socialista e la seconda dal Concettualismo. Se il Postmodernismo si manifesta in forma ingenua ed inconsapevole nel Realismo socialista eliminando le differenze semantiche tra idea e realtà e tra significante e significato, nel Concettualismo il segno si fa autosufficiente, perdendo qualsiasi riferimento ad una realtà a cui nessun concetto può corrispondere; l’unione di significante e significato è considerata non organica dai concettualisti e viene quindi deliberatamente scelta la rappresentazione di questa frattura come principio estetico [Possamai 2000: 46]

Dall’altro Lipoveckij, riscontra due correnti all’interno del

Postmodernismo: il Concettualismo e il Neobarocco.

Il primo affonda le radici nell’Avanguardia e nell’esperienza di Oberiu mentre il secondo si rifà all’esperienza dell’alto modernismo e soprattutto a Nabokov. Tra i concettualisti inserisce quindi Dmitriij Prigov, Vladimir Sorokin, Lev Rubinštejn, mentre tra le figure neobarocche annovera Andrej Bitov, Venedikt Erofeev e Michail Berg, ricordando che non fu solo un teorico e studioso di letteratura, ma anche scrittore di romanzi ritenuti dalla critica postmodernisti.

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Sots-art vs Pop art

La definizione Sots-Art venne coniata in Russia da Vladimir Paperny nel fondamentale libro Kultura dva (1985, Cultura due) per descrivere le opere di Vitalij Komir e Alexander Melamid, fondatori della corrente, con l'intento di creare la versione sovietica della controparte statunitense. È stato il primo movimento artistico d’epoca sovietica riconosciuto internazionalmente, negli anni ‘70 e ‘80, per un proveniente da un paese escluso a lungo dall’arte contemporanea mondiale. Da quel momento in poi, tutti gli artisti che dicevano qualcosa di “diverso” dall’arte sovietica ufficiale, dalla propaganda, erano benvenuti in Occidente.

Leonid Sokov, STALIN AND MARILYN, 2007

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Il suffisso ‘Art’ è ripreso direttamente dalla tradizione americana di Pop Art, mentre il termine “Sots” era invece legato al concetto sovietico di Realismo socialista.

Erroneamente la Pop art viene interpretata come arte popolare, ma la reale idea che sta alla base è la creazione di un’arte di massa, cioè prodotta in serie, in cui l’oggetto artistico viene rimosso dal contesto noto, per essere poi affiancato ad altri oggetti o contesti ad esso estranei, in modo da raggiungere un impatto visivo stimolante. Dato che la massa è impersonale e non ha volto, l’arte deve esprimersi nel modo più anonimo possibile per poter essere compresa ed accettata dal maggior numero di persone.

La forzata convivenza a stretto contatto con gli ideologemi del socialismo crea uno spartiacque tra la versione americana e quella russa.

La Sots-Art si colloca all'interno del movimento postmoderno e rappresenta una componente del Concettualismo. Il movimento della

Sots-Art si concentra sui segni e simboli del sistema ideologico socialista e

comunista, ponendosi come tendenza specifica di un

Concettualismo che si relaziona, in generale, con i linguaggi artistici ed i sistemi ideologico-culturali più differenziati. Il meccanismo con cui operano gli artisti della Sots-Art si pone, inoltre, all'interno di una tendenza più ampia: quella del Decostruzionismo.

La corrente decostruzionista rappresenta una nuova visione artistica, tipicamente postmoderna che ribalta i canoni dell'arte tradizionale e si pone come obiettivo quello di smascherare e decostruire tutti gli emblemi mitico-simbolici del regime, della cultura dominante, e dell’arte tradizionale. La decostruzione non è nient'altro che la rivelazione dell'incompletezza, dell'inadeguatezza dei metodi di comunicazione artistica e sociale; i significati spariscono, vengono

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portati al livello di soli significanti, simboli vuoti che sono riempiti di nuove connotazioni in totale libertà.

Ad una prima analisi in cerca di un parallelismo tra le due correnti, si può notare una sorta di corrispondenza che muove dalla volontà di rivelare i meccanismi nascosti nella cultura dominante. In entrambi i casi gli oggetti della decostruzione sono dei testi di fruizione globale, che si riassumono in due categorie principali: le pubblicità per la Pop art ed i manifesti propagandistici del periodo del Realismo socialista per la

Sots-art.

Entrambe le correnti, sebbene separate dall’oceano, sono manifestazioni delle rispettive società contemporanee: da un lato si trova la società del consumismo sfrenato degli Stati Uniti degli anni sessanta e dall’altro la società sovietica del medesimo periodo, quella della stagnazione, e del recupero della linea pre-krusceviana.

Se in America oggetto della pop art sono le forme più popolari della comunicazione (la pubblicità, i quadri riprodotti in serie, i giornali, i miti e i linguaggi della società consumistica), il corrispettivo sovietico sono le immagini retoriche, gli slogan di propaganda e gli oggetti-feticcio del sistema.

Gli intellettuali sovietici che si esprimono nell'ambito di questa tendenza hanno come fine quello di amplificare la percezione di un'atmosfera culturale e sociale particolare.

Negli anni della stagnazione si diffonde una nuova coscienza, una nuova consapevolezza di emarginazione non solo da un sistema ostile, ma anche immobile che si realizza attraverso un gioco di riferimenti ed interrelazioni.

«Il vero obbiettivo e il grande merito della Sots-art è di trasformare in una ricchezza dell’identità collettiva e del comune sentire il macigno di delirante crudeltà e stupidità che grava sull’intero popolo, e che rimane

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ancora oggi una componente ineludibile della percezione del mondo di ogni ex suddito dell’impero.» [Caramitti 2010: 117]

Se sul campo delle arti visive ricordiamo Leonid Sokov, Komar e Melamid, Erik Bulatov e Griša Bruskin, nel campo letterario merita di essere ricordato Timur Kibirov, i cui versi rappresentano un’enciclopedia dell’universo sovietico sebbene appartenga a quella che si tende definire la seconda generazione del Concettualismo.

I testi della Sots-Art mettono in risalto il vuoto che si trova dietro ai simboli della cultura dominante, ma non ne propongono alternative. Narrano del nulla. Gli autori dopo aver decostruito e dimostrato la non valenza di ciò narrato in precedenza, si fermano, concludono il loro discorso, e così facendo le loro opere sono lontane dal proporre una soluzione.

Il Postmodernismo russo

Il discorso postmoderno viene percepito da Mark Lipoveckij [Lipoveckij 2014: 75,82] come un incrocio di due tendenze apparentemente complementari: la critica delle meta narrazioni sovietiche e il tentativo di far rinascere i discorsi interrotti delle Avanguardie storiche. Contaminato quindi dal gene delle Avanguardie, il Postmodernismo eredita contemporaneamente strategie radicalmente innovative e tradizionali. Prende forma quindi una zona neutra, in cui possono dialogare elementi opposti. Se fino a quel momento la cultura russa si basava su una struttura binaria ( elementi antitetici: peccato/santità, demone/angelo), adesso il Postmodernismo cerca di trovare un punto di incontro tra categorie estetiche inconciliabili: si cerca di unire gli opposti e di svelare i loro legami interni e le loro affinità, ma ciò crea una situazione instabile, potenzialmente esplosiva. Il termine più vicino per identificare questo

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rapporto paralogico3 è l’aporia esplosiva. L’aporia secondo John Hillis

Miller e Paul de Man è il tropo fondamentale della decostruzione e all’interno di un testo evidenzia l’esistenza di «un vicolo cieco, una lacuna nella consequenzialità logica che rimanda all’uscita dai confini del sistema. Il culmine di ogni lettura è l’illeggibilità del testo. Il testo pende tra due chiavi di lettura logicamente incompatibili ma entrambi assolutamente possibili.» [Miller 1992: 224]

Quindi tra gli elementi si instaura un legame di violenza retorica reciproca con l’intenzione di ricostruire e decostruire il significato trascendentale: è per questo che viene chiamata aporia esplosiva, proprio per la sua violenza.

Il suo funzionamento è dato dalla ripetizione delle collisioni, dei conflitti, degli intrecci che vengono reinterpretati assumendo quindi sempre forme nuove ed imprevedibili.

In Russia il movimento postmodernista viene avvertito generalmente come un complesso di rappresentazioni caratterizzate da un particolare tipo di mentalità e dalla capacità di una percezione e di un sentimento universale. Si muove nella direzione di un consapevole rifiuto delle leggi e delle limitazioni introdotte dalla tradizione culturale precedente e viene percepito come «un attentato alla tradizione russa come tale e ai suoi valori supremi: il senso, l’ideale, l’umanesimo, la spiritualità» [Lipoveckij 2014: 25].

Indubbiamente si tratta di una manifestazione della crisi della cultura dell’epoca moderna. Le parole di Aleksandr Solženicyn testimoniano quanto detto sopra:

questo fenomeno anticulturale di rifiuto e di disprezzo per tutta la tradizione precedente, l’ostilità come principio universalmente riconosciuto. [..] Per il postmodernista, il mondo non contiene

3 Termine coniato da J.F.Lyotard che rappresenta la sintesi tra paradosso e analogia: si opera quindi una sintesi tra legame e contraddizione, tra parallelismo e conflittualità.

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valori reali. Persino l’espressione “il mondo come testo” è come secondaria, come testo dell’opera, e l’interesse più grande è l’autore stesso in relazione con la sua opera, come un riflesso.[Kataev 2002: 131]

Molti studiosi alle prese con il Postmodernismo si sono imbattuti in tratti o in caratteristiche ritenuti inadeguati, eccessivi o inammissibili sebbene si rivelino poi essere caratteri principali. Il critico letterario Igor’ Ebanoidze, per esempio, vide nella distruzione del pathos letterario un’inaccettabile segno del Postmodernismo :

I nostri postmodernisti non sono capaci di fidarsi del pathos letterario e questo svela la loro debolezza perché l’avversione al pathos non è altro che incapacità verso qualcosa di originale ed immediato.[Ebanoidze 1993: 141-142]

Aleksandr Solženicyn si rapporta in maniera molto critica al Postmodernismo, indicando nella mancanza di prospettiva il fattore distintivo del Postmodernismo. Mette inoltre in guardia dalla libertà che l’opera cerca rifiutando il passato, perché questa libertà è legata al pericolo della perdita della forza organizzativa responsabile causando la demolizione della struttura, del senso e del valore finale dell’opera.

Della perdita del senso parla anche il filosofo tedesco Max Müller nel suo libro Interpretazione di senso della storia. Müller non utilizza il termine di Postmodernismo ma preferisce descrivere questo fenomeno parlando di una «lingua post-storica che non porta una rappresentazione del mondo ricca di idee, e che esiste laddove domina la società di consumo, una massa privata di storicità come un insieme di individui biologici» che ha perso la capacità di creare un proprio senso, una propria personale espressione, un carattere, l’essere personale. [Müller 1976: 280-281]

Così come Müller, anche Aleksandr Pjatigorskij ritiene il Postmodernismo un fenomeno non solo culturale ma afferma che nel suo retroscena vi sia

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la perdita del senso, la coscienza della fine di un progetto ora fallito, svanito, che era nato nell’epoca delle Avanguardie in cui si credeva che valesse la pena di distruggere il presente e cambiare la cultura precedente in una nuova con nuovi fondamenti, cambiare la vecchia estetica in una nuova: questo era il grande progetto di trasformazione che si sarebbe attuato in modo diverso in ogni paese.

Influenzato dagli intellettuali di sinistra francesi, percepisce nella storia moderna una sconfitta, non solo della Russia, ma di tutto il mondo e persino dell’epoca.

Un altro dei concetti cardine del Postmodernismo è “il mondo come testo ". Nel Postmodernismo tutta la realtà è concepita come un testo, come un discorso, una narrazione.

"Narrativa " ," testualità "," intertestualità " sono i concetti più importanti che vengono utilizzati da Jacques Derrida per descrivere la realtà postmoderna contemporanea, le parole alla base del suo linguaggio. La decostruzione come metodo generale di analisi postmodernista, applicabile a qualsiasi fenomeno culturale, ad ogni testo, inevitabilmente si trasforma in un processo interpretativo con molteplicità dei sensi ed interminabile, che relativizza ogni testo, ogni idea e priva quindi di senso il problema della ‘verità’.

Nel seguente elenco sono riassunti gli elementi cardine su cui si struttura il Postmodernismo:

 Mancanza di pathos letterario

 Il mondo come testo

 La visione del mondo come caos

 Perdita del senso

 Perdita della forza organizzativa responsabile

 Perdita del valore

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Molti critici e studiosi sottolineano l’importanza di distinguere gli aspetti ‘esterni’ del Postmodernismo da quelli che effettivamente ne costituiscono l’essenza, la sostanza. Aspetti esterni come per esempio «il mondo come testo, il mondo come caos, la crisi dell’autorità, un modo parodistico di narrazione, il principio di non selezione ovvero una completa assenza di criteri di scelta o meglio un rifiuto di stabilire qualsivoglia ordine gerarchico e quindi la seguente presa di coscienza dell’equivalenza di tutti gli elementi che compongono il testo, il fallimento della comunicazione.» [Kataev 2002: 128]

Il critico d’arte Todd Gitlin nell’articolo “Vita nel mondo postmodernista” [Gitlin 1991: 12-18] ci fornisce un elenco di aspetti esterni per Postmodernismo:

 Stilizzazione

 Svuotamento

 Sensazione di esaurimento

 Mescolanza di livelli,forme,stili

 Inclinazione alla copia e alla ripetizione

 Rifiuto della storia

 Ironia

 Imbarazzo nei confronti nella natura formale e strutturale delle

opere

A questo già esauriente elenco il critico Aleksandr Timofeevskij aggiunge:

eclettica artistica, mescolanza di strutture, approccio ai bassi generi con alti scopi, giochi con i cliché della cultura di massa, abbondanza di citazioni tanto originali quanto false e persino insensate.[Kataev 2002: 121]

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Procedimenti del Postmodernismo russo

Nella critica letteraria, trattando il Postmodernismo, uno dei concetti cardine che emerge è l’uso della citazione come fenomeno estetico che compare sotto vari nomi: autocitazione, metacitazione, citazione non artistica.

La particolarità di questa citazione è l’appello ad una vasta gamma di citazioni che vengono assemblate per creare un insieme di citazioni prive di senso.[Kataev 2002: 153]

L'uso della citazione appare sotto forma di un grottesco patchwork di fonti dalle provenienze più varie, e dissolve la nozione classica di opera d'arte e di letteratura: abolisce i confini del singolo testo e della letteratura in sé, sparisce la distinzione tra la letteratura alta e quella di

massa, tra forma d'arte e genere d'intrattenimento commerciale.

Sempre con l’obbiettivo di spiegare i nuovi lavori moderni compare un nuovo termine, o meglio con una nuova accezione: la centonnost’. Il centone nella cultura latina era un composto fatto di pezzettini come una coperta di pezza fatta da piccoli ritagli cuciti insieme. Possiamo traslare questa immagine nella cultura russa nella quale l’Avanguardia rompe la cultura precedente in tanti pezzettini che vengono poi ricuciti e messi insieme dai postmodernisti. «Il nostro Postmodernismo nazionale inizia dal concettualismo. La centonnost’ è stata assunta in qualità di procedimento fondante contro la letteratura del Realismo socialista: i poeti hanno preso alcuni componenti-cliché, i cosiddetti concetti, dalle poesie dei poeti sovietici, li hanno uniti insieme ed hanno ottenuto un’evidente assurdità. I concettualisti hanno raggiunto il loro scopo cioè di mostrare il vuoto e la falsità dell’estetica precedente, la sua lingua fatta di cliché». [Kataev 2002: 156]

L’autore postmodernista, al momento della creazione dell’opera, può fare affidamento ad una vasta gamma di citazioni, appartenenti, per

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esempio, al vocabolario del Realismo socialista, espressioni della poetica sovietica oppure i cliché della stampa di partito.

Annoveriamo tra le caratteristiche strutturali l’”amorfia” e l’imprecisione strutturale [Lipoveckij 2014: 31] perché nei testi postmodernisti si cerca di distruggere la coerenza, si vuole distruggere la stabilità semantica e sintattica muovendosi con indifferenza per evitare qualsiasi tipo di obbligo alla precisione.

Il nucleo del testo postmodernista esce dagli schemi, aspira ad essere indeterminato. Questa indeterminatezza della poetica si realizza attraverso l’inserzione all’interno del testo di frammenti, elenchi, questionari, che non hanno nulla a che fare col corpus principale, con lo scopo di creare un effetto di diversificazione.

Si pensi ai testi assunti come capostipiti del movimento Puškinskij dom (La casa di Puškin’ 1978) di Andrej Bitov e Moskva-Petuški (Mosca-Petuskì 1990) di Venedikt Erofeev. Nel primo sono presenti frammenti delle opere scritte dai personaggi con relative considerazioni degli autori-personaggi; nel secondo caso si pensi ai grafici e alla serie di ricette magiche di cocktail, alcune delle quali portano nomi biblici come per esempio “il balsamo di Canaan”, “le correnti del Giordano” e “la stella

di Betlemme”.

In relazione all’indeterminatezza possiamo addurre come esempio

Meždu sobakoj i volkom (Tra cane e lupo 1980) di Saša Sokolov in cui i

personaggi parlano in modo indeterminato, si trasformano continuamente e assumono tratti semiparodistici che sembrano non aver niente a che fare col soggetto delle poesie incluse nell’opera. Nelle opere postmoderniste si cerca di suscitare nel lettore un senso di smarrimento affinché questo sia costretto ad accettare il mondo immaginario proposto dall’autore come reale, il cosiddetto simulacro della realtà, come si può osservare, per esempio, nel racconto di Pelevin

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Il principe del Gosplan in cui vi è la commistione tra la realtà e il mondo

dei videogame oppure « l’osceno lapsus del personaggio di Norma di Sorokin » [Lipoveckij 2014: 37]in cui viene trasgredita la coerenza.

A rafforzare questo senso di smarrimento subentra ciò che David Lodge chiama “corto circuito” che altro non è che l’improvviso inserimento nella narrazione di spiegazioni dell’autore nel flusso della narrazione. Infine, legato ai concetti di incoerenza, indeterminatezza, smarrimento, amorfia ed imprecisione strutturale vi è il concetto di frammentarietà, nato come elemento caratteristico della poetica barocca, poi ripreso nel Romanticismo, in seguito nel Modernismo in modo molto cospicuo : si ricorda per esempio la poetica del frammento nei testi di Vasilij Rosanov e di Viktor Šklovskij utilizzata con il proposito di dare spazio al singolo, al vissuto individuale contro la logica comune.

Nel barocco indicava la forza distruttiva del tempo, facilmente assimilabile alla morte; nel Romanticismo incarnavano la nostalgia per l’interezza e l’infinitezza percepite come irraggiungibili. Nel Postmodernismo testimonia il collasso delle meta narrazioni. L’autore rompe la poetica precedente in tanti frammenti che come perle vengono infilati nel racconto senza che ci debba essere una logica, vengono combinati sempre in modo nuovo ed originale per creare un’opera non prevedibile e giocosa. [Lipoveckij 2014: 42]

Il fenomeno di violenza contro i classici si riflette anche nella mescolanza tra trame, cliché stilistici e psicologici, che vengono assunti a recipienti, in cui vengono miscelati con l’attualità, con la realtà attuale e tutto ciò che essa comporta.

In questo modo le problematiche estetiche, politiche e pubblicistiche dei nostri giorni vengono a contatto con le forme e le situazioni delle opere classiche creando sequel e remake di opere conosciute

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rappresentate però con tinte attuali in modo da venir recepite con maggior interesse e comprensione.

Restando nell’ottica della mescolanza del classico col moderno, giungiamo ad un altro fondamentale procedimento a cui gli autori fanno ricorso nel periodo del Postmodernismo : la parodia o meglio la sua versione attualizzata, il pastiche.

Il Postmodernismo, dal punto di vista formale, si muove come l’arte, respingendo coscientemente ogni regola e limitazione elaborate dalla tradizione precedente.

L’unica autorità riconosciuta è quella del testo, non rapportata con la realtà come si potrebbe pensare, ma rapportata con l’intertestualità, ovvero l’autorità di altri testi.

La parodia tradizionalmente tendeva a mostrare stili letterari ritenuti obsoleti, l’assurdità di certi testi troppo legati alle norme istituite, testi che erano costruiti “secondo la norma”, con un lessico ormai oltrepassato; la letteratura dell’autoparodia derideva lo sforzo stesso di stabilire la verità per mezzo dell’atto dello scrivere. La parodia divenne irrealizzabile per i postmodernisti a causa della perdita della fede nella norma linguistica, una perdita che fu determinante. [Kataev 2002: 203-204]

Se la parodia deride la fede e le norme predeterminate, il pastiche postmodernista non ha nessun tipo di norma e di fede da deridere in quanto non porta in sé nessun principio di scherno, più che altro si tratta « sia di un logoramento delle maschere stilistiche, sia di una pratica neutrale di mimetismo stilistico senza un aperto motivo di parodia» [Il’in 1996: 256].

La norma si è consumata e ora va sostituita con una nuova. Quindi il

pastiche è allo stesso tempo stilizzazione e imitazione di stili, senza intenti

di derisione, ma col desiderio di mostrare semplicemente che si devono unire questi stili in modo da formare una nuova mescolanza, un particolare pout-pourri.

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Non si tratta di un tradimento di canoni tradizionali in quanto ogni cosa, ogni persona, ogni stile, ogni procedimento è soggetto alle leggi del tempo e, di conseguenza, così come ci si è adeguati alla vita moderna, anche la letteratura ha dovuto evolversi, ha dovuto adeguarsi alla realtà in modi sempre diversi. Il pastiche non va inteso come segno di dannosità, anzi è più un segno di originalità, un nuovo modo di inventare e reinterpretare le opere.

Sebbene Umberto Eco rappresenti la figura centrale del Postmodernismo italiano, le sue teorie sono internazionali, oltrepassano i confini e si diffondono nel mondo. Eco, in una lezione all’Unitre di

Alessandria4, propone quattro categorie per analizzare un’opera

postmoderna: la metanarrativita’, citazionismo, doppio codificare e ironia intertestuale.

La metanarrativita’ e’ presente in ogni testo postmodernista, basti pensare ai Promessi Sposi di Manzoni o a Il Nome della Rosa stesso, in cui la storia narrata e’ frutto del ritrovamento di un libro, il quale a sua volta e’ traduzione di un altro libro che riproduceva un manoscritto. Il testo perciò si nasconde, e un testo che non e produzione diretta dell’autore, ma che gli consente appunto di nascondersi e giocare sotto molteplici facce, dando luogo a molteplici possibili interpretazioni. L’autore nega il proprio ruolo, nega se stesso, ci chiede implicitamente di non leggere il romanzo ricercandone la chiave, di non farci troppe domande sul significato dell’opera.

Per quanto riguarda il citazionismo, si tratta anch’essa di una tecnica non originale. Le citazioni in Eco diventano il testo stesso, che risulta proprio un vero tessuto di centinaia di altri testi che il lettore e sfidato a riconoscere. Ci svela dunque anche la tecnica di assemblaggio delle citazioni, che non esprime soltanto virtuosismo compositivo, ma svela

4B. Viscardi, Umberto Eco e il post-moderno,

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una possibile chiave interpretativa, o per lo meno un significato che il lettore più esperto può ritrovare.

Per ciò che concerne il doppio codificare, Il nome della rosa si può considerare una sintesi degli studi di Eco. Egli, attraversata l’esperienza delle avanguardie, approda agli studi di semiotica, dando a questa nascente disciplina un contributo fondamentale. L’idea portante del romanzo, proposta da Guglielmo sin dall’inizio, e proprio quella che niente esiste se non i segni, i quali non possono rinviare a significati al di là di se stessi, ma solo a differenze fra di loro, tra segni appunto. Il segno e l’assoluto. La parola invece, e ancor di più la scrittura, sono equivalenti alla menzogna e questa e accettabile purché sia chi legge, sia chi scrive, siano consapevoli della quota di menzogna possibile in un testo, che a questo punto diventa piacevole, un gioco condiviso.

Infine, l’ironia intertestuale. Questa commistione di testi, questo rimando continuo avviene sotto la caratteristica dell’ironia, la quale domina le componenti prima evidenziate, instaurando un particolare gioco di rimandi con il lettore, o meglio con i diversi livelli di lettura ai quali ci si può collocare.

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1.3 PRE- E POST- PERESTROJKA

Per capire il contesto storico-culturale in cui si inserisce l’autore Vladimir Sorokin, è necessario conoscere il panorama culturale prima e dopo la

perestrojka.

La letteratura era diventata la principale istituzione sociale e si trattava di una letteratura fortemente ideologizzata, in quanto la cultura era totalmente dipendente dal potere e assumeva, grazie all’eredità ‘letteraturocentrica’ della cultura russa, il ruolo unico di istituzione in grado di produrre e diffondere informazione e aveva un ruolo talmente forte da eclissare altre discipline come la filosofia, psicologia o sociologia.

La letteratura aveva da sempre svolto un ruolo centrale nella cultura russa, sin dai tempi successivi a Pietro il Grande, quando aveva acquisito lo status di istituzione culturale dominante; in questo modo la parola della Chiesa era stata sostituita con quella dello stato, tuttavia conservando lo stesso sistema istituzionale e gli stessi meccanismi di sacralizzazione della figura dello scrittore.

Francobollo sovietico commemorativo, 1988. “La perestrojka è sostegno alla viva creatività”

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Questo sistema dominò la cultura russa fino al 1991, ricordando però la parentesi degli anni 1905-1917 in cui la Russia si avviò ad un tipo di modernizzazione europea. L’abolizione della censura preliminare permise una cospicua fioritura del mercato editoriale, parentesi a cui il regime sovietico presto mise fine, annullando così i progressi ed i risultati che la letteratura aveva ottenuto, ripristinando la sua funzione ideologizzante e mediatrice:

«la letteratura ha assunto il ruolo di mediatrice tra l’intelligencija radicale e la società. Allo stesso tempo, data l’assenza della libertà di stampa e di istituzioni letterarie pubbliche, la letteratura era per i radicalisti l’unico veicolo possibile, uno strumento di espressione, di lotta, di ricerca filosofica e di idee.»[Mogil’ner 1999: 30-31]

L’asse portante della struttura letteraria sovietica era lo scrittore, da sempre considerato un profeta, il detentore della Verità e, in quanto tale, in grado di esercitare un immenso potere sulle masse. Soprattutto quest’aspetto dello scrittore interessava molto al regime, il potere della parola dello scrittore.

Per vedere un mutamento in questa situazione si dovette aspettare la

perestrojka quando il livello di autonomia del campo letterario aumentò,

mentre

il livello di istituzionalizzazione del mercato editoriale e della censura diminuivano.

Il 1991 rappresentò una frattura culturale fondamentale: la letteratura non era più la principale istituzione culturale; la parola scritta perse definitivamente il suo potere ‘sacrale’ per diventare puro intrattenimento.

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La politica della glasnost’ di Gorbačёv provocò un indebolimento del controllo ideologico, il quale a sua volta indebolì la censura tanto che furono pubblicate opere di autori proibiti (Anna Achmatova, Michail Bulgakov, Vladislav Chodasevič, Sergej Dovlatov, Vladimir Nabokov, Boris Pasternak, Boris Pil’njak, Andrej Platonov, Evgenij Zamjatin ed altri). La perestrojka, infrangendo il monopolio dell’informazione, creò un equilibrio di reciproco scambio tra cultura e potere.

La stampa riacquisì il ruolo di critica sociale e letteraria; si misero in discussione la burocrazia, la corruzione, il malfunzionamento del sistema, si intraprese la revisione della storia ufficiale sovietica, i vecchi manuali sovietici vennero confutati, la rivoluzione d’ottobre e la nozione stessa di socialismo furono ridiscussi, il regime staliniano fu apertamente condannato.

La caduta dell’impero sovietico nel 1991, oltre a causare il crollo del sistema letteraturocentrico, provocò la fine del dominio della letteratura elitaria a favore di una cultura di massa che sempre più prendeva le forme occidentali.

Specchio della disgregazione del vecchio sistema è l’evoluzione delle riviste letterarie: ci fu un forte crollo nella tiratura dei giornali letterari in quanto la società non si aspettava più che la letteratura fornisse un modello di vita futura.

All’inizio della perestrojka la censura si indebolì e ciò permise di cancellare i confini tra cultura ufficiale e la cultura ‘proibita’: il capitale simbolico che molto opere, allora ritenute proibite, avevano accumulato durante la stagnazione finalmente venne legittimato e furono pubblicate opere che fino ad allora non era stato possibile riconoscere come tali. Per questo motivo, negli anni Novanta, avendo ormai esaurito il capitale simbolico proibito (tutti i testi proibiti ormai erano stati pubblicati) la letteratura cominciò a svolgere un ruolo di intrattenimento.

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Il critico Berg prende in esame i processi che hanno abbassato il ruolo della letteratura nella nuova società russa post-perestrojka: tra le cause principali che hanno influito sul cambiamento di status della sfera letteraria e quindi la conseguente perdita dell’orientamento letteraturocentrico e testo centrico, riscontra:

a. Il mutamento delle priorità dell’utente di massa, per il quale proprio la letteratura era stata per secoli sinonimo di cultura;

b. La cessazione delle limitazioni censorie che avevano consentito alle opere letterarie di acquisire il capitale simbolico del ‘frutto proibito’ e di essere quindi strumento di superamento dei confini normativi sociali, morali, sessuali;

c. La caduta di interesse per la religione e quindi per il Libro;

d. L’influenza del contesto mondiale che non lascia spazio a tendenze letteraturocenttriche;

e. La concorrenza di altre sfere, tra cui l’aumento della diffusione dei sistemi di comunicazione di massa, della cultura audio e video [Possamai 2000: 35]

La fine del letteraturocentrismo spostò l’attenzione della censura sull’informazione

politica, economica e sociale dando così spazio a quelle discipline che fino a quel momento si erano dovute esprimere sotto il controllo della letteratura.

Il nuovo status di intrattenimento della letteratura ha comportato anche l’abolizione di molti tabù, regolati da rigide regole nel periodo precedente, aprendo la strada ad argomenti sino a quel momento censurati: si eliminano i tabù per quanto riguarda la scelta dei soggetti, compresi quelli erotici e sessuali.

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Gli scrittori adesso per affermarsi non devono più superare il rigido giudizio delle istituzioni culturali di partito, ma garantirsi il riconoscimento del pubblico, il passe-par-tout per il mercato editoriale. Infatti se nella società sovietica lo status sociale era più importante del valore del denaro, nella società post-sovietica la situazione è invertita.

Il cambiamento dello status della letteratura e dello scrittore stesso, la fine del letteraturocentrismo, hanno reso la letteratura meno temibile per lo stato.

Per questo il campo del potere si può permettere sovente di ignorare il processo letterario, mentre è molto più attento a quanto accade nel campo dell’informazione, dai giornali indipendenti alle notizie diffuse su Internet.

«La caduta dell’URSS completò la parabola della Russia del XX secolo, un grafico che dal ‘potere del mercato’ nella Russia pre-rivoluzionaria, passò ‘al mercato del potere’ nella Russia sovietica, per tornare di nuovo al ‘potere del mercato’ dopo il 1991: un mercato dominato dalla cultura di massa, dal successo temporale e dal verdetto economico.» [Zambalani 2006: 30]

Benché fossero state scritte tra gli anni Settanta e Ottanta, le opere di autori riconducibili al Postmodernismo come Andrej Bitov, Venedikt Erofeev, Victor Erofeev, Dmitrij Prigov, e Vladimir Sorokin raggiunsero il pubblico solo con la perestrojka. In questo periodo emerse una nuova generazione di scrittori (Viktor Pelevin, Boris Akunin) che raccolse la loro eredità, spingendo ancora più all'estremo la contaminazione con la dimensione commerciale.

La loro protesta si dirigeva non solo contro l'ideologia e la realtà sovietica ma in genere contro la pretesa della letteratura russa e il conseguente particolare status dello scrittore come depositario di una verità più o meno assoluta.

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Da questo contesto prese forma l’era postmoderna, l’era del post-, dell’ iper-, dello pseudo-.

Se in Occidente si ricerca il principio di realtà, nel Postmodernismo russo si è passati ad un livello superiore, si cerca il principio della realtà virtuale, dell’iperrealtà di cui parla Jean Baudrillard.

Il principio di realtà era stato l’obbiettivo centrale di ricerca durante il Modernismo ma ora i postmodernisti sono andati oltre, costruendo un simulacro della realtà: non c’è più la realtà, afferma Baudrillard, c’è solo l’iperrealtà.

Baudrillard fa un esempio molto efficace del concetto di iperrealtà: quello di Disneyland. Nei vari parchi giochi della Disney sparsi nel mondo tutto funziona alla perfezione, è come entrare in un mondo perfetto dove tutti sono uguali, non c’è distinzione sociale. Il simulacro consiste nel fatto che queste realtà fittizie suggeriscono che, al di fuori di quei mondi finti, esista un mondo vero, esista una realtà vera.

In altre parole, la realtà scompare e viene sostituita dal contrario di quella che essa era, o era creduta, o che magari non è mai esistita; una anti-realtà, una iperrealtà, la cui sola ragion d’essere è di suggerirci, per contrasto, che la realtà vera esiste ed è tutt’intorno, mentre noi ci siamo invece calati nella sua falsa immagine, nel suo contrario.

Baudrillard semplicemente nega che, nel contesto della modernità, si possa ancora parlare di una “realtà”: se pure c’era, ora non c’è più; al suo posto c’è la sua contraffazione virtuale, il suo simulacro ingannevole, che però tutti identificano come la cosa “reale”.

Il Postmodernismo prevale quando la realtà viene completamente sostituita dalla rete di simulacri della realtà che soppiantano la realtà stessa.

La perestrojka si chiuse quindi con la brusca caduta dello status della letteratura e con il crescente dominio del discorso postmodernista. Occorre soffermarsi su quei testi che sono ritenuti i ‘primi veri testi

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postmodernisti’: primi tra tutti i già citati Moskva-Petuški (1990, trad. it. a

cura di Nori P. Mosca-Petuskì Quodlibet 20145) di Venedikt Erofeev e

Puškinskij dom (La casa di Puškin) di Andrej Bitov. Altrettanto rilevanti furono Škola dlja durakov (1976, trad. it. a cura di Crepax M. La scuola degli sciocchi Salani 2007) di Saša Sokolov, Russkaja krasavica ( 1990, trad. it. a cura di Pera P. La bella di Mosca BUR 2004), Dmitrij

Aleksandrovič Prigov ( 2000, trad. it. a cura di Lanzi R. Eccovi Mosca Voland 2010) e Boris Akunin, senza dimenticare Vladimir Sorokin.

Berg afferma che il potere totalitario in Russia fu proprio il potere della parola, la cui sacralità fu protetta grazie all’esclusione della Russia dal contesto mondiale. E la letteratura fu semplicemente un mezzo di espressione concentrato di questo potere.[Possamai 2000: 36]

È per questo motivo che si suole riconoscere in Moskva-Petuški il primo

testo postmodernista per eccellenza. Il poema e il suo autore divennero

il simbolo dell’underground russo degli anni ’70: Moskva-Petuški mette in scena in modo allegro e al contempo tragico il crollo dell’utopia sovietica e dell’idea modernista di identità in generale in quanto annienta la fede nel potere della parola, tipica dell’epoca precedente. [Lipoveckij 2014: 106]

Il poema in prosa è stato composto tra il gennaio e il marzo del 1970 ed è stato uno dei libri più letti dell’ultima era sovietica: circolava in samizdat clandestinamente di lettore in lettore ma non fu ufficialmente, ma soprattutto integralmente, pubblicato fino al 1990, incontrando anche allora un successo enorme. Si diceva che, per volere dell’autore, una copia costasse allora tanto quanto una bottiglia di Vodka.

Si trattava di un romanzo più che mai illustrativo del disagio dell’uomo nei confronti di un regime morente.

5 Di quest’opera furono fatte molte traduzioni, la prima delle quali risale al 1977 a cura

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Offriva un’immagine satirica e disperata di un paese a pezzi: tramite monologhi e conversazioni che colpiscono per la lucidità, il protagonista presenta una profonda analisi della società in cui non c’è spazio per nessuna debolezza e nessuna contraddizione. L’autore ci racconta di come le condizioni di lavoro siano precarie e alienanti, di come la rivoluzione abbia fallito e di come tutti gli ideali e ogni forma di fiducia si siano gradualmente svuotate di senso, lasciando un senso di solitudine alleviabile solo con l’alcool. Il finale va ben oltre la sconfitta del linguaggio o dell’utopia modernista del linguaggio.[Lipoveckij 2014: 146] Il sistema ibrido tra economia di mercato e economia centralizzata a cui aspirava Gorbačëv aveva condotto alla stagnazione, il mondo era piombato nel caos.

A questo proposito è bene ricordare la teoria del caos elaborata da Lipoveckij secondo cui il caos viene reinterpretato come una condizione di estrema potenzialità, con una tendenza interna a riprodurre strutture ordinate localmente e temporalmente.

Il modello di un caos che si auto organizza è per Lipoveckij perfettamente calzante alla poetica postmodernista. Il caos smette quindi di essere oggetto di manipolazione artistica per diventare soggetto a tutti gli effetti, acquisendo una propria voce e si apre al dialogo, concezione basilare dell’estetica postmodernista.

Presto scrittura e morte si avvicinano e la causa di ciò va ricercata nel generale clima di aggressione contro la cultura attraversato dalla Russia degli anni ’20 e ’30: «la morte diviene una rappresentazione integrale del terribile, tenebroso e inconoscibile caos, dal quale l’uomo non può preservare nemmeno la sua attività creativa». [Lipoveckij 2000b: 187] Per questo motivo analizza il rapporto caos/morte ne La casa di Puškin,

Mosca-Petuskì e La scuola degli sciocchi: se nel mondo simulato di Bitov

la morte reale non può esistere, nel poema ‘ultraterreno’ di Erofeev alla morte del protagonista corrisponde la morte dell’autore per il

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progressivo coincidere delle due figure nell’opera; in Sokolov la morte, come fenomeno di un universo ciclico, è infinità. [Possamai 2000: 72]

1.4 CONCLUSIONE

Alla fine del percorso di analisi dei tratti principali e dei procedimenti che caratterizzano il movimento del Postmodernismo, si giunge alla consapevolezza della difficoltà di un inquadramento perfetto dello stesso. I problemi che normalmente sorgono nel tentativo di definire il postmodernismo, vengono amplificati ancor più dalla variante locale, dall’aggiunta dell’aggettivo russo.

Certo è che, con estrema attenzione, si può parlare si strategie rappresentative più o meno comuni, come per esempio l’intertestualità, il gusto per il pastiche, senza la paura di cadere in un tranello. Studiosi, esperti e teorici hanno tentato di delineare le caratteristiche distintive del Postmodernismo, non senza imbattersi in difficoltà di tipo tautologico, ontologico o persino filosofico.

Forse la strategia migliore è accettare che « in realtà il canone fondante dell’estetica del Postmodernismo sembra essere proprio l’assenza del canone» [Man’kovskaja 2000: 8]

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