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I

NTRODUZIONE

Il presente lavoro propone un’analisi della raccolta di racconti Der

Windsammler (2007) della scrittrice tedesca di origini croate Marica Bodrožić.

Osservata la produzione già notevole della giovane autrice, che dal 2002 ha all’attivo due raccolte di racconti, tre di poesie, quattro romanzi e numerosi scritti critici, dall’analisi della raccolta di racconti Der Windsammler emerge una serie di tematiche ricorrenti e centrali nella sua opera complessiva, tra le quali spiccano con particolare evidenza la dimensione della memoria e l’importanza della scrittura nel processo del ricordo.

Obiettivo principale di questa tesi è lo studio del rapporto tra memoria e scrittura nei racconti in esame e di come questo rapporto si realizzi sia a livello tematico che formale. L’analisi letteraria del tema scelto e l’analisi della lingua e

dello stile hanno lo scopo di dimostrare come la scrittura sia in sé memoria, non solo nel contenuto, ovvero nei personaggi frammentari tormentati da

un’incessante ricerca identitaria e nei temi del recupero del passato e del ritorno all’infanzia per mezzo del ricordo, ma anche nel linguaggio, negli elementi lessicali e nelle strutture sintattico-retoriche a cui l’autrice ricorre per creare uno stile poetico e metaforico, funzionale a veicolare quella dimensione vaga ed evanescente della memoria da cui i personaggi e le vicende sembrano emergere e prendere forma.

Lo studio mostra dunque come i racconti di Der Windsammler costituiscano il campo di ricerca privilegiato per affrontare il rapporto tra memoria e scrittura e cerca al tempo stesso di mettere in luce i principali nodi tematici caratterizzanti la produzione di Bodrožić e le implicazioni che sottostanno alla creazione delle opere letterarie.

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La tesi si articola in tre capitoli che precedono la traduzione di quattro degli undici racconti che compongono la raccolta: Der Bildinspektor, Der Vorhof der

Ewigkeit, Die Eroberung des Wörterbuchs e Der Windsammler.

Nel primo capitolo viene innanzitutto presentato brevemente il fenomeno della cosiddetta Migrantenliteratur, ovvero della letteratura prodotta da scrittori non di madrelingua tedesca, provenienti da paesi e culture diverse, che hanno scelto il tedesco come lingua di espressione artistica. Trattando l’opera di un’autrice di provenienza straniera, la cui biografia si colloca pienamente all’interno del panorama storico-letterario appena citato proprio a causa del suo trasferimento in Germania quando era ancora bambina, si è ritenuto opportuno presentare le specificità di tale letteratura che si ritrovano anche nella produzione di Marica Bodrožić, tra cui il rapporto con la lingua tedesca, la percezione di vivere in uno

Zwischenraum e la ricerca e ricostruzione di identità tramite la lingua. La

prospettiva che impone lo studio di Marica Bodrožić è una prospettiva transculturale, che tiene conto delle peculiarità della Migrantenliteratur per poi andare oltre, superare il confine delle singole culture e proiettarsi verso una dimensione che è pluriculturale e plurilingue e nella quale l’esperienza della migrazione non costituisce necessariamente il principale elemento ispiratore della scrittura. Per questo motivo, nelle sezioni del capitolo dedicate alla poetica e alla produzione letteraria dell’autrice, si mettono in luce le tematiche caratterizzanti la sua opera da una prospettiva che parte da una concezione di transculturalità e che arriva a sottolineare le peculiarità espressive e artistiche della sua scrittura, di cui si evidenzia la dimensione della memoria come fondamentale. Non ci si limita dunque a registrare l’emigrazione, il viaggio, il rapporto con la lingua tedesca e il ricordo del passato come tematiche riconducibili alla Migranteliteratur, ma si osserva il modo in cui queste sono state elaborate a livello poetico. In questo senso si dà particolare rilievo alla poetica dell’autrice rispetto al profilo sociologico implicato nella sua provenienza, troppo spesso considerato dalla maggior parte della critica come unica lente di osservazione dell’opera prodotta da autori di origine straniera, che non solo relega il testo a una posizione di secondo piano ma ne appiattisce anche le soluzioni creative e artistiche.

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Il secondo capitolo propone l’analisi della raccolta di racconti Der

Windsammler: si presentano gli aspetti formali, che definiscono lo stile poetico, si

dà particolare rilievo al linguaggio metaforico e al genere surreale e fiabesco delle vicende narrate e si approfondiscono gli aspetti tematici che accomunano la raccolta e l’intera opera di Bodrožić. Nello specifico si analizzano i luoghi e il tempo della vicenda e si ricostruiscono alcuni riferimenti sia storici, tenendo conto delle allusioni alla storia contemporanea dell’Europa e dei Balcani, che geografici, partendo dalla collocazione delle vicende nello spazio dell’isola, riconducibile all’arcipelago dalmata al largo della costa croata, paese da cui proviene Bodrožić. Si affrontano poi le tematiche dell’emigrazione e del viaggio, della partenza e soprattutto del ritorno, inteso sia in senso spaziale, come ritorno al paese natale a seguito dell’esperienza migratoria, sia in senso temporale, come recupero del ricordo della propria infanzia e della propria storia. Si analizza infine come il ritorno al passato personale assuma anche dimensioni collettive, soprattutto nei tre racconti, Die Rache des Damhirsches, Der Bote des Cerebellums e Die

Meeresseite der Orange, in cui sono evidenti i richiami alla storia europea del

Novecento, e nei racconti Die Wiederkehr des Esels, Der Windsammler e Der

Vorhof der Ewigkeit, nei quali emerge, in modo talvolta diretto talvolta allusivo, il

ricordo della guerra in Jugoslavia e della violenza ad essa collegata. Le situazioni presentate nei racconti permettono anche di stabilire un parallelismo tra la raccolta poetica e la biografia dell’autrice, che si declina nell’esperienza della migrazione e della guerra, e soprattutto nel rapporto tra memoria e scrittura, che nei racconti viene tematizzato nei numerosi riferimenti alla parola e alla lingua, e che costituisce il mezzo e il fine della ricerca identitaria e artistica di Bodrožić.

Il terzo capitolo è dedicato al commento alla traduzione in italiano dei quattro racconti, Der Bildinspektor, Der Vorhof der Ewigkeit, Die Eroberung des

Wörterbuchs e Der Windsammler. Qui vengono analizzati alcuni tratti

caratterizzanti lo stile dell’autrice, ovvero quegli aspetti lessicali, sintattici e fonetici, tra cui neoformazioni lessicali, giochi di parole, ripetizioni, parallelismi, allitterazioni e rime, attraverso cui Bodrožić crea il suo mondo di immagini e di ricordi. Accanto a questi aspetti stilistici vengono presentati i criteri alla base della scelta dei quattro racconti e le soluzioni traduttive adottate per mantenere il livello

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poetico e l’allusività del testo di partenza anche nel testo di arrivo, nonché la capacità della lingua di evocare la dimensione della memoria e ricomporre frammenti di ricordi.

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1. L

A SCRITTURA TRANSCULTURALE DI

M

ARICA

B

ODROŽIĆ

1.1. Scritture migranti: prospettive di una letteratura transculturale

Le letterature europee contemporanee stanno attraversando un periodo di grande cambiamento culturale e intellettuale, grazie al contributo di nuove scritture, definite “migranti”, che si collocano in un quadro socio-culturale profondamente mutato rispetto al passato, assumendo un profilo nuovo e originale.1 I fenomeni migratori, percepiti oggi come particolarmente attuali ma che da sempre accompagnano la storia europea e mondiale, pongono le basi per l’incontro e lo scontro tra culture al di là dei confini nazionali e fanno nascere l’esigenza di definire nuove categorie che superino l’idea restrittiva di cultura nazionale monolitica a favore di una visione più ampia e comprensiva di cultura e società. Il concetto di cultura, che Johann Gottried Herder nel suo Ideen zur

Philosophie der Geschichte der Menschheit descrive nei termini di sangue e razza,

presentando la «Cultur eines Volks»2 come «die Blühte seines Daseyns, mit welcher es sich zwar angerne, aber hinfällig offenbaret»3, rimandava a un’idea di spazio omogeneo condiviso da individui accomunati da origine, lingua ed etnia, in cui identità di razza e cultura coincidono. Tale concetto nazionale, e per molti aspetti nazionalistico, utilizzato fino a trent’anni fa per definire un’identità di gruppo sulla base di provenienza, lingua e tradizioni comuni, è oggi in crisi

1 Cfr. COSTA, Sara: “Scritture migranti in lingua tedesca”, in Scritture migranti, rivista di scambi interculturali, 4/ 2010, Bologna (d’ora in poi citato come “Scritture migranti”), pp.

211-235, qui p. 212.

2 Cfr. HERDER, Johann Gottfried: „Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit“, in

B. Suphan (Hg.): Sämtliche Werke, Olms, Hildesheim 1967, p. 147.

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poiché non risulta più adeguato a dare ragione della pluralità culturale delle società postmoderne, plurilingue e multietniche, che registrano la presenza sempre più massiccia su uno stesso territorio nazionale di individui di diversa provenienza e cultura. Anche i termini Multiculturalità e Interculturalità, utilizzati a livello internazionale per descrivere il carattere plurale delle società attuali, prendendo come punto di partenza il concetto di “cultura” nazionale, non rendono giustizia alla variegata situazione culturale e antropologica dell’Europa contemporanea. I due concetti, criticati dagli studi culturali attuali, si basano sull’idea di sistemi chiusi che non entrano in contatto tra loro e contengono in sé l’idea della separazione tra due o più culture che si trovano a convivere entro i limiti nazionali e che, «come isole non collegabili da ponti stabili, si sfiorano, ma continuano a distinguersi»4. Nella società postmoderna l’unica categoria adeguata sembrerebbe essere quella di Transculturalità, che porta con sé l’idea della differenziazione interna e della complessità delle società postmoderne, destinate a un processo di ibridazione, che a sua volta porta alla nascita di culture creolizzate, senza confini nazionali ed eterogenee.5 Assieme all’idea restrittiva di cultura nazionale, usata e abusata dalla storia del Novecento, viene oggi abbandonata anche l’idea di integrazione, che rispecchia una visione nazionalistica della società e presuppone un rapporto subalterno tra le due o più culture a contatto, a favore di un’idea di cultura inclusiva e fluida, in cui le culture, pur differenziate dalla loro particolarità e complessità, si intrecciano dando vita a nuove forme ibride.

Le scritture degli autori definiti “transculturali” sono l’espressione di questa forma di cultura ibrida, prodotto delle grandi ondate migratorie che hanno interessato l’Europa a partire dagli anni Cinquanta. Come è avvenuto negli stati europei economicamente più avanzati, tra i quali Francia, Regno Unito, Svizzera, Belgio e Olanda, anche la Germania ha vissuto, negli anni immediatamente successivi al secondo dopoguerra, un forte aumento del fenomeno immigrazione che ha contribuito, assieme alla diversità sociale, regionale e culturale già presente a livello interno, a porre le basi per la formazione di una nuova identità culturale.

4 Cfr. COSTA, Sara: “Scritture migranti”, cit., p. 211. 5

Cfr. THÜNE, Eva-Marie: “Reti di scrittura transculturale in tedesco: un'introduzione”, in E. Thüne, S. Leonardi (a cura di): I colori sotto la mia lingua. Scritture transculturali in tedesco, Aracne, Roma 2009 (d’ora in poi citato come “Reti di scrittura transculturale”), pp. 9-40, qui p.10.

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La massiccia immigrazione che ha registrato la Germania, soprattutto dalla Turchia a partire dagli anni Cinquanta e dai Balcani e dall’Est europeo a partire dal 1989 a seguito del crollo del blocco comunista, ha contribuito nel corso del tempo a una mutazione interna non solo della società e dell’economia, ma anche della letteratura e dell’arte. A questo proposito, in ambito letterario, si osserva che l’ampliamento del mercato editoriale in lingua tedesca, avvenuto negli ultimi decenni, è dovuto non solo alla maggiore libertà di stampa, non più controllata dallo stato né dalla censura come avveniva nella DDR prima della caduta del muro, per cui, per dirla col il titolo di una raccolta poetica del 2003 di Oskar Pastior, «Jetzt kann man schreiben was man will», ma anche ai contributi di questa Migrantenliteratur, prodotta da autori immigrati che, provenendo da una diversa tradizione culturale e linguistica, scrivono in tedesco e pubblicano in una miriade di piccole case editrici che costituiscono la base di un’aggregazione letteraria nuova e giovane.6

Come è noto, a seguito della richiesta di manodopera da parte del governo tedesco, necessaria per mantenere gli alti livelli richiesti dalla produzione industriale, la Germania inizia ad attirare lavoratori stranieri già a partire dalla metà degli anni Cinquanta. In questa prima fase migratoria essi vengono definiti

Gastarbeiter, in riferimento anche al limite temporale dei contratti di lavoro. Il

termine viene presto criticato e affiancato da altri, quali Ausländer, Asylanten (per indicare i rifugiati politici) e Aussiedler (per indicare persone di origine tedesca residenti nelle regioni orientali un tempo appartenenti al Reich). Negli anni Ottanta la richiesta di manodopera subisce una drastica frenata, non per questo termina l’affluenza di stranieri nella Repubblica Federale: è in questi anni che si diffonde l’uso di termini come Einwanderer oppure Migranten, espressioni che sottolineano l’intenzione di trasferimento definitivo nella nuova società e che hanno assunto con il tempo valenze negative.

Per quanto i primi segni della Migrantenliteratur, termine utilizzato per indicare la letteratura prodotto nel contesto migratorio, risalgano agli anni Cinquanta, la maggiore diffusione è nei primi anni Settanta, e vede la pubblicazione di opere soprattutto poetiche, prodotte non sempre in un tedesco

6 Cfr. CHIARLONI, Anna (a cura di): La poesia tedesca del Novecento, Editori Laterza,

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standard, ma in un Gastarbeiterdeutsch, una sorta di pidgin, un tedesco appreso in modo spontaneo, utilizzato come lingua di protesta, che intende riflettere l’uso linguistico tipico dell’immigrato. Le tematiche rispecchiano le esperienze dei lavoratori immigrati: il mondo del lavoro, la condizione di isolamento sociale e la sensazione di estraneità rispetto al mondo tedesco e alla lingua.

Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta si registra una maturazione di coscienza sociale e un forte legame con la cosiddetta Literatur der

Betroffenheit, letteratura del coinvolgimento e dell’impegno, che riflette la

volontà di creare uno spazio letterario per un impegno morale e sociale e a favore di una comunicazione tra tedeschi e immigrati basata sulla tolleranza e sulla comprensione reciproca, e che permette a questi autori di raccontare per la prima volta le loro esperienze. Questi, sebbene vengano percepiti dal mondo esterno come parte di un gruppo unico e omogeneo in quanto fremd, sono in realtà molto diversi tra di loro, sia per le situazioni di partenza che per le lingue. In quest’ottica si inizia a percepire sempre più come restrittiva l’etichetta di Migrantenliteratur, spesso usata per includere autori e autrici nello spazio ristretto di una scrittura cui viene attribuito un valore quasi esclusivamente sociale: è in questa fase che si inizia a parlare di “letteratura interculturale”, sintomo di una società in cui si registra la «presenza di un’interfaccia comunicativa tra i diversi gruppi»7.

Se i primi testi prodotti nell’ambito della Migrantenliteratur ponevano come centrali i temi della ricerca di identità8, della lingua e dello scontro culturale, nella letteratura contemporanea questi temi appaiono come secondari. Non più ricerca di identità, ma accentuazione della propria individualità, non più volontà di accettazione e integrazione, ma tentativo di diversificazione, non più tensione tra paese d’origine e paese d’arrivo, ma richiamo a tradizioni diverse, a una nuova

7 Cfr. COSTA, Sara: “Scritture migranti”, cit., p. 217. 8

Carmine Chiellino, poeta e saggista di origine italiana, annoverato tra i precursori degli studi sulla della Migrantenliteratur, considera la ricerca di identità tema centrale della letteratura migratoria, nonché condizione necessaria e indispensabile per l’esistenza di questo genere di letteratura. Per Chiellino una volta conclusosi il percorso che conduce alla ricerca, scoperta o formazione dell’identità del Migrant nel nuovo ambiente socio-culturale, anche la letteratura prodotta in simile contesto sarebbe destinata ad esaurirsi (Cfr. THORE, Petra: „Wer bist du

hier in dieser stadt, in diesem land, in dieser neuen welt“. Die Identitätsbalance in der Fremde in ausgewählten Werken der deutschsprach Migrantenliteratur, Acta Universitatis Uppsaliensi,

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base estetica e letteraria in cui si intrecciano elementi della tradizione tedesca, del paese d’origine e influssi variegati di provenienza altra.

Una costante nelle diverse generazioni è la riflessione sulla lingua o sulle lingue, non solo nella misura del plurilinguismo, ma anche nella scelta del tedesco, quindi della lingua straniera, come lingua della letteratura.9 La riflessione sulla lingua rappresenta infatti un forte stimolo espressivo, e il porre la lingua al centro della questione e della ricerca artistica da parte di questi autori fa luce sul complesso intreccio di elementi biografici e transculturali, in un’intima connessione tra lingua e cultura.10

La Migrantenliteratur, definita spesso semplicemente in questi termini solo per motivi di classificazione, viene solitamente paragonata al genere Exilliteratur, sulla base di un denominatore comune che giustifica il confronto tra le due produzioni, ovvero l’esperienza della migrazione. Il termine Exilliteratur, che indica tradizionalmente la letteratura prodotta da persone di madrelingua tedesca e costrette all’esilio, per motivi politici o religiosi, viene oggi applicato anche per quelle letterature prodotte da persone non di origine e madrelingua tedesche ma “esiliate” per i motivi più diversi in Germania. Sebbene tra letteratura migratoria e letteratura dell’esilio vi siano degli elementi tematici ricorrenti (tra cui il tema del viaggio, della lingua e della nostalgia del proprio paese nativo), vi sono anche profonde differenze: se l’esilio si configura come condizione involontaria e “momentanea”, per cui l’esiliato, costretto a fuggire dal proprio paese a causa di motivi sociali, politici (come nel caso dei profughi politici provenienti dall’Ex Jugoslavia che negli anni Novanta hanno raggiunto la Germania e il resto dell’Europa) o religiosi, auspica generalmente un ritorno a casa, l’emigrazione si presenta, al contrario, come condizione volontaria e spesso “definitiva”, dovuta soprattutto a motivi economici, come la ricerca di un lavoro, per cui chi se ne va dal proprio paese si trasferisce senza la prospettiva di tornare.11

9

Cfr. SKIBA, Dirk: „Formen literarischer Mehrsprachigkeit in der Migrantenliteratur“, in M. Bürger-Koftis, H. Schweiger, S. Vlasta (Hgg.): Polyphonie-Mehrsprachigkeit und literarische

Kreativität, Praesens Verlag, Wien 2010 (d’ora in poi citato come „Forme literarischer

Mehsrsprachigkeit“), pp. 223-237, qui p. 324.

10

Si veda http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/novita/kuma17moll.pdf.

11 Cfr. MOSER, Christian: „Archipele der Erinnerung: Die Insel als Topos der Kulturisation“

in Germanistische Symposien, Band XXVII, 2005, Stuttgart-Weimar (d’ora in poi citato come „Archipele der Erinnerung“), pp. 408-432, qui p. 408.

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Come risposta al quesito che Carmine Chiellino pone in maniera indiretta nel suo Handbuch. Interkulturelle Literatur in Deutschland, riguardo al fatto se si possa (o debba) considerare questa letteratura migratoria come parte integrante della letteratura in lingua tedesca o come frangia isolata all’interno di tale tradizione12, le opinioni attuali di critica e pubblico rivelano che, nonostante le resistenze e il debole interesse che questa letteratura ha suscitato fino alla fine degli anni Ottanta, i testi scritti da persone che non hanno il tedesco come lingua materna non sono più visti come espressioni marginali, ma come parte integrante della letteratura tedesca contemporanea, che hanno contribuito a modificare o per lo meno ad arricchire.13

Il Premio Chamisso, istituito a partire dal 1985 e conferito ad autori o autrici che non hanno il tedesco come lingua materna ma che scrivono in questa lingua, è sintomo di una maggiore apertura negli ultimi anni nei confronti di questa scrittura “migrante”. Il premio, attualmente uno dei più prestigiosi dell’area tedescofona, è intitolato ad Adelbert von Chamisso, autore di madrelingua francese che ha scelto il tedesco come lingua della sua opera, entrata a far parte oggi a tutti gli effetti del canone letterario tedesco. Con il motto “Viele Kulturen - eine Sprache” questo importante riconoscimento testimonia come la letteratura possa contribuire alla comunicazione tra le culture, in particolare attraverso un denominatore comune, la lingua tedesca, mezzo espressivo che accomuna l’esperienza di autori di provenienza, madrelingua e tradizioni diverse, approdati per i motivi più vari alla loro lingua letteraria.14

Ammettendo dunque il contributo concreto di questa Migrantenliteratur rimane aperta la questione riguardo a quale sia la giusta collocazione da dare a questi autori nell’ambito della letteratura tedesca. Secondo la critica i problemi sorgono nel momento in cui la loro scrittura e la loro identità vengono definite solamente sulla base della loro biografia e nel momento in cui si vogliono racchiudere in una categoria. Le diverse etichette assegnate alle esperienze di scrittura nella migrazione hanno posto in rilievo talvolta la situazione

12 Si veda CHIELLINO, Carmine (Hg.): Interkulturelle Literatur in Deutschland. Ein Handbuch, Metzler Verlag, Stuttgart Weimar 2000.

13 Si veda SECCI, Lia: “Problemi di canonizzazione per la letteratura interculturale”, in Associazione italiana germanistica, rivista online, 2008, pp. 35-38.

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sociopolitica a cui queste scritture sono riconducibili, talvolta la provenienza o la condizione di non appartenenza degli autori, talvolta l’esperienza stessa della migrazione come elemento di sfondo della scrittura. In realtà si tratta di scritture che, soprattutto per quanto riguarda la scena letteraria tedesca, sfuggono a definizioni sociopolitiche e culturali, proprio per il loro carattere complesso e plurale, e richiedono la ricerca di un nuovo approccio scientificamente adeguato ma anche di un linguaggio sensibile alla percezione che questi autori hanno di sé e della loro poetica. La critica più recente individua un tipo di scrittura non strettamente riconducibile a una letteratura della migrazione, degli autori migranti o interculturale. Ciò che invece emerge nitidamente in questa produzione è l’espressione di una cultura composita che va oltre il monocentrismo delle singole culture e si proietta verso una dimensione in cui l’esperienza della migrazione, che di certo compone l’humus dove affonda le sue radici la creatività di questi autori, non offre l’esperienza del varco del confine, la paura dell’espulsione, i problemi della scrittura in un mondo sconosciuto o il contatto tra culture come i principali elementi ispiratori delle opere.15

Come si è visto non è più giustificato considerare la Migranteliteratur come letteratura autonoma distinta dalla letteratura tedesca propriamente detta, proprio (o anche) perché l’esperienza della migrazione e della multiculturalità non è più il suo unico tema. In più:

als quasi “Staatenlose” bewegen sich diese Schriftsteller und Künstler in einem Zwischenraum, in dem sie - wiederum nur im besten Falle - ein Denken jenseits von Grenzen entwickeln können, das es ihnen (zumindest imaginär) ermöglicht, eine Vielzahl von Zugehörigkeiten und damit Identitäten anzunehmen.16

Il contributo di questi autori alla letteratura contemporanea tedesca sembra risiedere non tanto nel fatto che chi non scrive nella propria lingua materna arricchisce in qualche modo la lingua in cui scrive, ma piuttosto nel fatto che questo vivere nell’immaginario quanto reale Zwischenraum permette al pensiero di superare i confini sociali, geografici e biografici e assumere diverse appartenenze e identità che si manifestano nell’urgenza della scrittura. Pluralità di

15 Si veda COSTA, Sara: “Scritture migranti”, cit., pp.211-235. 16

Cfr. MITTERBAUER, Helga: „De-Placement. Kreativität. Avantgarde. Zum innovativen Potential von migratorischer Literatur“, in M. Bürger-Koftis, H. Schweiger, S. Vlasta (Hgg.):

Polyphonie - Mehrsprachigkeit und literarische Kreativität, Praesens Verlag, Wien 2010, pp.

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lingue, identità e punti di vista significa in ultima analisi pluralità di rappresentazioni della realtà e quindi arricchimento a vantaggio del singolo e della collettività.

Questa è la prospettiva che si assume per l’analisi dell’opera di Marica Bodrožić, scrittrice di origini croate che ha scelto il tedesco come lingua di espressione letteraria.

1.2. Marica Bodrožić: scrittrice tedesca di origini croate

Marica Bodrožić è una giovane autrice di origini croate, definita da Claudio Magris «una delle più singolari, fresche e originali voci della letteratura tedesca contemporanea»17, che per la propria provenienza e la propria storia di emigrazione e ricerca identitaria e linguistica, si colloca all’interno del vasto panorama della Migrantenliteratur.

Seppur consapevole che la propria origine continuerà a influenzare la propria scrittura e la propria vita, Bodrožić si oppone a considerare se stessa e gli altri “autori migranti” all’interno di una «Umzäunung der Biographie»18

e allo stesso tempo afferma di non volere né continuare a essere considerata parte di una

Migranten- o Exilliteratur e servire così da esempio di integrazione riuscita, né

essere oggetto di studio sociologico.19 Tentando di andare oltre il contingente storico e osservando il mondo da un punto di vista universale e plurale, l’autrice dimostra infatti la volontà di liberarsi dall’etichetta Migrantenautorin e superare quel “recinto della biografia” che limita le potenzialità creative ed espressive di autori che, come lei, vedono troppo spesso la loro opera percepita attraverso il filtro restrittivo della loro provenienza “altra”.

17

Si veda MAGRIS, Claudio: “Parole tedesche per dire Jugoslavia. Marica Bodrožić, dalmata in Germania e la tragedia della sua terra”, in Corriere della sera, <03.09.2008>, in

<http://archiviostorico.corriere.it/2008/settembre/03/Parole_tedesche_per_dire_Jugoslavia_co_ 9_080903034.shtml> (19.12.2014).

18 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: Sterne erben, Sterne färben. Meine Ankunft in Wörtern,

Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 2007 (d’ora in poi citato come Sterne erben, Sterne

färben), p. 11.

19 Si veda QUÉVAL, Marie Hélène: „Marica Bodrožić, l’un et le multiple“, in Germanica, 5,

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Ciononostante risulta evidente come la sua vita, la sua opera e la sua ricerca letteraria, tematizzata su una ricerca identitaria che è in sé linguistica, ribadiscano la sua condizione di Migrantin e siano prova della sua dimensione di estraneità: la biografia e l’opera di Marica Bodrožić offrono infatti un significativo esempio di molte delle tematiche caratterizzanti la Migrantenliteratur, tra cui la dimensione di Fremdheit, la ricerca della propria identità, che è pluriculturale e plurilingue, la percezione concreta di vivere in uno Zwischenraum e il ritorno alla propria storia, al passato e alla vita attraverso la lingua e la scrittura. Nonostante la presenza di elementi e suggestioni chiaramente riconducibili all’esperienza della migrazione, si deve riconoscere che esaminare la scrittura di Bodrožić attraverso la lente della

Migrantenliteratur significherebbe focalizzare l’attenzione su un livello

prettamente sociologico che appiattirebbe la creatività dell’autrice e non considererebbe le peculiarità della sua poetica. Pur tenendo conto della propria esperienza, il presente studio si propone infatti di considerarla nella sua dimensione poetica concentrandosi sulla scrittura e sull’opera di Bodrožić, il cui tema fondante è, come si vedrà, la memoria.

Marica Bodrožić nasce il 3 agosto 1973 a Svib, piccola cittadina della Dalmazia, regione meridionale dell’odierna Croazia, all’epoca ancora territorio della Repubblica socialista federale di Jugoslavia, lo stato principale dei Balcani, guidato dal maresciallo Josip Broz Tito. La morte di Tito, avvenuta il 4 maggio del 1980, fa riemergere tra gli stati della federazione i nazionalismi precedentemente tenuti sotto controllo dalla rigorosa politica del regime che conducono alla dissoluzione definitiva della Jugoslavia nel 1991, anno in cui anche la Croazia dichiara l’indipendenza.

Bodrožić vive in Dalmazia gli anni della sua prima infanzia, cresce sotto la dittatura di Tito, in un contesto dove neanche l’ambiente fortemente cattolico da cui proviene impedisce che i bambini partecipino alle parate del primo maggio o che indossino i berretti da giovani Pionieri in uno spirito di fratellanza socialista.

È nella sua terra natia che trascorre i suoi primi dieci anni, vivendo con l’amatissimo nonno, ma senza i genitori, emigrati nella lontana Germania come

Gastarbeiter già prima della nascita dei figli. E quando di rado tornano a casa, per

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bambini appare come una lingua segreta accessibile solo ai genitori, e da cui loro stessi si sentono esclusi. Il tedesco diventa quindi, già in terra d’origine, una

Sehnsuchtssprache, che si contrappone nettamente alla Verbotssprache della

dittatura che imponeva di chiamare il maestro Bruder Genosse.20

Nel 1983, tre anni dopo la morte di Tito e il conseguente riaffiorare degli antichi conflitti nazionali, che sfoceranno successivamente in una sanguinosa guerra civile, raggiunge assieme al fratello e alla sorella i genitori in Germania, trasferendosi a Sulzbach, nella regione dell’Hessen, dove inizia a frequentare la scuola e apprende finalmente la lingua tedesca, che diventa la sua seconda madrelingua e la lingua in cui scrive.

Bodrožić dedica i suoi studi liceali alle lingue straniere e, dopo avere concluso un apprendistato da libraia, studia antropologia culturale, psicoanalisi e slavistica all’Università di Frankfurt am Main.

Mostra fin da giovanissima spiccate doti artistiche: da sempre affascinata dai suoni e dalla musicalità, soprattutto delle voci e della lingua, da bambina sogna di diventare musicista e cantante, ma finisce per dedicarsi alla letteratura diventando scrittrice, poetessa, traduttrice dall’inglese e dal croato, autrice, per varie testate giornalistiche e radiofoniche, di saggi e testi critici su molti autori tra cui Josif Brodskij, Marina Cvetaeva, Elias Canetti, Vladimir Nabokov e Danilo Kiš e su tematiche interculturali quali lingua, identità e pluralità.

Oggi vive a Berlino, luogo di transito e città interculturale per eccellenza, e tiene corsi universitari in tutto il paese sulla lirica tedesca moderna e contemporanea e laboratori di scrittura creativa.

Accolta in modo favorevole sia dalla critica che dal pubblico, che apprezzano la sua forza narrativa, il taglio realistico delle sue osservazioni storiche, la capacità evocativa, l’efficacia descrittiva e non da ultima la fantasia linguistica, riceve, a partire dal 2001, numerosi premi e prestigiosi riconoscimenti, tra cui il Premio Chamisso, il Premio per la letteratura dell’Accademia delle Arti di Berlino e il Premio Cultura per la lingua tedesca, nonché numerose borse di studio.

20 Si veda BRAUN, Michael: „Die Kulturelle Neuordnung Europas“, in Konrad Adenauer Stiftung, Berlin, <30.01.2015>, in <http://www.kas.de/wf/de/71.14159/> (19.06.2015) (d’ora in

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1.3. Lingua, memoria e Dazwischen: poetica

Di seguito verranno presentati i principali nuclei concettuali caratterizzanti il pensiero di Marica Bodrožić e che percorrono come un fil rouge la sua intera opera: il rapporto con la lingua tedesca e la questione del plurilinguismo, l’esistenza percepita come uno Zwischenraum e il recupero della memoria attraverso la lingua e la scrittura. Si cercherà dunque di mostrare il ruolo e l’importanza di queste tematiche nella biografia e nell’opera dell’autrice mettendo in luce come lo studio dell’una rimandi necessariamente all’analisi delle altre.

Croata di nascita, Marica Bodrožić è una scrittrice tedesca. La definizione

Migrantenautorin viene considerata dall’autrice stessa nel suo caso restrittiva,

così come il termine Migrant, che le sembra una «schlimme Krankheit»21, poiché, nonostante la consapevolezza della sua andere Herkunft, la sua origine non si conserva in lei come condizione di estraneità.22

Una scrittrice tedesca con un nome (la cui pronuncia risulta fremd, a qualsiasi parlante tedesco) e radici slave: dunque tedesca o croata? Forse nel suo caso entrambe le definizioni appaiono riduttive: «Die Seele hat keine Nationalität»23 è una delle più frequenti risposte della scrittrice alla domanda riguardo alla sua appartenenza. «Meine Heimat ist nicht nur der Balkan, meine Heimat ist auch die Sprache. […] Allerdings sage ich nie oder selten das Wort Heimat, ich würde eher das Wort Liebe und das Wort Leben benutzen. Dort wo ich l(i)ebe, dort bin ich»24. E il luogo in cui da più di trent’anni vive e ama è la Germania.

L’ingresso nel nuovo mondo, quello tedesco, che avviene all’età di dieci anni, significa per lei ingresso non solo nella nuova vita, ma anche (e soprattutto) nella

21 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: „Die Sprachländer des Dazwischen“, in U. Pörscken, B. Busch

(Hg.): Eingezogen in die Sprache, angekommen in der Literatur: Positionen des Schreibens in

unserem Einwanderungsland, Valerio. Die Heftreihe der Deutschen Akademie für Sprache und

Dichtung, 8/2008, Darmstadt, (d’ora in poi citato come „Die Sprachländer des Dazwischen“) pp. 67-75, qui p. 75.

22

Si veda BRAUN, Michael: „Ankunft in Wörtern, Interview mit Marica Bodrožić“, in Konrad

Adenauer Stiftung, Berlin, <16.12.2010>, in

<http://www.kas.de/upload/themen/deutschesprache/interview _bodrozic.pdf> (09.02.2015) (d’ora in poi citato come „Ankunft in Wörtern“).

23 Si veda SCHIPPLING, Melanie: „‘Die Seele hat keine Nationalität‘. Interview mit Marica

Bodrožić“, <18.03.2013>, in <http://www.schueler-helfen-leben.de /de / home /stiftung /aktuell /archiv /2013/ die-seele-hat-keine-nationalitaet.html> (26.02.2015) (d’ora in poi citato come

„‘Die Seele hat keine Nationalität‘“).

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nuova lingua, quella tedesca. Come per Elias Canetti, autore che sceglie il tedesco come lingua per la sua opera letteraria, anche se nella prima infanzia parla lo spagnolo antico della comunità degli ebrei rifugiatisi nel Seicento in Bulgaria, il bulgaro e l’inglese, anche per Bodrožić il tedesco diventa la sua seconda madrelingua, la lingua in cui scrive, il suo approdo, la sua salvezza. Come per molti autori fra i più conosciuti della letteratura mondiale contemporanea, come Paul Celan, Joseph Conrad, Vladimir Nabokov, Salman Rushdie, la lingua madre la si può scegliere.25 Così il tedesco diviene la sua vera lingua materna, perché la lingua dell’amore fra i suoi genitori, la lingua segreta che da bambina non riusciva a comprendere e da cui si sentiva esclusa.

Il tedesco diventa la lingua in cui Bodrožić riesce a dare voce a se stessa e il luogo in cui si sente a casa. È in tedesco che le sue origini slave diventano percepibili, in cui il mondo della sua infanzia, che fino al momento del contatto con la nuova lingua vive in lei come passato dimenticato, viene realmente ricordato attraverso le parole. Tramite un’altra lingua diventa possibile per lei riacquistare una capacità comunicativa sepolta e dire qualcosa legato a un vissuto non detto, che nella lingua materna rimarrebbe taciuto per sempre, poiché connesso a esperienze troppo dolorose per essere affrontate.26

Considerato che la lingua di nascita e la lingua dell’espressione artistica nel caso di Bodrožić non coincidono, sembrerebbe ammesso interrogarsi sul motivo per cui l’autrice ha scelto proprio la seconda e non la prima madrelingua come lingua di espressione artistica. Nel suo studio Mehrsprachigkeit in der Literatur Georg Kremnitz approfondisce la questione riguardante il motivo per cui gli autori e le autrici scelgono la loro Literatursprache. La scelta, per Kremnitz, risulterebbe da un:

subtilen Zusammenspiel von äußeren Bedingungen, gesellschaftlichen Gegebenheiten, soziologischen Wertungen, biographischen Zufällen und den Reaktionen der Autoren auf diese gewöhnlich komplexen, vielfach überdeterminierten Situationen.27

25 Cfr. MARIAUX, Veronika: “Al di là di identità e appartenenza”, in E. Thüne (a cura di): All’inizio di tutto la lingua materna , Rosenberg & Sellier, Torino 1998, pp.93-112, qui p. 100. 26 Si veda THÜNE, Eva-Marie: “Estraneità nella madrelingua”, in E. Thüne (a cura di): All’inizio di tutto la lingua materna, Rosenberg & Sellier, Torino 1998, pp. 57-92 (d’ora in poi

citato come “Estraneità nella madrelingua”).

27 Cfr. KREMNITZ, Georg: Mehrsprachigkeit in der Literatur. Wie Autoren ihre Sprachen wählen, Praesens Verlag, Wien 2004, qui p. 253.

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In molti casi la scelta di adottare una lingua letteraria diversa dalla lingua di nascita sembrerebbe dunque dettata dal cambiamento di luogo. Tuttavia, a differenza di ciò che sostiene Kremnitz, la scelta della lingua tedesca non è dovuta in Bodrožić al luogo geografico, pur essendo il tedesco la lingua parlata nel paese in cui si trova a vivere, ma risiede nel valore affettivo e simbolico che lei stessa affida a questa lingua. Riguardo alla scelta che le chiede di prediligere una lingua piuttosto che l’altra, l’autrice sostiene:

[…] für mich gibt es kein Aber. Vielmehr ist es ein Und. Das Und ist der Antrieb für jedes Erzählen, für Kunst überhaupt, für den Atem […] Das Und ist der Ort, an dem sich alles verbindet. Und da ich seit über dreißig Jahren in der deutschen Sprache lebe, habe ich nicht sie, sondern sie mich erwählt. Man kann nur in einer Sprache schreiben, die auch das eigene Leben enthält. In der deutschen Sprache bin ich einfach zu Hause.28

L’autrice non è quindi agente della scelta, bensì passivo e involontario oggetto: è la lingua tedesca ad avere scelto Bodrožić, perché la lingua, libera come l’amore, non può appartenere a nessuno, neanche a chi scrive.29

Secondo Joseph Brodskij, poeta di origini russe emigrato negli Stati Uniti negli anni Sessanta, la lingua è destino, e la lingua tedesca è quello di Bodrožić, non una scelta, ma una vocazione.30

Per Bodrožić la lingua non è una sostanza solida e fissa, bensì viva, dinamica e fluida, come l’identità,31

e, come essa, può esistere solo al plurale. L’esistenza dei confini geografici nazionali porta a credere, sempre secondo l’autrice, alla necessità di una carta di identità, di un passaporto personale, che stabiliscano un’identità fissa che non può essere messa in discussione. Sebbene Bodrožić rivesta tutto il suo discorso poetico di una visione universale, appunto plurale, che cerca di prescindere dai confini di una data lingua e di una data cultura nazionale, emergono chiari i riferimenti alla sua terra d’origine. È proprio la Jugoslavia, con i suoi conflitti interni che da decenni vedono opporsi gruppi etnici, che hanno da sempre convissuto nello stesso territorio, per la supremazia nazionale, a offrire il punto di partenza per una riflessione da parte dell’autrice, che arriva a maturare un concetto di identità plurale opposto a al concetto di identità nazionale unitaria

28

Si veda SCHIPPLING, Melanie: „‘Die Seele hat keine Nationalität‘“, cit.

29 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: „Die Sprachländer des Dazwischen“, cit., p. 69. 30 Cfr. ibidem, p. 70.

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sostenuto dalla politica socialista di Tito. La recente storia jugoslava insegna tuttavia che la nazionalità non si può creare né possedere, né tantomeno imporre con la forza di una guerra, e che l’identità può in sé accogliere la pluralità, e, per dirla con le parole di Bodrožić, quella «Mehrwelt der Biographie»32

, quel «Dazwischen der Sprache, der Länder»33.

Le radici sono pluriculturali e plurilingui e questo Bodrožić lo ribadisce con la sua storia, che diventa metafora di pluralità e Fremdheit, condizione esistenziale dell’essere e assieme sensazione di vivere sempre Unterwegs e Dazwischen.

Sulla questione della pluralità l’autrice ha più volte dichiarato: «der Plural ist mein tägliches Brot. Aber der Plural ist das tägliches Brot der Literatur von Anbeginn an»34. Con queste affermazioni è plausibile che Bodrožić si riferisca in primo luogo alla sua esperienza poetica e biografica, che pone al centro la dimensione plurale dell’esistenza, e in ultima analisi all’importanza della letteratura e al suo ruolo di testimone della storia, di interprete della realtà e della sua pluralità di prospettive. Come soggetto poetico e fenomeno letterario il plurilinguismo ha sempre avuto il suo spazio nella letteratura, non rappresenta dunque una novità. Tuttavia, in epoca di crisi e cambiamenti spirituali e sociali, il plurilinguismo gioca oggi un ruolo fondamentale e diventa sintomo di una dimensione di pluralità, non solo di lingua, ma anche di cultura, di vita e di pensiero, tipica della contemporaneità.

Proprio la prospettiva di una letteratura transculturale, presentata all’inizio del capitolo, pone l’accento sul Dazwischen, l’“essere tra”, la situazione di esistere e scrivere contemporaneamente in due mondi, lingue e culture. Considerato dalla maggior parte della critica come la cifra della Migrantenliteratur contemporanea, il concetto di Dazwischen rischia tuttavia di essere considerato uno spazio vuoto che descrive una relazione statica, come un «ponte immaginario “tra due mondi” concepito proprio per tenere divisi mondi separati, mentre pretende di volerli avvicinare»35, dove «nel migliore dei casi i migranti sono immaginati come

32 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: „Die Sprachländer des Dazwischen“, cit., p. 67. 33 Ibidem.

34

Cfr. ibidem, p. 73.

35 Cfr. ADELSON, A. Leslie: “Against Between. Ein Manifest gegen das Dazwischen. Text +

Kritik“, in Sonderband Literatur und Migration, IX, 2006 (d’ora in poi citato come “Against Between. Ein Manifest gegen das Dazwischen“), pp. 36-46, qui p. 38.

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sospesi su questo ponte per l’eternità»36

. Questo è ciò che afferma la germanista americana Leslie A. Adelson nel suo saggio Against Between. Ein Manifest gegen das Dazwischen, nel quale, oltre a presentare la potenziale incomunicabilità tra i due mondi anche nello spazio del Dazwischen, ribadisce al tempo stesso la limitatezza delle categorie con cui vengono percepiti i testi dei Migrantenautoren e afferma l’idea che i testi prodotti da questo genere di letteratura riflettano delle topografie del pensiero, in un senso ben lontano dall’essere limitatamente nazionale o ristretto a un gruppo etnico: questi testi sono infatti spazi immaginari, in cui si rielabora radicalmente l’orientamento culturale. In questo senso si esprime Bodrožić quando definisce il suo Dazwischen, «non come spazio ristretto, ma come un’apertura a molteplici possibilità di espressione e d’ispirazione»37

. Si tratta per lei di un luogo, non solo immaginario e poetico, ma anche esistenziale, percepito come un tutto, come una fonte inesauribile di forza creativa, come un’esperienza immaginifica che compare nella scrittura. Il Dazwischen, elemento distintivo degli autori e delle scritture transculturali, si ritrova nella pluralità e sovrapposizione di prospettive di cui si è fatto già cenno, e, lungi da essere considerato come «qualcosa di non compiuto, nel senso di non definito»38 per Bodrožić «è invece l’unica forma di compiutezza che ci possa essere»39

. Con le sue opere e la sua vita l’autrice dimostra che:

[…] das Dazwischen kein Provisorium ist, sondern eben immer auch zum Leben dagehört. Das Dazwischen ist kein halbes Leben. Es ist ein ganzes! Vielleicht ist alles im Leben grundsätzlich ein Dazwischenleben, und es gibt gar nichts anderes als das Dazwischen.40

Come ha più volte dichiarato in interviste e saggi, il mondo stesso è per lei un ‘enorme’ plurale e coloro che parlano almeno due, o tre lingue, sanno che anche l’Io è in sé qualcosa di molteplice e variabile che si delinea solo nella costante ricerca, nella condizione di viaggio, nella sensazione di essere sempre unterwegs,

36

Cfr. ADELSON, A. Leslie: “Against Between. Ein Manifest gegen das Dazwischen“, cit., p. 38.

37 Cfr. THÜNE, Eva-Marie: “Reti di scrittura transculturale”, cit., p. 27.

38 Cfr. IVANČIĆ, Barbara: “Oltre il recinto della biografia: sulla narrativa di Marica

Bodrožić”, in E. Thüne, S. Leonardi (a cura di): I colori sotto la mia lingua. Scritture

transculturali in tedesco, Aracne, Roma 2009 (d’ora in poi citato come “Oltre il recinto della

biografia”), pp. 95-114, qui p. 109.

39 Ibidem.

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che caratterizza la vita di autori “migranti” come lei, ma che è anche condizione esistenziale dell’uomo moderno.41

Il segno della scrittura transculturale contemporanea in tedesco lo si può dunque rilevare in questo Unterwegs-sein, nel movimento che, se nella prima generazione di scrittori (e scritture) transculturali si è espresso nel viaggio verso la nuova terra sperimentata come Fremde ed è rimasto a lungo legato alla continua ricerca della lingua d’espressione, nella seconda generazione diventa un cammino sempre più immaginario e interiore. Dunque non più ricerca di una Heimat geografica, bensì di una Heimat identitaria, dove confluiscono lingue ed esperienze eterogenee.42

La pluralità di cui scrive Bodrožić non è un ostacolo da eliminare, bensì un arricchimento da accogliere: la scrittura in un’altra lingua, diversa dalla prima lingua madre di apprendimento, ma che è lingua madre della scrittura, significa un superamento dei confini in primo luogo del pensiero.43 Scrivere in un’altra lingua non vuol dire per lei limitare l’espressione a un unico tipo linguistico, bensì espandere i confini della propria mente verso un luogo dove tutto accade contemporaneamente, dove le due lingue e le due identità coesistono in armonia e si arricchiscono a vicenda dando vita a una scrittura diversa.

Il tedesco, la sua zweite Muttersprache, significa per Bodrožić rinuncia all’identità originaria e nascita di una nuova identità, nel segno della libertà.44

Ma il percorso che porta alla formazione di identità è tutt’altro che semplice. Assieme all’entusiasmo e alla curiosità che accompagnano la conoscenza di un mondo nuovo, sono il dolore e la sofferenza dell’abbandono e della condizione di

Fremdheit i sentimenti che caratterizzano il percorso che la conduce alla sua

nuova vita e alla lingua tedesca. L’indissolubile e profondo legame tra gioia e dolore è segnato anche sul piano linguistico, esplorato nella sua biografia Sterne

41 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: „Die Sprachländer des Dazwischen“, cit., p. 72. 42

Cfr. THÜNE, Eva-Marie: “Dove confluiscono i fiumi: poeti plurilingui in Germania”, in E. Thüne, S. Leonardi (a cura di): I colori sotto la mia lingua. Scritture transculturali in tedesco, Aracne, Roma 2009 (d’ora in poi citato come “Dove confluiscono i fiumi”), pp. 115-150, qui p. 147.

43 Cfr. VLASTA, Sandra: „Literarische Mehrsprachigkeit im Vergleich – Formen und

Möglichkeiten komparatistischer Blicke auf mehrsprachige AutorInnen und Texte“, in M. Bürger-Koftis, H. Schweiger, S. Vlasta (Hgg.): Polyphonie - Mehrsprachigkeit und literarische

Kreativität, Praesens Verlag, Wien 2010, pp. 337-348, qui p. 337.

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erben, Sterne färben. Meine Ankunft in Wörtern, nella quale l’autrice rievoca

persone, luoghi e colori della sua infanzia intrecciandoli a riflessioni sulle parole, a suggestioni e sensazioni che le parole provocano in lei. L’assonanza tra le parole tedesche Wunde e Wunder, «so nahe beieinander[liegen], als wärmte das eine Wort schon die Ankunft des anderen vor»45, è emblematica della stretta relazione tra la gioia e il dolore nell’inserimento del nuovo mondo e nell’esperienza di apprendimento della nuova lingua, che crea smarrimento nella mente della giovane Bodrožić, e fa affacciare in lei la prospettiva di un difficile cammino per arrivare alla felicità.

In questo percorso c’è poi anche tanto silenzio, che dà voce alla sofferenza, a sua volta modalità di espressione del dolore di chi non può dire, ma che diventa condizione necessaria per superare questo dolore, e superarlo attraverso la scrittura.

Bodrožić fa propria e supera una delle massime più note del celebre filosofo Wittgenstein, secondo cui ciò che si può pensare allora si può anche dire: per lei «was ich sagen kann, vermag auch erzählt zu werden»46. Tutto può essere reso

sagbar, le immagini, le proibizioni, i divieti, perfino il silenzio, ed essere

raccontato attraverso la scrittura che diventa:

eine Brücke zwischen dem Land des Schweigens, meinen Wörtern und dem lauten Gehege meiner Stimme. Die Brücke laßt [sic] mich alles auf dem Papier sagen. Die Brücke ist meine freundliche Stille, in der ich alles entwickeln kann, ohne zu früh einen Schreck vor der eigene Stimme und der zu ihr gehörigen Klangfarbe zu bekommen.47

La scrittura e la lingua tedesca assumono dunque il ruolo di ponte tra i silenzi e le parole, la funzione mediatrice tra passato e presente: è nella (e attraverso la) lingua tedesca che l’autrice si riappropria della propria infanzia e della propraia memoria.

Il ritorno al passato jugoslavo e alla memoria sottostà in Bodrožić a un desiderio di conservazione, a un bisogno di non dimenticare. Proprio questo passato, che appare dimenticato nella sua prima madrelingua, torna a farle visita

45 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: Sterne erben, Sterne färben., cit., p.21. 46 Cfr. ibidem, p.102.

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solo nella scrittura, solo nella lingua tedesca, come scrive nelle pagine della sua biografia poetica:

Als ich zu schreiben begann, das Gesicht des Großvaters mit deutschen Wörtern betretend, dieses Gesicht der Liebe, sprach auch dieses erste Menschenland mich an, sprang aus mir heraus und wurde eine autonome Welt, wurde das, was es in all den Jahren mit ohnehin gewesen ist. Das sprachgenau Wissen um diese Welt hat mich zu einem Menschen mit Gedächtnis gemacht48.

Nella scrittura in tedesco i suoi ricordi prendono forma, i passi dell’infanzia che sembravano per sempre sepolti escono da lei e diventano un mondo a se stante che finalmente affronta e con cui si confronta. Non emergono solo il passato personale, i ricordi della famiglia, della scuola, del nonno, ma anche le memorie della sua terra, le memorie storiche e collettive: come in tutti gli scrittori provenienti dalla ex Jugoslavia, in tutto ciò che Bodrožić scrive c’è qualcosa del passato, un messaggio, una presa di posizione, una dichiarazione da leggere tra le righe sulla dittatura, sulla guerra, sulla sofferenza, sulla morte. Ma Bodrožić non parla di Jugostalgie, termine che definisce la nostalgia del passato jugoslavo, di una nazione e di una memoria spazzati via dall’avvento della democrazia, bensì di

Heimwehe, di nostalgia di una dimensione psicologica, legata al passato nella sua

dimensione dell’infanzia e degli affetti, che saranno oggetto di recupero spirituale in tutte le sue opere. Una scrittrice tedesca proveniente dalla Ex Jugoslavia non scrive solo perché straniera delle difficoltà politiche o dei cambiamenti sociali di una cosiddetta Heimat in cui ha vissuto solamente dieci anni della propria esistenza, e che per questo trova piuttosto complicato da ricordare, tanto più che si tratta di temi importanti che aprono il sipario su momenti delicati della storia contemporanea e che rivelano molte difficoltà da affrontare. Ma, come la stessa autrice afferma in uno dei suoi saggi più illuminanti sulla sua poetica, Die

Sprachländer des Dazwischen, uno scrittore deve scrivere «was einen betrifft und

was aus einem selbst herauskommt»49 e chiaramente ciò che riguarda e viene fuori da Bodrožić, prescindendo dal retroterra culturale e linguistico, è in primo luogo la sua esigenza di scrivere e dare voce e parola all’inesauribile fonte di immagini che ha origine dentro di sé.

48 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: Sterne erben, Sterne färben., cit., p. 40. 49 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: „Die Sprachländer des Dazwischen“, cit., p. 73.

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1.4. Letteratura del ricordo: produzione letteraria

L’esordio letterario di Marica Bodrožić avviene nel 2002, con la pubblicazione della raccolta di racconti Tito ist tot, ritratto della tragedia jugoslava descritto da un punto di vista infantile, immerso in un’atmosfera a tratti surreale e mai nostalgica. In 24 brevi racconti, ambientati dalla morte di Tito, avvenuta nel 1980, al trasferimento dell’autrice in Germania, avvenuto nel 1983, Bodrožić disegna una serie di immagini poetiche provenienti dal suo piccolo paesino dalmata.

La morte del presidente jugoslavo Tito diventa l’occasione per ricordare il tempo dell’infanzia, della Jugoslavia e della guerra, della famiglia e del nonno, figura centrale per l’autrice, punto di riferimento e unico affetto durante i primi anni della sua vita trascorsi lontano dai genitori. Il punto di vista vuole essere chiaramente quello infantile, nonostante i narratori (talvolta anche protagonisti) delle varie vicende, sempre femminili, siano ora bambine, ora donne adulte e mature, che con sguardo retrospettivo alludono a un passato che non c’è più. In questo album di ricordi ricco di immagini la prospettiva infantile è solo apparente: si tratta di un espediente poetico per descrivere questo piccolo mondo i cui abitanti, umili e semplici persone di paese, assumono una grandezza quasi mitica,50 liberandosi delle loro connotazioni individuali e assumendo tratti e caratteristiche comuni di protagonisti-tipo.

Già nel suo primo libro Bodrožić affronta uno dei temi che ricorreranno poi nelle sue opere successive: la dimensione della memoria e dell’infanzia perduta. La dimensione del ricordo e della memoria non è esplorata però per dare conto di un periodo storico ben preciso e determinato né per descrivere gli avvenimenti della storia ufficiale: Bodrožić non utilizza l’ambientazione rurale per rispecchiare gli eventi del grande mondo nel microcosmo del villaggio, ma si perde nella descrizione di un filo d’erba, di una farfalla, di un fiore, della natura, dei colori, del mare, del cielo e della terra. Non si tratta di una descrizione naturalistica, ma ogni singolo elemento acquista significato simbolico. In Der vieläugige

50

Si veda HÜBNER, Klaus: „Der Plural ist mein tägliches Brot. Marica Bodrožić – eine deutsche Dichterin aus Dalmatien“, in Literaturkritik, <10.10.2008>, in <http://www.literaturkritik.de/public/rezension.php?rez_id=12587> (09.02.2015) (d’ora in poi

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Schmetterling la descrizione del quadrifoglio nella miriade di fili d’erba

rappresenta la ricerca della felicità, così come la stessa “farfalla dai molti occhi” non è altro che l’amore materno che, nonostante la distanza dovuta a motivi non ben specificati ma deducibili dalla biografia dell’autrice, vigila incessantemente sulla bambina. Sempre la farfalla, al centro di Ferne Sommer, rappresenta non solo l’occhio della madre, ma anche la leggerezza, la fantasia e la ricerca della felicità dell’infanzia. E ancora il fiore, un giglio in Der Lilienbehaber e un geranio rosso in Meine Tante Morgenrot, rappresentano rispettivamente l’elemento fremd, che, in quanto sconosciuto, tutti temono ed escludono, e il sangue che sgorga dalla testa della zia che, disperata per la morte dei due figli, sbatte ogni giorno la testa contro il muro per alleviare il suo dolore. Accanto al tema dell’abbandono materno, presente anche in Muttermerkmal, dove un piccolo neo diventa «denkendes Grabmal»51 e ultimo legame con la madre lontana che supera lo spazio e il tempo, vengono affrontati quello della Fremdheit a seguito della guerra e dell’emigrazione come in Katarina Jadovna, la sventurata donna venuta da lontano che dopo la morte precoce del marito si trova a vivere una vita di solitudine tra la sfiducia e le diffidenze della gente del paese, o in Mein Onkel

Joseph, il cui protagonista è uno zio Gastarbeiter, che al suo ritorno è costretto a

fare i conti con una nuova e triste realtà di solitudine in cui nessuno di coloro che sono rimasti riesce a comprendere il suo dolore ma solo a pensare che forse sarebbe stato meglio se non se ne fosse mai andato; il tema della violenza in Die

Schlangentöterin, in cui le serpi, descritte dalla voce narrante, suscitano timore e

sono presentimento di rovina e morte; non da ultimo il tema religioso che, come in Die Beichte, passando per la sfiducia nei confronti di un dio che si è così allontanato dal mondo per la cui redenzione aveva pagato con il suo stesso dolore, approda a un riconoscimento del divino in ogni manifestazione di felicità:

im glucksenden Lachen meiner besten Freundin, in den Augen meiner verliebten, immerzu tanzenden Schwester […] im Blau des Meeres und im leuchtenden Geld und wohligen Rot der Rosen in unserem Garten […] dem einladenden Grün meiner Kindheitswesen, den liebevollen Berührungen meines Großvaters.52

51 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: Tito ist tot. Erzählungen, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main

2002, „Das Muttermerkmal“, p.78.

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La raccolta si apre con un racconto programmatico, che dà il titolo all’intero volume, Tito ist tot, e che è l’unica narrazione che presenta una data concreta deducibile dalla morte del capo jugoslavo, avvenuta appunto il 4 maggio 1980. Tutto il resto viene lasciato in una dimensione vaga e indefinita: l’atmosfera preferita da Bodrožić nella raccolta è quella dell’estate, in particolare della fine dell’estate, che simboleggia la fine dell’infanzia, di un’infanzia che è a tratti personale, ma che diventa la dimensione che accomuna il passato di ogni bambino. Questo mondo chiuso, tratteggiato nei 24 testi, con i suoi singoli eventi, temi o personaggi, costituisce infatti il punto di partenza di un viaggio verso la ricostruzione della coscienza del bambino. A questo proposito la raccolta, che esordisce con un racconto che fornisce il pretesto per intraprendere una narrazione del passato, termina con un racconto dal titolo Der Flaum des Sommers, che mette in scena l’esperienza della perdita dell’infanzia e dell’innocenza, quasi a voler chiudere il cerchio, a voler chiudere questo percorso all’interno del ricordo.

La critica ha presto osservato e apprezzato la leggera e talvolta quasi magica relazione con la lingua tedesca, il tono straordinario di questa prosa, con i suoi neologismi e le sue immagini poetiche, nonché la fuorviante scelta del titolo, che delude le aspettative di tutti coloro che si prospettano una lettura storica e politicamente impegnata, ma che rappresenta in tutta la sua semplicità un punto di svolta che concilia in sé l’aspetto storico, l’inizio della fine della Jugoslavia, e quello biografico, l’inizio della fine dell’infanzia: «la morte di Tito annunciata nel titolo della raccolta, diventa un tutt’uno con la fine di un paese, e dunque con una frattura sul piano della storia europea, come pure su quello dei destini delle persone che ne sono state investite»53. Acclamato come un successo da critica e pubblico, la raccolta vale a Bodrožić numerosi riconoscimenti, tra cui il prestigioso Premio Chamisso nel 2003.

Il rapporto con la lingua tedesca e l’esaltazione delle sue potenzialità espressive sono al centro dell’opera del 2007 che diventa elogio, esaltazione d’amore verso la lingua tedesca, Sterne erben, Sterne färben. Meine Ankunft in

Wörtern. Nell’opera, che in numerose interviste l’autrice dichiara propria

biografia poetica e spirituale, Bodrožić racconta il proprio percorso linguistico ed

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esistenziale attraverso riflessioni sulle parole e le memorie che esse evocano, per arrivare a definire se stessa: l’approdo alle parole è l’approdo alla vita, «mit den Wörtern fängt es an, mich selbst für mich selbst zu geben»54.

Incentrato sulle riflessioni legate al processo di apprendimento di una lingua e al contatto con altre culture, il testo si inserisce nella tradizione delle literarische

Sprachbiographien, che affermano il ruolo fondamentale che la lingua riveste

nella vita di chi narra. Si ricorda a tal proposito il già citato Canetti e la sua biografia Die gerettete Zunge, tanto più vicina alla vicenda dell’autrice anche per l’immagine della lingua segreta dei genitori da cui i figli sono esclusi. In questo genere testuale realtà e finzione si mescolano nella figura del narratore-scrittore e nel processo della scrittura, che per Bodrožić inizia dalle parole e rimanda a esse, alle lettere di cui sono composte.55

In questo testo l’autrice racconta il suo rapporto con la lingua tedesca fin dai tempi precedenti al suo arrivo in Germania, dai tempi in cui i genitori, tornando in Jugoslavia a trovare la famiglia, parlano tedesco tra loro, fino all’esperienza diretta del tedesco e alla realizzazione che solo il tedesco può essere la lingua della sua scrittura. Solo nella lingua tedesca Bodrožić riesce a capire la storia dei suoi genitori, solo in tedesco inizia «an das Leben zu glauben»56 e ancora «nur im Deutschen ließ es präzise träumen»57.

Attraverso le parole tedesche torna al passato della sua prima vita e scopre che alles stand da in den deutschen Wörtern, als sei es dort schon immer gewesen, als habe die deutsche Sprache stets einen Abgesandten, einen Mitbewohner in mir getragen, geboren geradezu, und dann machte sie mich mittels dieses Helfers zu einem Menschen mit Erinnerung.58

È attraverso la nuova lingua che l’autrice diventa una persona dotata di memoria, che il tempo dell’infanzia, scandito dal ritmo del croato, che continua a vivere come musica di sottofondo, riaffiora e diventa accessibile e reale. Solo attraverso la scrittura questa infanzia diventa dicibile, e, come in un gioco di reciproci scambi, la sua infanzia taciuta si rivela forza motrice che dà vita alla sua scrittura. Scrivere per recuperare un passato addormentato sotto la pelle della

54 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: Sterne erben, Sterne färben, cit., p. 67. 55

Si veda IVANČIĆ, Barbara: “Oltre il recinto della biografia”, cit., pp. 95-114.

56 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: Sterne erben, Sterne färben, cit., p. 18. 57 Cfr. ibidem, p. 19.

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prima lingua, un passato che, come la Jugoslavia, non esiste più. Bodrožić scopre che nulla, nemmeno la guerra, può distruggere la memoria e proprio questa guerra, e il sentirne parlare nella prima lingua, fa riaffiorare dolori e ricordi, immagini e volti che prendono forma solo in tedesco, la lingua magica che riveste di gioia anche i ricordi più dolorosi e lontani, come quello dell’amata nonna scomparsa troppo presto, a cui adesso l’autrice dona una nuova lingua, il tedesco, e a cui ritorna attraverso le parole tedesche: «mit deutschen Wörtern zu den minzehaltenden Händen meiner Großmutter zurückzukehren, zum ersten Mal seit ihrem Tod in Form von Wörtern bei ihr zu sein, ist getragen von einem wachen Glücksgefühl»59.

L’azione della scrittura, oltre a essere un processo catartico attraverso cui riuscire a mettere ordine nella propria biografia, diventa un modo di vivere e liberarsi dalla dolorosa nostalgia, sotto la protezione di una lingua che funge da scudo e veste protettiva per ogni sentimentalismo,60 un modo di riappropriarsi di un mondo invisibile, un mondo fatto di immagini, con una sensibilità e consapevolezza mutata, con un certo distacco obiettivo ma mai impersonale, perché «die Erinnerung verwandelt sich noch einmal anders in einer zweiten Muttersprache»61.

Delle parole Bodrožić ha spesso una percezione corporea e l’incontro con la lingua tedesca è un incontro sensoriale: l’autrice è colpita dalla sua musicalità, dalla sensualità delle parole che prendono forma sulle bocche dei parlanti, dalla presenza di parole che si possono toccare, abbracciare e baciare. Le parole, le lettere dell’alfabeto, non hanno solo suoni, sfumature, colori, ma dicono e creano il mondo, ne proteggono il senso, hanno anch’esse una memoria, che non è unicamente tradizione ed eredità passata, le quali portano con sé connotazioni, pesi e silenzi opprimenti legati alla storia tedesca, di cui ormai anche Bodrožić si sente responsabile, ma diventa sintesi di presente, passato e futuro, di un

Echoraum descrivibile solo nella lingua tedesca, perché è attraverso questa lingua

che l’autrice ha imparato a vedere e a dire il mondo.

59 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: Sterne erben, Sterne färben, cit., p. 124.

60 Si veda QUÉVAL, Marie Hélène: „Marica Bodrožić, l’un et le multiple“, cit., pp. 51-87. 61 Cfr. BODROŽIĆ, Marica: Sterne erben, Sterne färben, cit., p. 127.

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