Linee guida
TUMORI DEL RENE
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Coordinatore: Giacomo Cartenì
Segretario Scientifico: Mimma Rizzo
Estensori: Referee AIOM Sandro Pignata
Sergio Bracarda, Giuseppe Di Lorenzo, Cristina Masini, Cinzia Ortega, Rodolfo Passalacqua, Camillo Porta, Giuseppe Procopio
con la collaborazione del Dott. Giovanni Pappagallo
Michele Guida Referee AURO Giario Conti
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Indice
1. Epidemiologia e fattori patogenetici ... 4
2. Diagnosi e stadiazione ... 5
2.1 Diagnosi ... 5
2.2 Stadiazione TNM ... 6
3. Fattori prognostici e predittivi ... 8
4.
Trattamento chirurgico... 13
4.1 Trattamento chirurgico della malattia localizzata ... 13
4.2 Ruolo della chirurgia nella malattia metastatica ... 17
4.3 Follow-up dopo chirurgia radicale ... 21
5.
Terapia adiuvante e neoadiuvante alla chirurgia ... 23
5.1 Terapia adiuvante ... 23
5.2 Terapia neoadiuvante ... 26
6.
Trattamento medico della malatia avanzata ... 29
6.1 Opzioni terapeutiche di prima linea ... 29
6.2 Opzioni terapeutiche di seconda linea ... 32
6.3 Algoritmo terapeutico riassuntivo... 36
7.
Gestione del paziente fragile ... 37
7.1 Trattamento del paziente con insufficienza renale... 37
7.2 Trattamento del paziente anziano ... 40
8.
Gestione delle tossicità associate ai farmaci biologici ... 44
9. Livello di evidenza e grado di raccomandazione ... 50
10. Algoritmi ... 51
11. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE ... 57
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1. Epidemiologia e fattori patogenetici
Il carcinoma renale (renal cell carcinoma, RCC) rappresenta in Europa il 3% di tutte le neoplasie dell’adulto con una più alta incidenza nelle nazioni occidentali. In Europa si registra un incremento generale dell’incidenza pari al 2% per decade ed ascrivibile principalmente alla diagnosi delle neoplasie di piccole dimensioni ottenuta grazie all’utilizzo dell’ecografia e della tomografia assiale computerizzata (TC). Il picco di incidenza occorre tra i 60-70 anni con una rapporto uomo-donna di 2:1 (1).
Le stime per l’Italia si assestano, nell’ambito di questo range, tra i valori più alti: il tumore del rene rappresenta il 2.9% del totale delle diagnosi tumorali, con il 3.5% nei maschi e il 2.3% nelle femmine; in termini di mortalità rappresenta il 2,5% del totale dei decessi per neoplasia nei maschi e l’1,8% nelle femmine. L’incidenza del tumore del rene è in crescita nel corso del tempo, mentre la mortalità è in riduzione (Associazione italiana dei registri tumori, AIRTUM) (2).
I principali fattori di rischio sono il fumo, l’obesità, l’ipertensione e la malattia cistica renale (1).
Le neoplasie renali possono insorgere nel 50-80% dei soggetti affetti dalla sindrome di von Hippel- Lindeau (malattia autosomica dominante). La lesione molecolare associata a tale sindrome interessa il gene oncosoppressore, VHL, che risulta inattivato in uno degli alleli. La neoplasia renale insorge in caso di inattivazione dell’altro allele per mutazione somatica, è generalmente precoce e multifocale.
L’inattivazione del gene oncosoppressore VHL viene riscontrata anche nei tumori renali sporadici; in tal caso l’inattivazione del gene è il risultato di mutazioni somatiche in grado di inattivare entrambi gli alleli e la neoplasia tende ad essere unifocale. Le forme associate alla sindrome di von Hippel -Lindeau rivelano una delezione del braccio corto del cromosoma 3 (regione 3p14); nelle forme sporadiche sono state rilevate alterazioni singole o multiple a carico del braccio corto del cromosoma 3 ed a carico dei cromosomi 11, 13, 17 (specie nei carcinomi cromofobi). L’oncosoppressore VHL codifica per una proteina coinvolta nella degradazione della subunità α del fattore-1 inducibile dall’ipossia (hypoxia- inducible factor-alpha, HIF-1α), un fattore trascrizionale eterodimerico che regola un programma d’espressione genica volto a favorire l’adattamento dei tessuti in condizioni ipossiche. Dissimilmente da quanto accade in assenza di mutazioni, le cellule, sprovviste del gene VHL, accumulano HIF -1α anche in condizione di normale ossigenazione e ciò si traduce in un’inappropriata iperespressione dei geni HIF-regolati e nella conseguente iperproduzione di fattori pro-angiogenici, come il vascular endothelial growth factor (VEGF), il platelet-derived growth factor-β (PDGF-β) ed il trasforming growth factor-α (TGF-α) [3].
Lo studio del gene oncosoppressore VHL e di una serie di meccanismi attivati a cascata dalla sua inattivazione ha rappresentato il primum movens per la conoscenza di alcune proteine cruciali nella crescita del tumore e nel processo di metastatizzazione, oggi bersaglio con successo della tera pia farmacologica definita “targeted therapy” (Figura 1).
BEVACIZUMAB
VEGF Trap HIF TEMSiROLIMUS
EVEROLIMUS
VEGF EGF
VEGFR PDGFR EGFR
SORAFENIB, SUNITINIB, AXITINIB, PAZOPANIB, CEDIRANIB
ERLOTINIB, GEFITINIB LAPATINIB PDGF
SORAFENIB, SUNITINIB, AXITINIB, PAZOPANIB, IMATINIB
Figura 1 - Pathways molecolari implicati nel carcinoma renale e potenziali targets dei farmaci biologici
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Sintesi
Il carcinoma renale rappresenta il 3% di tutte le neoplasie dell’adulto
I principali fattori di rischio sono il fumo, l’obesità, l’ipertensione e la malattia cistica renale
Le neoplasie renali possono insorgere nel 50-80% dei soggetti affetti da sindrome di von Hippel-Lindau
Una migliorata conoscenza della biologia molecolare del carcinoma renale ha rappresentato il primum movens per l’individuazione di rilevanti target terapeutici
Bibliografia
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2. Diagnosi e stadiazione
2.1 Diagnosi
La diagnosi di carcinoma renale è principalmente basata su metodiche diagnostiche di imaging.
Il carcinoma renale si presenta alla diagnosi come confinato al rene nel 55% dei casi, localmente avanzato nel 19% dei casi, con metastasi sincrone nel 20% dei casi. Il 30% circa dei pazienti trattati radicalmente per una neoplasia confinata, svilupperanno comunque metastasi metacrone nel corso della loro vita. Le dimensioni della neoplasia primitiva non correlano con il rischio di metastatizzazione extra-renale 1.
Il 60% circa delle neoplasie renali sono diagnosticate casualmente, come diretta conseguenza dell’uso, sempre più estensivo, di diagnostiche per immagini addominali in pazienti non sospetti in senso oncologico.
Per tale motivo, la classica triade composta da ematuria, dolore lombare e presenza di una massa palpabile a tale livello, appare assai meno frequente che nel recente passato.
Il carcinoma renale può inoltre essere associato a tutta una serie di sindromi paraneoplastiche, peraltro usualmente aspecifiche, comprendenti: alterazioni della funzionalità epatica (non correlate alla presenza di metastasi in tale sede e tipicamente spontaneamente reversibili dopo nefrectomia, note anche come sindrome di Stauffer), ipertensione, poliglobulia, sindrome anoressia/cachessia, ecc 2.
Ad oggi, non esistono markers tumorali di una qualsivoglia utilità per il carcinoma renale. Tuttavia, vale la pena ricordare che esistono delle alterazioni ematochimiche relativamente comuni ma drammaticamente aspecifiche, di origine paraneoplastica, relativamente frequenti in caso di carcinoma renale avanzato; tra queste vanno ricordate l’anemia o, al contrario, l’eritrocitosi, l’ipercalcemia, l’ipoalbuminemia, la trombocitosi, piuttosto che l’elevazione di indici di fase acuta quali la VES e la PCR.
L’esame strumentale attraverso il quale viene più frequentemente diagnosticata una neoplasia renale, è l’ecografia. Ovviamente, lesioni ecograficamente sospette in senso oncologico possono essere meglio caratterizzate mediante il ricorso alla tomografia computerizzata (TC) o alla risonanza magnetica nucleare (RMN).
La TC ha dimostrato di possedere, anche nei tumori di piccole dimensioni, la sensibilità più elevata, con valori compresi tra 94% e 100%. La TC rappresenta la miglior indagine disponibile per il planning preoperatorio e la stadiazione del carcinoma renale poiché consente oltre alla valutazione della lesione renale anche la valutazione dello spazio peri- e pararenale contiguo, delle strutture adiacenti (muscolo psoas e quadrato dei lombi, parete addominale laterale e posteriore, fegato, surreni, milza, pancreas ed intestino), delle strutture vasali (vena renale e vena cava inferiore), dei linfonodi periaortocavali e di eventuali localizzazioni secondarie a distanza [3, 4].
La risonanza magnetica si pone come valida alternativa alla suddetta tecnica nei pazienti con allergia al mezzo di contrasto, nelle stato di gravidanza e per la caratterizzazione delle lesioni complesse [4]. In particolar modo, la risonanza magnetica è utile nel caratterizzare le lesioni a contenuto emorragico non
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recente (non definibile con la TC) e nel definire la resecabilità di una neoplasia del polo renale superiore nei confronti del fegato o della milza [4].
Metodiche di indagine facoltative possono comprendere l’urografia, l’arteriografia renale piuttosto che la cavografia, da effettuarsi nel caso di una trombosi neoplastica della vena renale estesa alla cava. La scintigrafia ossea dovrebbe essere eseguita in caso di segni o sintomi suggestivi di metastatizzazione ossea, ma non dovrebbe essere considerata un esame di routine. Similarmente, una TC dell’encefalo dovrebbe essere riservata solo a pazienti con sintomatologia neurologica suggestiva 5.
Per quanto riguarda la PET con fluoro-desossi-glucosio (18FDG-PET), la scarsa avidità del carcinoma renale a cellule chiare per il glucosio, la rende una metodica non standard associata ad un rischio elevato di falsi negativi 6. L’esecuzione di una biopsia renale eco-guidata o TC-guidata è oggi considerata una procedura diagnostica di routine nella caratterizzazione delle masse renali di dubbia natura; il timore di un aumentato rischio di complicazioni emorragiche o di colonizzazione neoplastica lungo il tratto bioptico appartengono oramai al passato 7.
Sintesi
L’esame strumentale attraverso il quale viene più frequentemente diagnosticata una neoplasia renale, è l’ecografia
Lesioni ecograficamente sospette in senso oncologico possono essere meglio caratterizzate mediante il ricorso a TC o RMN
La TC rappresenta la miglior indagine disponibile per il planning preoperatorio e la stadiazione del carcinoma renale
2.2 Stadiazione TNM
Nel 2010 è entrata in vigore la settima edizione della classificazione TNM (Tabella 1) [8].
Stadiazione TNM T: Tumore primario
Tx Tumore primario non valutabile
T0 Nessuna evidenza di tumore primario
T1
Tumore ≤ 7 cm nella dimensione massima, confinato al rene T1a Tumore con diametro maggiore ≤ 4 cm, confinato al rene
T1b Tumore con diametro maggiore compreso tra 4 e 7 cm, confinato al rene
T2
Tumore ˃ 7 cm nella dimensione massima, confinato al rene T2a Tumore con diametro maggiore compreso tra 7 e 10 cm T2b Tumore con diametro maggiore > 10 cm
T3
Tumore che si estende nelle vene maggiori o nei tessuti perirenali, ma non attraversa la fascia del Gerota e non invade la ghiandola surrenale ipsilaterale
T3a Tumore che si estende macroscopicamente nella vena renale o interessa le succursali o invade il tessuto adiposo perirenale e/o del seno renale, ma non supera la fascia di Gerota
T3b Tumore che si estende macroscopicamente nella vena cava al di sotto del diaframma
T3c Tumore che si estende macroscopicamente nella vena cava al di sopra del diaframma o invade la parete della vena cava
T4 Tumore che si estende oltre la fascia del Gerota (inclusa l’estensione nella ghiandola surrenale ipsilaterale)
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Stadiazione TNM
N: Linfonodi regionali
Nx I linfonodi regionali non possono essere individuati
N0 Nessuna metastasi nei linfonodi regionali
N1 Metastasi in un singolo linfonodo regionale
N2 Metastasi in più di un linfonodo regionale
M: Metastasi a distanza
Mx Le metastasi a distanza non possono essere valutate
M0 Nessuna evidenza di metastasi a distanza
M1 Metastasi a distanza
Stadio I T1 N0 M0
Stadio II T2 N0 M0
Stadio III T3
T1, T2, T3
N0 N1
M0 M0
Stadio IV
T4 Ogni T Ogni T
Ogni N N2 Ogni N
M0 M0 M1 Tabella 1 – Sistema di classificazione TNM, aggiornato nel 2009.
Alcuni ricercatori della Mayo Clinic di Rochester ne hanno valutato l'abilità predittiva rispetto alla precedente versione del 2002 utilizzando il registro delle nefrectomie del loro istituto e riesaminando retrospettivamente le cartelle cliniche di 3996 pazienti con carcinoma renale unilaterale o bilaterale sincrono trattati con nefrectomia radicale o nephron-sparing. La stima della percentuale di sopravvivenza cancro- specifica a 10 anni è stata del 96%, 80%, 66%, 55%, 36%, 26%, 25% e 12% per i pazienti stadiati rispettivamente come pT1a, pT1b, pT2a, pT2b, pT3a, pT3b, pT3c e pT4 secondo la recente classificazione [9]. Gli autori dello studio asseriscono che la nuova classificazione ha apportato un miglioramento, seppur modesto, dell’abilità predittiva cancro-specifica rispetto alla precedente classificazione del 2002 suddividendo le lesioni pT2 in pT2a e pT2b, riclassificando il coinvolgimento surrenale omolaterale come pT4 e il coinvolgimento della vena renale come pT3a [9].
Bibliografia
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8
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3. Fattori prognostici e predittivi
Caratteristiche istologiche
Le caratteristiche istologiche a cui può essere attribuito un valore prognostico sono: il grado nucleare di Fuhrman, i sottotipi istologici, la presenza di una componente sarcomatoide, l’invasione microvascolare, la presenza di necrosi tumorale e l’interessamento del sistema collettore. Tra questi, il grado di Fuhrman rimane il fattore prognostico accreditato di maggior rilevanza [1] [2].
Per quanto concerne il valore prognostico dell’istotipo i principali sottotipi di RCC, in grado di rappresentare la quasi totalità di neoplasie renali maligne, sono quello a cellule chiare, il papillare ed il cromofobo. Molti studi hanno confermato come l’istologia mantenga una validità prognostica in modelli univariati, descrivendo il carcinoma a cellule chiare come sottotipo maggiormente aggressivo, seguito dal papillare e dal cromofobo. D’altra parte, nei modelli multivariati, la significatività prognostica dell’istologia viene persa, suggerendo che stadio e grading del tumore abbiano un maggiore impatto sulla prognosi rispetto alle caratteristiche istotipiche [3].
Caratteristiche cliniche
Tra le caratteristiche cliniche rilevanti da un punto di vista prognostico il primo da citare è il Performance Status (PS), che può essere classificato secondo due modelli, quello ideato dall’Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG), e quello di Karnofsky. Entrambi sono sistemi di classificazione dello stato clinico del paziente e quindi dell’impatto della malattia sulla sua salute generale. Si basano entrambi sulla stratificazione dei pazienti in relazione alla loro disabilità funzionale.
Altri fattori clinici che possono essere usati per la loro valenza prognostica sono rappresentati dall’asportazione o meno del tumore primario e dai precedenti eventuali trattamenti. Anche alcuni parametri di laboratorio (anemia, ridotta conta dei neutrofili, riscontro di trombocitosi) sono stati correlati ad un peggioramento dell’outcome clinico. Infine, è stato dimostrato che pazienti con sintomi di cachessia (calo ponderale, anoressia, astenia, ipoalbuminemia) presentano tassi di sopravvivenza peggiori [4].
Caratteristiche molecolari
Nell’ultimo decennio gli sforzi della ricerca si sono concentrati soprattutto nell’approfondimento della conoscenza dei meccanismi molecolari implicati nella patogenesi dell’RCC ed hanno consentito di delineare con maggiore chiarezza il profilo biologico di questa neoplasia. Molte di queste scoperte potrebbero tradursi concretamente anche in un miglioramento della pratica clinica.
9
L’analisi dei markers molecolari, interpretati in relazione al loro valore predittivo di risposta ad un dato trattamento, potrà infine trovare utilità nella selezione dei pazienti in grado di trarre i maggiori benefici clinici dalle terapie mirate.
Numerosi sono i markers attualmente in fase di validazione per la loro possibile correlazione con l’outcome clinico. Tra questi si annoverano: l’anidrasi carbonica IX (CaIX), il vascolar endothelial growth factor (VEGF), il fattore inducibile dall’ipossia (HIF), Ki67, p53, PTEN, E-caderina, CD44 [5,6].
Motzer e Coll. hanno recentemente pubblicato i risultati di un’analisi dell’espressione e dei livelli plasmatici di VEGF e di VEGFR in pazienti in trattamento con sunitinib: nei 63 pazienti valutati, l’andamento dei livelli circolanti di VEGF, VEGFR-2 e VEGFR-3 nel corso del trattamento era correlato significativamente alla risposta obiettiva [7].
Infine, la recente mappatura dell’espressione genica ha identificato 259 geni che potrebbero essere utili per predire la sopravvivenza nell’RCC, indipendentemente dai fattori prognostici clinici tradizionali;
l’applicabilità di un simile approccio alla pratica clinica è tuttavia ancora lontano dall’essere confermato.
Sistemi prognostici e nomogrammi
Nel passato i sistemi prognostici per l’RCC si sono basati quasi esclusivamente sulla valutazione di parametri clinici ed istopatologici come la classificazione TNM, il performance status, il grado di Fuhrman etc.
In un’analisi multivariata retrospettiva su oltre 600 pazienti affetti da carcinoma renale metastatico ed arruolati in numerosi trials condotti negli anni ’80, Elson e Coll. hanno identificato 5 indicatori di sopravvivenza: l’ECOG PS, il periodo di tempo intercorso tra la diagnosi ed il primo trattamento sistemico, il numero delle sedi metastatiche, le precedenti chemioterapie citotossiche ed il calo ponderale; In relazione a questi fattori, gli autori hanno stratificato i pazienti in 5 gruppi caratterizzati da sopravvivenze molto diverse [8]. Successivamente sono stati delineati numerosi modelli integrati volti ad analizzare nella loro globalità fattori clinici, patologici e dati di laboratorio al fine di predire la sopravvivenza in modo più accurato ed identificare i pazienti con un rischio maggiore di ricorrenza della malattia. Tra questi, i due più diffusamente utilizzati nella pratica clinica e nelle sperimentazioni sono il MSKCC (Memorial Sloan Kettering Cancer Center) e l’UISS (University of California at Los Angeles Integrated Staging System).
I criteri del Memorial Sloan Kettering Center o criteri di Motzer
Motzer e Coll., valutando 670 pazienti affetti da RCC in fase avanzata e trattati con immunoterapia o chemioterapia, hanno individuato 5 fattori pre-trattamento significativamente correlati con una sopravvivenza più breve: un Karnofsky PS basso (<80%), alti livelli di LDH (>1,5 x ULN), bassi livelli di emoglobina, elevata calcemia corretta (>10 mg/dl) e l’assenza di nefrectomia [9]. Utilizzando queste variabili, hanno stratificato i pazienti in tre gruppi (gruppi di rischio favorevole, intermedio e sfavorevole) con differente prognosi ; la sopravvivenza variava da 20 mesi, per il gruppo a prognosi favorevole, a 4 mesi per quello a prognosi sfavorevole.
Un’analisi simile è stata quindi applicata a 400 pazienti trattati in prima linea con Interferone alfa; tale restrizione dei criteri d’inclusione ha minimizzato l’eterogeneità determinata dai possibili precedenti trattamenti. La categorizzazione prognostica non è stato comunque modificato, salvo per la sostituzione del fattore “assenza di nefrectomia”, con il fattore “periodo di tempo dalla diagnosi al trattamento immunologico inferiore ad un anno” [9] (Tabelle 2a e 2b).
Karnofsky PS ˂ 80%
Tasso di emoglobinemia ˂ limite inferiore della norma Tasso di lattrato deidrogenasi 1,5 x limite superiore della norma
Calcio corretto ˃ 10 mg/dl
Periodo dalla diagnosi al trattamento ˂ 1 anno
Tabella 2a – Sistema prognostico MSKCC: fattori prognostici
10
Prognosi Numero di fattori Sopravvivenza media Sopprevvivenza a 3 anni
Favorevole 0 30 mesi 45%
Intermedia 1 o 2 14 mesi 17%
Sfavorevole 3,4 o 5 5 mesi 2%
Tabella 2b – Sistema prognostico MSKCC: Gruppi di rischio
Più recentemente, lo stesso gruppo del MSKCC, ha rivisto i dati clinici e di laboratorio relativi a 137 pazienti la cui sopravvivenza mediana era risultata pari a 12.9 mesi [10]; parametri predittivi indipendenti di una prognosi sfavorevole risultavano essere il Karnofsky PS basso (<80%), bassi livelli di emoglobina (≤13 g/dL nel sesso maschile, e 11.5 g/dL in quello femminile), e l’elevata calcemia corretta (>10 mg/dl). Utilizzando questo modello i pazienti stratificati nei tre classici gruppi di rischio presentavano tassi di sopravvivenza ad 1 e a 3 anni pari a 76 e 25%, 49 e 11% e 11 e 0%, rispettivamente.
Un successiva validazione del sistema prognostico a cinque parametri di Motzer, condotta da Mekhail e Coll alla Cleveland Clinic, ha individuato alcuni limiti: la maggior parte dei pazienti rientra nel gruppo di rischio intermedio e non si tiene conto di due fattori prognostici indipendenti, i precedenti trattamenti radioterapici ed il numero di siti metastatici. L’aggiunta di questi parametri, consente una ridistribuzione di parte dei pazienti inizialmente considerati a prognosi intermedia e la classificazione dei medesimi nel gruppo a prognosi sfavorevole (Tabella 3a e 3b) [11].
Karnofsky PS ˂ 80%
Tasso di emoglobinemia ˂ limite inferiore della norma Tasso di lattrato deidrogenasi 1,5 x limite superiore della norma
Calcio corretto ˃ 10 mg/dl
Periodo dalla diagnosi al trattamento ˂ 1 anno
N° di siti metastatici ˃ 1
Precedente radioterapia Si
Tabella 3a– Sistema prognostico di Mekhail e Coll.
Prognosi Motzer e Coll. Mekhail e Coll.
Pazienti (%) Sopravvivenza (mesi) Pazienti (%) Sopravvivenza (mesi)
Favorevole 19 28.6 37 26.0
Intermedia 70 14.6 35 14.4
Sfavorevole 11 4.5 28 7.3
Tabella 3b– Confronto tra il sistema prognostico di Mekhail e Coll. e quello di Motzer e Coll. (353 pazienti).
Dall’analisi dei pazienti arruolati nello studio registrativo del sunitinib [12], Motzer e Coll. hanno infine sviluppato un nomogramma, presentato per la prima volta all’ASCO 2007 [13], che dovrebbe essere in grado di predire la probabilità di progressione della malattia a 12 mesi dall’inizio del trattamento; i parametri utilizzati per costruire il nomogramma (che ha un valore predittivo, non prognostico) sono un’evoluzione dei criteri prognostici di Motzer (Figura 2).
11
Figura 2 – Nomogramma di Motzer per i pazienti trattati con Sunitinib
Il Sistema di Stadiazione Integrato dell’UCLA (UISS)
Zisman e Coll. hanno ideato l’UISS, Sistema di Stadiazione Integrato dell’Università della California a Los Angeles (UCLA), validato sia per pazienti che presentano alla diagnosi un RCC in fase metastatica sia che per pazienti con tumore localizzato. L’UISS è un modello che integra la stadiazione TNM (nella versione del 1999), l’ECOG PS ed il grado di Fuhrman [14].
In uno studio internazionale multicentrico questo sistema prognostico non si è tuttavia confermato, affidabile ed accurato nella malattia metastatica; esso pertanto conserva il suo valore prognostico solo nella malattia localizzata [15] (Tabelle 4a e 4b).
UISS TNM Grado di
Fuhrman ECOG PS Gruppo di
rischio
Sopravvivenza a 5 anni
I I 1,2 0 Basso 94%
II
I 1,2 ≥ 1
Intermedio 67%
I 3,4 Qualsiasi
II Qualsiasi Qualsiasi
III Qualsiasi 0
III 1 ≥ 1
III III 2-4 ≥ 1
Elevato
IV 1,2 0 39%
IV IV 3,4 0
1-3 ≥ 1 23%
V IV 4 ≥ 1 0%
Tabella 4a – Tumori non metastatici alla diagnosi
12
UISS TNM Grado di
Fuhrman ECOG PS Gruppo di
rischio
Sopravvivenza a 5 anni
II III Qualsiasi 0
Basso 39%
III 1 ≥ 1
III III 2-4 ≥ 1
IV 1,2 0
IV IV 3,4 0
Intermedio 23%
1-3 ≥ 1
V IV 4 ≥ 1 Elevato 0%
Tabella 4b - Tumori metastatici alla diagnosi Sintesi
Il grado di Fuhrman rimane il fattore prognostico di maggior rilevanza fra le caratteristiche istologiche
L’istologia a cellule chiare rappresenta l’istotipo più aggressivo, seguito dal papillare e dal cromofobo
Tra le caratteristiche cliniche il performance status è il principale fattore prognostico
I due modelli prognostici più diffusamente utilizzati sono il MSKCC (Memorial Sloan Kettering Cancer Center) per la malattia metastatica e l’UISS (University of California at Los Angeles Integrated Staging System) per la malattia localizzata.
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4. Trattamento chirurgico
4.1 Trattamento chirurgico della malattia localizzata
(vedi algoritmi 1 e 2)Questo capitolo è stato scritto utilizzando i dati di letteratura, le linee guida già disponibili nella pratica clinica e le reviews più importanti sull’argomento. In letteratura ci sono pochi studi randomizzati con elevati livelli di evidenza e la maggior parte degli studi sono di tipo retrospettivo o non randomizzato, quindi con bassi livelli di evidenza.
L’exeresi chirurgica della neoplasia è a tutt’oggi il trattamento curativo principale del tumore del rene localizzato. La nefrectomia radicale (radical nephrectomy-RN), trattamento standard comprendente la rimozione dell’organo con la fascia del Gerota, l’asportazione del surrene omolaterale e dei linfonodi regionali, è stata fino ad oggi un trattamento chirurgico efficace [1] ed è il “gold standard” con cui tutti gli altri trattamenti devono confrontarsi. I pazienti con carcinoma renale hanno una sopravvivenza cancro- specifica (CSS) del 97% (T1a), l’ 87% (T1b) e solo il 20% per i tumori T4 [2].
La conservazione d’organo è l’obiettivo della chirurgia attuale, tramite l’utilizzo di diverse metodiche
“nephron-sparing”, (nephron-sparing surgery–NSS) non solo in situazioni particolari (pazienti con funzionalità renale compromessa, monorene o con tumori bilaterali). I buoni risultati oncologici e la ridotta morbilità hanno contribuito alla diffusione dell’utilizzo della nefrectomia parziale (partial nephrectomy– PN) in numerosi centri di riferimento e le recenti evidenze sulla preservazione della funzionalità renale con possibile aumento della sopravvivenza globale hanno determinato l’affermarsi di tale intervento nella pratica clinica quotidiana [3]. La surrenectomia, raccomandata da Robson ed in precedenza sempre eseguita, può essere evitata se la ghiandola non è interessata dalla neoplasia alla stadiazione preoperatoria [4-7] (livello di evidenza 3). Alcuni casi specifici però esulano da tale regola e precisamente nel caso in cui la neoplasia sia localizzata al polo superiore del rene e vi sia il rischio di infiltrazione della ghiandola o nel caso di tumori con diametro massimo > 7cm in cui il rischio di metastatizzazione alla ghiandola è elevato [8-10] (livello di evidenza 3).
Attualmente non vi sono dati definitivi che indichino un vantaggio in termini di sopravvivenza ottenuto dall’esecuzione della linfoadenectomia nella malattia localizzata (non linfonodi alla stadiazione, o metastasi a distanza). Essa invece riveste un ruolo stadiante nei pazienti con linfoadenomegalie già presenti alla stadiazione preoperatoria.
Lo studio prospettico di fase III, EORTC 30881, i cui risultati definitivi sono stati recentemente pubblicati [11, 12], ha randomizzato 772 pazienti con malattia localizzata (N0M0) a ricevere solo nefrectomia radicale o nefrectomia+linfoadenectomia. Solo nel 4% dei pazienti sottoposti a linfoadenectomia sono state evidenziate metastasi linfonodali. Non sono state evidenziate differenze significative fra i 2 gruppi in termini di sopravvivenza globale, tempo alla progressione o complicanze chirurgiche (livello di evidenza 1b).
La presenza all’intervento chirurgico di un trombo cavale, indica una maggiore aggressività della neoplasia (alto grado e stadio) con aumentato rischio di malattia già metastatica. Tuttavia, la prognosi è maggiormente influenzata dalla presenza di metastasi linfonodali piuttosto che dall’estensione craniale del trombo cavale, il quale deve però essere asportato durante la nefrectomia [13-15] (livello di evidenza 3).
Nel caso di ematuria macroscopica o dolore importante può essere indicata l’embolizzazione preoperatoria.
Questa tecnica può essere utilizzata prima del trattamento chirurgico di metastasi ossee altamente vascolarizzate, invece non vi è alcuna indicazione ad eseguire la procedura di routine prima della nefrectomia [16-18] (livello di evidenza 3).
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Sintesi e grado di raccomandazione (vedi Livello di evidenza e grado di raccomandazione)
La terapia chirurgica è a tutt’oggi l’unico approccio terapeutico curativo del RCC (grado A)
La linfoadenectomia in pazienti N0 alla stadiazione preoperatoria non migliora la sopravvivenza globale ed ha significato stadiante (grado A)
La surrenectomia può essere evitata se la ghiandola non è interessata dalla neoplasia alla stadiazione preoperatoria eccetto nel caso in cui la neoplasia sia localizzata al polo superiore del rene e vi sia il rischio di infiltrazione della ghiandola e nel caso di tumori con diametro massimo > 7cm in cui il rischio di metastatizzazione alla ghiandola è elevato (grado B)
L’embolizzazione preoperatoria può essere indicata nel caso di ematuria macroscopica o dolore importante (grado C)
Chirurgia “Nephron-sparing”
La chirurgia nephron-sparing (NSS) ed in modo particolare la partial nephrectomy (PN) ha indicazioni convenzionalmente divise in categorie e precisamente [19]:
- assolute: paziente già monorene;
- relative: paziente con una situazione clinica che può far prevedere una futura insufficienza d’organo (ad esempio: paziente con sindromi ereditarie e la possibilità di sviluppare una neoplasia nel rene contro- laterale);
- elettive: preservazione del rene in paziente senza patologie renali concomitanti.
Diversi studi non randomizzati hanno confrontato la radical nephrectomy (RN) con la chirurgia nephron sparing; essa produce risultati, in termini di sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da malattia, sovrapponibili alla RN nei pazienti con tumori piccoli (<4 cm) [20-27] (livello di evidenza 2a).
La PN quando effettuata con indicazioni assolute presenta un aumentato rischio di complicanze e recidive locali, probabilmente perché proposta in casi ai limiti dell’indicazione stessa [28]. Inoltre questo tipo di intervento determina un minor rischio di insufficienza renale cronica successiva [29, 30] rispetto alla RN.
Nello studio retrospettivo di Huang, condotto su 662 pazienti con entrambi i reni funzionanti e normali livelli di creatinina, all’analisi multivariata la RN è risultata essere un fattore indipendente di rischio di insorgenza di insufficienza renale cronica con un hazard ratio di 3.82 (95% C.I. 2.75-5.32; p<0.0001) [31] (livello di evidenza 3).
Nello studio retrospettivo della Mayo Clinic condotto su 648 pazienti con tumori di diametro inferiore a 4 cm, trattati con RN o PN dal 1997 al 2003, è stato evidenziato che la RN rispetto alla PN impatta negativamente sulla sopravvivenza solo nel sottogruppo di pazienti con età inferiore ai 65 anni (rischio relativo: 2.34; 95% C.I. 1.17-4.69; p< 0.016) [32] (livello di evidenza 3). Tale dato è stato successivamente confermato anche su un campione di 7769 pazienti: la PN ha determinato una sopravvivenza a 5 e 10 anni del 89.3% e del 71.3% vs l’84.4% ed il 68.2% rispettivamente della RN; la differenza assoluta in termini di sopravvivenza è stata del 4.9% vs 3.1% [33] (livello di evidenza 3).
In conclusione anche se nella popolazione generale, l’insufficienza renale cronica è correlata ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari e di morte (34), non esistono evidenze sufficienti a supportare l’ipotesi che la RN aumenti il rischio cardiovascolare e riduca la sopravvivenza globale rispetto alla PN [35]
e la CSS dei pazienti sottoposti a PN per tutti gli stadi a 5 e 10 anni risulta essere rispettivamente del 96% e del 90% per tumori di diametro < 4 cm [36].
In alcuni studi, condotti in pazienti con tumori di diametro superiore a 7 cm sottoposti a chirurgia nephron sparing sono stati evidenziati risultati simili alla chirurgia radicale e nel caso di tumori resecati completamente si è visto che lo spessore del margine chirurgico (>1 mm) non impatta sulla possibile insorgenza di recidiva locale [37] (livello di evidenza 3).
Inoltre, con l’estensione dell’indicazione alla PN a tumori centrali, la semplice enucleazione potrebbe essere un’opzione proponibile come alternativa alla RN [38, 39].
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Ovviamente la chirurgia nephron sparing in tumori con diametro superiore ai 4 cm dovrebbe essere eseguita in centri di riferimento su pazienti selezionati e con successiva intensificazione del follow-up; tale metodica resta comunque il trattamento di scelta per i tumori con diametro fra i 4 e 7 cm [40, 41].
Sintesi e grado di raccomandazione
La chirurgia nephron sparing produce risultati in termini di sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da malattia sovrapponibili alla radical nephrectomy nei pazienti con tumori piccoli (<4 cm) (grado
La chirurgia nephron sparing in tumori con diametro superiore ai 4 cm dovrebbe essere eseguita in centri B) di riferimento su pazienti selezionati e con successiva intensificazione del follow-up e resta comunque il trattamento di scelta per i tumori con diametro fra i 4 e 7 cm (grado B)
Nefrectomia radicale laparoscopica
L’intervento laparoscopico di nefrectomia radicale, sia esso con accesso retro o trans-peritoneale, è diventato lo standard nei pazienti con tumori renali T1-2 ed ha una morbilità inferiore all’intervento a cielo aperto (chirurgia “open”) (42). I risultati oncologici a 10 anni sembrano essere sovrapponibili a quelli della tecnica
“open” [43, 44] (livello di evidenza 3)
Sebbene l’approccio laparoscopico sia ormai accettato nella pratica clinica, gli studi disponibili di confronto con la nefrectomia a cielo aperto non sono randomizzati, sono spesso retrospettivi e con bassi livelli di evidenza [45-48] (livello di evidenza 2b-3).
L’intervento laparoscopico deve però essere eseguito in centri di riferimento e deve rispettare i principi oncologici della nefrectomia a cielo aperto. Il potenziale svantaggio della laparoscopia è rappresentato dai tempi operatori più lunghi (più lungo periodo di ischemia e l’aumento di complicazioni intra e post- operatorie [46, 49, 50] (livello di evidenza 3) a fronte però di un minor dolore postoperatorio, una più rapida ripresa clinica e un minor tempo di ospedalizzazione. Tre studi randomizzati, seppur con piccoli numeri, hanno valutato tre diversi approcci laparoscopici: “hand assisted”, transperitoneale e retroperitoneale [51-53]
(livello di evidenza 1b).
Sintesi e grado di raccomandazione
La nefrectomia radicale laparoscopica è diventata lo standard nei pazienti con tumori renali T1-2 ed ha una morbilità inferiore all’intervento a cielo aperto (“open”) (grado B)
I risultati oncologici a 10 anni della nefrectomia radicale laparoscopica sembrano essere sovrapponibili a quelli della tecnica “open” (grado B)
L’intervento laparoscopico deve essere eseguito in centri di riferimento e deve rispettare i principi oncologici della nefrectomia a cielo aperto (grado B)
Nefrectomia parziale laparoscopica.
Diversi studi non randomizzati hanno confrontato la PN “open” vs PN laparoscopica [54-57] (livello di evidenza 2b).
L’indicazione ottimale a tale procedura é rappresentata dalle neoplasie piccole e periferiche (T1a e T1b).
Sembra che il risultato oncologico sia legato alla negatività dei margini e sia sovrapponibile alla tecnica
“open” [58-60] (livello di evidenza 2b), ma a tutt’oggi non vi sono studi che possano definirne l’equivalenza.
Le complicanze più comuni di tale intervento, che richiedono la conversione in “open”, sono essenzialmente di tipo urologico: l’emorragia postoperatoria e la fuoriuscita di urina [61].
In mani esperte ed in pazienti selezionati la PN laparoscopica è un’alternativa alla chirurgia “open”.
Recentemente sono in corso studi di confronto fra chirurgia laparoscopica e robotica [62].
La chirurgia robotica è un tecnica relativamente nuova ed in evoluzione e la PN “robot-assisted” sembra essere sicura ed efficace nella malattia localizzata.
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Nonostante i benefici potenziali di tale approccio chirurgico (ridotti tempi di ischemia), le prime esperienze disponibili in letteratura, non sembrano dimostrare un significativo vantaggio di tale metodica nei confronti della PN laparoscopica [63, 64] (livello di evidenza 3).
Sintesi e grado di raccomandazione
La nefrectomia parziale “open” è attualmente lo standard di cura (grado C)
La nefrectomia parziale laparoscopica è indicata nel trattamento chirurgico delle neoplasie piccole e periferiche (T1a e T1b) e deve essere eseguita in centri di riferimento (grado C)
Alternative alla chirurgia
Recentemente sono state proposte alcune tecniche mini-invasive potenzialmente alternative alla chirurgia:
l’ablazione con radiofrequenze (RFA-radiofrequency ablation) [65, 66] (livello di evidenza 2b-3), la crioablazione [67] e l’HIFU (high intensity focused ultrasound ablation) [68].
I possibili vantaggi di tali procedure sono una ridotta morbilità, la possibilità di trattare pazienti non candidabili ad un intervento chirurgico per patologie collaterali ed il fatto che tali trattamenti non richiedono degenza ospedaliera.
Una metanalisi recentemente pubblicata comprendente 99 studi clinici, 6741 lesioni renali trattate, 5037 pazienti, ha valutato tutti i trattamenti chirurgici per le piccole masse renali (<4 cm) [69] ed ha messo in evidenza i seguenti dati relativi alle tecniche mininvasive: la percentuale delle recidive locali è stata del 2.6%
dopo chirurgia nephron sparing, del 4.6% dopo crioablazione e del 11.7% dopo RFA, mentre le progressioni sistemiche di malattia sono state rispettivamente del 5.6%, 1.2% e 2.3%. Tale dato sottolinea come l’indicazione a trattamenti più aggressivi sia correlata al tipo e all’aggressività della neoplasia.
Le indicazioni principali sono infatti il trattamento di piccole neoplasie renali corticali incidentali in pazienti anziani, in pazienti monorene o con neoplasie bilaterali o con predisposizione genetica a tumori multipli.
Le controindicazioni includono: un’aspettativa di vita <1 anno, multipli siti metastatici o non fattibilità tecnica per posizione o dimensioni della neoplasia. Generalmente la RFA non è raccomandata per tumori con diametro superiore ai 5 cm o localizzati a livello dell’ilo renale o in prossimità dei dotti collettori [70].
Controindicazioni assolute sono invece la presenza di coagulopatie e condizioni cliniche instabili e severe (sepsi). Le complicanze sono basse ed il risultato oncologico di queste procedure è ancora da definirsi, nonostante i primi incoraggianti risultati [71], per poterle considerare alternative alla chirurgia convenzionale. Lo svantaggio principale è la non completa valutazione istopatologica.
Attualmente questi trattamenti mini-invasivi sono considerati ancora in fase di studio e pertanto non possono essere proposti come alternativa al trattamento standard.
Non vi sono studi di confronto fra le procedure standardizzate di nefrectomia radicale, parziale siano esse con tecnica “open” o laparoscopica e le tecniche mini invasive.
Solo uno studio non randomizzato ha confrontato la PN laparoscopica con la crioablazione laparoscopica [72] (livello di evidenza 3) ed alcuni studi retrospettivi hanno valutato gli outcome perioperatori nei pazienti sottoposti a PN laparoscopica vs la crioablazione percutanea in pazienti con piccole masse renali [73, 74].
Una recente metanalisi, pubblicata nell’ottobre 2011, sul trattamento chirurgico del RCC localizzato (UCAN Systematic Review Reference Group, EAU Guideline Group for renal cell carcinoma) [75], ha valutato circa 40 studi clinici (7 randomizzati e 33 non randomizzati) condotti su circa venticinquemila pazienti ed ha confermato che per il momento, a causa della mancanza di studi randomizzati di confronto, non vi sono le basi per cambiare l’attuale pratica clinica nel trattamento del carcinoma del rene localizzato [76].
Sintesi e grado di raccomandazione
I trattamenti alternativi alla chirurgia devono essere riservati a pazienti non suscettibili di altro trattamento chirurgico per performance status scaduto o presenza di comorbidità (grado B)
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4.2 Ruolo della chirurgia nella malattia metastatica
Nefrectomia Citoriduttiva
Il trattamento del carcinoma renale metastatico alla diagnosi (circa il 25% dei pazienti) è di tipo multimodale.
La nefrectomia citoriduttiva ha un ruolo nella malattia metastatica. Infatti, due studi randomizzati [77, 78]
(livello di evidenza 1b) condotti su pazienti con buon performance status, hanno confrontato il trattamento con interferon-alfa e nefrectomia citoriduttiva vs la sola immunoterapia (interferon-alfa) hanno dimostrato un aumento di sopravvivenza globale mediano di 8.1 mesi nei pazienti sottoposti a nefrectomia citoriduttiva.
L’analisi combinata dei due studi [79] ha confermato tale dato e ribadito l’ indicazione alla nefrectomia citoriduttiva in pazienti con carcinoma renale metastatico con buon PS, senza multiple comorbidità ed idonei alla chirurgia (livello di Evidenza 1a). In questi è stata registrata una morbidità e mortalità perioperatoria compresa tra 1.4% e 5.2%. Tali valori percentuali sono inferiori rispetto ai controlli storici riportati da diversi studi retrospettivi (livello di evidenza 3) (dal 2% fino al 50%) a conferma dell’importanza della selezione adeguata dei pazienti [80-82].
Attualmente, con l’introduzione delle terapie a bersaglio molecolare nel trattamento del carcinoma renale metastatico, tale posizione è in corso di rivalutazione in considerazione dei buoni risultati in termini di Progression-Free Survival (PFS) ed Overall Survival (OS) ottenuti con tali farmaci. La maggior parte dei pazienti affetti da mRCC ed arruolati negli studi clinici registrativi dei farmaci biologici era stata sottoposta ad intervento chirurgico. Nei pazienti con scarso performance status l’intervento chirurgico non migliora la sopravvivenza, come anche dimostrato nello studio registrativo di temsirolimus (farmaco approvato per i pazienti a cattiva prognosi). In questa sottopopolazione, è preferibile iniziare un trattamento sistemico e rinviare il timing dell’intervento chirurgico.
A tale proposito si attendono i risultati dei due studi di fase III, condotti con sunitinib e finalizzati alla valutazione della sopravvivenza globale (CARMENA trial – H. van Poppel, personal communication, ASCO G.U. 2010) e del timing ottimale (EORTC – registrato in ClinicalTrials.gov NCT01099423) dei diversi trattamenti, chirurgico e medico.
Sintesi e grado di raccomandazione
La nefrectomia citoriduttiva è a tutt’oggi raccomandata nei pazienti sottoposti a terapia con IFN- alfa e buon performance status (grado A)
La nefrectomia citoriduttiva è raccomandata per i pazienti a buona prognosi sottoposti a terapia biologica mentre è controindicata per i pazienti con scarso performance status (grado A)
Resezione delle metastasi
La completa rimozione delle lesioni secondarie può contribuire a migliorare la prognosi dei pazienti con carcinoma renale metastatico e la sopravvivenza migliore si è riscontrata nei pazienti con metastasi polmonari sottoposte a resezione [83] (livello di evidenza 2b).
Nei pazienti con metastasi polmonare singola resecata è stata riportata una sopravvivenza globale a 5 anni del 50% [84, 85].
In uno studio retrospettivo condotto su 129 pazienti in ripresa di malattia dopo nefrectomia è stato evidenziato il ruolo prognostico della metastasectomia: all’analisi multivariata la procedura è risultata associata ad una migliore sopravvivenza, soprattutto nei pazienti a basso rischio [86].
Diversi studi retrospettivi (livello di evidenza 3) condotti su pazienti con metastasi polmonari asincrone hanno confermato tale dato [87, 88].
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La metastasectomia è fattore prognostico di sopravvivenza anche nel caso di metastasi sincrone: in uno studio condotto su 99 pazienti trattati con citochine il gruppo di pazienti sottoposto a metastasectomia, anche se incompleta, aveva una sopravvivenza mediana migliore del gruppo non trattato chirurgicamente (27.2 vs 20.6 mesi – p=0.026) [89] (livello di evidenza 3).
A risultati simili è giunto uno studio condotto su 64 pazienti con carcinoma renale metastatico selezionati per sede metastatica solo polmonare e possibilità di ottenere un intervento curativo (R0): la sopravvivenza mediana era di 46.6 mesi vs 13.3 mesi per pazienti R0 vs non-R0; i pazienti con metastasi sincrone avevano, dopo metastasectomia, una prognosi significativamente peggiore di quelli con metastasi metacrone [85].
In relazione ai dati disponibili, la metastasectomia dovrebbe essere eseguita anche nei pazienti con metastasi sincrone, purchè selezionati (malattia resecabile completamente e buon PS).
Probabilmente la metastasectomia nel paziente con carcinoma renale metastatico, con l’utilizzo delle nuove terapie a bersaglio molecolare, acquisirà un ruolo sempre più importante nell’ integrazione dei trattamenti medico-chirugici. Il timing del trattamento chirurgico, già codificato in altre patologie neoplastiche, per il carcinoma renale è comunque ancora da definirsi.
Sintesi e grado di raccomandazione
I pazienti con metastasi completamente resecabili (sincrone o metacrone) dovrebbero eseguire la metastasectomia (grado B).
La metastasectomia può essere eseguita dopo una buona risposta alla terapia medica con l’obiettivo di raggiungere la radicalità chirurgica (R0) in pazienti con lesioni secondarie residue e resecabili (grado B).
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