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(2) ONCOLOGIA.
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(5) 16-10-2018 LETTORI 10.000 http://www.healthdesk.it/. QUALITÀ DI VITA. Non basta bloccare la crescita del tumore. Una nuova sfida per i farmaci anti-cancro La sopravvivenza libera da progressione è un indicatore chiave per valutare l'efficacia. Ma basta?. La capacità di congelare il tumore non si traduce sempre in un beneficio in termini di miglioramento della qualità di vita né di sopravvivenza globale. Forse è il momento di prendere in considerazione altri modi per valutare l'efficacia di un trattamento. Il tumore è sempre lì ma smette di crescere. In linguaggio medico si chiama sopravvivenza libera da progressione dell malattia ed è un indice di successo delle cure: i farmaci che nelle sperimentazioni cliniche ottengono questo risultato vengono considerati una preziosa risorsa per i pazienti. Ora però uno studio condotto da ricercatori della McMaster University di Hamilton, in Canada, e pubblicato su Jama Internal Medicine mette tutto in discussione. O comunque invita a guardare le cose da un'altra prospettiva: «Siamo sicuri che.
(6) bloccare la crescita del tumore si traduca in un miglioramento della qualità di vita per il paziente? E che sia proprio questo l'indicatore più corretto per misurare il valore di un farmaco?». «In passato, quando veniva sviluppato un farmaco, il parametro da valutare era la sopravvivenza globale, che corrisponde a quanto tempo il paziente vive», ha spiegato alla Reuters il coordinatore dello studio Feng Xie, professore di Economia Sanitaria alla McMaster. «Ora molti farmaci vengono approvati sulla base del beneficio in termini di sopravvivenza libera da progressione». O, comunque, questo indicatore è considerato molto importante nel processo di valutazione. Le ragioni per cui ciò avviene sono diverse. Di certo la capacità di "congelare" il cancro è un indice chiarissimo dell'effetto biologico del farmaco: un farmaco che non funziona non potrebbe bloccare la progressione della malattia. Inoltre, è un indicatore oggettivo, misurabile e verificabile con i comuni esami di controllo che esegue il paziente. In più, sostengono i ricercatori, l'uso della sopravvivenza libera da progressione all'interno dei trial clinici consente di ottenere risultati più velocemente in una sperimentazione. Il problema, però è che «non è chiaro se rallentare la progressione della malattia porti a un miglioramento della qualità di vita e se ciò si traduca o meno in beneficio in termini di sopravvivenza globale», sostengono i ricercartori. Per questo, il team di scienziati canadesi ha selezionato 38 sperimentazioni cliniche che coinvolgevano 14mila pazienti affetti da 12 tipi diversi di cancro. Questi studi, oltre a valutare la sopravvivenza libera da progressione, riportavano la qualità di vita dei pazienti (definita con l'indicatore HRQoL, vale a dire "qualità di vita correlata alla salute"). «Nei pazienti con cancro ci sono due cose importanti da tenere in considerazione quando si valuta una terapia», ha detto Xie. «Se questa sia in grado di aumentare la sopravvivenza e se è in grado di migliorare la qualità di vita, anche se non aumenta la sopravvivenza». Ebbene, dai risultati delle sperimentazioni analizzate non è emersa alcuna significativa associazione tra la sopravvivenza libera da progressione e la qualità di vita dei pazienti..
(7) «Non siamo riusciti a trovare un'associazione significativa tra sopravvivenza libera da progressione e HrQoL negli studi clinici sul cancro», scrivono i ricercatori nelle conclusioni. «Questi risultati sollevano domande riguardo all'assunzione che gli interventi che prolungano la sopravvivenza libera da progressione migliorino anche la qualità di vita in pazienti con cancro». Attenzione, però, avvertono i ricercatori. La critica non mette in discussione l'efficacia dei farmaci approvati (anche) sulla base della capacità di aumentare la progressione libera da malattia; nè a questo indicatore in sè. Indica invece la necessità di tener conto, nel processo di valutazione di un medicinale contro il cancro, di altre variabili che contano nella vita dei pazienti. In definitiva, della capacità della cura di mantenere un'accettabile qualità di vita. I problema, tuttavia, è che una definizione di buona qualità di vita è tutt'altro che semplice: «Qualcuno potrebbe valutarla in base alla riduzione del dolore, qualcun altro in base alla capacità di interagire socialmente o di poter ingoiare o di potersi alzare dal letto. Altri ancora potrebbero vederlo nella riduzione della stanchezza», ha detto alla Reuters Robert Ferris, direttore dell’Hillman Cancer Center dello University of Pittsburgh Medical Center. Rendere oggettivo e standardizzare questo indicatore è una difficoltà non da poco. Ma forse è giunto il momento per la Medicina di affrontare questa sfida..
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(176) 16-10-2018 . 645.645. https://www.lastampa.it/ . Influenza, ogni famiglia spende circa 250 euro per le cure I numeri della spesa presentati al XIX Congresso Nazionale di Pneumologia al Lido di Venezia. Ogni anno l’influenza e le sindromi parainfluenzali costano alle famiglie italiane 8,6 miliardi di euro e allo Stato 2,1 miliardi, per un totale di ben 10,7 miliardi. Questo significa che ogni famiglia spenderà di tasca propria 250 euro. Per antitosse, mucolitici, antinfiammatori e aerosol si spendono circa 27 euro l’anno, mentre per il vaccino antinfluenzale appena 2,40 euro. Ma ai farmaci va aggiunto l’assenteismo lavorativo di chi è costretto a letto per più giorni o deve accudire qualcuno. Il primo studio ad aver valutato le spese delle famiglie è stato presentato in occasione del XIX Congresso Nazionale di Pneumologia, in corso al Lido di Venezia. «Una spesa magari non percepita ma il cui impatto è notevole. Inoltre, si pensa le infezioni respiratorie siano banali. Non è affatto così» ammonisce Stefano Nardini, presidente della Società Italiana di Pneumologia. Nella scorsa stagione influenzale, sono stati 8 milioni e 677mila gli italiani colpiti. Anche i casi di decessi, 160, sono triplicati rispetto all’anno 2016-2017. Secondo il Ministero della Salute l’influenza e la polmonite sono classificate tra le prime 10 principali cause di morte in Italia..
(177) ECCO PERCHÉ VACCINARSI «I nostri dati mostrano innanzitutto che queste patologie riguardano circa il 60% della popolazione e sono molto frequenti: il 52% fa un episodio all’anno, ma il 44% ne fa da 2 a 3 all’anno, e circa il 4% più di 3: per una media di 1.8 episodi/anno» spiega Roberto Dal Negro, responsabile dello studio condotto su 1200 italiani e apparso su Respiratory Medicine e del Centro nazionale studi di farmacoeconomia e farmacoepidemiologia respiratoria (CESFAR) di Verona. I dati dello studio mostrano inoltre che un quarto dei soggetti intervistati afferma che spenderebbe di tasca propria oltre 20 euro per prevenire un episodio di influenza o una sindrome simil-influenzale, anche se, nel caso dell’influenza, la pratica della vaccinazione, pur a basso costo per la famiglia e per il SSN, risulta ancora sottoutilizzata. Di fatto, nonostante il 70% degli intervistati consideri essenziale la vaccinazione, solo il 14% si vaccina ogni anno e circa il 60% non lo ha mai fatto». ATTENZIONE AGLI ANZIANI Capitolo a parte, quello degli antibiotici. «Rimangono una terapia prescritta in modo inappropriato» spiega lo pneumologo Stefano Nardini,che aggiunge: «Tuttavia, è comprensibile l’atteggiamento di prudenza e cautela dei medici che decidono di prescriverli alla popolazione anziana. Se ho pochi elementi per perfezionare la diagnosi, infatti, in questi casi è preferibile non correre rischi nell’attesa ed essere tempestivi. La polmonite è una malattia molto seria, anche se troppo spesso sottovalutata». Inoltre, continua lo pneumologo, bisogna ricordare che «il virus apre la porta al batterio, quindi una volta guariti dall’influenza, si è comunque più esposti ad infezioni batteriche». LA PRATICA SUI TERRITORI Oltre alla lotta al fumo e alle gravi conseguente di una mancata cessazione in chi sviluppa una malattia respiratoria, tra i temi più caldi del congresso ci sono le pneumopatie interstiziali per le quali un tempo c’era davvero poco da fare e per le quali ora iniziano a comparire dei farmaci efficaci, e l’endoscopia interventistica, le cui soluzioni diagnostiche e terapeutiche mini invasive hanno sostituito pesanti interventi chirurgici. Infine, l’area intensivistica dove la pneumologia italiana non ha nulla da invidiare agli altri paesi. Su una cosa sta cercando però di recuperare il passo, sulla conoscenza della situazione del paese in relazione ai dati epidemiologi, utili ai clinici e al programmatore politico, e sulla verifica di come vengono applicate da parte dei medici sparsi sul territorio le linee guida della Società italiana di pneumologia. «Senza l’implementazione sono carta straccia» ammette il Presidente Stefano Nardini. «Credo che lavorare “sul territorio” sia una delle priorità della nostra Società». . .
(178) 16-10-2018 LETTORI 137.040 http://www.ansa.it. Smog: 266mila morti nel 2015 per esposizione a lungo termine Il dato riguarda Europa, Usa e Cina. (ANSA) - ROMA, 16 OTT - Sono poco più del numero degli abitanti di una città italiana come. Venezia (266.000) le morti premature in Europa, Stati Uniti d'America e Cina, attribuibili nel 2015 all'esposizione a lungo termine all'inquinamento da ozono. E' quanto si legge in un articolo pubblicato su Environmental Research Letters. "Esiste una forte evidenza epidemiologica e tossicologica che collega l'esposizione all'ozono ambientale a effetti avversi sulla salute - dice Karl Seltzer, della Duke University, autore principale dello studio -. Storicamente, gran parte della ricerca precedente si è concentrata sugli impatti a breve termine". I ricercatori hanno utilizzato i dati del 2015 provenienti da reti di monitoraggio a terra nelle tre aree per stimare l'esposizione a lungo termine all'ozono. Hanno quindi calcolato la mortalità prematura utilizzando due studi di prevenzione del cancro della American Cancer Society..
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(427) 16-10-2018 . LETTORI 1.606. http://www.doctor33.it/ . Al via Congresso chirurgia. Per la prima volta società scientifiche riunite Oltre trenta società scientifiche italiane, la più importante associazione chirurgica al mondo, l'American college of surgeons, più di 3.500 chirurghi da tutta Italia e dall'estero, 1.500 componenti della Faculty, 55 Aziende commerciali partecipanti e un'area espositiva di 5.000 mq, un Auditorium e 15 sale congressuali. Quattrocentocinquanta ore di relazioni, 600 comunicazioni, oltre 300 video che racconteranno lo spettacolo della sala operatoria e della tecnica chirurgica in tutte le sue declinazioni: avanzata, mininvasiva e robotica. Sono alcuni dei numeri del Congresso della chirurgia unita, organizzato dalla Società Italiana di Chirurgia, presieduta dal prof. Marco Montorsi, e dall'Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani, presieduta dal prof. Pierluigi Marini, che si tiene a Roma fino al 18 ottobre. «Questo Congresso è il primo grande passo di un processo inevitabile di fusione di tutto il sapere chirurgico italiano: insieme con una sola identità. In questi giorni a Roma si ritroveranno i principali esponenti della chirurgia italiana sia dal punto di vista scientifico che culturale. Per fare ciò, abbiamo prodotto uno sforzo significativo per livello di aggregazione culturale, per modalità, estensione e qualità delle presentazioni scientifiche, e per l'offerta delle aziende del settore presenti, visto anche il momento di estrema vivacità come quello attuale. Con l'unica grande consapevolezza che uniti si possano vincere le sfide che la società moderna di pone davanti: la chirurgia robotica, arginare la fuga delle eccellenze italiane all'estero, il ricambio generazionale». Lo dichiara il professor Marco Montorsi, presidente Sic, a margine della prima giornata di lavoro del Congresso della chirurgia unita a Roma. «Sic e Acoi - prosegue Montorsi - lavorano fianco a fianco per ripristinare un riallineamento societario. Numerosissimi gli esempi virtuosi di cooperazione tra le due società scientifiche, basti pensare per esempio alla formulazione delle linee guida richieste dalla Legge Gelli. Il nostro impegno comune consiste inoltre nella possibilità di rendere il sistema formativo italiano competitivo rispetto ai modelli europei e internazionali che, potendo assicurare al medico una migliore prospettiva professionale, rischiano di compromettere l'investimento pubblico in formazione, alimentando il flusso in uscita di medici laureato e aggravando la carenza di personale medico in Italia. Uniti potremmo anche raggiungere l'obiettivo principe di una società scientifica: eliminare le disparità regionali, tra i mali più rilevanti del Paese. Insomma, società scientifiche riunite che mettano a fattor comune le rispettive esperienze in un'ottica di costante miglioramento professionale e scientifico»..
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