• Non ci sono risultati.

“L’ITALIADEGLI STATI UNITI” CHIAMA, DON RUARISPONDE AMERICA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "“L’ITALIADEGLI STATI UNITI” CHIAMA, DON RUARISPONDE AMERICA"

Copied!
19
0
0

Testo completo

(1)

“L’ITALIA DEGLI STATI UNITI” CHIAMA, DON RUA RISPONDE Francesco Motto*

Al momento in cui l’opera salesiana negli Stati Uniti ebbe inizio nel marzo 1897 con l’arrivo di un drappello di quattro salesiani a San Francisco in Califor- nia, chiamati dall’arcivescovo mons. William Patrick Riordan per provvedere al- la cura pastorale degli immigrati italiani sparsi della città, erano già trascorsi ben 27 anni dalla prima proposta pervenuta a don Bosco di una fondazione salesia- na da parte di un vescovo di una diocesi americana ed altre erano pervenute successivamente sia a lui che al suo successore1.

La risonanza nazionale ed anche internazionale del nome di salesiani, la no- tevole “entratura” di don Bosco in alcuni ambienti vaticani, le conoscenze che aveva avviato durante il Concilio Vaticano I°, la sua nota sollecitudine per le missioni fra gli indigeni e gli emigrati italiani, la “propaganda” dei loro esiti po- sitivi effettuata attraverso il “Bollettino Salesiano”, furono di certo all’origine delle richieste che pervennero ai superiori salesiani di Torino di fondare opere negli Stati Uniti. Esse aumentarono notevolmente durante il rettorato di don Rua (1888-1910) in conseguenza del rifiorire delle missioni cattoliche in genere all’epoca e dell’attenzione ai problemi della pastorale degli emigranti, che si eb- be negli Stati Uniti dal terzo Concilio di Baltimora (1884) in poi sulla spinta della “grande emigrazione”.

1. La richiesta per San Francisco e la rapida conclusione delle trattative (1895-1897)2

Nel corso del 1893 l’arcivescovo di San Francisco, mons. Patrick Riordan aveva affidato al padre gesuita Giuseppe Sasia – ex allievo dell’Oratorio di Val-

*Salesiano, direttore dell’Istituto Storico Salesiano.

1 Cf Francesco MOTTO, I precedenti della missione salesiana fra gli immigrati italiani ne- gli Stati Uniti (1868-1896), in RSS 52 (2008) 347-367.

2 Presento qui una rapidissima sintesi della prima parte di un ampio studio in corso di stampa. In attesa di esso, un bel volume commemorativo dei 100 anni della fondazio- ne della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo è quello di Alessandro BACCARI – Vincenza SCAR-

PACI – Gabriel ZAVATTARO, Saints Peter & Paul Church. The Chronicles of “The Italian Cathedral” of the West 1884-1984. San Francisco, Saints Peter and Paul Church 1985. Ar- ticoli scientifici sul nostro soggetto sono invece quelli di Michael RIBOTTA, Discovering

(2)

docco ed ex superiore dei Gesuiti dell’Oregon e della California che rientrava in Italia – l’incarico di cercare un istituto missionario disponibile ad impegnarsi nell’assistenza di alcune migliaia di connazionali, assumendosi la responsabilità della parrocchia italiana di North Beach. Padre Sasia, due anni dopo il suo rien- tro a Torino, comunicò all’arcivescovo la disponibilità di don Rua ad inviare l’anno successivo a San Francisco due o tre missionari. Nella stessa lettera indi- cava come la persona autorizzata a fare un sopralluogo in città era don Angelo Piccono, direttore in Messico3.

Questi, nella sua visita in giugno 1896 rimase incantato del luogo e soddi- sfatto della bella e capace chiesa di legno dedicata ai SS. Pietro e Paolo. Dopo due colloqui con l’arcivescovo comunicò a don Rua il suo parere estremamente favorevole ad una fondazione salesiana4. Si permetteva anche di suggerire imme- diatamente il nome del possibile pioniere: il suo collega del Messico, don Raf- faele Piperni. E concludeva:

“Dunque, sig. D. Rua, accetti e non se ne troverà pentito. Spicchi l’ordine a D. Pi- perni e gli mandi in aiuto due preti, un chierico e due coadiutori, che siano qui pel capo d’anno. Non si lasci scappar quest’occasione, ottiene a mio parere, di propa- gar la nostra Pia Società negli Stati Uniti, il gran paese dell’avvenire, tanto più che anche i Gesuiti che son qui fin dalla scoperta della California dicono tutti che i sa- lesiani faranno qui un bene immenso”.

Del medesimo parere era mons. Riordan che lo stesso 2 luglio 1896 avanza- va una formale proposta a don Rua, precisandone però le due condizioni, la pri- ma delle quali, riguardante i destinatari, avrebbe avuto enormi conseguenze per il futuro dei salesiani negli Stati Uniti. Era la seguente:

“È inteso però che l’opera dei salesiani sarà fra gli italiani della città e diocesi e che si dedicheranno esclusivamente agli italiani e non alle altre nazionalità della città.

Produrrebbe una confusione senza fine, se i salesiani fossero solleciti di occuparsi di altra gente oltre agli italiani, i quali sono assai numerosi per occupare tutto il loro tempo e il loro zelo”5.

America: Father Raphael Piperni and the First Salesian Missionaries in North America, in

“Journal of Salesian Studies”, vol. V (spring 1994) n. 1, pp. 1-33 e di Arthur LENTI, The Founding and Early Expansion of the Salesian Work in the San Francisco Area from Archival Documents, in “Journal of Salesian Studies”, vol. VII (fall 1996) n. 2, pp. 1-53, e vol.

VIII (spring 1997) n. 1, pp. 21-90.

3 ASUO D 1/2:2, copia della lett. Sasia – Riordan, 22 ottobre 1895.

4 ASC A4430228, lett. Piccono – Rua, 2 luglio 1896.

5 ASC F548 Case salesiane, S. Francisco, traduzione in ASUO D1/1:2. Le condizioni poste – analoghe più o meno a quelle poste dagli altri vescovi nordamericani con cui i sale- siani stipularono intese – avrebbero inciso pesantemente nel futuro dell’Opera salesiana negli Stati Uniti, in quanto nel momento in cui la comunità italiana di seconda generazio- ne si fosse dispersa in città e le frontiere americane si fossero praticamente chiuse per altri immigrati italiani, lo spazio per l’azione salesiana si sarebbe ridotto praticamente a nulla.

(3)

La seconda condizione, meno impegnativa e parzialmente subito non osser- vata, era quella che “i salesiani che vengono qui siano italiani, non inglesi od ir- landesi che parlano l’Italiano”. L’arcivescovo assicurava l’anticipo delle spese del viaggio e chiedeva una risposta in tempi rapidi. Così avvenne in effetti, se il 23 luglio 1896 don Rua fece rispondere che per la fine dell’anno o per i primi del 1897 avrebbe mandato tre sacerdoti, un chierico e due laici6.

Non può qui non sorprendere la tempestività nell’accettare la conduzione della parrocchia di San Francisco, se si considera che per un’analoga fondazione di New York l’attesa fu di ben 15 anni7. Nella decisione dovettero forse avere il loro peso le notizie circa le condizioni climatiche della città, la presenza di ge- suiti piemontesi favorevoli all’opera salesiana, l’essere chiamati ad ufficiare l’uni- ca parrocchia per tutti gli italiani della cittadina8, diversamente da New York.

Non dovettero incidere invece né la questione dell’origine nordica degli italiani, visto che le informazioni in loro possesso erano esattamente opposte (quasi tutti meridionali) né il superiore costo del viaggio, dato che se lo assumeva totalmen- te l’arcivescovo.

A strettissimo giro di posta mons. Riordan ringraziava dell’accettazione, rac- comandava che uno dei due sacerdoti inviati fosse “un ottimo predicatore, per- ché la gente era attratta da un eloquente espositore della dottrina cristiana”, pre- cisava i due possibili modi di viaggiare e coglieva di nuovo l’occasione per riba- dire come fosse necessario accordarsi anticipatamente su che cosa i missionari salesiani avrebbero dovuto fare ed evitare:

“È consigliabile che prima di prendere l’incarico della parrocchia italiana della città voi abbiate perfettamente capito ciò che i Padri devono fare e ciò che devo- no astenersi dal fare. Non posso permettere che i salesiani abbiano alcunché da fare colle parrocchie inglesi della città. Splendidi risultati conseguirà il lavoro dei Padri se confineranno se stessi alla porzione di vigna che sarà affidata alla loro cura. Se s’immischiano negli affari delle parrocchie d’altri fastidi e dispiaceri ne seguirebbero”9.

L’arcivescovo lasciava comunque ai salesiani il compito di stilare la conven- zione. L’abbozzo di essa, redatto da don Barberis e corretto da don Rua, indica- va che l’arcivescovo offriva ai salesiani la parrocchia degli Italiani residenti in San Francisco, che provvedeva alle spese del viaggio e alle prime indispensabili provviste, che i salesiani si sarebbero limitati ad esercitare il sacro ministero in favore degli Italiani nella suddetta parrocchia etnica (non dunque territoriale) e che il loro drappello, composto da quattro persone, sarebbe partito in dicembre.

Il documento non mancava però di precisare che appena possibile si sarebbe aperto un

6 Lettera non recuperata, ma documentata in quella succitata del 2 luglio 1896.

7Vedi il contributo di M. Mendl in questi stessi Atti.

8Vedi la tabella n. 1 a fine testo.

9 ASC F548 Case salesiane, S. Francisco, lett. Riordan – Rua, 10 agosto 1896.

(4)

“Oratorio festivo, scuole diurne e serali e poi anche ospizio e scuole di Arti e me- stieri specialmente pei giovanetti abbandonati. La convenzione sarebbe stata perpe- tua, salvo fossero sopraggiunti motivi gravi che ne richiedessero una revisione di comune accordo”10.

La risposta dell’arcivescovo non si fece attendere. Il 23 novembre scriveva che era sufficientemente soddisfatto della forma della convenzione, a patto che le relazioni della parrocchia con l’arcivescovo fossero regolate dalla costituzione Romanos Pontifices di papa Leone XIII adottata da tutte le comunità religiose d’America cui erano affidate parrocchie11. Il 5 dicembre poi inviava 100 dollari per le spese e per tutti i biglietti, sia della nave (due di prima classe e due di se- conda classe) che del treno (tutti di prima classe) con tutte le informazioni utili per le previste soste in New York e in Chicago12.

Mentre ancora erano in corso queste trattative, don Rua col consenso del Capitolo superiore accoglieva il suggerimento di don Piccono circa la nomina del capo spedizione nella persona di don Piperni, cui l’8 settembre scriveva a Puebla di rientrare a Torino, per poi ripartire subito alla volta della California13.

2. La scelta del pioniere e dei suoi compagni

Nell’affidare a don Piperni la fondazione dell’opera salesiana in California, don Rua dovette contare sulla sua matura esperienza missionaria, sulla ricono- sciuta passione apostolica e su alcune sue doti che don Piccono aveva ben rileva- to: parlava correntemente francese ed inglese, era un instancabile predicatore, convincente e capace di trovare fondi, aveva abilità oratoria come chiesto dal- l’arcivescovo14.

Don Raffaele Piperni era nato a Casacalenda (Campobasso) nel 1842. Sacer- dote dal 1867, nel 1874 era partito per la Palestina, destinato a lavorare nell’orfa- notrofio maschile di Betlemme, fondato e diretto, con altre opere della “Sacra Fa- miglia”, da don Antonio Belloni (1832-1903). Onde raccogliere aiuti economici per le necessità locali, però dal gennaio del 1875 all’ottobre 1876 aveva predicato in Francia, Inghilterra e Irlanda. Aveva poi fatto altrettanto dal febbraio 1877 al 1890 percorrendo Francia, Belgio, Inghilterra, Irlanda e successivamente Canadà,

10 Ibid., Abbozzo di convenzione e traduzione; aut. di don Rua sulla lett. Riordan-Rua del 15 settembre 1896. L’oratorio, in stile americano, verrà effettivamente aperto subito, come pure le scuole serali, per giovani-adulti, anche se queste poi vennero interrotte per una decina di anni dopo il terremoto; le scuole diurne furono aperte solo nel 1925 e l’o- spizio di arti e mestieri rimase solo un sogno mai realizzato a San Francisco.

11ASC F548 Case salesiane, S. Francisco, lett. Riordan – Rua, 23 novembre 1896.

12ASUO D 1/2:2: Raffaele Maria PIPERNI, Cenni autobiografici, copia dattiloscritta.

13Ibid.

14Lo studio più recente su don Piperni è quello di P. CORSI, L’ambasciatore di don Bosco.

Raffaele Maria Piperni. (Quaderni sull’emigrazione diretti da N. Lombardi). Isernia, Co- smo Iannone Editore 2004.

(5)

Stati Uniti e, per molti anni, il Messico. Durante la sua lunga assenza l’“Opera della Sacra Famiglia” si era sviluppata al punto che il personale era insufficiente al- la loro gestione e pertanto nel 1890 si era fusa con la congregazione salesiana, la- sciando ai membri la libertà di farsi salesiani o di scegliere diversamente.

Don Piperni dalla terra santa rientrò in Italia nel febbraio 1892 e dopo tre mesi di “noviziato”, a 50 anni fece la professione religiosa nelle mani di don Rua.

Otto giorni dopo, il 16 ottobre 1892, lo stesso rettor maggiore lo inviava in Mes- sico come guida del primo drappello di missionari capitanati da don Angelo Pic- cono. Don Piperni collaborò con lui alla fondazione della casa di Santa Julia, ma nel giugno 1893 rientrò in Italia, per ripartire però a fine anno come capo della seconda spedizione missionaria in Messico, dove nel febbraio 1894 don Piccono lo delegò per la fondazione del nuovo collegio di arte e mestieri a Puebla, non lontano dalla capitale. Ma mentre le costruzioni proseguivano con grandi debiti da saldare, nell’ottobre 1896 lo raggiunse la richiesta di don Rua di rientrare in Italia per ripartire alla volta di San Francisco, come parroco della chiesa degli Ita- liani della città, assieme a tre compagni: don Valentino Cassini (1851-1922), sa- lesiano dal 1871, sacerdote dal 1875 e già membro della prima spedizione mis- sionaria in Argentina, il chierico bergamasco Giuseppe Oreni, all’epoca seminari- sta a Valsalice e il coadiutore polacco Nicola Imielinski (1873-1948), che aveva fatto la sua professione religiosa sei mesi prima. Avrebbe fatto da cuoco e sacrista.

3. Un mese di viaggio (14 febbraio-12 marzo)

Con in tasca una lettera personale di don Rua15, salparono da Genova il 14 febbraio 1897 e giunsero a New York il 2 marzo. Accolti da un inviato di mons.

Riordan passarono due giorni in città, in attesa di partire in treno alla volta di Chicago, dove poi si fermarono altri due giorni. Ripresero il treno ed il 12 mar- zo arrivarono a San Francisco. Colà avrebbero dovuto, come aveva scritto papa Leone XIII nella lettera agli Americani Quam Aerumnosa

“confortare i loro conterranei con la lingua conosciuta, insegnare la dottrina della fede e i precetti di vita cristiana ignorati o dimenticati, esercitare presso di loro il salutare ministero dei sacramenti, educare i figli a crescere nella religione e in senti- menti di umanità, giovare infine a tutti, di qualunque grado, con la parola e con l’azione, assistere tutti secondo i doveri della missione sacerdotale”16.

4. L’insediamento (marzo-dicembre 1897)

Il giorno seguente il loro arrivo visitarono l’arcivescovo, che conferì loro im- mediatamente tutte le facoltà parrocchiali, perché di qua [dell’Atlantico] il tem- po è denaro. Altrettanto fece il parroco don Raffaele De Carolis, il quale dopo

15Cf ASUO D 1/2:2. R. PIPERNI, Cenni autobiografici...

16In data 10 dicembre 1888.

(6)

tre giorni rientrava in Italia. “Una volta installati” – scriveva don Piperni a po- chi giorni dall’arrivo a don Rua – senza che nessuno ci presentasse agli italiani,

“cominciammo il nostro ministero, predicando e annunziando per la domenica seguente una missione di una settimana”17. L’intensa predicazione cadde tutta sulle spalle del parroco don Piperni, dal momento che doveva essere fatta in in- glese, lingua non parlata dal viceparroco don Cassini. I risultati dovettero essere positivi se il 25 marzo don Piperni scriveva a Torino all’ispettore don Giuseppe Lazzero: “La missione è frequentata assai, specie la sera: da quanto ci riferisco- no, abbiamo trovato già grazia presso gl’italiani; Deo gratias”18.

Benché nella prima lettera di don Piperni al rettor maggiore avesse comuni- cato la sua preoccupazione per il debito di dodici mila dollari che gravava sulla chiesa, tuttavia a consolazione dei salesiani vi era la presenza fra i parrocchiani di molti ex allievi e soprattutto il fatto che alla domenica si erano presentati 500 ragazzi per la messa festiva e per il catechismo, la cosiddetta Sunday School.

Immediatamente i salesiani si posero a progettare: la prima domenica aveva- no già pensato alla possibilità di appianare la striscia di terreno accanto alla chiesa per adibirlo all’Oratorio; la domenica seguente sognavano un collegio di

“arte e mestieri”:

“Se vedesse lei quanta ragazzaglia italiana vaga per le strade della colonia! Oh! Se potessimo metter su un collegio con laboratori per l’anno futuro! Qui non ne han- no idea e guadagneremmo tanta simpatia in città e fuori”19.

Il 25 marzo scrivevano che avevano “già presentato a vari il progetto di un collegio e piacque grandemente”, per cui necessitavano di personale per il 189820. Bisognerà però attendere il 22 agosto per trovare un accenno diretto alle ra- gazze, che don Cassini indicava come “più libertine” dei ragazzi. Don Rua gli ri- spondeva che se era necessario mandare Figlie di Maria Ausiliatrice ad aiutare, esse, d’accordo con l’arcivescovo, sarebbero venute volentieri a lavorare in favore delle ragazze “più disperatelle”21.

Ma le “sorprese” del primo impatto non furono poche per la piccola comu- nità salesiana. Anzitutto l’indispensabilità della conoscenza della lingua inglese.

Solo gli adulti parlavano l’italiano e i dialetti, soprattutto il ligure, il toscano e il siciliano. In secondo luogo la novità del clima, che don Piperni definiva pessi- mo, freddo, sempre cangiante, come lui del resto lo aveva conosciuto 20 anni prima. In terzo luogo la grave emarginazione socio-religiosa in cui viveva quella che da decenni si autodefiniva la “colonia italiana modello”. A tre soli giorni dall’arrivo il parroco scriveva a don Rua:

17ASC A4430252, lett. Piperni – Rua, 15 marzo 1897.

18ASC F548 Case salesiane, S. Francisco, lett. Piperni – Lazzero, [25] marzo 1997.

19Ibid., lett. Piperni – Lazzero, 21 marzo 1897.

20Ibid., 25 marzo 1897.

21ASC A4490856, lett. Rua – Cassini, 18 settembre 1897.

(7)

“Gli italiani sono così in bassa stima presso tutti, che i buoni arrossiscono chiamar- si italiani. Il nome italiano è nome di spregio: le accusazioni fatte contro di loro so- no di essere incivili e senza nessuna religione, bestemmiatori e irrispettosi. I buoni ne soffrono assaissimo; per gloria di Dio sono non pochi”22.

La settimana dopo notava che la responsabilità degli Italiani di essere “mal visti, disprezzati” era dovuta al fatto che erano

“gente di cento sette secrete, senza educazione neppure civile: sono proprio gente disprezzata […] ci fa vergogna chiamarci italiani [...] il nome che qui si dà agli ita- liani è di ‘briganti’ pubblicamente nei giornali. A questo contribuiscono i giornali italiani atei e framassonici che solo qui sono in numero di 4 giornalieri”23.

Erano le prime impressioni, sulla base di meno di due settimane di presenza fra gli Italiani del quartiere di North Beach, ma indubbiamente don Piperni metteva il dito sulla piaga, una piaga quella del campanilismo, dell’anticlericali- smo, della stampa ostile che la parrocchia etnica avrebbe impiegato decenni a cercare di guarire. Vi si aggiunga che la simpatia per gli Italiani non era molto alta anche fra il clero locale,

“altamente superbo, e che vuol far credere che non c’è clero come l’irlandese, né popolo così credente come il loro. Clero e popolo irlandese odiano il popolo italia- no in queste terre: senza dubbio il nostro popolo tiene le colpe, perché nemico del Papa e lo bestemmia ad ogni momento, e perché popolo bestemmiatore, peccato odiato qui anche dai fanatici Mormoni”24.

Comunque la prima cosa da fare era quello di raccogliere in chiesa gli abi- tanti della colonia e non avendo altro mezzo a disposizione don Piperni non esi- tò a servirsi del quotidiano “L’Italia”, benché dovesse essere compreso fra quelli

“atei e frammassonici” succitati.

Pure per affrontare il problema economico don Piperni organizzò il 3 otto- bre un incontro che il giornale annunciò nei seguenti termini: “Sono invitati ad assistervi quanti hanno in petto cuore italiano e amore per la gloria di Dio e per l’onore della nostra Madre Patria, centro e maestra di religione alle genti”. Ven- nero un centinaio di connazionali. Due giorni dopo il giornale, fatto il resocon- to della seduta in cui il parroco aveva detto che le offerte raccolte erano appena sufficienti per pagare le spese vive e gli interessi del debito, si comunicò che era stata stabilita una commissione ad hoc per procedere a collette e che la lista dei sottoscrittori sarebbe stata resa periodicamente di pubblico dominio dal quoti- diano. Inoltre si lanciò l’appello agli Italiani di celebrare battesimi e matrimoni nella chiesa italiana, in quanto era “mancanza di carità e anche ingiustizia” spo-

22ASC A4330252, lett. Piperni – Lazzero, 15 marzo 1897.

23ASC F548 Case salesiane, S. Francisco, lett. Piperni – Lazzero, 21 marzo 1897.

24Ibid., lett. Piperni – Barberis, 18 dicembre 1897.

(8)

sarsi e battezzare i figli in altre chiese, perché la dovuta offerta sarebbe andata solo per i bisogni personali dei sacerdoti del luogo, e non per i bisogni e i debiti della Chiesa italiana. E l’ingiustizia era maggiore in quanto ai salesiani, che pre- stavano gratuitamente i loro servizi religiosi giorno e notte alla colonia italiana dispersa in punti anche lontani della città, sarebbe mancato il necessario. Sul- l’argomento, dietro sollecitazione di don Piperni, era intervenuto anche l’arcive- scovo che aveva dato disposizioni agli altri parroci che gli Italiani ricevessero i sacramenti alla chiesa italiana e non altrove.

5. Don Piperni e il “problema italiano”

Ma gli strali più feroci un po’ contro tutti per l’abbandono religioso tra gli emigrati negli Stati Uniti, don Piperni li avrebbe lanciati cinque mesi dopo l’ar- rivo in città, il giorno dell’Assunta. Una visione drammatica del “problema ita- liano” in America la sua – e pensare che ancora non aveva fatto la durissima esperienza di dover chiedere aiuti economici per la chiesa ad Italiani che non ne volevano affatto dare – che non si allontanava però di molto da quello noto.

Nella lettera a don Rua, che sarebbe poi stata pubblicata con correzioni sul

“Bollettino salesiano” del novembre successivo, esordiva dicendo che, più che rallegrarsi delle conversioni dei protestanti d’America dal protestantesimo alla Chiesa Cattolica, si doveva piangere perché le maggiori perdite di questa erano

“nelle colonie degl’immigrati italiani”. A suo giudizio, la metà degli Italiani arri- vati in America avevano perduto la fede cristiana, i 4/5 dei nati in America negli ultimi 30 anni e una terza o quarta parte dei figli, anche assai adulti, non erano battezzati. Solo 2 mila dei 15 mila italiani di San Francisco e dintorni frequen- tavano la chiesa, mentre gli altri faceva “paura udirli vomitare eresie e bestem- mie contro la fede, contro la Chiesa, contro il Papa e Sacerdoti, nelle strade, nel- le cantine, nelle stesse loro famiglie in presenza dei figli”. Sempre a suo giudizio le cause principali erano l’ignoranza religiosa, la stampa locale che non faceva che riportare cronaca nera italiana ed “ingiurie e satire contro Dio, religione e chiesa”, la mescolanza con i protestanti che gli Italiani, “ignoranti” come erano, avevano “la smania di imitare in tutto”, il grande numero delle logge massoni- che che circuivano gli sprovveduti immigrati, promettendo lavoro e protezione, le scuole dove non s’insegnava la religione – cui poi neppure le famiglie erano in grado di sopperire – ed infine la propaganda protestante contro i sacerdoti, il papa, i sacramenti, magari sostenuta da preti apostati. Le conseguenze erano che la colonia italiana si distingueva per l’incredulità, l’ateismo, l’odio contro la reli- gione cattolica e gli Italiani erano continuamente canzonati:

“«Mi hai preso per un italiano, perché io mangi carne al venerdì?» dice uno. «Mi hai preso per un italiano, perché bestemmi e odii il mio Creatore» dice un altro.

«Credi tu che io sia un italiano, ché io lasci di andare a messa?». «Credi tu che sia io assassino italiano, assassini di Re, Presidenti, Ministri...?». «Come è possi- bile che sia di nazione italiana il Papa...?», diceva un giorno un cattolico irlan- dese”.

(9)

Il quadro, nella sua probabile esagerazione, era comunque indicativo di una situazione religiosa grave e lo sarebbe stato per almeno due decenni. Dello stesso parere era anche don Cassini, cui don Rua rispose confortandolo nei seguenti termini:

“Gli italiani sono molto disprezzati all’estero, avranno certo i loro torti, ma in fatto di delinquenza sono in miglior condizione che le altre nazioni, hanno biso- gno di educazione religiosa e con essa potranno preservarsi dall’eresia e dalla cor- ruzione”25.

Ad inizio ottobre, a commento di una notizia da giornali circa un congresso degli Italiani all’estero don Piperni annotava amaramente per l’ispettore don Lazzero:

“qui è affar serio: generalmente gli emigrati sono i nove decimi gente cattiva, non importa il sesso. La loro irreligione ostinata, il loro odio al Papa, la loro bestemmia li fa ripugnanti in questi luoghi, sono odiati. I furbi cambiano nome o lo america- nizzano per non essere odiosi”26.

6. Pastorale emigratoria

Dato l’obiettivo del nostro intervento, non si tratta di presentare la storia della parrocchia dei SS. Pietro e Paolo nel periodo qui considerato, e valutarne l’impatto. Quello che si deve però subito dire è che non ci fu per i missionari al- cuna preparazione particolare né linguistica, né culturale, né teologica (ecclesio- logica) per affrontare un’esperienza che si presentava come inedita. Se infatti da oltre 20 anni i salesiani lavoravano con gli emigrati italiani in alcuni paesi lati- no-americani, quella di San Francisco era la prima spedizione negli Stati Uniti, un paese che era indubbiamente diverso dagli altri, e dunque avrebbe richiesto una specifica preparazione.

Comunque una volta insediatisi nella Little Italy di San Francisco i salesiani si preoccuparono subito d’intensificare le attività già avviate dai loro predecesso- ri, cercando salesianamente di rispondere in modo adeguato alla massa dei bam- bini, dei ragazzi e dei giovani nati sulla costa del Pacifico27.

La loro pastorale, con il pieno appoggio di don Rua e dei membri del Consi- glio superiore, si incanalò secondo i classici canoni tridentini della cura anima- rum: la catechesi (domenicale, presacramentaria, stagionale), le celebrazioni li- turgiche e sacramentali (feriali, domenicali, mensili ed annuali28), l’ampliamen- to degli spazi usufruibili a costo di cospicui debiti (acquisto terreni, costruzione

25ASC A4490856, lett. Rua – Cassini, 18 settembre 1897.

26ASC B5360350, lett. Piperni – Lazzero, 6 ottobre 1897.

27Alleghiamo una tabella riassuntiva a fine testo.

28Le tabelle 2 e 3 a fine testo riportano i dati dei battesimi e matrimoni celebrati nelle due parrocchie salesiane di San Francisco.

(10)

ed arredamento di cripta, chiesa, sale di catechesi, aule, cortili), associazionismo maschile e femminile (adulto e giovanile), a doppia finalità (spirituale o di mu- tuo soccorso), scuola di inglese e di americanizzazione per giovani-adulti, coin- volgimento del maggior numero di immigrati, specialmente dei prominents della colonia, lotta all’anticlericalismo aggressivo dei giornali e ai protestanti.

In tal modo la chiesa etnica dava a tutti gli immigrati italiani la possibilità di frequentare e vivere i riti della propria fede cattolica, celebrati nella propria lin- gua, da un parroco italiano, in una chiesa dal sapore italiano. Permetteva loro di sentirsi “a casa” nonostante la distanza geografica e ancor più culturale dal paese di origine. Per i loro figli, oltre alla scontata americanizzazione per nascita e per studi, essa apriva la splendida possibilità di frequentare la medesima chiesa con educatori bilingue e con associazioni ed iniziative italo-americane.

Alla prova dei fatti, a fronte del timore di completo fallimento religioso che sconsigliava chiunque a recarsi in America per non perdere la fede, in San Fran- cisco la lenta acquisizione dei costumi americani da parte degli immigrati italia- ni ed anche il relativo loro successo economico non andò a detrimento della lo- ro fede proprio grazie all’azione della chiesa etnica. Non solo. La “comunità”

che si venne a costruire con immensa fatica attorno alla chiesa italiana fu l’op- portuno ed adeguato contenitore di una notevole massa di italiani, che vivendo la propria fede cattolica non si estraniarono dalla vita né dei connazionali né della città ospitante e, soprattutto nei suoi elementi migliori, non abdicarono al- le responsabilità morali, sociali e professionali di un laicato anche ecclesialmente impegnato.

L’arcivescovo irlandese fu sempre rispettoso dell’iniziative apostoliche della chiesa italiana, anche se fu esigente circa la rendicontazione economica che la parrocchia doveva presentare annualmente alla curia e talora non si peritò di in- terferire nella gestione del personale salesiano. Due gli episodi significativi nel periodo del rettorato di don Rua.

Ad inizio dicembre 1903 arrivò in parrocchia l’irlandese don Thomas Joseph Deehan in sostituzione di don Cassini che aveva lasciato San Francisco nel mar- zo precedente. All’arcivescovo bastarono pochi giorni per convincersi che il nuovo arrivato non era adatto ad operare validamente nella “importante missio- ne” fra gli Italiani della città. Pertanto già a metà dicembre scriveva al rettor maggiore che, dopo essersi consultato con alcuni salesiani, riteneva che fosse meglio che don Deehan fosse mandato altrove. A San Francisco egli non avreb- be infatti potuto far altro che celebrare la S. Messa, in quanto non conosceva l’i- taliano sufficientemente da farsi capire dalla crescente popolazione che parlava l’italiano e neppure parlava un inglese comprensibile dai ragazzi29. L’ispettore don Borghino, su invito di don Rua, accolse la richiesta e nel luglio seguente trasferì don Deehan a New York, da dove però sarebbe ritornato a San Francisco nel settembre 1911, rimanendovi fino al 1923 e poi ancora successivamente.

29ASC A4440155, lett. Riordan – Rua, 16 dicembre 1903.

(11)

Nel 1907 poi lo stesso arcivescovo, allarmato per la notizia di una rimozione del salesiano irlandese don Bernard Redahan, apprezzatissimo ed attivissimo motore dal 1898 della vita associativa, ricreativa e religiosa della gioventù italia- na, ne scrisse in febbraio a don Rua, che però a fine maggio smentì la notizia30. Evidentemente l’arcivescovo vedeva l’importanza di quella presenza per il conte- sto giovanile del quartiere31.

7. Don Rua e le mai accolte dimissioni di don Piperni

Il direttore-parroco don Piperni per età e salute presto non si sentì all’altezza della difficile situazione in cui si trovava ad operare. Aveva problemi per un ser- vizio pastorale che richiedeva sacerdoti in piena salute ed oltremodo attivi e an- che con la piccola comunità salesiana dove non mancavano tensioni. Di conse- guenza non passò anno, ad iniziare dal 1898, senza che chiedesse direttamente o indirettamente al rettor maggiore o all’ispettore di essere sostituito.

Varie lettere infatti del 1898 rivolte al diretto superiore don Lazzero sono in- trise di lamentele: nel giugno chiedeva preghiere per la sua incapacità di fare be- ne il suo compito di parroco; in luglio, stanco per aver predicato tre mesi di se- guito, chiedeva collaboratori di lingua italiana; in agosto avanzava la richiesta di dispensa dal lungo digiuno domenicale per motivi di salute e chiedeva l’invio di un giovane sacerdote per i ragazzi; in ottobre ribadiva la durezza del lavoro pa- storale fra gli Italiani ostili alla chiesa32.

Non molto diverse erano le lettere del 1899: il 10 maggio faceva rilevare al- l’ispettore le sue cattive condizioni fisiche; il 30 giugno gli scriveva nuovamente che era un nemico se non lo faceva sostituire; il 31 agosto che era tempo che pure lui entrasse nella serie di cambi di comunità previsti per il nuovo anno; il 30 settembre che era contento della notizia giuntagli di tale trasferimento prima della fine del secolo ed il 2 dicembre che si offriva di nuovo come correttore di bozze in qualche tipografia33.

Nel marzo del 1900 gli ribadiva la sua difficoltà a svolgere bene il suo dupli- ce ruolo di superiore e parroco e chiedeva di essere mandato a lavorare come semplice prete fra gli italiani di Oakland, dove la predicazione richiesta era me- no esigente; in maggio sollecitava nuovamente personale giovane per l’assistenza spirituale di vari gruppi parrocchiali ed in dicembre comunicava che era ancora in paziente attesa del suo sostituto34.

Rassegnava ancora una volta le sue dimissioni direttamente a don Rua il 20 febbraio 1901 sulla base dei soliti motivi personali, pastorali e comunitari e lo

30ASUO D 1/2:2, lett. Rua – Riordan, 29 maggio 1907, in francese.

31 Ma nel 1914, nonostante pressioni dell’arcivescovo e di molti notabili della città, venne trasferito all’altra piccola parrocchia della città.

32ASC B5360346,/47/50, lett. Piperni – Lazzero.

33ASC B5360356/57/59/60/62, lett. Piperni – Lazzero.

34ASC B5360367/68/70/75, lett. Piperni – Lazzero.

(12)

pregava di mandarlo come semplice viceparroco ad Oakland dove vi era necessi- tà di un altro sacerdote35. Non ottenendo risultato alcuno, gliene faceva ulterio- re memoria nell’ottobre successivo ricordandogli che era necessario un “sacerdo- te attivo, intelligente, energico [...] dotato di grande prudenza per poter convi- vere con don Redahan, favolosamente suscettibile, per un pelo, una mosca”36.

Visto inutile anche questo ulteriore tentativo, sperò in un altro, magari fatto di persona nel 1902, in vista anche di trattare con i superiori di Torino “il modo e necessità di sviluppare questa nostra missione, e renderla un poco Salesiana.

Me lo concederà il Signor don Rua?”37.

Una delle spine del fianco per don Piperni era don Redahan, il giovane sale- siano irlandese che, a suo giudizio, dimostrava ogni giorno più grandi capacità di stare con i giovani, di organizzare la Sunday School, di visitare con successo le famiglie, di raccogliere fondi con i bazar. Nello stesso tempo però dimostrava scarsa pietà, si rivelava “cavilloso”, ipercritico, col suo voler “apparire più inglese che irlandese” al punto da snervare l’attività del parroco. Si dimostrava altresì

“incorreggibile”, “frizzante” “convinto di essere infallibile”.

La situazione però non era eccessivamente tesa se nell’ottobre 1901 don Pi- perni confermava all’ispettore Lazzero l’ottimo andamento della due case par- rocchiali38 e la relazione del viceprovinciale don Borghino dell’agosto 1902 la- mentava infatti solo la mancanza di qualche rendiconto mensile e di una delle due conferenze mensili39. Altrettanto positivi erano il giudizio dello stesso don Borghino, diventato ormai ispettore, dato nel corso della visita dell’agosto 190340 ed anche quello del febbraio precedente di don Paolo Albera in visita straordinaria come delegato di don Rua per tutte le case salesiane d’America41.

35ASC F548 Case salesiane, S. Francisco, lett. Piperni – Rua, 20 febbraio 1901.

36Ibid., lett. Piperni – Rua, 12 ottobre 1901.

37Ibid., 12 ottobre 1902. Al tema della salesianità in chiave di pastorale giovanile è de- dicato parte notevole di un nostro intervento al 4° Convegno di Storia dell’Opera Salesia- na del Messico nel 2006: cf Jesús Graciliano GONZÁLEZ – Grazia LOPARCO – Francesco MOTTO – Stanis∏aw ZIMNIAK, L’Educazione salesiana dal 1880 al 1922. Istanze ed attuazio- ni in diversi contesti. Vol. II. Relazioni generali: America. (= ACSSA – Studi, 2). Roma, LAS 2007, pp. 337-359.

38ASC B5360389, lett. Piperni – Lazzero, 3 ottobre 1901. Della seconda parrocchia si parlerà qui appresso.

39ASC F548 Case salesiane, S. Francisco, Relazione, luglio 1902. Le case degli Stati Uniti, che inizialmente dipendevano con quelle del Venezuela dall’ispettore don Lazzero a Torino, vennero riunite nel 1902 prima in una viceispettoria di San Filippo apostolo con sede alla par- rocchia del Corpus Christi a San Francisco e don Borghino come viceispettore e poi in ispet- toria con il medesimo titolo, superiore e la stessa sede. Nel 1905 questa venne trasferita al col- legio di St. Joseph a Troy (NY), dove l’anno precedente si era fondata la casa. Don Borghino vi rimase fino al 1908, quando a fine mandato venne sostituito da don Michele Foglino.

40Ibid., Relazione, 1 settembre 1903. Don Borghino rilevava però la difficoltà di andar d’accordo fra “due geni”, don Piperni e don Redahan.

41 BS XXIX (luglio 1905) 199-202. In questa visita però il segretario di don Albera, don Calogero Gusmano notava la difficoltà di intesa fra l’ispettore don Borghino e il di-

(13)

Qualche frizione dovette invero succedere nel biennio seguente se nel dicembre 1905, nella relazione di don Borghino – ormai trasferito a New York come ispettore – fra i tanti aspetti positivi, si rilevava la scarsa unione tra i confratelli, invitandoli a migliorare l’armonia, la carità e la dolcezza fra loro, oltre alla pietà e regolarità della vita comunitaria. Era anche auspicabile un prete in più, possi- bilmente siciliano42. Don Piperni si sentiva il principale responsabile di tutto e per l’ennesima volta aveva chiesto a don Rua di essere sostituito, ma la risposta di fine giugno 1905 era stata, come sempre, negativa43.

8. La corrispondenza con don Rua del dopo terremoto

Alla vigilia del giro di boa del decennale della presenza dei salesiani, no- nostante i gravi condizionamenti imposti da indifferenza, anticlericalismo, pro- paganda protestante, difficoltà interne allo stesso drappello di salesiani, la chiesa nazionale italiana era riuscita a conquistarsi con immensi sacrifici una certa cre- dibilità.

Tutto improvvisamente sembrò crollare sotto l’incenerimento di molta par- te della città, ivi comprese la parrocchia e la rettoria salesiana, dovuto al terre- moto e successivo incendio del 18-20 aprile 1906. Ma così non fu, anzi la cre- dibilità dei salesiani delle due parrocchie aumentò con l’indefesso servizio so- cio-religioso da loro offerto nei mesi dell’emergenza. Se ne è già scritto e si so- no pubblicate varie lettere di don Piperni e compagni allo stesso don Rua44, che evidentemente seguì con affetto il duro lavoro dei “suoi figli” sulle coste del Pacifico. Ricevuto il resoconto di tutto, se ne complimentava nel gennaio 1907 promettendo anche di far pubblicare sul “Bollettino Salesiano” le foto in- viategli, mentre chiedeva di preparare un luogo di accoglienza per mons. Co- stamagna ed il suo segretario, che presto avrebbero potuto avere bisogno di ospitalità45.

Don Piperni rispondeva positivamente preannunciandogli la possibilità di un suo prossimo viaggio in Italia46. Don Rua se ne dimostrò contento mentre gli prospettò il ritardo di mons. Costamagna47. Alla nuova lettera di aprile con nuove offerte e notizie di buon smercio di libri devozionali della libreria sale-

rettore-parroco don Piperni, tanto da prospettare il ritorno di questi in Messico: Paolo ALBERA – Calogero GUSMANO, Lettere a don Giulio Barberis durante la loro visita alle case d’America (1900-1903). Introduzione testo critico e note a cura di Brenno Casali. (= ISS – Fonti, Serie seconda, 9). Roma, LAS 2000, pp. 357, 359.

42ASC F548 Case salesiane, S. Francisco, Relazione, 14 dicembre 1905.

43ASUO E 1/1:5, lett. Rua – Piperni, 30 giugno 1905.

44Cf il nostro articolo in RSS 48 (2006) 129-160.

45 ASUO F 1/1:5, lett. Rua-Piperni, 18 gennaio 1907. L’elogio dell’opera dei salesiani durante i mesi di emergenza post terremoto, tratto dal giornale “L’ Italia”, fu poi pubblica- to nel BS XXXI (giugno 1907) 174-175.

46Lett. del 14 marzo 1907, citata nella risposta di don Rua del 7 marzo 1907.

47ASUO F 1/1: 5, lett. Rua – Piperni, 7 marzo 1907.

(14)

siana48, don Rua da Trento in maggio ringraziava e assicurava la spedizione di altri pacchi di libri e soprattutto l’arrivo di un quarto sacerdote a San Francisco per l’assistenza agli ospedali. Per le scuole parrocchiali, scriveva, era meglio che si impegnasse l’arcivescovo, visto che il lavoro dei salesiani era già superiore alle loro forze49.

Per lo stesso 1907 è documentato l’invio della circolare di don Rua sulla po- vertà del 6 agosto, cui rispose prontamente don Piperni ordinandone più copie tra la gioia di don Rua che sul finire di novembre si impegnava a far mandare a San Francisco tutte le pubblicazioni ed immaginette dell’ormai venerabile don Bosco50. Intanto a Lombriasco (Torino) erano già arrivati i primi tre novizi dagli Stati Uniti.

Don Luigi Bussi a conclusione della sua visita straordinaria nell’aprile 1908 lasciò scritto che i rapporti difficili del passato fra il parroco don Piperni dal ca- rattere “difficile” e il suo primo viceparroco don Redahan “dal carattere dispoti- co” erano migliorati51. Don Rua dovette rimanerne soddisfatto, anche se la ri- chiesta del parroco di essere sostituito rimaneva sempre valida. Oltre un anno dopo infatti, scrivendo all’amico ex ispettore don Lazzero, ammalato da anni, mentre gli annunciava che avevano comperato un terreno per una nuova chiesa – cha avrebbe sostituito quella provvisoria dell’immediato dopo terremoto52 – e che le cose andavano sempre male (“Italiano e mala gente qui suona lo stesso”) aggiungeva:

“Io qui invecchiando. Ho cessato di pregare che mandino chi mi sostituisca, perché ormai è inutile: in nessuna altra casa vorrebbero ricevere vecchi inutili e fastidiosi.

Vadano le cose come piace ai buoni superiori”53.

L’ultima comunicazione diretta di don Piperni con don Rua dovette essere quella del 6 dicembre 1909 con gli auguri di Natale e un’offerta di 50 lire, cui il rettor maggiore tre mesi prima di morire rispose ringraziando e complimentan- dosi del progetto di giornalino parrocchiale da opporre ai giornali anticlericali54.

9. Una gradita quanto inattesa solidarietà a don Rua da San Francisco

Il 3 agosto 1907 il periodico liberale locale “L’Italia” diede notizia dello scan- dalo nel collegio salesiano di Varazze; il 6 parlò dei disordini anticlericali nella

48Lett. del 9 aprile 1907, citata nella risposta di don Rua del 12 maggio 1907.

49ASUO F 1/1: 5, lett. Rua – Piperni, 12 maggio 1907.

50Ibid., lett. Rua – Piperni, 28 novembre 1907.

51ASC F137 Relazione della visita canonica.

52 Il terreno venne acquistato nell’aprile 1908, ma nonostante si iniziassero subito gli studi preparatori per il progetto da parte di architetti, la cripta venne inaugurata sei anni dopo e la chiesa superiore nel 1924.

53ASC F548 Case salesiane, S. Francisco, lett. Piperni – Lazzero, 31 ottobre 1909.

54ASUO E1/1:7, lett. Borghino – Piperni, gennaio 1910.

(15)

stessa Varazze, a La Spezia, a Milano, lanciando addirittura la supposizione che il papa fosse propenso a sospendere il giubileo; il 7 riferì che don Rua aveva chiesto alle autorità una severa inchiesta, onde scagionare i salesiani; l’8 parlava della presenza di un forte anticlericalismo in Italia e di un Giolitti che era con- trario a difendere preti e suore; il 9 agosto protestava invero contro gli eccessi di anticlericalismo, che colpivano anche gli innocenti. Però, a giudizio del giorna- le, per evitare gli scandali la popolazione aveva due possibilità: non mandare i ragazzi dai preti e chiedere il matrimonio dei preti, come del resto pensava, sem- pre secondo il giornale laico, lo stesso papa. Riferiva altresì del mandato di arre- sto di un salesiano resosi irreperibile ed il 10 agosto ancora parlava di insulti a sacerdoti un po’ ovunque in Italia.

Don Piperni, convinto della calunnia contro i salesiani di Varazze che, am- plificata dagli organi di stampa, avrebbe potuto anche nuocere ai salesiani d’A- merica, si costituì formalmente parte civile e scese immediatamente in campo con la pubblicazione di un numero unico in loro difesa. Il fascicolo non è stato recuperato, ma da una lettera di don Borghino a don Piperni del 14 ottobre 1907 si viene a conoscere che esso era piaciuto all’ispettore stesso, agli altri con- fratelli di Ramsey e di New York: “tutti lo lodarono e lo trovarono eccellente sia nella forma che nella materia”55. Anche don Rua, saputo dell’intenzione di ripa- rare allo scandalo locale con una pubblicazione adeguata in San Francisco, si era impegnato a mandare informazioni precise56. Intanto i confratelli incarcerati erano stati liberati, il collegio di Fossano non più a rischio di chiusura e presto riaperti anche quelli, maschile e femminile, di Varazze che erano stati chiusi.

10. La chiesa italiana del Corpus Christi a San Francisco e di S. Giuseppe nella vicina Oakland

Tra le prime preoccupazioni dei salesiani di San Francisco vi fu quella di esten- dere la propria presenza a favore di un gruppo di circa 2000 connazionali che ri- siedevano nei cosiddetti “Giardini degli italiani”, “a un’ora di cammino per carro elettrico”. Nel dicembre 1897 l’arcivescovo diede loro il terreno affinché vi co- struissero la chiesa del Corpus Christi. Detto, fatto. La prima pietra venne bene- detta il 27 marzo 1898, la prima Messa celebrata il 3 aprile 1898 e la dedicazione solenne ebbe luogo il 19 giugno. Era una modesta struttura in legno “che sorgeva tra dune e cavoli”. Vi si aggiunsero poi tre stanze per sacerdoti, un refettorio e una cucina, per cui la spesa, preventivata di 4.700 dollari, lievitò fino a 7.227 dollari.

Ufficiata dal parroco don Valentino Cassini, fino al 1900 fu considerata come succursale dei SS. Pietro e Paolo – il confine fra le due parrocchie italiane era la 29mastrada –, poi dall’aprile 1922 divenne parrocchia territoriale indipendente, con l’incorporazione di segmenti di territorio già appartenenti a due attigue parrocchie.

55Ibid., lett. Borghino – Piperni, 14 ottobre 1907.

56ASUO E1/1:5, lett. Rua – Piperni, 2 ottobre 1907.

(16)

Nutrita è la corrispondenza di don Cassini con don Rua, volta quasi sempre e solo alla ricerca di un collaboratore. Lo chiese nel dicembre 1898 e don Rua non lo escluse in un prossimo futuro57, tanto da mandargli il chierico McCarthy, che però non diede buona prova di sé. Don Rua, allora gliene promise un altro in ot- tobre e prima di Natale, magari inglese o polacco58. E alla reiterata richiesta di fi- ne 1901 di don Cassini a don Rua, la risposta fu di mandargli il biglietto per il viaggio Londra-San Francisco per il salesiano inglese don Charles Buss, che effet- tivamente giunse a San Francisco e immediatamente si mise a disposizione59. La parrocchia fece così notevoli progressi spirituali e anche materiali, arricchendosi pure di una piccola scuola parrocchiale.

Tre anni rimase don Cassini, finché nel marzo 1902 ripartì con don Albera alla volta dell’Italia e poi, per la seconda volta, dell’Argentina. Fu sostituito pri- ma da don Michele Borghino per poco tempo – mentre era viceispettore ed ispettore di stanza sul Pacifico – poi da don Giovanni Piovano fino al 1907, in- di da don Buss nel 1908 assieme a don Giuseppe Simeoni.

Ottemperando parzialmente agli impegni stabiliti dalla convenzione del 189660, i salesiani estesero il loro raggio d’azione anche alla cittadina di Oa- kland, ad est della baia, a servizio degli immigrati di lingua portoghese. La ri- chiesta però era partita da mons. Riordan. Don Piperni l’11 agosto 1899, scri- vendo a don Rua che l’arcivescovo avrebbe visitato Valdocco per chiedere sacer- doti, gli faceva notare che il debito della chiesa di San Giuseppe a Oakland era molto alto, per cui ai poveri portoghesi sarebbe stato impossibile pagarlo61. Era stata costruita da padre M. T. Fernandes nel 1892.

Come si è già accennato, a fine marzo 1900 don Piperni dichiarava all’ispet- tore don Lazzero la sua disponibilità ad andarci come predicatore e lo ribadiva allo stesso don Rua ben due volte nel febbraio 1901. In aprile l’arcivescovo era esacerbato per l’eccessivo ritardo di un prete di lingua portoghese, ed in ottobre era ancora in attesa. Le difficoltà erano anche di indole economica, se a fine gennaio 1902 don Piperni precisava a don Rua che il debito era di 8000 dollari, che le uniche entrate erano costituite dalle elemosine e i diritti di stola, che i Portoghesi erano sparsi come gli Italiani e dunque andavano avvicinati solo con la benevolenza e la carità. Per questo era ovvio che l’arcivescovo dovesse dare la giurisdizione su tutti i Portoghesi della città62.

Solo ad inizio agosto 1902 don Rua poté comunicare a mons. Riordan che stavano per arrivare don Michele Borghino, don Giuseppe Galli ed altri che sa-

57ASC A4490859, lett. Rua – Cassini, 13 gennaio 1909.

58ASC A4490863/64, lett. Rua – Cassini, 9 ottobre 1900, 25 ottobre 1900.

59ASC A4490866/67, lett. Rua – Cassini, 17 febbraio 1901, 14 marzo 1901.

60 “Provvedere al benessere religioso della popolazione italiana nella diocesi di San Francisco”.

61ASC F548 Case salesiane, S. Francisco, lett. Piperni – Rua, 11 agosto 1899.

62Ibid., lett. Piperni – Rua, 31 gennaio 1902.

(17)

pevano il portoghese o che lo potevano imparare63. Don Borghino però avrebbe anche fatto da ispettore per tutte le case degli Stati Uniti. In realtà ad Oakland sembra che siano andati subito come direttore e parroco don Andrea Bergeretti – già confratello di don Piperni nella “Sacra Famiglia” di don Belloni in Terra Santa – don Emilio Pavan come vice (per due anni) e il salesiano laico Giovanni Bovio; solo nel dicembre, don Giuseppe Galli. La parrocchia, loro assegnata l’11 settembre 1902, era a servizio dei Portoghesi ed anche degli Italiani. A don Ber- geretti succederà don Galli che vi rimase per 24 anni, prima di assumersi la par- rocchia dei SS. Pietro e Paolo a San Francisco.

11. Altre richieste di assistenza spirituale agli emigrati italiani

Non va infine trascurata la notizia che dall’autunno 1903 il vescovo di Port- land in Oregon era in trattativa con don Rua e con l’ispettore don Borghino per una fondazione salesiana: una prima offerta fu quella di assumersi la parrocchia- scuola etnica della città e una seconda fu quella di una scuola agricola per ragaz- zi poveri ed abbandonati64. La trattativa dovette arenarsi, se ad inizio aprile 1906 il direttore di New York don Ernesto Coppo scriveva a don Barberis che il vescovo di Portland insisteva perché si accettasse il suo orfanotrofio, disponibile ad offrire subito 1000 dollari in contanti. Con l’accettazione di questa ultima, si sarebbe dato principio anche negli Stati Uniti alla classica opera salesiana “di as- sistenza ai ragazzi poveri ed abbandonati”, ma difficoltà varie, fra cui quella eco- nomica, si frapposero alla realizzazione del progetto65.

Del resto anche alla richiesta avanzata a don Piperni il 16 aprile 1904 da mons. Riordan che cercava i salesiani per i distretti con presenza di italiani a Point Reyes e Black Diamand66 non seguì alcuna accettazione, benché l’arcive- scovo avesse chiesto la mediazione presso don Rua dell’ispettore don Borghino in partenza per l’Italia.

A fine giugno 1908 don Piperni sempre a nome dell’arcivescovo aveva chie- sto a don Rua due preti e un coadiutore salesiano per assistere gli italiani abban- donati “a due ore di ferrovia” sulla costa del Pacifico”. L’appunto di risposta in data 30 luglio recitava: ”Non è possibile: non si tratta di non poter senza sacrifi- cio (questo don Rua farebbe) ma di non poter assolutamente per iscarsità di personale, ormai insufficiente a sostenere le opere già assunte”67.

Non potendo organizzare una presenza stabile in quei centri i salesiani do- vettero limitarsi a sporadiche visite nelle principali feste religiose da parte di vari

63Ibid., lett. Piperni – Rua, 5 agosto 1902.

64ASC F135, lett. Borghino – Rua, 14 settembre, 18 novembre 1903.

65Ibid., lett. Coppo – Barberis, aprile 1906.

66Archivio Arcidiocesano di Menlo Park, letter book n. 10.

67 Appunto in lett. Piperni – Rua, 27 giugno 1908 in ASC F141 Ispettorie, Stati Uniti Ovest.

(18)

sacerdoti nei loro tempi liberi. Considerata però la scarsa efficacia di quella sal- tuarietà, dal 1910 il giovane e brillante don Giuseppe Simeoni, presente a San Francisco dal settembre 1902 e da poco ordinato sacerdote, per disposizione dei superiori e dietro richiesta dell’arcivescovo Riordan, si dedicò quasi esclusiva- mente a queste predicazioni di missioni al popolo in California, negli Stati del- l’Ovest, ma anche in altri stati dell’Unione, dovunque e quando fosse chiamato a beneficio degli Italiani.

Conclusione

Don Rua ebbe uno sguardo di predilezione per gli emigrati italiani di San Francisco, vista la rapidità di accettazione dell’invito, rispetto ad altre aree geo- grafiche, anche statunitensi. Evidentemente ritenne migliori le condizioni che gli si prospettavano. Ovviamente non tutte le rosee previsioni si realizzarono e don Rua dovette soffrirne non poco. La difficoltà di avvicinare gli Italiani, estre- mamente suddivisi fra loro in quanto provenienti da diverse regioni di Italia, per lo più ostili alla chiesa, furono superiori a quelle, già non indifferenti, che i salesiani avevano incontrato ad esempio in altre città come Buenos Aires, San Paolo, Montevideo. In America Latina però non vi erano problemi di lingua, di forti contrasti con i protestanti, di background anglosassone avverso a quello la- tino e italiano in particolare, di fondazione di scuole e collegi da gestirsi senza grande libertà sotto il profilo economico.

Don Rua si mantenne in costante contatto con i pionieri di San Francisco, specialmente con i due parroci e li incoraggiò nel loro arduo lavoro, conoscendo- ne pure i limiti personali. Non ebbe però la possibilità di sostenere sempre la loro azione con collaboratori preparati, dovendo provvedere a troppe opere. Il perso- nale, come era costume all’epoca, valido o problematico che fosse, era in conti- nuo movimento fra casa e casa, nazione e nazione, continente e continente.

Se fu saggia la decisione di creare un’apposita ispettoria statunitense nel 1902, la decisione nel 1904 di portare la sede ispettoriale dalla costa occidentale (San Francisco) a quella lontanissima della costa orientale (New York) avrebbe avuto non poche conseguenze sull’Opera salesiana dell’“Italia degli Stati Uniti”, la California, dove benché l’influenza italiana sia stata di più lunga durata e di più larga diffusione, per un insieme di motivi che non è qui il caso di indicare, avrà modo di svilupparsi solo dopo la divisione delle due ispettorie oltre ven- t’anni dopo.

A sostegno delle poche case dei due versanti americani, oltre all’ispettore don Borghino e successivamente don Michele Foglino, già esperimentati direttori en- trambi ed il secondo anche ispettore – vi mandò ben due visitatori “straordinari”, don Paolo Albera e don Luigi Bussi. Non sembra che i suoi interventi come ret- tor maggiore abbiano mai scavalcato le competenze degli ispettori, con cui anzi rimase in costante dialogo, così come con i salesiani della baia sanfranciscana.

Don Rua non vide i risultati migliori dell’azione salesiana nella città del gol- den gate, anzi assistette ai più difficili – il primo decennio – ivi compreso le de-

(19)

vastanti conseguenze del terremoto del 1906. Ma in quel decennio si misero le fondamenta che poi, dopo un secondo sofferto decennio, avrebbero portato frutti maturi nei decenni successivi.

***

Tab. 1. Popolazione italiana di S. Francisco

Tab.2. Battesimi celebrati nelle due chiese nazionali di San Francisco nel primo decennio del secolo XX

Tab. 3. Matrimoni celebrati nelle stesse due chiese nazionali di S. Francisco nel decennio 1900-1910 Anno italiani Popolazione

totale di San Francisco

1870 1.622 149.473

1880 2,491 233.959

1890 5.212 298.997

1900 7.508 342.782

1910 16.919 416.912

Anno S. Peter & S. Paul Corpus Christi

1901 511 51

1902 390 180

1903 617 104

1904 717 100

1905 582 75

1906 717 100

1907 777 125

1908 878 170

1909 743 270

1910 935 230

Anno S. Peter & S. Paul Corpus Christi

1901 170 17

1902 132 37

1903 189 27

1904 214 26

1905 200 14

1906 214 26

1907 256 19

1908 366 44

1909 238 52

1910 226 59

Riferimenti

Documenti correlati

50 “L’anno del Signore milleottocentonovantasette, l’Istituto delle figlie di Maria Ausi- liatrice rappresentato dal sottoscritto [don Michele Rua], ed il Consiglio di Amministra-

Prendevano lezione nell’Oratorio da uno studente di ginnasio, al quale Don Bosco stesso aveva fatto scuola per poco più di un anno.. Nei primordi egli

Se uno potesse credere che i vescovi USA avessero in testa soltanto immi- granti italiani quando pensavano a don Bosco, la corrispondenza dal 1894 al 1895 richiamerebbe l’attenzione.

d) Los elementos que caracterizan a la presencia salesiana en Perú están sembra- dos por don Rua: el carácter popular que llega a los más necesitados, la devo- ción profunda a

Adesso pare suscitare l’interesse degli studiosi di storia salesiana la lunga visita alle case salesiane d’America, effettuata da don Paolo Albera dal 1900 al 1903.2

D’altra parte la presenza e l’azione di partiti organizzati, radicati nel tessuto popolare orientati all’e- stensione dei diritti politici cominciando dal diritto di voto, erano

Don Rua non volle che i Salesiani avessero solo don Bosco e la tradizione salesiana quale unico punto di riferimento perché non li interpre- tassero troppo liberamente; perciò

In sintesi, fino alla morte di don Bosco ci si trovò in situazione di con- flitto riguardo alla considerazione di questo territorio. Per la Congregazione salesiana e la Santa Sede,