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#restiamoacasa 3 giochi da tavolo per questa settimana

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Academic year: 2022

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#restiamoacasa | 3 giochi da tavolo per questa settimana

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#restiamoacasa |

3 dischi anni 90 per questa settimana

OUT OF TIME dei REM

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Anno: 1991 Tracce: 11 Durata: 44:09

Out of time è un disco che ha segnato un’epoca: al tempo lo si chiamava “college rock” (oggi sarebbe l’indie). I R.E.M. furono uno dei nomi più eccellenti a fare il salto da una piccola etichetta ad una major; al primo disco con la Warner, “Green”, non successe molto, in termini di esposizione. Quel salto l’avrebbero compiuto con una canzone anomala come “Losing my religion”, divenuta pietra miliare nella storia della musica. E’ un album malinconico, orchestrato e complesso, letteralmente fuori dal tempo. Fu un successo planetario, l’esposizione sui media grazie ad un videoclip bellissimo quanto la canzone che metteva in scena, “Losing my religion”.

Entrambi giocavano sull’ambiguità della parola “religione”. Si pensò a crisi di fede, ma era semplicemente il racconto di una crisi esistenziale. Un album e una band che segnarono con il tempo gli anni 90′ registrando un successo dopo l’altro.

CALIFORNICATION dei Red Hot Chili Peppers

Anno: 1999 Tracce: 15 Durata: 56:17

Californication rappresenta il maggior successo commerciale dei Red Hot, con oltre 15 milioni di copie vendute in tutto il mondo, è certamente uno degli album rock più importanti mai scritti, che segnò la rinascita della band. Nonostante il titolo sembri un gioco di parole tra “California” e fornication (“fornificazione”), l’album attraversa come un vascello le acque dell’introspezione e della spiritualità, raccogliendo così 15 brani intensi, iconici, che compongono 56 minuti di puro godimento auditivo.

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La copertina del disco, realizzata da Lawrence Azerrad, rappresenterebbe un sogno fatto da Frusciante (il chitarrista), molto legato al senso intimo contenuto nella traccia del brano omonimo del disco: nulla è al suo posto. L’acqua e il cielo si trovano l’uno al posto dell’altro. Leggendo attentamente il testo, la denuncia verso una società che spaccia informazioni false per vere appare chiara. Come anche la non verità estetica, riferendosi alla chirurgia plastica che rende i divi di Hollywood, e non solo, schiavi e pedine di un sistema malato dall’ interno. L’artwork di copertina è riuscita a sintetizzare l’essenza del disco in un semplice rovesciamento di ruoli tra acqua e cielo.

OK COMPUTER dei Radiohead

Anno: 1997 Tracce: 11 Durata: 53:26

Quando nel 1997 esce Ok Computer i Radiohead sono considerati a pieno titolo una band Britpop. Ok Computer segna una svolta non da poco nella loro musica, non una cesura con il recente passato, ma un graduale avvicinamento a stili sonori totalmente diversi. Oltre al capolavoro Paranoid Android, introdotto da quattro piccoli bip, il brano che racchiude il significato più profondo dell’album è Subterranean Homesick Alien che nel titolo richiama un vecchio pezzo di Bob Dylan e con la sua dolce e malinconica melodia sviluppa il concetto di alienazione, predominante in tutto Ok Computer. Questo sarà l’ultimo disco dei Radiohead prima della svolta elettronica di Kid A / Amnesiac, un disco di canzoni venate da una malinconia di fondo quasi disarmante, leggero e duro, dolce e amaro allo stesso tempo.

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Il Festival Biblico lancia

una serie di iniziative on line

Postato il aprile 16, 2020 di giuma56

www.festivalbiblico.it/news

Scuola del pensare con Vera Gheno e Ferruccio De Bortoli Sono tre i format nei quali si declineranno i contenuti extra del Festival Biblico, che saranno fruibili attraverso i canali social e il sito internet a partire da questa settimana: Scuola del pensare, Meditazioni e Le parole della Bibbia:

La Scuola del pensare proporrà un ciclo di brevi video – dei veri e propri “distillati di pensiero” – per riflettere, a partire dalla situazione attuale che stiamo vivendo, sul tema logos (parlare, pensare, agire) e sulla nostra condizione di esseri umani, come creature di Dio e come abitanti della terra.

I primi due contributi saranno quelli della sociolinguista Vera Gheno dal titolo “Alla ricerca della propria ragione di esistere tramite le parole”, online a partire da questo venerdì 17 aprile, e del giornalista, già direttore del Corriere della Sera e de Il Sole 24 Ore, Ferruccio De Bortoli, dal titolo

“Per un’idea di comunità”, online da mercoledì 22 aprile

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www.festivalbiblico.it

Tre i format che coinvolgeranno amici e ospiti del Festival:

Scuola del pensare, Meditazioni e Le parole della Bibbia

Comunicato stampa

Vicenza, 14 aprile 2020 – Anche in questo tempo che costringe al distanziamento sociale e impedisce il normale svolgimento delle nostre attività lavorative e personali, il Festival Biblico desidera “esserci” attivando una serie di iniziative on line che coinvolgeranno amici e ospiti del Festival. Come sottolinea la direttrice Roberta Rocelli “l’attività on line non sarà un surrogato del Festival che si sarebbe dovuto svolgere a maggio, perché riteniamo che la dimensione ‘dal vivo’ sia necessaria a un Festival. Allo stesso tempo, però, pensiamo sia altrettanto importante mantenere viva la relazione con il pubblico, che, in questo momento forse più che mai, cerca spazi di confronto e di dialogo”.

Questi contenuti extra del Festival Biblico si declineranno intre differenti format che accoglieranno i contributi realizzati e che saranno fruibili attraverso i canali social e il sito internet del Festival a partire da questa settimana.

Scuola del pensare. Un ciclo di brevi video – dei veri e propri “distillati di pensiero” – per riflettere, a partire dalla situazione attuale che stiamo vivendo, sul tema logos (parlare, pensare, agire) e sulla nostra condizione di esseri umani, come creature di Dio e come abitanti della terra. Tra gli ospiti Ferruccio De Bortoli, la sociolinguista Vera Gheno, padre Guidalberto Bormolini, monaco e docente al master

“Death Studies & the End of Life” dell’Università di Padova, l’economista Luigino Bruni, Piero Martin, fisico sperimentale e divulgatore scientifico, e Dino Amenduni, giornalista ed esperto di nuovi media.

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Meditazioni.

Quattro appuntamenti con altrettante

dirette facebook, che riproporranno anche nell’agorà virtuale uno dei format più amati dal pubblico: le Meditazioni, uno spazio in cui la comunità del Festival si ritrova per condividere un momento di riflessione. Le quattro meditazioni saranno in programma tutti i giovedì di maggio e coinvolgeranno, tra gli altri, Giacomo Poretti e Paolo Benanti, padre francescano esperto in etica, bioetica ed etica delle tecnologie.

Le parole della Bibbia. Un ciclo di podcast audio a più voci in cui, a ogni puntata, un ospite ci racconterà la “sua” parola della Bibbia, un vocabolario condiviso e in divenire per riscoprire il senso e il valore di alcuni dei termini più importantidei Testi Sacri.

Addio, Luis

16 aprile 2020 di: Marco Testi

Così anche la letteratura paga il suo tributo. Luis Sepulveda Calfucura ci ha lasciato, a settant’anni, lontano dal suo Cile. È morto giovedì 16 marzo, a Oviedo, in Spagna, dove abitava da diverso tempo, a causa del Covid-19.

Aveva venduto più di 9 milioni di copie di Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, di Il vecchio che leggeva romanzi d’amore e tanti altri racconti in cui precipitavano – in una sostanza creativa sospesa tra favola, sogno, politica, memoria e nostalgia – personaggi che sono divenuti famosi, e non solo tra gli esperti di letteratura.

Aveva lasciato il Cile dopo la presa del potere dei militari che avevano rovesciato il governo di Salvador Allende (aveva fatto parte della guardia personale del presidente socialista ucciso nel golpe del 1973 ed aveva passato quasi tre anni in carcere). Aveva poi militato attivamente in Greenpeace e nelle lotte per la tutela del mare e della terra, contro l’inquinamento e la lenta soppressione dell’ecosistema.

Le sue erano anche favole, nel senso che, come spesso accade nelle fiabe, parlavano ai ragazzini per farsi sentire dagli adulti, con animali che ammoniscono l’uomo a capire bene cosa significhi civiltà.

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Il suo impatto è tutt’altro che indolore, spiegava e raccontava Sepulveda, non solo sugli animali, ma sui ghiacci, sulle acque, sull’erba, sugli abitanti della terra che hanno seguito altre strade, diverse da quelle della “civiltà”. Gli indios, ad esempio, con cui visse per un periodo, comprendendo anche i limiti del suo proprio sguardo di uomo

“civile”, perché il loro vivere a contatto con la natura e i suoi prodotti significava la messa in crisi della sua ideologia marxista, che si basava tutta sull’industrializzazione e sulla “modernità” dei mezzi di produzione.

Un’esistenza dunque coraggiosa, non solo per la militanza e per la difesa degli ultimi, ma per il coraggio di mettere in discussione antiche certezze e combattere senza più pregiudizi ideologici per il bene primario della vita a contatto con la natura.

Un esempio ammirevole di coerenza estrema, dunque, di capacità di far coincidere il racconto di sé – e degli altri – con la reale, apparentemente banale, vita di tutti i giorni.

Che è più eroica, ce lo hanno insegnato in tanti, di quello che si possa pensare. A patto di non lasciarsi andare allo scoraggiamento di combattere per il bene, che esiste.

Qui, e ora, ce lo ha detto, anzi, raccontato, anche lui, ma è un insegnamento che viene da molto lontano (ce lo hanno insegnato anche un Cantico e un’enciclica papale dallo stesso nome), e si chiama futuro dell’uomo a contatto – e in armonia – con la madre natura. Agenzia SIR, 16 marzo 2020.

Coronavirus. È morto Luis Sepúlveda, cantore della comunità e dei diritti dell'uomo

Fulvio Panzerigiovedì 16 aprile 2020 Lo scrittore cileno è scomparso a 70 anni a Oviedo. Da febbraio l'autore della Gabbianella e il gatto lottava contro il Covid-19. Guardia di Allende, fu perseguitato dal regime di Pinochet È morto per coronavirus lo scrittore cileno Luis Sepulveda. L'autore della Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare e di Il vecchio che leggeva romanzi d'amore aveva 70 anni ed era ricoverato da fine febbraio in ospedale a Oviedo, in Spagna, dopo aver contratto l'infezione.

Se c’è un segno che ha contraddistinto l’opera e le parole di Luis Sepulvelda è la sua fedeltà nella difesa dei diritti dell’uomo, nella capacità di credere che sia necessario essere consapevoli del proprio essere individuo, non isolato, ma responsabile di un vivere civile al quale la nostra socialità richiama. Ne è stato fortemente convinto e lo ha raccontato nella sua opera letteraria, così variegata, come scelta di generi, ma unificata proprio da questo valore che unisce i romanzi e le favole, raccontate non solo ai ragazzi, ma a tutti i suoi lettori, come forma “antica” e immediata per riportare l’attenzione su tutti quegli aspetti che portano un uomo a condividere il suo essere all’interno della collettività in modo consapevole. Diceva: «Siamo esseri umani e questa condizione è determinata dal nostro essere legati alla socialità, alla possibilità di riunirci, ad essere parte di una collettività chiamata famiglia umana.

Oggi c’è una tendenza ad isolare l’individuo, a fare in modo che dimentichi la sua socialità, tuttavia io mi oppongo a questo e insisto nella necessità di essere sociali».

I suoi romanzi non solo raccontano questa possibilità dal punto di vista politico, ma la riportano anche sul piano di una sorta di codice etico che afferma l’individuo, garantendogli un diritto primario. È quello per il quale val la pena di operare, ogni giorno.

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Sepulveda ne era convinto in modo deciso: «La lotta contro i nemici dell’umanità si combatte in tutto il mondo, non richiede né eroi né messia, e inizia dalla difesa del più fondamentale dei diritti: il Diritto alla Vita».

Lo aveva imparato sulla propria pelle in gioventù, durante il golpe cileno. Era nato il 4 ottobre 1949, a Ovalle, anche se poi trascorre i primi anni di vita a Valparaiso, in compagnia del nonno paterno, un anarchico andaluso, e dello zio Pepe e con loro inizia ad amare la lettura di grandi scrittori (Emilio Salgari, Joseph Conrad ed Herman Melville) che segneranno le scelte future e anche la necessità di una scrittura errabonda, in grado di misurarsi con gli ampi spazi del Sudamerica e i grandi sogni dei molti compagni di viaggio che la strada gli ha offerto come visione, compagnia ed esemplarità di vita: «Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso».

Scrive un primo libro di racconti a vent’anni che riceve il Premio Casa de las Americas, poi consegue un diploma di regista teatrale, lavora in una radio, entra a far parte del Partito Socialista e della guardia personale di Salvador Allende. Dopo il colpo di stato del 1973 e la dittatura del Generale Pinochet, Sepúlveda viene catturato, interrogato e torturato. Per sette mesi resta chiuso in una cella così stretta e bassa da non potersi neanche alzare in piedi. Dirà: «È difficile immaginare come una mente umana possa resistere e non svanire nella follia, in simili condizioni».

È necessario l’intervento di Amnesty International per essere scarcerato e avere la possibilità di commutare la condanna a morte in un esilio di otto anni. Tornerà a quella stagione nell’ultimo romanzo, La fine della storia (2016), protagonista Juan Belmonte, ex guerrigliero, fedele fino alla fine a Salvador Allende e al suo Sogno frantumato nel sangue, poi pronto a combattere per ogni libertà, che si ritrova a fare i conti con il proprio passato e, ormai sessantenne, dover lasciare la quiete dell'Isola di Chiloé e riprendere le armi perché «non si sfugge alla propria ombra. Non importa dove stiamo andando, l'ombra di ciò che abbiamo fatto e siamo stati ci perseguita con la tenacia di una maledizione».

Invece di andare in Svezia, dove aveva ricevuto asilo politico, al primo scalo, Sepùlveda scappa in Brasile, e poi in Paraguay e in Ecuador, dove conosce un mondo che avrebbe influenzato la sua letteratura e il suo destino di scrittore: per sette mesi vive nella foresta amazzonica con gli indios shuar, dai quali ha imparato una lingua nuova, ma soprattutto il valore del rispetto dei delicati equilibri della Madre Terra. Alla fine degli anni Settanta, dopo l’avventura in Nicaragua e una sosta in Ecuador, parte per l’Europa: destinazione Amburgo, dove diventa uno dei maggiori corrispondenti sulle imprese di Greenpeace.

Il successo arriva nel 1988, quando scrive Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, best-seller in tutta Europa, seguito da Il mondo alla fine del mondo, un romanzo “ecologista” sulla distruzione del pianeta in nome del profitto dedicato alla terra che gli è rimasta nel cuore, la Patagonia, che è protagonista anche dei racconti di viaggio di “Patagonia Express”, che si chiude con l’incontro a Santiago del Cile, con lo scrittore che è stato il suo maestro, Francisco Coloane:

«Mi aveva passato i suoi fantasmi, i sui personaggi, gli indio e gli emigranti di tutte le latitudini che abitano la Patagonia e la Terra del Fuoco, i suoi marinai e i suoi vagabondi del mare. Adesso sono tutti con me e mi permettono di dire a voce alta che vivere è un magnifico esercizio».

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È quell’esercizio che anima tutti i suoi libri, che vivono di forza in virtù della capacità di trasformare la verità umana in una realtà romanzesca riconoscibile, dove la scrittura non è solo un dovere, ma una sorta di combattimento continuo, con se stesso, con il malessere del mondo, con i fantasmi della Storia, anche quando si stempera nella forma quieta e sapienziale della favola, l’altro modo che Sepulveda ha scelto per raccontarsi agli uomini, per raccontare loro quel “diritto alla vita” in cui ha sempre creduto.

Lo ha fatto anche con le sue “favole”, mettendo in scena la generosità e la solidarietà, oltre al bisogno di amore per la natura, nella “Gabbianella e il gatto”; sostenendo il valore della lentezza, nel nostro mondo lacerato dalla velocità a tutti i costi nella storia della lumaca e quello dell’amicizia nella Storia del gatto e del topo che diventò suo amico; ritornando a sottolineare la necessità della libertà e il valore di non negare a nessuno i diritti fondamentali, nella Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà, fino a celebrare la bellezza e la grandezza di un mare da lui tanto amato attraverso la voce di una balena bianca.

Musica.

Nek lancia «Perdonare», nuovo brano di speranza (guarda il video)

Angela Calvinigiovedì 16 aprile 2020

«Rialziamoci da terra, ripartiamo da qui» canta l'artista nella canzone pubblicata a sorpresa

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«Rialziamoci da terra, ripartiamo da qui, se ancora due destini dicono di sì. Lo so che cambierà, cambierà e se cambierà amare è perdonare, perdonare». Queste sono le toccanti liriche di una canzone di speranza, Perdonare, lanciata a sorpresa in questo fine settimana di Pasqua da Nek, Filippo Neviani. Il cantante aveva annunciato a sorpresa in diretta Instagram, Perdonare, il nuovo singolo, in radio e su tutte le piattaforme digitali.

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In questi mesi Nek stava laorando ai brani per il suo nuovo album, la seconda parte de Il mio gioco preferito, ma fermarsi non sarebbe stato onesto e ha deciso di ricominciare a condividere canzoni con la gente. «Stavo registrando un disco - ha detto Nek sui suoi social -. Mi sono fermato quando è cominciato tutto questo, perché mi sembrava dura andare avanti e muovere una macchina complessa, un motore difficile da far girare, in questo momento. Alcune regole sono saltate, ma ci deve essere un modo per reinventarle e rimettere al centro le canzoni, perché al di là di logiche e dinamiche, c'è sempre e solo la musica. E le emozioni che muove nelle persone. Fermare tutto questo probabilmente non è un bene, per gli operatori del settore e per il pubblico».

Una visione salvifica troppo umana

La Passione di Cristo in «Sete», ultimo romanzo di Amélie Nothomb 08 aprile 2020

Quando si gira l’ultima pagina di Sete (Roma, Voland, 2020, pagine 128, euro 16) l’ultimo, spregiudicato romanzo di Amélie Nothomb (spregiudicato in senso positivo: riscrivere la Passione di Cristo dal punto di vista del Protagonista, nella Francia Anno Domini 2020, è indubbiamente una scelta controcorrente e coraggiosa), ebbene, al termine si prova la stessa sensazione di quando si assiste alla partita della propria squadra del cuore che fa sì un bel match, domina i 90 minuti, non fa quasi toccare palla agli avversari, ma spreca troppe occasioni e agguanta alla fine un pareggio che sa proprio di non vittoria. Per poi scoprire che, comunque, quel pareggio ha fatto vincere ai nostri il campionato.

La più recente prova narrativa di Nothomb è proprio questa: un bellissimo tentativo che però rischia di mancare il bersaglio definitivo. Perché un pareggio? Perché si evidenziano due aspetti positivi del romanzo breve, che fa della sua concisione e della cura artistica di un linguaggio incandescente e profondamente autentico la sua forza; mentre sono altrettanti gli aspetti problematici, o negativi che dir si voglia, nello scorrere della narrazione.

Iniziamo da questi ultimi. Qui e là Nothomb si manifesta erede della sindrome Codice da Vinci, l’insulsa visione che vede Gesù Cristo innamorato e amante di Maria Maddalena — dato che lo studio storico-critico dei Vangeli ha da sempre smentito. Eppure il fiume carsico made in Dan Brown sembra essere penetrato nella scrittura di Nothomb, la quale si lascia ammaliare da questa diceria, come se una punta di sentimentalismo e di rosa nella vicenda del Nazareno possa far risultare più umanamente attraente la personalità di Cristo.

Secondo aspetto non positivo del romanzo, ben tradotto da Isabella Mattazzi: forse memore indiretta di una visione razionalista del cristianesimo — la teologia de I misteri di Parigi di Eugène Sue ne è un’esemplificazione concreta —, Nothomb fa trasparire una visione salvifica arretrata e troppo umana. Quella secondo la quale la morte del Figlio è stata esigita da un Padre assetato di

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riparazione e di vendetta rispetto al male del mondo. Probabilmente una visione funzionale all’impianto narrativo di Nothomb, che è incentrato sul Figlio e di questo vuole far esplodere pensieri e coscienza. Del resto all’artista non si può chiedere l’ortodossia. Ricordo un dibattito all’Ecole Normale di Parigi con Eric-Emmanuel Schmitt, l’autore dell’avvincente Il Vangelo secondo Pilato (San Paolo): a uno studente che gli contestava la rischiosa ortodossia teologica del suo romanzo, Schmitt, dopo aver provato ad argomentare che l’arte non è teologia, che la costruzione letteraria non è sinonimo di dogma, se ne uscì con un irritato: «Allora si scriva lei il suo romanzo!».

Fin qui i problemi. Veniamo agli squarci di illuminazione che Nothomb, grazie anche alla capacità artistica da scrittrice di razza qual è nell’immedesimarsi dentro la vicenda che va raccontando, ci offre come contributo singolare e attraente. In questo, facendoci rivivere quell’esperienza che Carlo Maria Martini, sulla scia della tradizione ignaziana, indicava a quanti partecipavano agli esercizi spirituali da lui guidati o lo ascoltavano, maestro indimenticato, negli incontri di Scuola della parola: immedesimarsi nell’episodio biblico, diventare uno dei personaggi, far parlare l’evento come se fossimo presenti.

E così Nothomb — inconsapevolmente, probabilmente, allieva di Ignazio — ci regala una prospettiva inusitata nell’affrontare la vicenda di Gesù. Infatti ci fa scorrere davanti agli occhi, immaginari testimoni nel processo intentato da Pilato, alcuni personaggi che ebbero a che fare con il Maestro: Lazzaro, la coppia di Cana, e altri. Tutti a testimoniare lì che loro, sì, erano stati beneficiati da quel rabbi di Nazareth, ma poi la loro vita aveva avuto parecchi problemi proprio a causa del favore loro accordato da Gesù. Questa immedesimazione e ricostruzione letteraria di Nothomb è davvero suggestiva, feconda e brillante: una sensibilità che può dire molto a tanta teologia di casa cattolica, spesso irregimentata in una costruzione asettica e formale, in cui pare non esserci spazio per il pathos che la vicenda viva dei Vangeli ci infonde.

E infine. Il colpo di genio di Nothomb in questa narrazione è la riespressione del mistero dell’incarnazione di Dio. Quel titolo, quell’assorbimento dell’umanità nel mistero della sete — una dimensione che attraversa il testo biblico dall’inizio alla fine, metafora dell’anelito intrinseco dell’uomo verso l’Assoluto —, quella centralità di questo bisogno del Figlio sofferente ci ridanno il gusto, da vertigine, del mistero che il cristianesimo ha introdotto nel mondo: l’esperienza del divino che si fa carne. E che quindi prova “sete”. Sete dell’altro, sete dell’Altro. Tanto che l’ultimo pensiero del Cristo nothombiano ci lascia senza parole: «Per provare la sete, occorre essere vivi. Io ho vissuto così intensamente da morire assetato. Forse è proprio questa la vita eterna».

Che una scrittrice di oggi ci lasci in mano, al termine del suo romanzo, questa parola così fuori moda, così sovversiva e irriverente rispetto all’appiattimento anti-escatologico del nostro tempo come “vita eterna”, può infine far pendere la bilancia del giudizio verso la vittoria a punti di questo romanzo. Il quale, seppur in alcune increspature, ci consegna pagine potenti e irrequiete, che ci fanno toccare con mano come la provocazione di Cristo ai suoi — «Chi dice la gente che io sia?» — resta profezia, attualità e futuro della condizione umana.

di Lorenzo Fazzini

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Il silenzio https://youtu.be/NOk0qhSTCt8

Postato il aprile 16, 2020 di giuma56 Silenzio… Buona notte

Nini Rosso il silenzio Amor te ne vai, E tanto triste e tu lo sai,

Che giorni inutili,

Vivrò pensando a te.Darei la vita per averti,

Sempre qui vicino a me.Buona notte amore,

Ti vedro nei miei sogni, Buona notte ovunque tu sia,

Buona notte a te che sei lontano.Come una voce, Che ormai conosco già,

Questo silenzio, Di te mi parlerà, Nulla potrebbe cambiar, Anche se devo aspettar.Come

una voce,

Che ormai conosco già, Questo silenzio, Di te mi parlerà, Amor te ne vai,

Ma tornerai ancor.Buona notte amore,

Ti vedro nei miei sogni, Buona notte a te che sei

lontano.

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