Consiglio Nazionale dei Geologi
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02 Mar 2017
Conferenza di servizi, decollo difficile. Ma nell'82% dei casi è già «semplificata»
Giorgio Santilli
Dopo 11 tentativi di riforma in 27 anni, dalla legge Bassanini a oggi, decolla una conferenza di servizi tutta nuova, approvata, in attuazione della delega della legge Madia sulla Pa, con il decreto 127/2015. Sono passati 7 mesi dall’entrata in vigore, lo scorso 29 luglio, e si può tentare un primo bilancio del decollo del nuovo strumento che dovrebbe tagliare drasticamente i tempi di approvazione di progetti pubblici e privati, infrastrutturali e industriali. Sulla carta, ci sono in effetti soluzioni che dovrebbero sciogliere molti dei nodi passati: la «conferenza semplificata»
(senza riunione) diviene la modalità ordinaria per ridurre nettamente numero e complessità delle “convocazioni”; il silenzio-assenso dovrebbe consentire di superare la trappola della “non decisione” che ha sempre rallentato i processi decisionali; il «rappresentante unico» sarà il solo soggetto abilitato a esprimere definitivamente in modo univoco e vincolante la posizione di tutte le Pa rappresentate; i termini temporali divengono certi, fra 45 e 90 giorni, con il taglio dei tempi morti e del labirinto delle convocazioni; il ruolo crescente dell’informatica dematerializza la conferenza.
Va aggiunto che il silenzio-assenso, autentico grimaldello che azzera le meline delle amministrazioni inerti, si applicherà, sia pure con tempi leggermente più lunghi, anche alle amministrazioni di tutela ambientale, paesistica, culturale, di salute pubblica (con l’eccezione dei casi previsti da norme Ue), con il risultato di abbattere un altro dei grandi fattori di resistenza a una chiusura delle conferenze in tempi certi e rapidi.
Ma tutto questo funzionerà quando imprese e cittadini proponenti progetti scenderanno nella battaglia quotidiana contro la burocrazia dei tempi infiniti? Ha cominciato a funzionare? Un primo monitoraggio lo ha svolto l’Ufficio semplificazione del dipartimento Funzione pubblica, responsabile dell’attuazione della norma. Il quadro si può riassumere così: dove le amministrazioni locali si sono attivate, dove hanno svolto anche raccolta dati, la conferenza di servizi «modello Madìa» sta già funzionando. È un dato importante perché conferma che gli strumenti messi in campo hanno una loro robusta efficacia.
I numeri in possesso della Funzione pubblica vanno in questa direzione: su 199 conferenze convocate nel periodo agosto 2016-gennaio 2017 da 23 enti locali che hanno trasmesso i dati, 162 sono andate con la corsia veloce della conferenza preliminare. Significa oltre l’80%. Un buon risultato di sicuro, considerando che i tempi blindati per chiudere questo tipo di conferenza è di 45 giorni. La Funzione pubblica aggiunge che di queste 199 conferenze monitorate 87 si sono già concluse. Anche i casi specifici segnalati dalla Funzione pubblica (alcuni sono riportati nell’articolo in basso) raccontano la messa in moto di esperienze positive: l’ottimo esempio della Regione Sardegna, con le istruzioni impartite il 2 agosto 2016 che hanno confermato l’investimento avviato in precedenza sul funzionamento degli sportelli unici per le attività produttive, sulla piattaforma telematica unica per la gestione delle pratiche e delle conferenze e hanno inserito vecchie esperienze virtuose nel nuovo modello. Il risultato accentua gli spetti
positivi: su 918 conferenze convocate nella Regione Sardegna da agosto 2016 424 sono già concluse con esito positivo e 36 con esito negativo. Su un campione di 307 conferenze, sempre in Sardegna, il 96% sono avvenuto con la forma «semplificata».
Bisogna subito aggiungere, per evitare di dare un quadro distorto ed eccessivamente ottimistico, che le amministrazioni più solerti a inviare i dati sono certamente anche quelle che si sono attivate per prime con la nuova conferenza e che resta vasta, viceversa, la “zona d’ombra” che ancora non si riesce a monitorare o in cui, più semplicemente, le amministrazioni pubbliche sono rimaste inattive o fanno resistenza al nuovo. Non possiamo ancora sapere cosa ci sia in questa zona d’ombra, anche se persistono lamentele di imprese danneggiate dal ripetersi delle vecchie meline che fanno pensare a resistenza ancora molto diffuse: permessi di costruire per cui il parere della Soprintendenza arriva oltre i termini e viene ugualmente acquisito dal comune (che avrebbe dovuto certificare il silenzio-assenso); allungamento dei tempi - che sarebbero di 45 giorni dalla ricezione - da parte del comune per sottoporre progetti in area vincolata al parere della commissione edilizia e della Sovrintendenza; ritardi nell’invio all’impresa proponente della convocazione della conferenza quando proprio il rispetto dei tempi dovrebbe essere il segno più forte del nuovo corso.
Uno degli obiettivi che il governo si è dato è di accelerare la formazione dei funzionari pubblici incaricati di sovrintendere a queste procedure usando anche i Pon Governance e Formazione.
L’altro obiettivo è di estendere il monitoraggio rapidamente e di coinvolgere sempre più anche le imprese e le loro associazioni. In questa difficile sfida del decollo della nuova conferenza di servizi, anche in collegamento con la «Scia 2», la segnalazione di difficoltà, resistenze, anomalìe è certamente utile per dare impulso alla messa a regime e per sbaragliare quelle resistenze che ancora si annidano nella interpretazione della norma.
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02 Mar 2017
Conferenza di servizi/2. Le novità della riforma Madia applicate soprattutto agli interventi privati
Alessandro Arona e Mauro Salerno
Nuovi insediamenti produttivi, interventi edilizi complessi, impianti rifiuti, autorizzazioni ambientali, cave: è soprattutto sulle attività private, soggette a permessi rilasciati da Comuni, Province, Regioni, che la riforma della conferenza di servizi si sta facendo sentire.
Le novità sono ancora fresche (il Dlgs 127/2016 è operativo dal 28 luglio), impossibile fare un vero "bilancio", ma gli Sportelli unici attività produttive (Suap) e edilizia (Sue) li stanno già applicando un po' in tutta Italia, e sono molti a sbilanciarsi già sugli effetti positivi della conferenza semplificata (solo on line), sul rappresentante unico, sulla Valutazione ambientale (Via) regionale unificata, mentre meno risolutive vengono valutate le novità in materia di silenzio-assenso delle amministrazioni di tutela.
Tutto fermo, invece, sul fronte infrastrutture. Le novità del Codice appalti e del pacchetto Madia sui lavori pubblici (conferenza di servizi "anticipata" sul progetto di fattibilità, anziché sul definitivo, e débat public per le opere più rilevanti) non si applicano perché mancano i decreti attuativi . L'addio alla legge obiettivo (conferenza solo consultiva e approvazione Cipe) è per ora
"virtuale", perché quasi tutte le grandi opere in corso si rifanno alle vecchie regole. Infine sulle opere statali continua ad applicarsi il vecchio regolamento 383/1994 (anche se alle Infrastrutture spiegano che «dopo lo stop al potere di veto dei singoli Comuni, dal 2009, ora funziona»).
Ma torniamo al livello comunale. A Milano si è svolta a fine 2016 una complessa conferenza, per l'operazione «tre caserme», dove erano coinvolti l'Università Cattolica, i ministeri dell'Interno e della Difesa, il Demanio, oltre a Comune, Regione e Provveditorato (Mit). «La conferenza era gestita dal prefetto - spiegano al dipartimento Urbanistica del Comune - e grazie alla nuova conferenza tutto si è chiuso in una ventina di giorni. Nella convocazione il prefetto ha utilizzato prima la forma semplificata, chiedendo di inviare i pareri, ma fissando anche una riunione (modalità sincrona)».
Molto dipende dall'efficienza delle amministrazioni. Qualche volta sono più avanti delle leggi: lo stesso Comune di Milano utilizzava sempre (o quasi) la conferenza di servizi per il permesso di costruire quando sono necessari pareri di altre Pa, prima arrivasse l'obbligo del 127. E così la conferenza di servizi unica regionale quando è necessaria la Via: l'invenzione è della Regione Emilia Romagna, il governo si è ispirato a questa best practice.
Ma anche la conferenza semplificata on line, una delle grandi novità in vigore da luglio: alcuni Comuni, anche piccoli, hanno cominciato da tempo a gestire tutte le pratiche on line. Accade a Cascina (comune pisano di 45mila abitanti) che gestisce oltre 3mila pratiche all'anno (422 di concessioni e autorizzazioni) chiudendo i procedimenti in 30 giorni, tranne i casi relativi a Aua e permessi di costruire in cui, spiega la Responsabile del Suap Paola Rosellini «arriviamo al
massimo a 60 giorni». Medie di 35-40 giorni anche nel Faentino, dove la locale Unione dei comuni serve un bacino di 90mila cittadini e 8mila imprese. Della nuova conferenza di servizi,dice il responsabile del Suap Claudio Facchini, vanno apprezzati soprattutto due aspetti.
Primo: «La scansione precisa dei tempi». Secondo: «Il ribaltamento della responsabilità in capo agli enti che non rispondono nei termini».
Viceversa tutto rischia di restare sulla carta, anche se ora c'è una norma di legge, quando le amministrazioni "frenano". Anche a Ragusa hanno iniziato da fine luglio a utilizzare i nuovi strumenti. Ma, come spiega il responsabile del Suap Ignazio Guastella, «non è facile convincere gli altri enti a rilasciare i pareri nei tempi previsti». Anche perché i nuovi termini sono molto stretti. «È uno degli aspetti positivi della riforma», sottolinea Paola Bissi, dirigente del Suap di Ravenna. Che cita anche un punto critico. Ci sono solo 15 giorni quando si tratta di chiedere un'integrazione documentale, raccogliendo in un provvedimento unico i pareri di tutti gli enti coinvolti. «Prima della riforma venivano concessi 30 giorni - segnala Biffi -. Due settimane per questo lavoro non sono molte». E non si può fare a meno di citare una certa diffidenza delle imprese nei con fronti della Pa. «In molti anche negli interventi complessi - spiega l’assessore di Trieste Luisa Polli - preferiscono fare in proprio tutte le verifiche necessarie e presentarsi allo sportello unico con il “pacchetto” già pronto».
La Regione Lazio è stata la prima a istituire, in seguito alla riforma, un Ufficio unico Conferenze di servizi. Serve a coordinare in un documento unico i pareri dei vari uffici regionali per atti da consegnare ad altre Pa . «Prima la Regione non si coordinava - spiega il responsabile, Luca Ferrara - ogni ufficio elaborava il suo parere come se fosse una Pa diversa con il rischio di dire cose discordanti».
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02 Mar 2017
Conferenza di servizi/3. Rughetti: «Ora l'obiettivo è formare 5mila funzionari»
Gianni Trovati
«I primi dati sulla nuova conferenza di servizi sono buoni soprattutto per la conferenza semplificata e l’applicazione del silenzio-assenso, in altri campi la situazione è a macchia di leopardo e mostra risultati migliori dove la composizione politica degli interessi è avvenuta a monte, per esempio nelle Unioni di Comuni, o dove l’intervento è puntuale e riguarda il territorio di una singola amministrazione. Le resistenze maggiori si incontrano invece dove le novità impongono di modificare gli atti delle Pa locali, per esempio con la catalogazione delle procedure nel decreto Scia 2 che va attuata uniformando le leggi regionali e i regolamenti comunali. Ma per la Conferenza di servizi e la Scia 2 la fase cruciale inizia ora, con il cambiamento dei comportamenti delle singole amministrazioni. La spinta arriverà da tre fattori, riassumibili in incentivi, trasparenza e formazione. Con i fondi del Pon Governance contiamo di formare 5mila funzionari pubblici per attuare al meglio queste riforme. Ma anche le imprese devono fare la loro parte acquisendo consapevolezza dei loro diritti e chiedendone sempre il rispetto».
Angelo Rughetti, sottosegretario alla Pa e alla semplificazione sta seguendo da vicino tutta la fase attuativa della delega sulla pubblica amministrazione, che con i cinque decreti approvati in prima lettura la scorsa settimana ha praticamente ultimato la fase di costruzione dei nuovi provvedimenti e deve ora completare la definizione dei correttivi. Rughetti ci tiene però a sottolineare che «l’arrivo dei decreti in Gazzetta Ufficiale è il primo passo, e non l’ultimo, soprattutto in un tema come la semplificazione. Noi abbiamo scelto di perseguirla non solo cambiando le norme, che è il lavoro più facile, ma puntando a modificare i comportamenti.
L’obiettivo, concretissimo, è quello di praticare davvero l’articolo 3 della Costituzione, che affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che limitano libertà e uguaglianza dei cittadini. Perché dove la Pa funziona peggio, cittadini e imprese non hanno le stesse opportunità degli altri, e l’articolo 3 è come sospeso»
L’obiettivo è alto ma la strada sembra lunga. I primi dati mostrano per esempio il successo della conferenza semplificata, ma indicano la persistenza di resistenze in alcuni settori, come la tutela ambientale e i beni culturali. Come si fa a superare questi ostacoli?
Nella riforma abbiamo messo alcune norme importanti, a partire dal rafforzamento del silenzio- assenso che permette di superare i poteri di veto. Un’amministrazione, per fare un esempio concreto, non può più bloccare un’opera non presentandosi in conferenza, o allungando i tempi, perché nella Pa 4.0 il tempo dei veti è finito e il silenzio-assenso supera questa resistenza passiva. Ma come accennavo, le leggi efficaci sono la condizione necessaria e non sufficiente per il successo della riforma, che deve cambiare le pratiche quotidiane delle amministrazioni.
Detta così sembra un’idea nobile ma teorica. Come si traduce in pratica?
Per esempio con i nuovi incentivi che guideranno il salario accessorio secondo i decreti sul pubblico impiego che abbiamo approvato la settimana scorsa. Ridurre i tempi delle autorizzazioni, semplificare le procedure e aumentare la presenza di servizi digitali saranno fra gli obiettivi a cui sarà collegata la possibilità di finanziare la parte variabile della busta paga. Mi sembra un tema molto concreto.
Valutazione e premi, però, nella riforma vengono lasciati alla contrattazione nazionale. Non c’è il rischio di obiettivi troppo modesti per non essere raggiunti da tutti?
No, perché a definire gli obiettivi, che con una bella formula nelle prime bozze si chiamavano
«obiettivi della Repubblica», saranno le linee guida della Funzione pubblica, che andranno nel merito e saranno fissate d’intesa con Regioni ed enti locali nelle parti di loro competenza come imposto anche dalla Corte costituzionale. Fisseremo degli standard, e gli obiettivi saranno più ambiziosi per le Pa oggi più lontane dai livelli ottimali. Non dimentichiamoci che ci sono ingiustizie palesi da rimuovere: se un’impresa riceve dalla Pa i pagamenti in tre mesi e un’altra ci riesce in 60 giorni, si determina nei fatti una concorrenza distorta: non è un fatto che riguarda le classifiche internazionali, ma la vita concreta delle persone, che è ancora più importante. Sul punto, anche le imprese hanno un ruolo cruciale.
In che senso?
Le imprese sono soprattutto titolari di diritti soggettivi di cui devono essere consapevoli, conoscendo i nuovi strumenti a disposizione. Spesso in passato le imprese hanno scambiato i diritti con gentili concessioni, oggi invece devono recriminare tutte le opportunità che vengono date dalle nuove regole. Questo atteggiamento nuovo aiuterà anche le amministrazioni a uniformarsi agli standard migliori.
Oltre alla spinta “dall’esterno”, quali sono gli strumenti per diffondere le pratiche migliori?
Il primo è la trasparenza, anch’essa collegata al nuovo sistema di valutazione dei risultati. Ogni ente è tenuto a pubblicare il piano delle performance, da modulare in base agli obiettivi generali che citavamo prima, e cittadini e imprese sapranno in modo diretto quali sono i loro diritti, e quali le prestazioni che la loro Pa di riferimento assicura.
Scontata l’obiezione da parte delle amministrazioni: come facciamo a semplificare e innovare dopo anni di tagli che hanno colpito anche la formazione del personale?
Ma ora le risorse ci sono, e nascono dalla scelta strategica di concentrare su questi aspetti i fondi del Pon Formazione. Quando siamo arrivati abbiamo trovato 300 micro-iniziative aperte. Noi abbiamo fatto una scelta opposta, concentrando le risorse su tre azioni di sistema per attuare i decreti legislativi. Con il primo progetto, a regime ci saranno oltre 5mila funzionari monitorati e formati su conferenza dei servizi, Scia 1 e 2 e nuove regole sull’autotutela. Sulle Città metropolitane, intese come hub delle amministrazioni sul territorio, si concentra il secondo, per diffondere gli standard su modulistica, procedure e conferenza dei servizi in una platea di 3mila Comuni. Solo il terzo progetto, “riforma attiva”, sarà dedicato a singoli enti, 20 città medie e 15 province in 10 regioni.
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02 Mar 2017
Sismabonus/1. Ance: bene le classi sismiche, ora va sbloccata la cessione del credito alle banche
Giuseppe Latour
Bene l'attivazione del sismabonus, ma adesso la riforma va completata, con qualche ulteriore limatura. Da un lato, come evidenziano i costruttori dell'Ance, con le norme sulla cessione dei crediti, strategiche per rendere fattibili le grandi operazioni di messa in sicurezza. Dall'altro, come spiega il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, con l'aggiornamento e l'impegno di imprese e professionisti, fondamentali per rendere il nuovo incentivo familiare agli italiani, come è già avvenuto per l'ecobonus.
«Abbiamo accolto con grande soddisfazione la firma del decreto sulla classificazione sismica», commenta il presidente dell'Ance, Gabriele Buia. In questo modo, riconosce soprattutto il merito al ministro Delrio di essere riuscito a rispettare i tempi previsti dalla legge di Bilancio, come era stato richiesto nelle scorse settimane dall'associazione. Per dare il via al grande piano di prevenzione del rischio sismico auspicato dai costruttori, però, manca ancora un tassello.
«Auspichiamo che si proceda ora velocemente», continua Buia, «alla definizione degli strumenti che rendano possibile la cessione a terzi dei crediti fiscali derivanti dagli interventi di messa in sicurezza».
Il riferimento non è soltanto al provvedimento che l'Agenzia delle Entrate dovrà licenziare nei prossimi giorni, per rendere possibile la cessione alle imprese. Per l'Ance, infatti, c'è un problema da risolvere: la cessione del credito non va limitata alle imprese ma va estesa anche ad altri soggetti, in grado di anticipare la liquidità che serve per alimentare queste operazioni. Una proposta di riforma, in questa direzione, è già stata recapitata al ministero. Nei prossimi giorni ci si aspettano novità su questo fronte.
Il ministro Graziano Delrio, invece, nel giorno del battesimo del nuovo sconto fiscale, è intervenuto alla Casa dell'architettura di Roma, a conclusione di un convegno organizzato dall'ordine degli architetti capitolini. «Adesso è fondamentale che le imprese e i professionisti facciano la loro parte e aiutino i cittadini a comprendere l'importanza di questo nuovo bonus», ha detto. «Non c'è forse mai stato un altro momento storico nel quale gli italiani sono stati così spaventati come oggi per la sicurezza delle loro abitazioni. Per questo abbiamo pensato di avviare un'alleanza con i privati per la messa in sicurezza degli edifici. Il lavoro che abbiamo fatto è una novità assoluta e sono convinto che, come l'ecobonus oggi mobilita decine di miliardi, anche il sismabonus potrà diventare una cosa familiare a tutti». Anche se, rispetto all'altro incentivo fiscale, «è più complesso». Per questo serve l'aiuto di tutti. «Le Regioni e gli enti locali devono fare la loro parte. Ma soprattutto bisogna che le imprese capiscano l'importanza del bonus e comincino a lavorare per la messa in sicurezza. E, allo stesso, modo, gli
ordini e i professionisti dovranno impegnarsi per diffondere questo strumento».
Per Patrizia Colletta, presidente del dipartimento Progetto sostenibile ed efficienza energetica dell'Ordine degli architetti di Roma, il sismabonus apre anche un altro fronte: il fascicolo di fabbricato. «La distruzione di Amatrice, Arquata, Castelluccio di Norcia e di tanti altri borghi ci consegnano un grande compito: l'adeguamento sismico e la classificazione sismica consentono di risparmiare vite umane e di risparmiare ingenti risorse economiche per la riparazione». In tal senso, «ritengo molto importante l'approvazione delle linee guida per la classificazione sismica da parte del ministero delle Infrastrutture». In questo quadro, però, «non possiamo più ritardare l'adozione di un importante strumento di conoscenza delle condizioni degli edifici in cui viviamo, chiamiamolo fascicolo del fabbricato, libretto di manutenzione dell'edificio, patentino della casa, ma la questione dell'obsolescenza strutturale e impiantistica del patrimonio pubblico e privato non può più essere rinviata».
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02 Mar 2017
Sismabonus/2. Interventi difficili sui singoli appartamenti
Marco Mion
Con la legge di Bilancio 2017, approvata il 21 dicembre 2016, veniva sancito il ruolo del bonus antisismico, oggi detto “Sismabonus”, come opportunità per stimolare un piano volontario dei cittadini, con forti incentivi statali, di valutazione e prevenzione nazionale del rischio sismico degli edifici.
Il decreto ministeriale del Mit, attivo a partire ieri, è lo strumento attuativo che istituisce le linee guida e indica le modalità per l’attestazione dell’efficacia degli interventi da parte di professionisti abilitati.
Le l inee guida inserite nel decreto affrontano il tema della classificazione del rischio sismico delle costruzioni esistenti con un nuovo approccio, che va a coniugare da una parte il rispetto del valore della salvaguardia della vita umana (mediante i livelli di sicurezza previsti dalla vigenti norme tecniche per le costruzioni) e dall’altra la considerazione delle possibili perdite economiche e delle perdite sociali (in base a robuste stime convenzionali basate anche sui dati della ricostruzione post sisma Abruzzo 2009).
Le stesse linee guida consentono di attribuire a un edificio una specifica classe di rischio sismico, mediante un unico parametro che tenga conto sia della sicurezza sia degli aspetti economici. Sono state individuate otto classi di rischio sismico: da A+ (meno rischio), ad A, B, C, D, E, F e G (più rischio). La nomenclatura è affine a quella adottata in ambito comunitario per definire la prestazione energetica di edifici o elettrodomestica.
Tra le spese detraibili per la realizzazione degli interventi finalizzati alla riduzione della classe di rischio sismico, sia su singoli immobili che su condomini vengono incluse anche le spese che dovranno essere sostenute per ottenere la classificazione e verifica sismica degli immobili fatte da parte di professionisti abilitati.
Cosa bisogna fare per accedere all’incentivo:
il proprietario che intende accedere al beneficio, incarica un professionista della valutazione della classe di rischio e della predisposizione del progetto di intervento;
il professionista individua la classe di rischio della costruzione nello stato di fatto prima dell’intervento;
il professionista progetta l’intervento di riduzione del rischio sismico e determina la classe di rischio della costruzione a seguito del completamento dell’intervento;
il professionista assevera i valori delle classi di rischio e l’efficacia dell’intervento;
il proprietario può procedere ai primi pagamenti delle fatture ricevute;
il direttore dei lavori e il collaudatore statico attestano al termine dell’intervento la conformità come da progetto.
Va sottolineato che il “sismabonus” non è cumulabile con agevolazioni spettanti per le medesime finalità, sulla base di norme speciali per interventi in aree colpite da eventi sismici.
Per i soli lavori condominiali, viene prevista la possibilità di cedere la detrazione fiscale alle imprese esecutrici o a soggetti privati ma con esclusione esplicita degli istituti di credito e degli intermediari finanziari.
È ammessa a favore del cessionario che riceve il credito la facoltà di successiva rivendita dello stesso beneficio.
Si deve però considerare che, a differenza degli altri interventi di ristrutturazione edilizia o di riqualificazione energetica, dove tecnicamente è possibile operare su singole unità immobiliari anche in un contesto “condominiale”, l’intervento di messa in sicurezza antisismica risultata essere difficilmente praticabile in una analoga condizione immobiliare. Sembra infatti complicato immaginare un intervento che migliori la classe sismica di un immobile, che per sua natura è collegato strutturalmente ad un altro, senza coinvolgere quest’ultimo.
Le linee guida sono sicuramente perfettibili, ma si tratta comunque di un importante cambio di passo sia per i professionisti che per la società civile nell’approccio al rischio sismico. Con un periodo di affinamento progressivo e un riscontro sereno e obiettivo a seguito dell’attuazione si potranno sicuramente migliorare alcuni elementi che però ad oggi non diminuiscono la fondamentale portata del provvedimento.
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02 Mar 2017
Appalti urgenti, le istruzioni di Cantone per la verifica di congruità dei prezzi
Mauro Salerno
Troppe richieste di pareri prive dei documenti minimi per rendere possibile il rilascio del "visto"
richiesto dal codice appalti. È in sintesi il contenuto del comunicato diffuso ieri dal presidente dell'Anac Raffaele Cantone, con le indiacazioni sulle modalità di presentazione delle istanze di verifica della congruità del prezzo pattuito con le imprese nel caso di assegnazione di appalti urgenti.
Tutto nasce dalle previsioni del nuovo codice appalti (articolo 163, Dlgs 50/2016) quando ci sono in ballo operazioni da avviare immediatamente, senza possibilità di seguire gli step imposti dalle gare ordinarie. In questi casi la stazione appaltante ha la possibilità di assegnare l'appalto sulla base di un «prezzo provvisorio» pattuito con l'impresa. Questo prezzo va poi comunicato all'Anac, insieme a tutti i documenti, per la « valutazione di congruità» da eseguire in 60 giorni.
L'anello debole della catena sta proprio qui. «L'Anac - scrive Cantone - ha già ricevuto numerose istanze per l'emissione di pareri in ordine alla congruità di prezzi pattuiti dalle stazioni appaltanti per acquisti in situazioni di urgenza. Tuttavia, in alcuni casi, le richieste sono risultate del tutto prive dei necessari presupposti di ammissibilità, ovvero carenti di documentazione, con conseguente aggravio di istruttoria».
Di qui l'idea di correre ai ripari, indicando alle amministrazioni i passaggi da seguire per ottenere il parere nei termini. Il comunicato traccia allora tutte le informazioni e i documenti che la richiesta deve contenere per poter essere trattata. In caso di richieste incomplete, specifica il comunicato, «il termine di sessanta giorni» per il rilascio del parere previsto «decorre dal ricevimento delle informazioni che integrano la comunicazione».
Quanto al controllo sull'effettiva sussistenza dei requisiti di urgenza per l'assegnazione dell'appalto senza gara ,Cantone segnala che le verifiche verranno fatte in seguito, nell'ambito delle azioni di vigilanza dell'Autorità. «Pertanto, le amministrazioni che fanno ricorso alle procedure d'urgenza di cui all'art. 163 citato, per l'acquisizione sia di lavori che di servizi e forniture, anche qualora non abbiano formulato una richiesta di parere di congruità, trasmettono all'Anac la relativa documentazione, entro il termine che sarà indicato nel nuovo Regolamento in materia di attività di vigilanza sui contratti pubblici».
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02 Mar 2017
Progettazione, a febbraio frena del valore dei servizi ma gli ultimi 10 mesi rimangono in netta crescita
Al. Le.
Più bandi ma meno ricchi a febbraio per il settore della progettazione. Secondo le anticipazioni dei dati Oice sull'andamento delle gare di ingegneria e architettura, il mese scorso il numero degli avvisi cresce del 25% mentre il valore perde il 58 per cento.
Dall'entrata in vigore del Codice appalti (a fine aprile dello scorso anno), il mercato della progettazione, sulla scia dell'obbligo di affidare lavori sul progetto esecutivo, rimane comunque in netta crescita rispetto ai 10 mesi dello stesso periodo precedente: +29,2% in numero e +24,6%
in valore. In termini assoluti nei mesi post decreto 50/2016, da maggio 2016 a febbraio 2017, si sono raggiunti i 319 milioni di euro contro i 256 milioni di euro degli stessi mesi 2015-2016.
Nel mese che si è appena chiuso rimane costante la crescita del numero dei bandi di progettazione anche se il valore subisce uno stop di quasi il 50% se raffrontato al valore di febbraio 2016, mese in cui si raggiunse un valore particolarmente elevato. In particolare sono state 251 le gare bandite per un importo di 30,4 milioni, +24,9% in numero, ma in calo del 58,4%
in valore.
Il complesso di tutti i servizi di ingegneria e architettura risente ugualmente di questa frenata: a febbraio le gare sono state 453 per un importo 41,1 milioni di euro, +28,7% in numero, ma -50,6% in valore. L'entrata in vigore del nuovo codice ha comunque portato, nei 10 mesi da maggio 2016, incrementi del 38,5% in numero e del 31,7% in valore.
Sono sempre troppo elevati i ribassi con cui le gare vengono aggiudicate: sulla scorta dei dati raccolti fino a febbraio il ribasso medio sul prezzo a base d'asta per le gare indette nel 2014 è al 30,0%, per quelle del 2015 al 40%, mentre per quelle del 2016 si arriva al 39,7 per cento.
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02 Mar 2017
Cassazione: committente responsabile degli infortuni anche durante il sopralluogo
Francesco Machina Grifeo
Il committente che non verifica l'«idoneità tecnico professionale» dell'impresa edile, risponde anche dell'infortunio occorso durante il "sopralluogo" e quindi ben prima della stipula del contratto di appalto. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 1° marzo 2017 n. 10014, condannando alla ammenda di 4mila euro, con pena sospesa, per culpa in eligendo, il primo accomandatario di una società a seguito della morte del «preteso titolare» di una ditta edile caduto dal tetto di un capannone industriale durante un sopralluogo.
L'imprenditore si era difeso sostenendo che non era stato siglato alcun contratto di appalto con l'impresa edile e che egli non era neppure presente al momento della visita, che peraltro serviva soltanto a prendere cognizione delle eventuali riparazioni da fare. Inoltre, nessun preventivo era stato fatto, per cui gli era stato attribuita, in via preventiva, una responsabilità che non poteva avere.
Per la Suprema corte però la censura non coglie il punto in quanto il Tribunale di Novara ha fondato la responsabilità non sul supposto perfezionamento di un contratto di appalto, ma sulla
«mancata verifica dell'idoneità tecnico professionale dell'impresa», dal momento che il rappresentante legale della società aveva comunque consentito ad «effettuare il sopralluogo presso la struttura danneggiata salendo sul tetto».
L'articolo 15 del Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro (Dlgs 81/2008), infatti, «pone carico del committente, sin dalla fase di progettazione dell'opera e delle conseguenti scelte tecniche, specifiche cautele prescritte, fra cui la verifica nell'ipotesi di cantieri temporanei dell'idoneità tecnico professionale dell'impresa affidataria, la quale implica l'iscrizione di quest'ultima alla Camera di Commercio e l'autocertificazione in ordine al possesso dei requisiti previsti dalla normativa di settore». Requisiti mancanti nel caso specifico dato che la ditta non era più attiva dal 2009 e l'attività di artigiano edile del supposto titolare era cessata addirittura nel 2003. Mentre, prosegue la sentenza, la verifica dei titoli di idoneità prescritti dalla legge
«configura adempimento preliminare da parte del committente», da farsi dunque ancora prima della verifica sul campo delle concrete capacità di portare a compimento i lavori commissionati.
Da ciò discende, conclude la sentenza, che per far scattare la responsabilità del committente
«non è affatto necessario il perfezionamento di un contratto di appalto, sia perché trattasi di adempimenti preliminari alla successiva fase della stipula, sia perché la norma in esame non contempla tale figura contrattuale ben potendo la commissione esaurirsi in una mera prestazione d'opera, quale è certamente il sopralluogo sul tetto ai fini della verifica dei lavori necessari, alla quale devono comunque presiedere le cautele previste».
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02 Mar 2017
Emergenza abitativa, Cgil all'attacco:
servono 600 milioni l'anno per 10 anni, ecco come fare
Massimo Frontera
Dopo 20 anni di federalismo, attuato con la riforma del titolo V della Costituzione, per l'edilizia residenziale pubblica torna a soffiare un vento statalista. A invocare un ritorno a forme di centralizzazione è stata la Cgil, con una proposta avanzata insieme alle sue organizzazioni che rappresentano gli inquilini (Sunia) e l'edilizia (Fillea).
Nel convegno "Un programma di edilizia pubblica e sociale", promosso ieri a Roma dai sindacati, è stata avanzata una proposta con lo scopo di rispondere al fabbisogno abitativo, che - ricordano i sindacati - resta ancora largamente insoddisfatto in Italia, a partire dalle 650mila domande di assegnazione di un alloggio popolare.
La proposta dei sindacati
La proposta consiste in un piano decennale per l'edilizia residenziale sociale che ha come principali elementi qualificanti il ripristino di un gettito costante di risorse statali (dopo che il gettito Gescal è cessato con la riforma federalista del 1998) e un quadro normativo nazionale di riferimento, che affermi alcuni principi sostanziali, lasciando al legislatore regionale solo alcuni aspetti.
I sindacati hanno anche pensato al modo di finanziare questo piano, stimando di poter ricavare un gettito di circa 600 milioni di euro l'anno per dieci anni. Gettito che risponde appunto all'esigenza di poter contare su un flusso di risorse costante sul quale impostare investimenti e politiche abitative.
Le risorse dalle grandi opere
Le risorse statali, secondo la proposta Cgil-Sunia-Fillea, arrivano da varie linee di finanziamento. Il gettito principale consiste del 50% degli accantonamenti per le opere compensative delle opere deliberate dal Cipe di oltre 150 milioni di importo. Contestualmente, la proposta prevede di elevare al 4% (rispetto all'attuale 1-1,5%), gli accantonamenti previsti per le medesime grandi opere. A questo si aggiunge il gettito costituito dal «50% dei ribassi d'asta ottenuti a seguito delle gare per l'affidamento delle opere approvate dal Cipe».
SCARICA IL TESTO - I CONTENUTI DEL PIANO DECENNALE PROPOSTO DA CGIL, SUNIA E FILLEA
A questo gettito - sempre secondo la proposta Cgil-Sunia-Fillea - si possono aggiungere risorse stanziate annualmente dal Def (Documento di economia e finanza), dalle Regioni e dai fondi pensione. Altre risorse possono arrivare, a livello locale, da quote di contributi di costruzione straordinari, oneri di urbanizzazione, monetizzazione di standard, oneri di titoli abilitativi e
sanzioni per la mancata realizzazione di standard urbanistici. Complessivamente, stimano i sindacati, si arriva appunto a un gettito di 600 milioni.
I numeri dell'emergenza abitativa
I sindacati hanno ricordato anche i numeri del bisogno, insoddisfatto, di abitazioni in Italia:
650mila domande di edilizia pubblica inevase presso Comuni e ex IACP; 4 milioni di giovani tra 25 e 39 anni che risiedono ancora nella famiglia di origine; 3 milioni di lavoratori stranieri che vivono in affitto in coabitazione ed in condizioni di sovraffollamento. Delle famiglie che vivono in affitto, oltre il 70% (2,3 milioni di nuclei) ha un reddito inferiore ai 30mila euro annui e vive in prevalenza nei grandi centri urbani, dove gli affitti sono più elevati. Delle famiglie in proprietà, il 20% (3,3 milioni) deve assolvere al pagamento di un mutuo e circa un terzo ha un valore immobiliare inferiore a quello per cui hanno chiesto il prestito.
Nencini: verso l'ok del Cipe 700 milioni per l'edilizia abitativa
Intervenendo al convegno promosso dai sindacati, il viceministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini, ha annunciato risorse in arrivo. «Oltre agli interventi avviati nel 2017, pari a oltre 490 milioni di euro - ha detto Nencini - sono previsti 700 milioni, il cui stanziamento ha già avuto parere favorevole del pre-Cipe, per il recupero e razionalizzazione di alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica». «Questi fondi - ha aggiunto - sono finalizzati alla manutenzione ordinaria e straordinaria di alloggi e per operazioni di ripristino e manutenzione straordinaria delle parti comuni di interi edifici».
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02 Mar 2017
Tanto mattone nelle gestioni delle Casse previdenziali, +91% in quattro anni
Evelina Marchesini
Nessuna dieta del mattone per le Casse di previdenza italiane. Perlomeno non in termini di investimenti indiretti, vale a dire in quote di fondi immobiliari. Tanto che, in totale, il valore di tali quote è praticamente raddoppiato dal 2012 al 2016 (+91,5%), passando da 5,711 miliardi di euro a 10,940 miliardi e portando, di fatto, le Casse previdenziali a essere tra i principali investitori dei fondi immobiliari riservati italiani. Se il patrimonio del totale dei fondi immobiliari (riservati e non) alla fine del 2015 era di 59 miliardi, è chiaro che quasi un quinto di tale patrimonio è nelle “pance” delle Casse. In un momento in cui infuriano le polemiche e le accuse nei confronti delle scelte di investimento non solo dell'Inps ma anche di alcune Casse private, Il Sole 24 Ore ha voluto vederci chiaro in termini di numeri e, insieme alla società di ricerche indipendente Scenari Immobiliari, ha preparato l'elaborazione sintetizzata in questa pagina.
Tutte le realtà esaminate hanno aumentato l'investimento in quote di fondi immobiliari dal 2011 al 2015, ma con intensità diverse. In cima alla lista ci sono i giornalisti, che hanno visto aumentare l'esposizione dell'Istituto dai 59,2 milioni di euro di inizio 2012 ai 699,227 milioni di inizio 2016 (+1.080%). Anche la Cassa degli avvocati ha incamerato un notevole incremento, passando dai 120,6 milioni ai 685,92 di fine 2015 (+468%). Allo stato attuale (fotografato con i dati disponibili, cioè all'inizio 2016) le Casse con maggiori investimenti in quote di fondi immobiliari sono Enpam, con 3,128 miliardi; Enasarco con 2,282 miliardi; Inarcassa, con oltre 1,193 miliardi e la Cassa dei ragionieri con 909,4 milioni di euro.
È molto importante sottolineare che nel corso degli anni le Casse e gli Enti si sono via via alleggeriti dell'investimento diretto in immobili, di cui prima tali realtà erano letteralmente piene. Via via, i piani di dismissione hanno visto la vendita di tali immobili, principalmente costituiti da residenze: un investimento che rendeva ben poco, se non addirittura pesava sui conti. Non solo. «Abbiamo calcolato che circa l'80% dell'aumento degli investimenti nei fondi immobiliari si riferisce al conferimento di immobili delle Casse in veicoli appositamente creati per gestirli in modo efficiente e autonomo _ spiega Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari _. Il restante 20% sono invece investimenti “nuovi”, in quote di fondi immobiliari che investono in asset sul mercato. Terminato ormai questo processo di razionalizzazione del mattone con i conferimenti ai fondi, d'ora in poi vedremo invece acquisti netti di quote di fondi immobiliari, nell'ottica della diversificazione e ottimizzazione del portafoglio». In sostanza, dunque, si può dire che le Casse stiano via via sostituendo il mattone reale con il cosiddetto
“mattone di carta”. «Esaminando i bilanci delle Casse va comunque sottolineato che gli enti previdenziali hanno ancora un patrimonio immobiliare di circa 7,5 miliardi di euro _ spiega Breglia _ suddivisi per il 45% nel residenziale, il 40% in uffici e il 15% in altri settori, principalmente commerciale e ricettivo».
Il ricorso ai fondi immobiliari, rispetto all'investimento diretto, presenta una serie di vantaggi. I fondi alleggeriscono le Casse dall'onere della gestione diretta degli immobili, diversificano il portafoglio e sono monitorati nel proprio operato dagli organi di controllo. Sono strumenti trasparenti nei confronti degli investitori (le Casse), ma sono poi queste che devono trasmettere le informazioni ai propri iscritti. «Rispetto anche solo a tre anni fa, la situazione è molto migliorata _ spiega Breglia _ perché allora praticamente non si trovavano informazioni sugli investimenti in fondi immobiliari e anche quelle relative agli asset di proprietà non brillavano.
Ora tutte le Casse elencano i fondi in cui investono». Ma questo elenco non è di per sé sufficiente a garantire una reale trasparenza.
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Rischio sismico: ecco come ottenere il sismabonus
di Alessandra Marra
Il professionista dovrà calcolare la classe di rischio pre e post-intervento con lo stesso metodo e certificare l'efficacia dei lavori
02/03/2017 - Con l’entrata in vigore delle Linee guida per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni i professionisti saranno chiamati a valutare la sicurezza degli edifici, attraverso l’assegnazione di una classe di rischio, e a progettare e stimare il miglioramento antisismico.
SCARICA LE LINEE GUIDA PER LA CLASSIFICAZIONE SISMICA Rischio sismico: due metodi per determinarlo
I professionisti potranno determinare la classe di rischio (in tutto 8 dalla lettera A+ alla lettera G) attraverso due metodi: quello "convenzionale", applicabile a qualsiasi tipologia di costruzione, e quello semplificato, con un ambito applicativo limitato.
Il metodo convenzionale si basa sull'applicazione dei normali metodi di analisi
previsti dalle Norme Tecniche per le costruzioni e consente la valutazione della
classe di rischio della costruzione sia nello stato di fatto esistente sia nello stato
conseguente all'eventuale intervento.
Il metodo semplificato si basa su una classificazione macrosismica dell'edificio ed è indicato per una valutazione speditiva della classe di rischio dei soli edifici in muratura; può essere utilizzato sia per una valutazione preliminare indicativa, sia per valutare, limitatamente agli edifici in muratura, la classe di rischio in relazione all'adozione di interventi di tipo locale.
Le Linee Guida specificano che quando si prevede l'esecuzione di interventi volti alla riduzione del rischio, l'attribuzione della classe di rischio pre e post
intervento deve essere effettuata utilizzando il medesimo metodo e con le stesse modalità di analisi e di verifica.
Nel caso di valutazioni finalizzate all'esecuzione di interventi volti alla riduzione del rischio, è consentito l'impiego del metodo semplificato, nei soli casi in cui si adottino interventi di rafforzamento locale; in tal caso è ammesso il passaggio di una sola classe di rischio.
Nel caso degli edifici la classe di rischio associata alla singola unità immobiliare coincide con quella dell'edificio e il fattore inerente la sicurezza strutturale deve essere quello relativo alla struttura dell'edificio nella sua interezza.
Attribuzione del rischio sismico: i parametri da considerare
Per la determinazione della classe di rischio con il metodo convenzionale i professionisti si dovranno rifare a due parametri:
- la Perdita Annuale Media attesa (PAM): costo di riparazione dei danni prodotti dagli eventi sismici che si manifesteranno nel corso della vita della costruzione, ripartito annualmente ed espresso come percentuale del costo di ricostruzione;
- l'indice di sicurezza (IS-V) della struttura definito come il rapporto tra l'accelerazione di picco al suolo che determina il raggiungimento dello Stato Limite di salvaguardia della Vita e quella prevista, nel sito, per un nuovo edificio.
Per il calcolo di tali parametri è necessario calcolare, facendo riferimento al sito in cui sorge la costruzione in esame, le accelerazioni di picco al suolo per le quali si raggiungono gli stati limite utilizzando le usuali verifiche di sicurezza agli stati limite previste dalle Norme Tecniche per le Costruzioni. La classe di rischio si individua mettendo in relazione due parametri e privilegiando nel confronto la classe più bassa.
Nel metodo semplificato la classe di rischio di appartenenza si calcola a partire dalla classe di vulnerabilità definita dalla Scala Macrosismica Europea (EMS) per edifici in muratura che individua 7 tipologie di edifici in muratura e fissa la
vulnerabilità media di ciascuna individuando 6 classi di vulnerabilità.
Attraverso una tabella presente nelle Linee guida è possibile trovare
la corrispondenza tra classi di vulnerabilità (V1, V2, ... V6) e le classi di rischio (A+, A, ..., G).
Miglioramento sismico: come valutarlo
I professionisti dovranno progettare gli interventi con lo scopo di mitigare il rischio, con effetti sia sul parametro PAM sia sull'indice IS-V. Tali lavori possono interessare elementi strutturali e/o elementi non strutturali, in relazione alle carenze specifiche della singola costruzione.
Utilizzando il metodo convenzionale, l'effetto degli interventi per la riduzione del rischio, in termini di numero di cambi di classe di rischio conseguiti, è facilmente determinabile valutando la classe di rischio nella situazione pre-intervento e post-intervento.
In questo caso, però, bisognerà valutare il comportamento globale della costruzione, indipendentemente da come l'intervento strutturale s’inquadri nell'ambito delle Norme Tecniche per le Costruzioni (adeguamento,
miglioramento o intervento locale).
Quando la classe di rischio è stata assegnata all'edificio mediante il metodo semplificato, è possibile ritenere valido il passaggio alla classe di rischio immediatamente superiore solo quando vengono soddisfatte le condizioni indicate nella tabella 7 delle Linee guida.
Miglioramento sismico: al via Sismabonus rinforzato
Secondo l’incremento conseguito, sarà possibile ottenere il relativo bonus fiscale:
-le ristrutturazioni antisismiche senza variazione di classe avranno diritto alla detrazione del 50%;
- il miglioramento di una classe porterà alla detrazione del 70% per prime e seconde case ed edifici produttivi mentre porterà al 75% nelle parti comuni dei condomini;
- il miglioramento di due classi porterà alla detrazione del 80% per prime e seconde case ed edifici produttivi mentre porterà al 85% nelle parti comuni dei condomini.
Le detrazioni sono dilazionate in 5 anni e l’ammontare delle spese non deve essere superiore a euro 96.000 per ciascuna delle unità immobiliari.
Operativamente, per accedere al Beneficio Fiscale:
- il proprietario che intende accedere al beneficio dovrà incaricare un
professionista della valutazione della classe di rischio e della predisposizione del progetto di intervento;
- il professionista, architetto o ingegnere, individuerà la classe di rischio della costruzione nello stato di fatto prima dell’intervento, progetterà l’intervento di riduzione del rischio sismico, determinerà la classe di Rischio della costruzione a seguito del completamento dell’intervento e assevererà i valori delle classi di rischio e l’efficacia dell’intervento (secondo l'allegato B);
- il proprietario potrà procedere ai primi pagamenti delle fatture ricevute e per la cessione del credito seguirà provvedimento Agenzia delle Entrate (di prossima pubblicazione);
- il direttore dei lavori e il collaudatore statico attesteranno al termine dell’intervento la conformità come da progetto.
Norme correlate
Decreto Ministeriale 28/02/2017
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Linee Guida per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni e disposizioni attuative del Sismabonus
Capannoni industriali, per il
sismabonus non occorre diagnosi sismica
di Alessandra Marra
Detrazione del 70% per gli interventi locali di rafforzamento che rimuovano le cause di collasso
02/03/2017 – I capannoni industriali potranno usufruire del sismabonus al 70%
(salto di una classe) anche in assenza di una preventiva attribuzione della classe di rischio, se saranno eliminate dalla costruzione le principali carenze strutturali.
Questa una delle maggiori novità per la messa in sicurezza delle strutture produttive, contenute nelle Linee Guida per la classificazione del rischio sismico.
Capannoni industriali: sismabonus senza classificazione del rischio
La Linee Guida prevedono che “nell'ambito delle costruzioni destinate ad attività produttive (strutture assimilabili ai capannoni industriali), sia possibile
ritenere valido il passaggio alla classe di rischio immediatamente
superiore eseguendo solamente interventi locali di rafforzamento, anche in
assenza di una preventiva attribuzione della classe di rischio”.
Questo significa che le imprese potranno velocizzare le operazioni di messa in sicurezza delle strutture produttive, usufruendo della detrazione del 70% per interventi locali che eliminino i ‘punti deboli’ della struttura.
Si potrà, però, utilizzare questa procedura veloce solo se vengono soddisfatte le prescrizioni volte ad eliminare sulla costruzione tutte le carenze:
- nelle unioni tra elementi strutturali (ad es. trave-pilastro e copertura-travi), rispetto alle azioni sismiche da sopportare e, comunque, volti a realizzare sistemi di connessione anche meccanica per le unioni basate in origine soltanto sull'attrito;
- della connessione tra il sistema di tamponatura esterna degli edifici
prefabbricati (pannelli prefabbricati in calcestruzzo armato ed alleggeriti) e la struttura portante;
- di stabilità dei sistemi presenti internamente al capannone industriale,
quali macchinari, impianti e/o scaffalature, tipicamente contenuti negli edifici produttivi, che possono indurre danni alle strutture che li ospitano, in quanto privi di sistemi di controventamento o perché indotti al collasso dal loro contenuto.
Di fatto, quindi, anche per tali costruzioni è necessario rimuovere le cause che possano dare luogo all'attivazione di meccanismi locali che, a cascata,
potrebbero generare il collasso dell'immobile.
Iter veloce anche per gli edifici in calcestruzzo armato
Per gli edifici in calcestruzzo armato, analogamente a quanto detto per le strutture assimilabili ai capannoni industriali, è prevista la possibilità di ritenere valido il passaggio alla classe di rischio immediatamente superiore, eseguendo solamente interventi locali di rafforzamento ed anche in assenza di una preventiva
attribuzione della classe di rischio.
Ciò è possibile soltanto se la struttura è stata originariamente concepita con la presenza di telai in entrambe le direzioni e se saranno eseguiti tutti gli interventi di:
- confinamento di tutti i nodi perimetrali non confinati dell'edificio;
- opere volte a scongiurare il ribaltamento delle tamponature, compiute su tutte le tamponature perimetrali presenti sulle facciate;
- eventuali opere di ripristino delle zone danneggiate e/o degradate.
Ristrutturazioni: mercato potenziale da 1 milione di case e 50 miliardi di euro
di Rossella Calabrese
Da Scenari Immobiliari il primo ‘Rapporto sul recupero edilizio in Italia’
02/03/2017 - Con oltre 10 milioni di edifici residenziali costruiti prima del 1990 (l’80% dello stock residenziale italiano), il mercato delle ristrutturazioni
costituisce la chiave di volta per un notevole incremento del valore di un patrimonio immobiliare vetusto.
Si contano 123 milioni di mq di abitazioni vuote inadatte da ristrutturare (circa il 5% dei 2.450 mln mq dello stock residenziale totale). Ciò significa che
nell’immediato potrebbe sbloccarsi un mercato potenziale di oltre 1 milione di case.
Già oggi il 19% delle compravendite (con punte del 25% a Napoli) riguarda case da ristrutturare. Il numero aumenta esponenzialmente se si considerano anche le unità immobiliari abitate dello stock che avrebbero ugualmente bisogno di
manutenzione straordinaria, per un investimento stimato in 50 miliardi di euro.
È quanto emerge dal primo ‘Rapporto sul recupero edilizio in Italia’, presentato
ieri a Milano da Scenari Immobiliari e realizzato in collaborazione con Paspartu
Italy. “Il recupero del patrimonio residenziale è il futuro dell’edilizia italiana e del
mercato immobiliare”, ha dichiarato Mario Breglia, presidente di Scenari
Immobiliari, in apertura del convegno.
I vantaggi della ristrutturazione edilizia
Recuperare il patrimonio immobiliare comporta un miglioramento delle
condizioni di vita degli abitanti, risparmi energetici e anche bellezza della casa.
Ma è anche un investimento. Una casa più bella e più funzionale vale di più, e per una società di proprietari come quella italiana, aumentare il valore di un immobile è una mossa strategica significativa.
Ciò che non può mancare è l’efficientamento della parte impiantistica, che deve essere a norma e tecnologicamente evoluta al massimo delle possibilità. Di uguale importanza è la sicurezza dell’immobile, munito di allarme, specie nelle grandi città, la predisposizione per l’installazione di climatizzatori d’aria e una
connessione wi-fi, così che anche il confort non venga da meno.
Il rapporto presenta un capitolo dedicato proprio al plusvalore ottenibile dalla ristrutturazione. Si parte dai quartieri semicentrali delle principali città italiane dove il mercato risulta più dinamico, prendendo come standard un appartamento di 60 mq secondo i prezzi rilevati a febbraio 2017. Sono contrapposte due tipologie di immobili: quello da ristrutturare e quello ristrutturato di qualità assimilabile al nuovo.
Gli interventi stimati riguardano operazioni di demolizione, rimozione e
costruzione dei tramezzi, intonaci e rasature, pavimenti e rivestimenti, opere da imbianchino, opere da idraulico, impianto di riscaldamento, impianto elettrico, assistenze murarie, condizionamento dell’aria, infissi e fornitura materiali.
Si calcola che il plusvalore (cioè l’incremento percentuale del valore di
un’abitazione compresi i costi di ristrutturazione) può raggiungere anche il 35%
del prezzo dell’immobile in determinate zone.
Il plusvalore generato da una ristrutturazione
La media dei 104 capoluoghi di provincia italiani, considerati nella loro fascia semicentrale, registra un plusvalore del 10,7% e un guadagno netto di 14mila euro, considerando un costo di ristrutturazione medio di 31mila euro e uno sconto del 31%. In questo modo il prezzo medio di un’abitazione da ristrutturare si attesta su 100mila euro, mentre quello di una ristrutturata registra un valore di 145mila euro.
Nella top ten dei capoluoghi italiani per il plusvalore ottenuto al termine del
processo di ristrutturazione di un immobile si collocano Roma, Venezia, Firenze, Napoli, Bari, Milano, Bologna, Brescia, Catania e Genova, con valori che vanno dal 20% di Roma al 12% circa di Genova.
Il guadagno medio in euro a Roma si attesta a 71mila euro. A Venezia il guadagno
è di 50mila euro e il plusvalore del 18%: qui un appartamento da ristrutturare vale
220mila euro, mentre uno ristrutturato ne costa oltre 304mila. Napoli registra
144mila euro come prezzo medio per un immobile da ristrutturare, con una spesa
per i lavori di 30mila euro, generando un plusvalore del 17,8% rispetto al prezzo finale, con un guadagno di 31mila euro sul prezzo di un appartamento già
ristrutturato.
A Milano si guadagnano 44mila euro dall’acquisto di una casa da ristrutturare con le successive spese di riammodernamento, cioè circa il 17% di 257mila euro di spesa totali per un investimento del genere. Rispetto al ristrutturato, che costa in media 300mila euro, infatti, si ottiene uno sconto del 27% circa, se si preferisce un immobile da riqualificare e, anche se vanno aggiunti i costi dei lavori, il grado di personalizzazione finale apporta un valore aggiunto. A Firenze, come a Venezia, il costo medio di ristrutturazione è pari a 34mila euro, ma qui un appartamento da ristrutturare è scontato del 28%, un punto in più rispetto al capoluogo veneto.
Chi ha ristrutturato nel 2016 con i bonus fiscali
Le domande presentate nel 2016 per lo sfruttamento delle agevolazioni per la ristrutturazione edilizia si attestano a circa 1,4 milioni, mentre quelle per la riqualificazione energetica risultano essere oltre 300mila.
A scegliere la soluzione della ristrutturazione edilizia sono soprattutto
gli under35, per oltre il 30% del totale d’interventi, mentre l’età media sale in maniera inversamente proporzionale al numero di ristrutturazioni richieste.
Tra i principali capoluoghi in Italia, Napoli è la città con il maggior numero di immobili in vendita che necessitano interventi di ristrutturazione, seguita da Roma, Milano e Torino.
Dopo un’introduzione di Mario Breglia (Scenari Immobiliari) e Gaetano Coraggio (Paspartu Italy), il Rapporto è stato commentato da: Vincenzo Albanese (SIGEST Soluzioni Immobiliari), Vanessa Boato (K&L GATES - Studio Legale Associato), Filippo Delle Piane (ANCE - Associazione Nazionale Costruttori Edili), Alida Forte Catella (Coima Image), Carola
Giuseppetti (Sidief) e Franco Guidi (Lombardini 22).
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Cumulo pensioni dei professionisti, altro passo: la coperura economica c'è
del 02/03/2017
Cumulo dei periodi previdenziali dei professionisti: il Ministero del Lavoro conferma la specifica copertura finanziaria prevista anche per le casse di previdenza private
Un altro passo verso il cumulo delle pensioni per i professionisti. Al tavolo chiesto dall'AdEPP (associazione casse previdenziali private dei professionisti) presso il Ministero del Lavoro per affrontare i temi legati al cumulo pensionistico, è arrivata la conferma da parte del Ministero stesso che la copertura
finanziaria prevista contempla anche le casse di previdenza private.
La Legge di Bilancio 2017, al comma 195 dell'articolo unico, ha infatti esteso anche agli iscritti alle casse dei professionisti la possibilità di maturare il diritto alla pensione con cumulo gratuito dei contributi versati presso diverse gestioni previdenziali.
Restano alcuni problemi: oltre ai chiarimenti necessari su modalità
applicative, sistema di calcolo, oneri e regolamnti tecnici, bisogna risolvere il tema della coerenza con il d.lgs. 509/1994 che vieta allo Stato di fare
trasferimenti agli enti privatizzati.
Per quel che riguarda il Casellario, si procederà così: l' Inps invierà alle Casse i dati per individuare i contributi silenti e quelli sovrapposti, gli enti li
incroceranno con il Casellario degli attivi e, una volta individuate le platee
interessate, invieranno al Ministero le analisi di impatto della norma sui bilanci e sui regolamenti. Le Casse dovranno inoltre disciplinare attraverso
convenzioni con l’Inps le procedure attuative e le modalità di pagamento.
Infortuni sul cantiere: committente responsabile anche durante il sopralluogo
del 02/03/2017