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Consiglio Nazionale dei Geologi. 30 settembre 2020

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Consiglio Nazionale dei Geologi

30 settembre 2020

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Quotidiano

Ordine Nazionale Geologi

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Geologi: il Consiglio Nazionale rinnova le cariche.

Vince la lista “Progettare il futuro”

ingenio-web.it/28377-geologi-il-consiglio-nazionale-rinnova-le-cariche-vince-la-lista-progettare-il-futuro

CNG - Consiglio Nazionale dei Geologi - 28/09/2020 82 Rinnovo CNG: la lista vincitrice è “Progettare il futuro”

Da sx presenti al seggio: Roberto Troncarelli, Francesco Peduto, Lorenzo Benedetto, Arcangelo Francesco Violo, Rudi Ruggeri, Domenico Sessa

Rinnovo del Consiglio Nazionale dei Geologi: la lista Progettare il futuro vince con oltre 500 voti

Si sono concluse oggi, 28 settembre, le operazioni di voto per il rinnovo del Consiglio Nazionale dei Geologi. A vincere è stata la lista “Progettare il futuro”, di diretta emanazione del consiglio uscente, sebbene ampiamente rinnovata, che si è classificata al primo posto con oltre 500 voti, in media, di scarto dalla lista avversaria “Cambiare per crescere”.

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Per la seconda volta nella storia del CNG, il quorum è stato raggiunto al primo turno. La prima volta era successo nel 1968, anno della fondazione del Consiglio Nazionale dei Geologi.

Il candidato più votato è risultato Arcangelo Francesco Violo, Segretario in carica del CNG e candidato Presidente della lista “Progettare il futuro”, che ha ricevuto 2267 voti.

Del Consiglio uscente sono stati confermati: Domenico Angelone, attuale Tesoriere del CNG, i consiglieri Lorenzo Benedetto, Alessandra Biserna, Paolo Spagna e Fabio Tortorici. Della lista vincitrice risultano neoletti i seguenti candidati: Filippo Cappotto, Giovanni Capulli, Emanuele Emani, Daniele Mercuri,  Mario Nonne, Rudi Ruggeri, Domenico Sessa, Roberto Troncarelli e Valentina Casolini. L’insediamento del nuovo Consiglio, in cui saranno elette le cariche, avverrà dopo la convocazione da parte del Ministero della Giustizia.

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29 settembre 2020

Rinnovo CNG: la lista vincitrice è “Progettare il futuro”

agoraregionelazio.com/rinnovo-cng-la-lista-vincitrice-e-progettare-il-futuro

Cronaca

29 Set, 2020 Ξ Commenta la notizia scritto da Redazione

Si sono concluse le operazioni di voto per il rinnovo del Consiglio Nazionale dei Geologi. A vincere è stata la lista “Progettare il futuro”, di diretta emanazione del consiglio uscente, sebbene ampiamente rinnovata, che si è classificata al primo posto con oltre 500 voti, in media, di scarto dalla lista avversaria “Cambiare per crescere”. Per la seconda volta nella storia del CNG, il quorum è stato raggiunto al primo turno. La prima volta era successo nel 1968, anno della fondazione del Consiglio Nazionale dei Geologi.

Il candidato più votato è risultato Arcangelo Francesco

Violo, Segretario in carica del CNG e candidato Presidente della lista “Progettare il

futuro”, che ha ricevuto 2267 voti. Del Consiglio uscente sono stati confermati: Domenico Angelone, attuale Tesoriere del CNG, i consiglieri Lorenzo Benedetto, Alessandra Biserna, Paolo Spagna e Fabio Tortorici. Della lista vincitrice risultano neoletti i seguenti

candidati: Filippo Cappotto, Giovanni Capulli, Emanuele Emani, Daniele Mercuri,  Mario Nonne, Rudi Ruggeri, Domenico Sessa, Roberto Troncarelli e Valentina Casolini.

L’insediamento del nuovo Consiglio, in cui saranno elette le cariche, avverrà dopo la convocazione da parte del Ministero della Giustizia.

Cronaca Primo Piano

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ISSN 2724-203X - Norme & Tributi plus Enti Locali & Edilizia [https://ntplusentilocaliedilizia.ilsole24ore.com]

Cassazione: no alle agevolazioni Imu se i coniugi risiedono in Comuni diversi

di Pasquale Mirto

Fisco e contabilità 30 Settembre 2020

La sentenza della Corte apre al recupero dell’imposta non pagata per le case turistiche

Nessuna agevolazione Imu in caso di spacchettamento della famiglia. È questa la conclusione scritta nella sentenza n.20130 del 24 settembre 2020, che apre la strada all'attività di recupero dell'Imu non pagata anche per le case turistiche, nonostante le contrarie indicazioni a suo tempo date dal Mef. Infatti, nella circolare n. 3/DF del 2012, il Mef aveva ritenuto che nel caso di componenti dello stesso nucleo familiare che hanno stabilito la residenza e la dimora abituale in due abitazioni che insistono su due comuni diversi è possibile considerare entrambe come abitazioni principali, «poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro

comune, ad esempio, per esigenze lavorative».

La Corte di cassazione, al contrario, ha ritenuto esattamente l'opposto. Nel caso scrutinato nella sentenza n. 20130/2020 il Comune aveva negato l'agevolazione Imu prevista per l'abitazione principale perché, pur avendo il contribuente la residenza anagrafica nell'immobile, il proprio coniuge aveva spostato la residenza anagrafica in un immobile di altro Comune, sebbene per esigenze lavorative.La Corte di cassazione ricorda che la disciplina Imu dispone che «per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i

componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente»; ciò comporta che «in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi

risiedano anche anagraficamente», anche considerando che le norme agevolative sono di stretta interpretazione.Quanto

statuito dalla Corte di cassazione implica, quindi, che nell'ipotesi di due coniugi che hanno stabilito la residenza anagrafica e la dimora abituale in due abitazioni che insistono su due comuni diversi, nessuno dei due fabbricati possa essere considerato abitazione principale.

Si ricorda infine che lo stesso nucleo familiare non può avere due abitazioni principali neanche nello stesso Comune, posto che in questo caso è la stessa normativa che prevede, nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, che le agevolazioni per l'abitazione

principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applichino per un solo immobile.Le conclusioni

raggiunte dalla Corte di cassazione, come detto diametralmente opposte a quelle ministeriali, aprono adesso il fronte non solo all'attività di recupero dell'Imu sulle case turistiche considerate abitazione principale, ma anche sulle abitazioni in città, dove ha mantenuto la residenza la restante parte della famiglia.

In breve

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Recovery Fund: 40 miliardi al digitale, solo 20 alle infrastrutture

di Giorgio Santilli

Urbanistica 30 Settembre 2020

IIl governo mette sul tavolo i primi numeri. Al Green 75 miliardi, una fetta consistente al superbonus. Dieci miliardi per il piano acqua, cominciati gli incontri con i singoli ministeri

Ecco i primi numeri del governo sul Recovery Plan. È una prima ripartizione inviata a singoli ministeri. Ai progetti green

andrà il 37%, come indica anche l'Unione europea e ha confermato ieri il premier Giuseppe Conte: di questi 75 miliardi la quota maggiore andrebbe a stabilizzare il superbonus del 110% mentre altre voci saranno il piano contro il dissesto idrogeologico e la mobilità verde nelle città (autobus elettrici, per esempio). Il 20% del recovery, pari a circa 40 miliardi, dovrebbe andare ai

progetti di digitalizzazione dove la parte del leone la farà il piano per la banda larga. Alle infrastrutture della mobilità una prima ripartizione dei fondi attribuisce il 10%, quindi 20 miliardi, molto meno di quanto richiesto con un piano da almeno 100 miliardi fatto di progetti per Alta velocità al Sud, ferrovie, strade, porti e logistica. Altre quote del piano - in attesa di conoscere il quadro completo con i fondi, per esempio, per la sanità, per il lavoro, per il fisco, per le imprese, per la scuola - dovrebbero andare a un piano per l'acqua e la depurazione e a un piano per le città, l'housing sociale e la rigenerazione urbana: questi due capitoli varrebbero il 5% (10 miliardi) ciascuno.

Si cominciano ad abbozzare le quote dei 209 miliardi di Recovery Plan destinate ai singoli capitoli di spesa e cominciano anche le tensioni con i singoli ministeri, chiamati a ridimensionare le aspettative iniziali e scremare la lista dei progetti. A inviare ai ministeri una prima indicazione delle somme loro spettanti - insieme alle nuove schede e ai nuovi moduli da compilare per singolo progetto in linea con le indicazioni Ue - è il gabinetto del ministro degli Affari europei, Vincenzo Amendola, che sta coordinando già da agosto il lavoro del comitato interministeriale per gli Affari europei (Ciae). Queste prime carte inviate sono la premessa di incontri con i singoli ministeri che dovranno mettere a punto cifre e obiettivi del loro piano. I ministeri

dovranno anche indicare risultati quantitativi che si attendono dalle azioni intraprese («targets») e interventi e obiettivi di tipo qualitativo come legislazione da adottare, progetti, operatività dei sistemi informativi («milestones») oltre che costi indicati secondo una sequenza annuale dal 2020 al 2026. Questo nei moduli.

Ma la sostanza politica sta nel confronto avviato sui numeri, sulle risorse disponibili e sulla scrematura richiesta rispetto agli elenchi inviati ad agosto. Dai primi incontri già avvenuti in queste ore si comprende che quella inviata in queste ore è una prima ripartizione e aggiustamenti saranno possibili. Anche perché il quadro non è, appunto, ancora completo. E soprattutto vanno definiti meglio il perimetro e i confini dei singoli contenitori: nel capitolo «green» per esempio sono state inserite le risorse per il trasporto locale e l'acquisto di autobus a bassa emissione inquinante, mentre altri mezzi di mobilità verde, come i treni, sono finiti nel capitolo infrastrutture. Possibili, nelle prossime mosse, anche alcuni travasi di progetti da un contenitore all'altro.

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L'ecosismabonus «assorbe» le due distinte agevolazioni

di Saverio Fossati

Urbanistica 30 Settembre 2020

L'Agenzia delle Entrate ha chiarito se è possibile considerare l'edificio principale come un condominio quando ci sono delle pertinenze

La pertinenza non fa condominio ma soprattutto non va conteggiata come unità immobiliare. Nella risposta 419 /2020

all'interpello di un contribuente l'agenzia delle Entrate ha chiarito, tra gli altri aspetti legati agli interventi di "ecosismabonus", quello sulla possibilità di considerare l'edificio principale come un condominio quando ci sono delle pertinenze. La locuzione

«parti comuni di edificio residenziale», spiegano le Entrate, «deve essere considerata in senso oggettivo e non soggettivo e va riferita, pertanto, alle parti comuni a più unità immobiliari e non alle parti comuni a più possessori. Se l'edificio è costituito esclusivamente da un'unità abitativa e dalle relative pertinenze, non sono ravvisabili elementi dell'edificio qualificabili come

«parti comuni » e, pertanto, non è possibile considerare un autonomo limite di spesa per ciascuna unità». Questo principio è stato sancito anche in presenza di pertinenze autonomamente accatastate, quali erano appunto quelle oggetto dell'interpello.

L'interpello si riferiva all'applicazione dell'"ecosismabonus" con detrazione dell'80-85% sulla spesa massima di 136mila euro per unità immobiliare, a seconda se vengano recuperate una o due classi di rischio sismico (articolo 14, comma 2-quater.1, del Dl 63/2013) ma il principio è applicabile in generale: anche nel 110%, infatti, si pone il problema delle unità immobiliari per il numero delle quali va moltiplicato il tetto di spesa, per esempio 30mila o 40mila euro per il "cappotto" termico: le pertinenze si trovano quindi a essere escluse dal conteggio. In ogni caso, chiariscono le Entrate, potranno essere effettuati,

separatamente, gli interventi di ecobonus e di sismabonus (articoli 14 e 16 del Dl 63/2013), ciascuno con le sue detrazioni, ma non è possibile sovrapporli a quelli di "ecosismabonus" all'80-85%. Quindi, in questo caso, le pertinenze andranno considerate all'interno del limite di spesa per il sismabonus di 96mila euro che comprenderà anche gli interventi all'edificio principale.

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Superbonus, per il fotovoltaico il tetto raddoppia a 96mila euro

di Giorgio Gavelli

Urbanistica 30 Settembre 2020

Doppio limite da 48mila euro per sistemi di accumulo integrati e impianti. La nuova interpretazione della risoluzione n.60/E delle Entrate supera le indicazioni della circolare 24/E

L'installazione di impianti solari fotovoltaici con installazione (contestuale o successiva) di sistemi di accumulo integrati – tipico intervento trainato del superbonus – fruisce di un doppio limite di spesa 48mila euro,distintamente riferito agli impianti e ai sistemi di accumulo e che nulla ha a che fare con il limite di spesa previsto per il sismabonus. La risoluzione n. 60/E

supera, così, quanto affermato solo poche settimane fa dalla circolare n. 24/E, per effetto delle interlocuzioni intervenute con il Mise, facendo sperare che analoghi ripensamenti possano arrivare anche su altre restrizioni interpretative. I quesiti della

risoluzione riguardano i limiti di spesa per vari interventi agevolati. Oltre al cappotto termico, alle colonnine di ricarica e alla sostituzione degli impianti di climatizzazione nelle singole unità, si prevedono il restauro della facciata, interventi di riduzione del rischio sismico, installazione di pannelli fotovoltaici e di pannelli solari per la produzione di acqua calda (solare termico).

Questi interventi, pur essendo entrambi trainati, non vanno confusi. Mentre il solare termico è un intervento di risparmio energetico, l'installazione dell'impianto per la produzione di energia elettrica è previsto alla lettera h) del comma 1 dell'articolo 16-bis del Tuir e non sarebbe rientrato nel 110% se non appositamente richiamato dal comma 5 dell'articolo 119, il quale ha previsto un limite di spesa autonomo di 48mila euro per unità immobiliare e comunque di 2.400 euro per ogni kwh di potenza nominale installata (che scende a 1.600 in caso di contemporaneo intervento di ristrutturazione). Assieme al fotovoltaico è frequente prevedere l'installazione di sistemi di accumulo integrati, per i quali il comma 6 prevede che l'agevolazione del 110%

avvenga «con la detrazione di cui al medesimo comma 5, alle stesse condizioni, negli stessi limiti di importo e ammontare complessivo e comunque nel limite di spesa di 1.000 euro per ogni kWh di capacità di accumulo del sistema di accumulo».

Questa affermazione era stata tradotta dalla circolare n. 24/E come se si trattasse di un unico limite complessivo, nel senso che se la somma tra il paletto posto alle spese sostenute per l'impianto fotovoltaico (kwh di potenza x 2.400 ovvero x 1.600) e

quelle per gli accumulatori (kwh di capacità x 1.000 euro) fosse stata superiore a 48mila euro, la parte eccedente non avrebbe avuto il superbonus. Questo vincolo, tuttavia, non emerge dall'allegato 1 al decreto Mise Asseverazioni, già noto ma ancora in attesa di pubblicazione. Dopo la risoluzione n. 60/E, è chiaro che il limite va riferito autonomamente e distintamente tanto ai pannelli quanto agli accumulatori. Indirettamente, la risoluzione pare confermare che si tratti di un limite autonomo rispetto ai 96mila euro di interventi antisismici, il quale, di norma, assorbe quello degli altri interventi di cui all'articolo 16-bis Tuir (risoluzione n. 147/E/2017) ma non quando il fotovoltaico rientra nell'articolo 119 (si veda Il Sole 24 Ore del 28 luglio). Così come sono cumulabili le spese per gli interventi da ecobonus e ovviamente quelli del bonus facciate. Pannelli e accumulatori non dovrebbero essere soggetti nemmeno ai limiti di costo del decreto Requisiti, il quale si applica esclusivamente agli

interventi ecobonus, a quelli sulle facciate e a quelli di cui ai commi 1 2 del decreto Rilancio.

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Domicilio digitale, scatta l'obbligo dell'iscrizione (volontaria o d'ufficio)

di Massimo Frontera

Urbanistica 29 Settembre 2020

Scadenza 1° ottobre per l'adempimento previsto dall'articolo 37 del De Semplificazioni a carico di società, imprese individuali e professionisti. Sanzioni fino a 2.064 euro

Sta per scattare l'obbligo di iscrizione al registro imprese delle proprie coordinate digitali. Entro il 1° ottobre tutte le società e le imprese individuali dovranno comunicare il proprio domicilio digitale, cioè una casella di posta elettronica certificata (ma la definizione di domicilio digitale include più in generale tutti i servizi elettronici di recapito certificato come definiti da un regolamento Ue del 2014). Chi non lo farà, oltre a incorrere in una sanzione pecuniaria, riceverà d'ufficio un domicilio web.

Stessa cosa accadrà alle imprese il cui indirizzo di posta elettronica certificata è stato cancellato. Le sanzioni, sono quelle previste dall'articolo 2630 e 2194 del codice civile, e variano da 206 a 2.064 euro per le società e da 30 a 1.548 euro per le imprese individuali.

La novità si deve all'articolo 37 del Dl Semplificazioni che modifica e integra in più punti le misure previste dal Dl n.185 del 2008. Per le imprese "inerti" il nuovo domicilio digitale - si legge nel rinnovato comma 6-bis del'articolo 16 del Dl 185 - è quello attestato presso il cassetto digitale dell'imprenditore, erogato dal gestore del sistema informativo nazionale delle Camere di commercio. La procedura, descritta dal nuovo comma 6-ter del medesimo articolo - prevede che il «Conservatore dell'ufficio del registro delle imprese che rileva, anche a seguito di segnalazione, un domicilio digitale inattivo, chiede alla società di provvedere all'indicazione di un nuovo domicilio digitale entro il termine di trenta giorni. Decorsi trenta giorni da tale richiesta senza che vi sia opposizione da parte della stessa società, procede con propria determina alla cancellazione

dell'indirizzo dal registro delle imprese ed avvia contestualmente la procedura» di assegnazione d'ufficio. Per le imprese di nuova costituzione, il Dl Semplificazioni definisce la nuova procedura intervenendo con una modifica al Dl 179/2012 (articolo 5, comma 2). L'uffio del registro che riceve la domanda di un'impresa che non ha indicato il proprio domicilio digitale non irroga la sanzione ma sospende la domanda in attesa di ricevere la comunicazione del domicilio digitale a integrazione della domanda.

La stessa novità riguarda anche i professionisti, che dovranno indicare il proprio domicilio digitale all'ordine di appartenenza.

Chi non lo fa riceve dal suo ordine - o collegio - una diffida ad adempiere entro 30 giorni. Superato questo termine «il Collegio o Ordine di appartenenza applica la sanzione della sospensione dal relativo albo o elenco fino alla comunicazione dello stesso domicilio».

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Accesso civico generalizzato, la legge «Semplificazioni» scorda gli appalti sotto soglia

di Stefano Usai

Appalti 30 Settembre 2020

La richiesta di ostensione degli atti di un appalto sotto soglia, non può essere respinta dal Rup con il pretesto che la legge 120/2020 non ha espressamente richiamato i contratti infra comuntari

La legge di conversione, n. 120/2020, del Dl 76/2020, in vigore dal 15 settembre, conferma l'applicazione dell'accesso civico

«generalizzato» (articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 33/2013 e sue modificazioni) alla materia degli appalti ma - stante il tenore della disposizione - per i soli atti d'appalto nel sopra soglia comunitaria. La disposizione, infatti, non cita gli appalti infrasoglia comunitaria.

L'accesso civico «generalizzato» o «universale» è un diritto di accesso «erga omnes» che consente, «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico», l'accesso «ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione» (salvo limitate eccezioni, da intendersi restrittivamente, indicate nell'articolo 5-bis del decreto legislativo).

Le norme

La previsione sull'applicabilità del Foia è contenuta nell'articolo 2, comma 2 della legge 120/2020, ambito dedicato agli appalti sopra la soglia comunitaria (articolo 35 del Codice).

Più nel dettaglio - nel suo primo periodo - la norma ha puntualizzato che «Gli atti delle stazioni appaltanti adottati ai sensi del presente articolo sono pubblicati e aggiornati nei rispettivi siti internet istituzionali, nella sezione "Amministrazione

trasparente" e sono soggetti alla disciplina di cui al decreto legislativo 33/2013».

Nel secondo periodo si chiarisce che sempre nella sezione dedicata alla trasparenza «e sempre ai sensi e per gli effetti del predetto decreto legislativo 33/2013, sono altresì pubblicati gli ulteriori atti indicati all'articolo 29, comma 1, del decreto legislativo 50/2016».

A ben vedere, le prescrizioni riportate sono già rinvenibili nel dettato dell'articolo 29 del Codice.

La previsione sembra far emergere una preoccupazione del legislatore che il Rup cerchi, in qualche modo, di affrancarsi dagli obblighi di «trasparenza/pubblicizzazione» degli atti adottati nel periodo emergenziale.

Questo timore, del resto, sembra confermato anche dall'inciso di chiusura del comma - terzo periodo - in cui si precisa che «Il ricorso ai contratti secretati di cui all'articolo 162 del decreto legislativo 50/2016 è limitato ai casi di stretta necessità e richiede una specifica motivazione».

Quindi si allerta il Rup che le eccezioni, al netto di quanto già non preveda il decreto legislativo 33/2013, esigono la precisa indicazione delle ragioni di esclusione dal Foia.

Appalti infra comunitari

Come si è anticipato, una simile disposizione non viene richiamata nell'articolo 1 della legge, norma dedicata interamente agli appalti infra comunitari.

In tema di procedure negoziate, secondo il nuovo inciso inserito in fase di conversione, viene precisato il nuovo obbligo del Rup di dare «evidenza dell'avvio delle procedure negoziate (…) tramite pubblicazione di un avviso nei rispettivi siti internet istituzionali».

Obbligo che sicuramente apre all'applicazione, ovvia, dell'accesso civico «semplice» e quindi alla possibilità di chiunque di richiedere la pubblicazione di atti per i quali la pubblica amministrazione abbia omesso l'adempimento.

Pur nella carenza di un richiamo specifico, e ciò a beneficio dei Rup, non si può legittimamente sostenere che gli atti del procedimento d'appalto nel sotto soglia possano ritenersi affrancati dall'accesso civico generale soprattutto dopo quanto

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indicato, sia nello stesso articolo 29 del codice, ma soprattutto dalla sentenza del Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, n.

10/2020.

Sentenza che ha risolto il contrasto sorto in seno al Consiglio di Stato (sentenze della sezione III, n. 3780/2019 e dalle sentenze gemelle della sezione V n. 5502/2019 e n. 5503/2019) è che ha chiarito l'applicabilità del Foia alla materia degli appalti.

In particolare, tra i passaggi fondamentali della pronuncia si legge che l'accesso civico «generalizzato» o «universale»

rappresenta una precondizione, «per l'esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino che, improntata a un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra l'interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale

autorità/libertà».

Alla luce di quanto, una richiesta diretta ad ottenere gli atti dell'appalto, anche nel sotto soglia, non potrà essere respinta dal

Rup sul pretesto che la legge 120/2020 non richiama espressamente i contratti infra comuntari.

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Danno erariale, il dipendente non è responsabile se fuorviato dalla Pa

di Domenico Irollo

Personale 30 Settembre 2020

L'errata interpretazione delle disposizioni innescata dall'amministrazione fa venir meno per il lavoratore sia l'elemento psicologico del dolo che quello della colpa grave

Se è la stessa Pa ad avallare una prassi illegittima dei propri dipendenti questi ultimi non possono essere chiamati a rispondere del danno erariale conseguente alla condotta contro legge. Lo ha chiarito la Corte dei conti d'appello con la

sentenza n. 211/2020.

Il caso

Un medico di una Asl sarda ha chiesto e ottenuto dal proprio ente la liquidazione di rimborsi benzina parametrati alla distanza chilometrica coperta in occasione degli spostamenti con la propria autovettura tra il Comune di residenza anagrafica e quello di servizio, mentre è emerso che l'interessato aveva invero la propria dimora stabile in un appartamento preso in locazione nella medesima località ove prestava l'attività lavorativa.

In sede penale, il sanitario è stato assolto dall'imputazione di falso e truffa atteso che è risultato che era stata proprio l'Asl datrice di lavoro, sulla scorta di un palese abuso interpretativo delle norme contrattuali di riferimento caldeggiato dalle

delegazioni sindacali di categoria, ad alimentare nei medici l'erroneo convincimento per cui i rimborsi in questione avrebbero avuto, in realtà, natura di compenso incentivante legato al mero svolgimento di turni di servizio (altrimenti poco «appetibili»), indipendentemente dalla reale effettuazione dei viaggi di andata e ritorno da e verso il luogo di residenza.

Nonostante sia stato scagionato dalle accuse in ambito penale, la Corte dei conti della Sardegna in primo grado ha invece condannato il medico a rifondere all'Asl di appartenenza gli emolumenti indebitamente percepiti ritenendo che vi fosse stata tra tutti i protagonisti della vicenda la comune consapevolezza dell'opaca e illegittima applicazione della normativa sui

rimborsi.

La decisione

Di contrario avviso invece il Collegio erariale di seconde cure, che nel riformare integralmente la pronuncia dei colleghi isolani, ha evidenziato che anche prassi invalse come quelle in questione, non consacrate in atti ufficiali (circolari, pareri, atti di

controllo, sentenze, etc.) ma supportate esclusivamente da «rassicurazioni» informali provenienti dagli organi della stessa amministrazione, costituiscono ragioni di oggettivo rilievo che valgono a esonerare dalla responsabilità amministrativo- contabile.

In un simile contesto, deve ritenersi difatti escluso non solo l'elemento psicologico del dolo ma anche quello della colpa grave, tenuto conto che in una siffatta evenienza l'errata esegesi delle disposizioni in rilievo viene in definitiva innescata da un

fattore positivo esterno riconducibile a un comportamento attivo della Pa, che di fatto «giustifica» l'ignoranza da parte del dipendente agente sulla normativa di settore e sull'illiceità del suo comportamento.

In breve

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Nuova rivoluzione per la Tari nel 2021

di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

I temi di NT+ Tributi e bilanci a cura di Anutel 30 Settembre 2020

L'Italia si è adeguata, con il decreto legislativo 116/2020 pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 11 settembre 2020, alla direttiva europea n. 2018/851 in materia di rifiuti, di imballaggi e di rifiuti da imballaggio. Ciò comporta una nuova rivoluzione in materia di tassa sui rifiuti, dopo le profonde modifiche già verificatesi nell'anno 2020 per effetto dell'applicazione dei provvedimenti dell'Arera. Rivoluzione che rischia di pesare sulle tasche delle utenze domestiche.

La nuova definizione di rifiuto urbano

L'articolo 1, comma 9, del Dlgs 116/2020 ha modificato la definizione di rifiuto urbano contenuta oggi nell'articolo 184 del Dlgs 152/2006. Nell'attuale disciplina sono rifiuti urbani quelli derivanti dai locali e dai luoghi adibiti ad abitazione, mentre i rifiuti prodotti da tutte le altre utenze (agricole, industriali, artigianali, commerciali, servizio, eccetera) sono rifiuti speciali. Tuttavia, l'articolo 198, comma 2, lettera g, del Dlgs 152/2006 ha affidato ai Comuni il compito di stabilire l'assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, sulla base dei criteri qualitativi e quali-quantitativi stabiliti dallo Stato. Criteri che l'articolo 195, comma 2, lettera e, del citato Dlgs 152/2006 ha rimesso a un apposito decreto, tuttavia mai emanato, lasciando ancora validi i vecchi criteri di assimilazione stabiliti dalla deliberazione interministeriale del 27 luglio 1984 (articolo 1, comma 184, della legge 296/2006).

Il decreto attuativo della direttiva comunitaria ha eliminato invece la definizione di rifiuto speciale assimilato all'urbano. Sono infatti rifiuti urbani, secondo la nuova disciplina, tutti quelli indifferenziati o differenziati di origine domestica, compresi carta, cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili, imballaggi, raee, pile e accumulatori e ingombranti. I rifiuti provenienti dalle attività agricole, di demolizione e costruzione, dalla lavorazione industriale e artigianale, dalle attività

commerciali e di servizio, dalle attività di recupero e smaltimento dei rifiuti, dalle attività sanitarie e i veicoli fuori uso sono invece definiti come rifiuti speciali. Tuttavia, la definizione di rifiuto urbano, oggi contenuta nella nuova lettera b-ter) del comma 1 dell'articolo 183 del Dlgs 150/2006, ha incluso anche i rifiuti indifferenziati e differenziati provenienti da fonti diverse da quelle domestiche, che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici dettagliatamente indicati

nell'allegato L-quater del decreto (il quale ha compreso, tra l'altro, solo alcuni codici di rifiuto riguardanti rifiuti organici, carta e cartone, plastica, legno, metalli, eccetera). A condizione però che questi rifiuti siano prodotti dalle attività riportate

nell'allegato L-quinquies. Quest'ultimo è del tutto analogo alla classificazione delle attività prevista ai fini Tari dal Dpr 158/1999, fatta eccezione per l'assenza della categoria delle attività industriali. Inoltre, si precisa anche l'esclusione delle attività agricole e di quelle connesse, come definite dall'articolo 2135 del codice civile. Contestualmente sono stati eliminati il potere di assimilazione dei rifiuti speciali attribuito ai Comuni e la competenza statale di definizione dei criteri di

assimilazione (abrogando, con l'articolo 1, comma 23, lettere b e a del Dlgs 116/2020, l'articolo 195, comma 2, lettera e) e l'articolo 198, comma 2, lettera g, del Dlgs 152/2006).

In definitiva è la legge ora a stabilire a livello nazionale quali rifiuti delle attività economiche si definiscono urbani e non più i singoli regolamenti comunali, che potevano prevedere discipline anche molto differenziate. Il Dlgs 152/2006 continua ad affidare però ai Comuni il compito di concorrere alla gestione dei rifiuti urbani, per il tramite delle autorità regionali di bacino, ovvero nella forma della privativa comunale nel caso di mancanza delle stesse, per la destinazione dei rifiuti allo smaltimento.

Come avveniva per gli assimilati, rimane la facoltà delle utenze non domestiche di conferire i propri rifiuti definiti urbani al di fuori del servizio pubblico, solo però se avviati al recupero. In questo caso detti rifiuti saranno comunque computati al fine del raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti urbani e la scelta di affidamento esterno (o al servizio pubblico) deve avvenire per un periodo non inferiore a 5 anni (per consentire ovviamente l'opportuna organizzazione dei servizi). Anche se il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell'utente, ha la facoltà di riprendere il servizio anche prima della scadenza quinquennale (articolo 238, comma 10, Dlgs 152/2006).

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L'impatto sulla tassa rifiuti

Una simile disciplina ha un rilevante impatto sulla Tari. Innanzitutto, i rifiuti delle attività industriali saranno sempre rifiuti speciali, così come quelli delle attività agricole e connesse. Resta da capire se la norma si voglia riferire alla tipologia di attività, come sembrerebbe dal dettato della stessa, o alla destinazione dei locali. Nel primo caso anche i rifiuti degli uffici e dei

magazzini, oltre a quelli del capannone di produzione, sarebbero speciali. Conseguentemente tali tipologie di utenze non pagherebbero più la Tari, tenuto conto che l'articolo 1, comma 649, della legge 147/2013 ha stabilito l'esclusione dal computo della superficie tassabile di quella parte di essa in cui si producono in via continuativa e prevalente rifiuti speciali (facendo venir meno sia la quota fissa che quella variabile). Ciò varrebbe anche per le attività agricole e quelle connesse (tra cui ad esempio rientrano gli agriturismi).

Per tutte le altre utenze invece l'impatto sulla tassazione dipende da due fattori. Il primo è l'estensione dell'assimilazione in precedenza stabilita dall'ente locale, evidenziando che la deliberazione interministeriale del 1984 ammetteva l'assimilazione di maggiori tipologie di rifiuti rispetto a quelle attuali. Qualora il Comune aveva previsto un'assimilazione più ampia dell'attuale definizione di rifiuto urbano si determina un effetto riduttivo sulla superficie tassabile anche per le utenze qui considerate. Il secondo dipende dalla scelta che ogni utenza effettuerà in merito alla gestione dei propri rifiuti urbani. Se decidesse di

utilizzare, per loro recupero, un soggetto diverso dal servizio pubblico, in base al nuovo articolo 238, comma 10, del Dlgs 152/2006 (che però disciplina l'ormai soppressa Tia2 e non la Tari), previa attestazione rilasciata dal soggetto che effettua il recupero, la stessa non sarebbe tenuta a pagare la «componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti». Ci si vuole però riferire, con tutta probabilità, alla quota variabile della tariffa corrispettiva (o della Tari puntuale) e, forse, alla quota variabile della Tari presuntiva che però tipicamente è rapportata non alla quantità di rifiuti conferiti, ma alla potenziale

produttività degli stessi (l'infelice collocazione della norma nell'articolo 238 non aiuta a fare chiarezza).

Da rilevare che la definizione di rifiuto urbano dei rifiuti prodotti dalle utenze non domestiche non sembra più contemplare limiti quantitativi (ma solo natura e composizione).

Effetti

Pur dovendo ancora valutare attentamente gli effetti della profonda modifica, in prima battuta comporterà da parte dei gestori pubblici e degli enti preposti la necessità di riorganizzare i servizi. Per di più questa situazione dovrà essere coordinata con il nuovo metodo tariffario di Arera, che guarda ai costi di due anni prima per definire quelli dell'anno di riferimento, stante la necessità di recepire subito le variazioni dei costi che la novella del Dlgs 116/2020 comporterà (il che potrebbe avvenire tenendo conto che il metodo di Arera ha definito il corrispettivo massimo e che presenta comunque alcuni elementi di

elasticità). Tuttavia la rigidità dei costi, specie in un periodo così breve, comporterà in sede di definizione delle tariffe della Tari delle tensioni nei confronti delle utenze domestiche, che vedranno inevitabilmente incrementare la quota di costi a esse

imputata, data l'esclusione dalla tassazione di una parte probabilmente rilevante delle utenze non domestiche. Utenze che peraltro, sfuggono in questo modo anche alle componenti a conguaglio del 2019 e del 2020 che il metodo di Arera ha introdotto e che invece correttamente dovrebbero pagare.

Insomma uno scenario sempre più complesso per la gestione della Tari, già fortemente «stressata» dalla riforma dettata dall'Arera, che dovrà adeguarsi, così come gli enti e i gestori, in poco più di tre mesi alle nuove regole, tenuto conto che l'articolo 6, comma 5, del Dlgs 116/2020 ha rinviato l'entrata in vigore delle disposizioni che dettano la nuova disciplina di rifiuto urbano al 1° gennaio 2021.

(*) Vice presidente Anutel

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Mercoledì 30 Settembre 2020 31

Conclusioni dell’avvocato generale Ue Pitruzzella sulla moneta come inclusione sociale

Tasse da pagare anche cash

Le limitazioni al contante non implicano l’abrogazione

DI CRISTINA BARTELLI

L

e tasse si devono po- ter pagare in contanti.

Impedirlo, lederebbe le fasce di popolazione più vulnerabili. Le limitazio- ni all’uso del contante (tese ad esempio a supportare la lotta all’evasione fiscale) sono ammissibili ma non devono implicare l’abolizio- ne di questo strumento di pagamento. Sono le conclu- sioni dell’avvocato generale della Corte di giustizia Ue, Giovanni Pitruzzella, in una causa che ha visto contrappo- sti due contribuenti tedeschi all’organismo di radiodiffu- sione dell’Assi per il diniego di quest’ultimo di accettare il pagamento del canone te- levisivo in contanti (cause ri- unite C-422/19 e C-423/19).

Il rifi uto dell’ente è generato in un decreto ingiuntivo nei confronti dei due contribuen- ti, considerati inadempienti.

La questione è giunta alla Corte di giustizia Ue di- nanzi alla quale l’avvocato generale sosterrà una tesi (che, giova ricordare, nella stragrande maggioranza dei casi è accolta dai giudici) ben precisa: l’uso del contante ha una connessione diretta con

l’esercizio di diritti fonda- mentali, assolve cioè al com- pito di elemento di inclusio- ne sociale. Per Pitruzzella:

«L’utilizzo di moneta diversa da quella espressa in forma fi sica nel contante, allo stato attuale, presuppone l’utilizzo di servizi fi nanziari di base, a cui un numero di persone non marginale non ha anco- ra accesso. Per tali sogget- ti “vulnerabili” il contante costituisce la sola forma di moneta accessibile e quindi l’unico mezzo per esercitare i propri diritti fondamentali (…). Le misure di limitazio- ne dell’uso del contante come mezzo di pagamento devono pertanto tenere conto della funzione di inclusione sociale che il denaro contante svolge per detti soggetti vulnerabili e garantire l’esistenza effet- tiva di altri mezzi legali di estinzione dei debiti pecunia- ri». Il punto di partenza del ragionamento dell’avvocato generale è che le banconote in euro hanno corso legale nei paesi che hanno questa moneta e che la nozione di corso legale deve essere inte- sa nel senso che essa compor- ta un obbligo di accettazione delle banconote da parte del creditore di un’obbligazione

di pagamento. Ci sono però due eccezioni a questo prin- cipio. La prima è l’accordo delle parti nel convenire un altro mezzo di pagamento;

la seconda, motivi di inte- resse pubblico che limitino l’uso delle banconote in euro come mezzo di pagamento.

La causa pone questioni di fronte alla giustizia comu- nitaria in merito alla com- petenza esclusiva attribuita all’Unione riguardo alla po- litica monetaria, nonché agli effetti del corso legale delle banconote in euro previsto nel diritto dell’Unione. E, non ultima, la questione della

possibilità per gli Stati mem- bri, la cui moneta è l’euro, di adottare normative nazionali che restringano l’uso del con- tante. Un tema storicamente presente in molte proposte di riforma fi scale anche in Ita- lia. L’avvocato della Corte Ue specifica che uno stato membro può disciplinare le modalità di estinzione delle obbligazioni pecuniarie. Ri- ferito alla questione oggetto della controversia, sembra che la normativa sottoposta all’esame sia volta ad inte- grare la nozione di diritto dell’Unione di corso legale delle banconote. «Se ciò fos- se il caso», afferma Pitruz- zella, «occorrerebbe ritenere che [tale norma] disciplini il corso legale delle banconote in euro, sconfi nando, pertan- to, nell’ambito di competenza esclusiva dell’Unione riguar- do alla politica monetaria, motivo per cui dovrebbe es- sere disapplicato». Le conclu- sioni si concentrano sull’uti- lizzo dei mezzi di pagamento alternativi al contante. Essi devono rispondere a due cri- teri: «Il caso in cui le parti contrattuali, nell’esercizio della loro autonomia priva- ta, abbiano convenuto altri mezzi di pagamento diversi

dal contante; e, dall’altro, il caso in cui l’Unione o uno Stato membro la cui mone- ta è l’euro, nell’esercizio di competenze loro proprie di- verse da quella in materia di politica monetaria, abbiano adottato una normativa che, in ragione del suo obiettivo e contenuto, non costituisce una disciplina del corso le- gale, ma prevede, per motivi di interesse pubblico, limita- zioni all’uso delle banconote in euro come mezzo di paga- mento». Tali limitazioni non possono portare a un’aboli- zione completa, di diritto o di fatto, delle banconote in euro e devono inoltre essere proporzionate e quindi ido- nee a raggiungere l’obiettivo di interesse pubblico perse- guito senza andare al di là di quanto è necessario per rag- giungerlo. E senza dimenti- care, come detto, il ruolo «in- clusivo» che la moneta fi sica ricopre.

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Commercialista, una professione ormai ad alto rischio. L’assistenza e la consulenza continue ai clienti espongono sempre più spesso questa tipologia di liberi professionisti ad un fuoco incrociato che può arrivare da più parti. Non ci sono soltanto i rischi di responsabilità civile e penale, im- putati al commercialista in concorso con il cliente, ma anche il pericolo di incorrere in sanzioni per violazione delle normative più disparate. Dalla privacy, all’antiriciclaggio, solo per citarne alcune fra le più insidiose.

Come se tutto ciò non bastasse il commercialista è spesso anche addi- tato, impropriamente, agli onori delle cronache mediatiche.

Sono questi gli scenari che sono emer- si nel corso delle tavole rotonde tenu- tesi in occasione del Convegno nazio- nale di Anc, dello scorso 25 settembre ad Alghero.

A scuotere le fondamenta della ca- tegoria professionale l’intervento, di notevole spessore tecnico-giuridico, di Antonio Laudati, sostituto procura-

tore della Direzione nazionale anti- mafia. Citando un recente caso finito nelle aule della Corte di cassazione, Laudati ha elencato, uno ad uno, tutti i possibili elementi che possono far fi- nire il commercialista sul banco degli imputati, in concorso di colpa con il cliente. La teoria giurisprudenziale del c.d. «dolo eventuale», le insidie della normativa antiriciclaggio e le omissioni in termini di segnalazione di operazioni sospette nonchè la spe- cifica ed insidiosa fattispecie di reato prevista a carico del professionista - quale ideatore di modelli seriali di evasione fiscale –di cui all’articolo 13- bis del dlgs n. 74/2000. Un vero e pro- prio fuoco incrociato che finisce per attrarre nella rete processuale, sem- pre più di frequente, anche il commer- cialista che essendo sempre più vicino all’imprenditore – anche per effetto delle nuove tecnologie informatiche – «non poteva non sapere».

Durante i lavori congressuali sono emerse anche le conseguenze di re- centi fatti di cronaca durante i quali

i media hanno enfatizzato, spesso an- che a sproposito, la presenza del «com- mercialista» nelle varie fattispecie pe- nalmente rilevanti. Spesso, si è fatto notare, trattasi di soggetti non iscritti all’albo ma che, nonostante ciò, per l’opinione pubblica possono comunque essere definiti quali commercialisti o presunti tali. Le conseguenze di questa pubblicità negativa per la categoria sono nefaste. Soprattutto se tali noti- zie vengono riprese ed amplificate da personaggi di rilievo pubblico o peggio ancora, da esponenti di punta questo o quel partito politico.

Eppure la categoria professionale in questione avrebbe molte frecce al proprio arco attraverso le quali rispondere a tali virulenti attacchi.

Fra queste una di rilievo, oggetto di una specifica tavola rotonda durante i lavori del suddetto convegno nazio- nale, riguarda il rispetto degli obbli- ghi della disciplina antiriciclaggio. Lo stesso sostituto procuratore Antonio Laudati e Ranieri Razzante, docen- te di intermediazione finanziaria,

hanno sottolineato con forza come i commercialisti stiano recependo le disposizioni della normativa antirici- claggio, aumentando anche il numero e soprattutto la qualità delle segnala- zioni sospette (c.d. SOS).

L’essere soggetti a tali obblighi, non- ché a quelli deontologici e di formazio- ne professionale continua, dovrebbero costituire un titolo di merito che la ca- tegoria potrebbe vantare con efficacia per distinguersi sul mercato.

Che l’attività del commercialista debba comunque evolversi è ormai un dato di fatto. Lo stesso presiden- te del Consiglio nazionale, Massimo Miani, presente ai lavori del conve- gno, non ha esitato nel ricordare ai presenti come le attività collegate alla contabilità ed agli adempimenti di natura meramente formale siano destinate, da qui a breve, ad essere sempre meno gratificanti nel novero delle attività che può svolgere il dot- tore commercialista.

Andrea Bongi

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GLI SCENARI EMERSI AL CONVEGNO NAZIONALE ANC CHE SI È SVOLTO AD ALGHERO

Commercialista, una professione ormai ad alto rischio

Giovanni Pitruzzella

NUOVO NUMERO I 100 CAMPIONI DEL FOOD TECH

Diritto

& Fisco

& Fisco

Le conclusioni sul sito www.italiaog- gi.it/documenti- italiaoggi

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Mercoledì 30 Settembre 2020

I M P O S T E E TA S S E

Una risposta dell’Agenzia delle entrate sul credito d’imposta per i beni strumentali

Investimenti, aiuti oltreconfine

Agevolabili macchinari spostati nei cantieri all’estero

DI GIOVANNI MUSSO

P

ossono godere del cre- dito di imposta per investimenti in beni strumentali i beni che vengono spostati all’estero temporaneamente nei can- tieri che costituiscono mere diramazioni della struttura produttiva aziendale localiz- zata in Italia. È quanto emer- ge dalla risposta dell’Agenzia delle entrate all’interpello n.

920-204/2020, prot. 61015 del 24/9/2020, in tema di agevo- lazioni previste dall’art. 1, comma 185-197 della legge 160/2019, per acquisto di nuovi macchinari tempora- neamente spostati su luoghi diversi dalla sede dell’impre- sa. Il caso riguarda una srl con sede produttiva in Sicilia, che svolge la sua attività princi- palmente presso cantieri che possono essere ubicati in Si- cilia, nel restante territorio italiano oppure all’estero.

L’azienda intende acquisire nuovi macchinari per l’am- pliamento della propria at- tività aziendale che saranno impiegati per l’effettuazione di commesse sia in Italia sia all’estero. Gli investimenti hanno quindi lo scopo di am- pliare la produttività azienda- le e di conseguenza il livello di competitività dell’impresa a li- vello internazionale. Una volta fi nita la commessa all’estero i beni verranno riportati presso l’unità produttiva in Sicilia, in attesa di essere impiegati per future commesse che possono essere acquisite sia in Italia che all’estero. L’acquisto dei macchinari è strettamente le- gato alla possibilità di ottene- re l’agevolazione prevista dal credito di imposta per investi- menti in mancanza del quale impresa non intenderebbe procedere con l’investimento.

A tal proposito l’azienda ne- cessita del parere dell’Agenzia delle entrate circa la possibi- lità di usufruire del credito di imposta per investimenti, per l’acquisizione di beni da im- piegare in cantieri temporanei all’estero, che non hanno una propria autonomia funzionale, quindi non sono classifi cabili come struttura produttiva, ma fanno capo e sono parte inte- grante delle sede produttiva localizzata in Sicilia. Un dato degno di nota è che i redditi prodotti all’estero vengono comunque tassati anche in Italia secondo quando previ- sto dalle convenzioni stipulate dallo stato Italiano. Secondo l’Agenzia e per espressa pre- visione normativa, condizione necessaria perché l’investi- mento sia agevolabile è che i beni siano destinati a struttu- re produttive situate nel terri- torio dello Stato e il benefi cio non spetta se tale condizione non è fi n dall’inizio rispetta- ta. In particolare, l’Agenzia

ha chiarito che per «struttura produttiva» deve intendersi ogni singola unità locale o stabilimento, ubicati nei ter- ritori richiamati dalla norma, in cui il benefi ciario esercita l’attività d’impresa (si veda tabella in pagina). Per quan- to riguarda, il requisito della strumentalità dei beni, deve essere valutato in funzione del nesso economico-funzionale con la struttura produttiva effettivamente operate nel territorio svantaggiato (la quale deve essere comunque una sede «operativa» dell’im- presa), nel senso che l’attività nella quale detti beni sono im- piegati deve essere integrata nel ciclo produttivo di un’altra struttura comunque radicata nel territorio agevolato. Per- tanto, anche se il luogo dove si svolge l’attività (cantiere), si trova in un altro ambito ter- ritoriale, possono sussistere i presupposti per l’agevolazione a condizione che la gestione dell’impresa, alla quale sono imputati i relativi costi e rica- vi, sia localizzata in una delle zone destinatarie dell’age- volazione. Con riferimento al caso di specie, la società interpellante, precisa che i cantieri temporanei all’estero, nei quali verrebbero impiegati i beni strumentali oggetto di agevolazione, non hanno una propria autonomia funzionale ma fanno esclusivamente capo e sono parte integrante della struttura produttiva azienda- le (localizzata nel territorio dello Stato). Occorre tenere in considerazione che la fun- zione organizzativa e direzio- nale, nonché la partecipazione alle gare e l’organizzazione dei cantieri, sono svolte nella sede in Sicilia. Ultimato il proget- to presso il cantiere estero, oltre ai dipendenti anche i macchinari produttivi escono e rientrano nella sede sicilia- na in ragione della loro utile collocazione. I cantieri tempo- ranei sono solo dei luoghi in cui vengono svolti dei lavori su commissione organizzati e gestiti dalla sede in Sicilia.

Pertanto, l’Agenzia delle en- trate ritiene che ove i cantieri nei quali verrebbero impiega- ti i beni strumentali oggetto di agevolazione costituiscano mere diramazioni della strut- tura produttiva aziendale lo- calizzata in Sicilia, alla quale sono strettamente correlati, e lo spostamento dei beni all’estero abbia un carattere temporaneo, secondo quanto esposto dall’interpellante, sus- sistono i presupposti per acce- dere al credito d’imposta.

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L’assemblea di Consip ha approvato ieri il bilancio 2019: il risparmio annuo di spesa per l’amministrazione pubblica è pari a 3,3 miliardi di euro e sono state bandite gare per 12,5 miliardi di euro con aggiudicazioni per 7,1 miliardi di euro. La p.a. grazie agli strumenti messi a disposizione da Consip ha effettuato acquisti per quasi 15 miliardi nel 2019.

Il bilancio 2019 chiude un triennio a guida dell’ad Cristiano Cannarsa: l’utile di eserci- zio è passato da 800 mila euro del bilancio 2016 a 7,4 milioni del 2019; il margine operativo lordo ha raggiunto i 12,2 milioni di euro con una crescita del 358% rispetto al bilancio 2016; il valore della produzione è stato pari a 69,5 milioni di euro il +23%

rispetto al dato relativo al bilancio 2016.

Unioni civili tra due donne: il fi glio conce- pito con fecondazione assistita all’estero, ma nato in Italia, può avere due “madri”? Ires, dubbi sull’indeducibilità dell’Imu 2012.

Queste alcune delle questioni di maggior rilievo all’esame della Corte costituzionale nell’udienza pubblica del 6 ottobre e nella camera di consiglio del 7 ottobre 2020.

Conto alla rovescia per la regolarizzazio- ne della Posta elettronica certifi cata delle imprese. Entro domani 1° ottobre tutte le aziende devono comunicare telematicamen- te al Registro imprese il proprio domicilio digitale (Pec) attivo e univocamente ricon- ducibile all’impresa. A stabilirlo, ricorda una nota della Cciaa di Milano, è il dl sem- plifi cazioni convertito in legge 120/2020.

Se la mancata comunicazione prevedeva fi nora solo una sospensione temporanea per l’invio di pratiche telematiche al Registro, ora invece può comportare una multa tra i 206 e i 2.064 euro per le società, tra i 30 e i 1.548 euro per le imprese individuali.

La riforma fi scale, che secondo le inten- zioni del direttore delle Entrate Ernesto Ma- ria Ruffi ni dovrebbe entrare in vigore dal 1°

gennaio 2021, per il Sindacato italiano dei commercialisti aumenterà la complessità del sistema tributario anziché semplifi carlo.

«In questo drammatico momento storico», rende noto il comitato direttivo del Sic,

«crediamo sia fuori luogo parlare di riforma fi scale le cui basi dovrebbero invece essere inserite in un programma elettorale, perché deve essere il Parlamento a dettarne la li- nea. Solo in un secondo momento dovran- no intervenire altre fi gure tecniche, tra cui auspichiamo i dottori commercialisti».

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BREVI INTERPELLI

Ristrutturazioni, facciata agevolata se è visibile

DI ELISA DEL PUP BONUS FACCIATE

Ok al bonus facciate per gli interventi sulle facciate interne dell’edifi cio, ma solo se sono visibili dalla strada o da suolo pubblico. È ciò che emerge dalla risposta ad interpello n. 418 dell’Agenzia delle entrate, in cui il contribuen- te ha rappresentato di voler realizzare un si- stema di isolamento termico esterno (cappot- to) su una villa singola di sua proprietà, dotata di cortile esclusivo a cui si accede da strada privata. In questo caso, secondo l’Agenzia,

«considerato che l’immobile interessato dagli interventi si trova al termine di una strada privata, circondato da uno spazio interno, ov- vero in una posizione di dubbia visibilità dalla strada o dal suolo pubblico», l’intervento non rientra tra quelli agevolabili. Infatti, «la detra- zione non spetta per gli interventi effettuati sulle facciate interne dell’edifi cio fatte salve quelle visibili dalla strada o da suolo ad uso pubblico. Devono, infatti, considerarsi escluse […] le spese sostenute per gli interventi sul- le superfi ci confi nanti con chiostrine, cavedi, cortili e spazi interni, fatte salve quelle visi- bili dalla strada o da suolo ad uso pubblico.

Il requisito della visibilità dell’edifi cio dalla strada o suolo pubblico, è necessario non solo con riferimento alle facciate esterne, ma anche alle facciate interne dell’immobile».

IMMOBILE STAGGITO

L’aggiudicatario dell’intera proprietà di un immobile di cui era già comproprietario deve provvedere a versare, relativamente alle tasse sul trasferimento, solamente ciò che concerne la quota acquisita. È la risposta ad interpello n. 410 dell’Agenzia delle entrate, in cui l’inter- pellante è aggiudicataria dell’intera proprietà di un immobile del quale era già comproprie- taria per la quota di un mezzo indiviso. Se- condo l’Agenzia, «la tassazione riguarderà un decreto di aggiudicazione con il quale la parte acquisirà la piena proprietà di un immobile del quale, attualmente, ha già la proprietà del 50%». Pertanto, si dovrà tassare la sola quota del 50% dell’immobile.

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Cosa si intende per struttura produttiva

a) Un autonomo ramo di azienda, inteso come un insieme coordinato di beni materiali, immateriali e risorse umane precisamente identifi cabili ed esclusivamente ad esso attribuibili, dotato di autonomia decisionale come centro di costo e di profi tto, idoneo allo svolgimento di un’attività consistente nella produzione di un output specifi co indirizzato al mercato

b) Una autonoma diramazione territoriale dell’azienda ovvero una mera linea di produzione o un reparto, pur dotato di autonomia organizzativa, purché costituisca di per sé un centro autonomo di imputazione di costi e non rappresenti parte integrante del processo produttivo dell’unità locale situata nello stesso territorio comunale ovvero nel medesimo perimetro aziendale

Le risposte ad interpello sul sito www.italiaoggi.it/documenti- italiaoggi

La risposta a inter- pello sul sito www.

italiaoggi.it/docu- menti-italiaoggi

Riferimenti

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