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CONTRO IL GRANDE RESET Moreno Pasquinelli

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Academic year: 2022

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CONTRO IL GRANDE RESET di Moreno Pasquinelli

«Per salute non si deve intendere soltanto la conservazione della vita, a qualunque condizione; ma una vita per quanto possibile felice». Thomas Hobbes

PREMESSA

L’idea di fondo di chi scrive è questa: il turbocapitalismo neoliberista, anzitutto occidentale, è entrato da tempo in una crisi mortale, tuttavia, come ogni organismo storico-sociale, esso vuole sopravvivere ad ogni costo. Potrà riuscirci solo se sarà in grado di auto- trasformasi. Così è accaduto in ogni grande crisi sistemica, anche quella degli anni ’70 del secolo scorso, che partorì appunto il mostro neoliberista. Malgrado il Covid non sia nemmeno lontanamente paragonabile alla peste che decimò la popolazione europea nel XIV secolo, il XXI potrebbe assomigliare proprio a quello che segnò il passaggio

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epocale dal Medioevo alla modernità. L’avanguardia politica dei globalisti ne sembra convinta ed ha chiaro in testa dove condurre l’umanità. Essa sa che un simile passaggio non sarà indolore, che dovrà spazzare via resistenze tenaci, che ci saranno profonde turbolenze sociali… cadranno teste, crolleranno regimi, spariranno nazioni, modi di vita saranno sconvolti. Affinché simili “distruzioni creative” possano produrre gli effetti desiderati, chi le pilota ha bisogno di eventi sconvolgenti, tali da scioccare le masse e da convincerle della ineluttabile necessità del mutamento radicale che questa avanguardia politica ha in mente. La cosiddetta “pandemia” ha consegnato a questa avanguardia politica un’occasione d’oro per attuare quello che chiama “Il Grande Reset” (ovvero reimpostare il sistema capitalistico nel caos per ricostruirlo). Scioccare le masse è solo la prima fase, dopo il coma farmacologico narcotizzante, esse andranno risvegliate per essere quindi mobilitate e intruppate. La cupola, nel tentativo di indirizzare gli eventi, sfodera la sua “nuova” visione del futuro, offre alle larghe masse un’ideologia seducente, così da giustificare le pene dell’inferno che stanno subendo e dovranno subire. Ecco dunque che il bio-potere (il sovrano che mentre dice di conservare la vita proprio per questo pretende il rispetto dei suoi definitivi dispositivi disciplinari), brandito il fantasma della “morte nera”, esibisce la sua abbagliante e super- progressista promessa: in virtù dei miracoli della scienza, delle diavolerie digitali e della farmacologia, il futuro prossimo sarà un paradiso post-umano tecnicamente perfetto.

Dopo lo shock la narcotizzazione. Chi non si oppone a questa narrazione dietro alla quale il bio-potere si maschera e nasconde le sue pretese totalitarie, è complice.

SINDEMIA O PANDEMIA?

Il mondo scientifico è tutt’altro che unanime sull’origine del virus. Non è affatto certo, né il cosiddetto “spillover” (il salto da animale a uomo), né che il passaggio sia avvenuto a

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Wuhan o nella provincia dello Hubei. L’autorevole ricerca compiuta dall’Istituto dei tumori di Milano e dall’Università di Siena, analizzando i campioni di 959 persone asintomatiche che avevano partecipato agli screening per il tumore al polmone tra settembre 2019 e marzo 2020, ha ad esempio accertato che l’11,6% di queste persone aveva gli anticorpi al coronavirus, di cui il 14% già a settembre. Il virus aveva quindi iniziato a diffondersi in Italia già dall’estate 2019.

Le autorità politico-sanitarie, per giustificare le loro misure sproporzionate e liberticide e lo stato d’emergenza a singhiozzo, hanno costruito una vera e propria campagna di terrore fondata sull’idea che saremmo in presenza del rischio di uno sterminio di massa. Per confermarlo esse usano il criterio aleatorio del tasso di letalità di una pandemia (rapporto tra le persone decedute a causa della malattia col totale dei malati). In verità è il tasso di mortalità (rapporto tra deceduti e popolazione) il parametro decisivo, anche perché permette un confronto tra l’epidemia attuale e quelle precedenti. Solo negli ultimi cento anni ne ha subite almeno tre: quella devastante è stata la spagnola (H1N1) nel 1918-19, neanche paragonabili la “asiatica” (H2N2) nel 1957-58, la “Hong Kong” (H3N2) nel 1968-69. Ebbene, il tasso di mortalità del Covid su scala planetaria si attesta ad oggi allo 0,016, quello dell’Asiatica dello 0,068, quello della Spagnola del 3,3%. Da sempre l’umanità ha dovuto far fronte a pandemie influenzali. Prendendo per buoni i dati dell’OMS (metà novembre 2020) sarebbero decedute nel mondo, “causa Covid”, 1.338.769 persone, il doppio di quelle morte per problemi respiratori legati ai virus influenzali negli anni scorsi. Numeri ufficiali che mentre smentiscono coloro che negano la pericolosità di questa sindemia, quando non la sua stessa esistenza, a maggior ragione destituiscono di ogni fondamento l’isterica drammatizzazione in atto. Non è finita qui. C’erano state già nella primavera scorsa polemiche sulla classificazione sbrigativa dei decessi. Virologi di fama, immediatamente silenziati, avevano fatto notare che mentre nelle altre pandemie influenzali le statistiche abbiano sempre

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considerato le “morti indirette per complicanze polmonari o cardiovascolari”, col Covid questa tassonomia sia scomparsa.

Oggi non c’è più alcun dubbio che la classificazione usata in primavera sia stata deliberatamente ingannevole: “Abbiamo sbagliato a contare i decessi, anche chi aveva un infarto con un tampone positivo lo abbiamo registrato come morto per Covid”.

Tuttavia considerare il Covid-19 (Sars-CoV-2) una pandemia, se è tecnicamente giusto, è essenzialmente sbagliato. Come attestato da autorevoli scienziati, si tratta piuttosto di una

“sindemia”: la sindrome respiratoria causata dal Covid interagisce con malattie non trasmissibili quali diabete, cancro, patologie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche. Le sindemie sono cioè caratterizzate da interazioni biologiche e sociali che aumentano la suscettibilità di una persona a peggiorare il proprio stato di salute. L’economia liberista ha creato un habitat propizio alla letalità dei virus influenzali, causando in tal modo la crescita di queste malattie croniche di massa. Affrontare il virus dunque significa affrontare anche ipertensione, obesità, diabete, malattie cardiovascolari o respiratorie croniche e cancro. Ciò spiega la ragione del fallimento delle risposte adottate dai sistemi politico-sanitari nel contenere la curva di contagio.

Se si vogliono evitare nuove “tempeste sanitarie perfette” va ripensato il concetto di salute pubblica e seppellito il modello economico-sociale neoliberista.

A conferma del carattere sindemico della malattia parlano i numeri: la stragrande maggioranza dei decessi, ha infatti riguardato soggetti con patologie croniche, per di più tra i 70 e i 90 anni d’età. La conferma che si tratta di una sindemia viene da un altro dato: più ancora che le differenze biomediche sono state infatti le differenze sociali e di classe a determinare l’alto numero di decessi. Sociologi e scienziati hanno parlato infatti di “pandemia della diseguaglianza”, dato che la stragrande maggioranza dei

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colpiti risulta collocato nelle zone più basse e indifese della scala sociale. E’ quindi l’economia neoliberista, in q u a n t o p o r t a a l l e e s t r e m e c o n s e g u e n z e l a p u l s i o n e capitalistica alla crescita illimitata ad ogni costo, la malattia fondamentale, quella che ha creato la “tempesta perfetta”, il combinato disposto tra il virus e sistemi sanitari aziendalizzati.

UN DISASTRO ANNUNCIATO

Le autorità politico-sanitarie, a partire dall’OMS, per giustificare il ricorso alla medievale quarantena utilizzano come criterio il tasso di letalità. Esso dipende dal metodo con cui si decide di considerare e rilevare le persone considerate “malate” o “contagiate”. In Italia e altrove questa modalità da risultati fallaci poiché si basa sulla diagnostica basata sullo screening a tappeto tramite tamponi naso-faringei (RT-CPR) per rilevare la “positività al virus”.

La comunità scientifica è divisa sulla affidabilità di questa metodologia (come del resto non è unanime sull’affidabilità delle mascherine come strumento anti-contagio). Essa si basa sulla individuazione, nelle secrezioni respiratorie del paziente, non del Covid19 (il cui genoma RNA non è ancora stato effettivamente isolato), ma geni virali di diverso tipo (nel caso del tampone molecolare) o generiche proteine virali (nel tampone antigenico). Il risultato di questo tamponificio è che anche i soggetti asintomatici, paucisintomatici, compresi quelli con sintomi lievi sono, a torto considerati

“malati contagiosi”.

Al contrario, l’epidemiologia ha acquisito da tempo il principio secondo cui la possibilità o meno di trasmettere il virus dipende dalla intensità della carica virale — che può variare da soggetto a soggetto e più è bassa più scende la probabilità di contagiosità. Le autorità, interessate ad alimentare il “terrorismo sanitario”, nella seconda come nella prima “ondata”, spaventano i cittadini sparando alzo zero i numeri crescenti dei “contagiati”, ed evitando di segnalare

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che la grandissima parte guarisce. E’ il Ministero della sanità a confermarci (dato del 16 novembre 2020) che il 95%

dei “contagiati” si cura a casa ed è asintomatico, che solo il 4,5% è ospedalizzato e che lo 0,5% è in terapia intensiva.

Numeri che quindi smentiscono l’isterico allarmismo voluto dal bio-potere potentemente alimentato dal circo mediatico ad esso asservito.

Prestigiosi studi avevano subito messo in guardia le autorità politico-sanitarie sostenendo che il lockdown non sarebbe servito a fermare il diffondersi del virus. Quanto accaduto in Italia ha confermato il clamoroso fallimento della quarantena estesa a tutti ed a tutto il Paese — arresti domiciliari di massa, “distanziamento sociale” con illegalizzazione della vita associata, devastante blocco dell’attività economica, serrata delle scuole con la sciagurata “didattica a distanza”

che la stessa OMS ha condannato. Non solo abbiamo avuto migliaia di decessi di anziani già malati (molti ammassati nelle RSA) che potevano essere evitati con una strategia di protezione più accorta; come una bomba ad orologeria è sopraggiunta la cosiddetta “seconda ondata”. Non occorre andare molto lontano per verificare che forme di contrasto non basate sulla quarantena totale hanno ottenuto migliori risultati: in Svizzera il tasso di mortalità si attesta allo 0,04%, in Svezia allo 0,06%, in Germania (13.362 decessi) addirittura alla 0,01%, mentre in Italia (47.870 decessi) è allo 0,08%, al netto dei decimali più di cinque volte tanto.

Come mostra anche l’esempio delle elezioni americane, ogni tentativo di opporsi a questa artificiale ondata di irrazionalismo, è stato vano. Chiunque si opponga a questa narrazione è stato ingiuriato e additato al pubblico ludibrio come “negazionista”. Stessa sorte è toccata anche ad autorevoli scienziati controcorrente, scherniti e derisi come

“pazzi”.

Sui protocolli adottati nella primavera scorsa per guarire i malati in rianimazione, restano inquietanti interrogativi.

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Secondo una parte della comunità medica, i metodi usati nelle terapie intensive si sarebbero rivelati addirittura letali. Si fa riferimento, in particolare, all’errore di ricorrere alla ventilazione polmonare forzata nei casi di ricoveri per tromboembolia ed infine a quello di non ricorrere all’uso di antinfiammatori e di antibiotici, che poi si riveleranno invece fondamentali. Inquietante è stata infine la decisione dell’Agenzia del farmaco di vietare, con tanto di minaccia verso i medici che l’avessero invece prescritta, l’uso della idrossiclorochina, che invece si è dimostrata sicura ed efficace nelle prime fasi della malattia. Uno dei tanti casi, in smaccata violazione del giuramento di Ippocrate, di dittatura sanitaria da parte di corporazioni colluse con la grande industria farmaceutica globale. L’accanimento diagnostico ovvero la caccia compulsiva del “malato” tra la popolazione non solo non ha precedenti nella storia dell’epidemiologia sanitaria occidentale, è una delle cause del tracollo del sistema sanitario pubblico, già falcidiato da decenni di tagli lineari. La ricerca massiccia tra la popolazione sana, con milioni di test per il tracciamento dei positivi, oltre ad essere incompatibile con la natura e gli scopi del servizio sanitario, ha causato guasti senza precedenti: blocco dei servizi diagnostici, cura e riabilitazione, aumento dei malati di cancro (“ci troviamo nel mezzo di una vera e propria emergenza oncologica”) e patologie cardiovascolari. A questo vanno aggiunti quelli che a torto sono considerati danni collaterali secondari: la dittatura sanitaria, la distruzione della vita associata, la campagna di isterico terrorismo, secondo psicologi e psichiatri, sta già causando un aumento enorme dei più disparati disturbi psichici: ansia, depressione, disturbi della personalità, schizofrenia. La conferma l’abbiamo dall’aumento dell’abuso e della dipendenza da psicofarmaci.

Di converso e com’era prevedibile, lo sfascio della sanità pubblica ha causato una veloce espansione della sanità privata: chi ha soldi può ricorrere a cure efficaci, chi non

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ce li ha finisce nel vortice in fondo al quale può esservi la morte. Malgrado molti governi occidentali si fossero dotati di piani contenenti non solo misure ex post, ma specifiche misure terapeutiche ex ante per contrastare il rischio di pandemie, abbiamo assistito ad un clamoroso fallimento. Più marcato esso è stato nei paesi che hanno perseguito politiche neoliberiste di tagli e privatizzazioni, meno devastante in quelli dove tali politiche sono state più sfumate. L’Italia è uno di quei paesi in cui la distruzione del sistema sanitario è andata più avanti. Tagli ai fondi, tagli al personale, tagli ai posti letto, tagli alle apparecchiature, tagli ai servizi di sanificazione e igienizzazione. L’emergenza sanitaria, causata dall’allarmismo isterico, mentre ha mandato in tilt ospedali e centri sanitari, ha mostrato la totale disfatta della

“riforma” del sistema fondato sul binomio micidiale aziendalizzazione/regionalizzazione. E’ quindi sulle spalle dei governi neoliberisti che si sono succeduti negli ultimi decenni, prima ancora che su quelle del virus, che ricade la principale causa dei lutti che hanno afflitto tante famiglie italiane.

PANDECONOMIA

Non è dato sapere se la profezia di Bill Gates del 2015, quella per cui era in arrivo una pandemia che avrebbe fatto 10 milioni di morti, sia stata un’uscita estemporanea o invece la dimostrazione che certe élite globaliste avevano in mente un piano per provocare e utilizzare uno shock globale. Resta che malgrado la relativa pericolosità del virus, l’avanguardia mondialista ha deliberatamente agito per farne l’evento traumatizzante per aprire la via e giustificare il Grande Reset. Come a comando le autorità politico-sanitarie e la grande armata mediatica hanno quindi suonato all’unisono lo stesso spartito, utilizzando la pandemia per generare il contagio davvero devastante, il sentimento di panico e di paura e, sulla falsa riga di T.I.N.A., a far diventare senso comune che non c’è alternativa e l’apocalittica idea “nulla

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ormai sarà come prima”.

Gli effetti nefasti della gestione della sindemia sono molteplici, primo tra tutti un collasso generalizzato della produzione, degli scambi e dei consumi. Collasso che non a caso è stato più profondo in quei paesi come il nostro che hanno scelto la via della quarantena totale (il Pil italiano ha subito in pochi mesi il più grande crollo della storia:

-10%). Un crollo destinato a produrre effetti sconvolgenti e duraturi. Nessuno oramai crede più alla favola della “ripresa a V”. Tra questi effetti il fallimento in massa di piccole e media aziende; la rovina per centinaia di migliaia di esercizi commerciali e attività artigianali; l’annientamento di interi settori e distretti economici, fallimenti bancari causa crediti deteriorati, la caduta delle entrate fiscali. Le conseguenze sociali saranno drammatiche: un aumento esponenziale della disoccupazione, la volatilizzazione dei risparmi, lo sfascio del tessuto sociale, il pauperismo di massa. Alla forte diminuzione della ricchezza prodotta corrisponderà un’ancora sua più diseguale distribuzione.

Avremo un’ulteriore concentrazione di capitale a favore dei colossi economici e finanziari mondiali, siano essi conglomerati bancari o speculativi, i quali andranno all’incasso depauperando i paesi con forti debiti pubblici e privati.

Entrata fortemente indebolita in questa grande crisi a causa dell’appartenenza all’Unione europea e alla zona euro, l’Italia rischia di lasciarci le penne. Il processo di saccheggio dei suoi capitali e dei suoi cespiti si accentuerà col rischio di essere fagogitato, addirittura di essere sottoposto ad un regime umiliante di protettorato. Se questo poco importa all’élite del grande capitalismo italiota, i politici pronti a fare i Quisling occupano tutte le postazioni istituzionali apicali. Per i colossi globalizzati della finanza e dell’industria il nostro Paese è solamente una minuscola porzione del mercato mondiale, tanto più che per

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essi gli stati nazionali sono diventati ostacoli sulla loro strada, quindi ovunque possibile si dovrà rimuoverli o, come minimo, sottoporre ad uno stato di succubanza.

Fatte le pentole il diavolo si sarà anche questa volta dimenticato di fare i coperchi? La grave crisi sociale e politica accentuata dalle politiche anti-Covid farà saltare i coperchi anche ove se ne fosse ricordato. Non è dato sapere quando e dove ma sappiamo il come: le per ora molteplici ma minoritarie manifestazioni di disobbedienza civile sono destinate a diventare ondate di agitazioni popolari, vere e proprie sollevazioni generali. Contro politiche antipopolari globali le rivolte non potranno che essere nazionali e popolari. I dominanti lo sanno bene e si stanno attrezzando alla bisogna. Col pretesto della pandemia essi stanno stringendo definitivamente la garrota al collo della democrazia, collaudando quasi dappertutto, come non era mai avvenuto dalla fine della seconda guerra mondiale, meccanismi e dispositivi di silenziamento del dissenso e di repressione preventiva del conflitto politico e sociale. In Italia questo attacco ha fatto passi da gigante. Un governo scalcagnato, nato solo grazie al sostegno dell’eurocrazia e dei poteri forti, con la modalità di ordinanze e decreti del Presidente del Consiglio di dubbia costituzionalità ha sottoposto il Paese ad un inedito e anticostituzionale Stato d’Emergenza a singhiozzo che ha di fatto soppresso numerosi ed essenziali diritti sociali e di libertà. Lo ha fatto in nome del rispetto dell’Art. 32 della Costituzione e della tutela del diritto alla salute. Sorvolando sull’implicito e meschino concetto di salute, verificato che apprendisti stregoni hanno miseramente fallito, va ricordato loro che il 32 è preceduto da una serie di articoli che sanciscono il diritto al lavoro, alla libertà di pensiero, di manifestazione, a quella di circolazione.

Proprio per evitare questa sorte essi vanno blindando i fortilizi nei quali sono asserragliati e ostentano la loro vile sudditanza al grande capitalismo predatorio. Non solo non

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danno segni di resipiscenza, difendono tutte le misure scellerate che hanno spinto il Paese nel baratro, senza nascondere che esse si inquadrano, appunto, nell’ottica del

“Grande Reset” invocato dall’avanguardia globalista. Non nascondono che puntano a vaccinazioni di massa, con tanto di passaporto sanitario obbligatorio attraverso chip impiantati nel corpo; alla digitalizzazione dispiegata della vita sociale; a rendere permanenti i dispositivi orwelliani di psico-polizia; allo smantellamento dei settori economici che non possono reggere la competizione globale; a consegnare ulteriori quote di sovranità nazionale all’eurocrazia. Non fanno mistero quindi di credere in un futuro distopico e disumano in cui la maggioranza dei cittadini, trasformati in nuovi schiavi, ricevuto in cambio dell’ubbidienza un umiliante

“reddito universale”, dovranno accettare come sovrana un’élite oligarchica transanazionale, una politica che lascerà il posto a “task force” di ragionieri e in cui il ruolo-guida spetterà alla tecno-scienza.

Contro queste forze diaboliche non resta che costruire un g r a n d e e t r a s v e r s a l e f r o n t e p o p o l a r e p a t r i o t t i c o d’opposizione. Gli ascari che hanno ridotto in brandelli la Costituzione, che stanno distruggendo l’Italia, saranno equiparati a malfattori e per questo sconteranno la pena che meritano.

LE FALSITA’ DEL COVID di

Leonardo Mazzei

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Oggi voglio parlarvi di un fatto concreto, avvenuto in un ospedale della Toscana, raccontatomi da un’amica che ha perso il padre nei giorni scorsi. Spesso i fatti della vita di tutti i giorni ci dicono molto di più di mille discorsi su grafici e tabelle.

Sappiamo tutti come i numeri del Covid siano inaffidabili.

Inaffidabili quelli sui contagi, inattendibili quelli sul numero delle vittime. In tanti sappiamo pure che questa inaffidabilità non è casuale, bensì voluta. E sappiamo anche che tanti potenti interessi concorrono ad una sovrastima della reale portata dell’epidemia.

«Dacci oggi il nostro panico quotidiano» scrive Diego Fusaro commentando il comportamento dei media. E ieri i giornali hanno dato l’assurda notizia di un virus che in Italia sarebbe più letale che altrove. Ovviamente si tratta di una delle tante bufale messe in giro da questi messaggeri della paura controllati da chi col virus rafforza il proprio dominio.

Questi giornalistoni fingono di non sapere che il tasso di

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letalità – che altro non è che il rapporto tra morti attribuiti al Covid e numero ufficiale di positivi – dipende da tanti fattori che con la pericolosità del virus c’entrano come i cavoli a merenda. Il primo di questi fattori è il numero dei tamponi, il secondo è l’attendibilità dell’esame degli stessi, il terzo è la correttezza nell’attribuzione delle cause di morte. E si potrebbe continuare.

Ragionare su questi fattori comporterebbe però una certa fatica e, soprattutto, rallenterebbe la diffusione quotidiana h24 del solito allarme terroristico che tanto piace nei palazzi del potere. Quegli stessi palazzi dove risiedono i responsabili degli ultradecennali tagli alla sanità, fatti in nome dell’Europa, che sono la principale causa degli attuali problemi sanitari.

Ma per una volta non voglio mettermi a discutere di tutto ciò.

Preferisco invece riferirvi quanto mi è stato raccontato sulla vicenda accennata in premessa. A seguito delle sue peggiorate condizioni, un uomo, già sofferente da anni di diverse patologie, con seri problemi cardiaci, arriva in ospedale per un controllo, durante il quale ha un arresto cardiaco che lo porta alla morte. Ai familiari – che a tutto pensavano fuorché al Covid – viene fatto sapere che hanno due possibilità.

Fargli fare il tampone post mortem ed aspettare l’esito prima di procedere alla sepoltura, oppure chiudere la cassa e fare il funerale in tempi brevi. Ovviamente, come avremmo fatto (quasi) tutti, i familiari hanno scelto la seconda opzione. Ma è qui che arriva la sorpresa: senza tampone la morte viene comunque attribuita d’ufficio al Covid.

Avete capito il valore dei numeri che vi sparano in fronte tutti i giorni i Tg?

Ora, è sempre triste dover parlare di queste cose. E mi rattrista ancor di più doverlo fare per il padre di una persona cara, ma possiamo tacere di fronte ad una simile mostruosità? No, non possiamo, anche perché è difficile

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pensare ad un caso isolato, ad un errore o ad una semplice violazione delle norme. Probabile, molto più probabile, che questa procedura sia ammessa e tutelata, se non addirittura incoraggiata, dalle regole emergenziali decise dal governo.

Venti giorni fa Guido Bertolaso ha rivelato la convenienza che hanno gli ospedali (2mila euro al giorno a paziente) nel gonfiare i numeri del Covid. Chi scrive non sa se nel caso narrato entri anche questo aspetto. Quel che è chiaro però è la volontà che viene dall’alto di alimentare una narrazione terroristica. Con la paura si governa facile e qualcuno fa pure tanti affari.

In quale incubo ci vogliono ingabbiare? Domandarselo è doveroso. Iniziare a darsi delle risposte è possibile. Ma anche chi è ancora incerto, inizi almeno a riflettere. Il virus è un problema, l’uso che ne fa la cupola al potere lo è di più.

Fonte: Liberiamo l’Italia

35 DOMANDE A UN COVIDISTA di

Alceste De Ambris

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Anche nell’ambito degli intellettuali critici verso il pensiero unico, che su altri argomenti esprimono opinioni originali, quando si tratta del tema Covid19 alcuni non si scostano dalla narrativa dominante. Ultimo della lista scopro ad es. l’analista di geopolitica Stefano Orsi, che deride la

“Marcia della liberazione” dell’11 ottobre come un gruppuscolo di negazionisti.

I termini “negazionista” e “complottista” non sono definizioni ma insulti, coniati appositamente per delegittimare l’avversario e impedire un confronto. Volendo invece suscitare una riflessione, con intento costruttivo e non polemico, a queste persone indirizzo una serie di questioni, in forma interrogativa; non ho certezze ma dubbi (anche se alcune domande sono retoriche e fanno intuire il mio pensiero) che cerco di condividere.

La narrativa covidista consiste in due tesi: che ci troviamo in presenza di una malattia del tutto nuova e di una pericolosità senza precedenti; e che dunque qualsiasi misura

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r e s t r i t t i v a d e l l a l i b e r t à è g i u s t i f i c a t a a t e m p o indeterminato, qualsiasi siano gli effetti economici. La prima è un’affermazione di fatto, la seconda un giudizio etico- politico. Lo scetticismo sul covid prenderà dunque due forme (che possono coesistere): i dubbi sulla natura della malattia, e quelli sull’opportunità delle misure politiche messe in atto per contenerla. Il Sistema tende a confutare e ridicolizzare il primo ordine di argomenti (solitamente riportando solo le opinioni più pittoresche, es. curarsi con la candeggina e simili), mentre io mi privilegerò gli elementi etico-politici.

Non sono un medico, e proprio per questo posso esprimermi liberamente senza rischi per la carriera.

È possibile che i grossi finanziamenti da parte delle 1.

case farmaceutiche o della Fondazione Gates abbiano condizionato l’azione dell’Oms o di altre istituzioni sanitarie, o le opinioni di medici e ricercatori?

Perché i medici “ufficiali” e da salotto tv, anziché 2.

limitarsi a descrivere il corso della malattia, si permettono di auspicare questo o quell’intervento securitario, invadendo il campo della politica? Se la scienza è discussione e non dogma, tantopiù se si tratta di fenomeni nuovi e non conosciuti, perché i medici critici verso il discorso dominante vengono censurati derisi e minacciati?

Bloccare le attività economiche, causando fallimenti 3.

povertà e disoccupazione di massa, non è il classico caso di cura peggiore del male? Non assomiglia a chi, per risolvere il problema di un dolore alla mano, si fa amputare il braccio?!

In una situazione di reale pericolo, poniamo ad es. una 4.

guerra, il comportamento tipico delle istituzioni, e dei media organici al potere, è di diffondere fiducia e sicurezza; perché invece qui tra istituzioni e media si fa a gara per diffondere paura e panico tra i cittadini?

come si spiega se non con una campagna terroristica orchestrata e diretta a uno scopo? Un governo è

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necessariamente impotente di fronte agli “attacchi di panico” mediatici, o può far uso dell’art. 648 del codice penale che punisce per procurato allarme l’annuncio di disastri e pericoli inesistenti?

Il diritto alla salute è previsto all’ 32 della 5.

Costituzione italiana: prima ci sono 31 articoli che sanciscono il diritto al lavoro, l’inviolabilità della libertà personale, la libertà di circolazione, il diritto di riunione, di culto, il diritto all’istruzione ecc.: è ragionevole che un unico diritto sopprima tutti gli altri, o la collettività dovrebbe cercare un compromesso tra tutti i valori in gioco?

Se al cd. lockdown non c’è alternativa (la nota 6.

ideologia “tina”), perché alcuni paesi (come la Svezia) non l’hanno applicato, ottenendo risultati migliori di altri che l’hanno applicato?

Perché escludere a priori che il virus possa essere 7.

stato creato in laboratorio, e poi da lì fuoriuscito (per cause colpose o dolose)?

L’argomento per cui bisogna limitare i contatti tra le 8.

persone sane perché gli ospedali sono pieni, non equivale a un’ipotetica proposta di vietare i rapporti sessuali perché i reparti di natalità sono pieni?! o cambiando settore, alla proposta di depenalizzare tutti i reati perché le carceri sono piene? Senza la propaganda televisiva quotidiana, non sembrerebbe una follia? Dovrebbero essere i servizi pubblici ad adeguarsi ai bisogni e alle vite delle persone, o viceversa?

Concentrare tutta l’attenzione e tutte le risorse su 9.

un’unica malattia, non lascia sguarnita la diagnosi e la cura di altre patologie, anche più diffuse e pericolose?

(tumori, malattie cardiologiche ecc.)

È vero che ci sono forti dubbi sull’attendibilità’ dei 10.

test Prc, su cui si basano i tamponi, oltre un certo numero di cicli di amplificazione, per cui molti dei cd.

“positivi” sarebbero in realtà falsi positivi? (qui lo

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studio del noto Raoult). In quale altra patologia la maggioranza dei positivi a un esame diagnostico sono asintomatici?

Abbiamo fondate ragioni per credere nella risolutività 11.

di un vaccino, posto che per altri coronavirus (Sars e Mers) un vaccino non è mai stato trovato, e che per l’influenza stagionale, a causa della mutabilità del virus, il vaccino protegge solo da una minoranza (30%?) dei virus circolanti?

Se ammalarsi e guarire (magari con pochi o nessun 12.

sintomo) equivale a essersi vaccinati, perché demonizzare i “nuovi postivi”, sopratutto tra i giovani, anziché considerarli un evento positivo che conduce all’immunità di gregge?

Nella comunicazione ufficiale non sembrano in atto 13.

alcuni trucchi retorici utilizzati durante la crisi economica del 2008, es. il mantra del “fate presto” per far accettare provvedimenti disastrosi, il dogma del

“non c’è alternativa”, la soluzione dell’ “aumentare la dose” di un provvedimento inefficace (se l’austerità o il confinamento non funziona è perché non è stato a p p l i c a t o a b b a s t a n z a ) , i l m e c c a n i s m o d i colpevolizzazione delle vittime (se l’epidemia si diffonde è colpa dei comportamenti dei cittadini indisciplinati) ecc ?

La misura della quarantena esiste da tempo immemorabile, 14.

ma è sempre stata applicata ai malati, mentre qui viene applicata alla platea dei sani: è normale o è un abuso?

È vero che non vi sono prove scientifiche sull’utilità 15.

delle mascherine da parte del grande pubblico, soprattutto all’aperto? (qui una bibliografia, tra cui uno studio dell’Oms). E che le mascherine possono avere effetti collaterali, se usate per lunghi periodi da non professionisti? oltre agli evidenti aspetti simbolico- antropologici: è mai esistita una società in cui tutti vanno in giro mascherati, se non è carnevale?

Se la mortalità da covid fino a 70 anni circa è simile a 16.

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quella di una normale influenza (qui lo studio di Ioannidis, epidemiologo di fama mondiale ), e solo dopo i 70 assume un’incidenza significativa (grafico) non sarebbe più logico concentrare la protezione sulle categorie a rischio? Se la mortalità da covid riguarda soprattutto ultraottantenni con tre patologie pregresse (rapporto Iss) non sarebbe più logico isolare solo gli anziani, fornire loro assistenza affinché non abbiano bisogno di spostarsi ecc., anziché condannare agli arresti domiciliari l’intera nazione? Si veda Dichiarazione di Great Barrington

I giovani sono i meno soggetti ad ammalarsi in modo 17.

grave: ha senso chiudere le scuole e università, vanificando i diritto all’istruzione? Non rappresenta un’ingiustizia generazionale il neo-proibizionismo delle occasioni sociali (coprifuoco serale, divieto di eventi, feste, sport ecc), che privilegia un astratto “diritto a non essere contagiati” da parte di soggetti anziani che hanno già vissuto ciò di cui privano gli altri ?

Nelle malattie infettive i portatori sani sono 18.

solitamente innocui, o comunque molto meno contagiosi dei sintomatici: è giustificata nel covid l’attenzione spasmodica verso gli asintomatici? (cioè potenzialmente chiunque)

Il settore sanitario negli anni scorsi è stata 19.

massacrato dai provvedimenti di austerità (tagli per 26 miliardi), con tagli alla medicina di base, posti-letto, medici, infermieri, blocco del turnover ecc.:

ripotenziare la sanità con ingenti investimenti pubblici non sarebbe di gran lunga meno costoso rispetto ai danni economici provocati da un lockdown? Perché non è stato fatto? Non era prevedibile il caos e l’intasamento delle strutture sanitarie in caso di inazione?

L’uomo è un animale sociale: la misura prolungata del 20.

“distanziamento sociale” da praticare in casa non fa aumentare i disturbi psichici, le depressioni, i suicidi, soprattutto nei soggetti più fragili… oltre a

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indebolire le difese immunitarie? Identificando in ogni estraneo una minaccia, non distrugge la fiducia reciproca, che è il fondamento di ogni società?

I media ufficiali (mio articolo) nell’ultimo decennio ci 21.

hanno propinato bufale colossali sulle virtù morali dell’Unione europea, sulla convenienza del pareggio di bilancio e delle privatizzazioni, sul “salvataggio”

della Grecia (in realtà delle banche franco-tedesche), sul pericolo dell’inflazione e la necessità che la Banca centrale resti “ indipendente”, su BinLaden e l’Isis e i terroristi islamici, sulle sanzioni contro i Paesi che il terrorismo lo combattono davvero (Iran, Russia, Siria), su Israele unica democrazia in Medioriente, sull’invalidità delle elezioni in Venezuela e Bolivia che giustificano il riconoscimenti dei golpisti, sulla legittimità dell’arresto di Assange, sull’ambientalismo farlocco di Greta, sulle rivoluzioni colorate in Ucraina e Hong Kong, sulla necessità di censurare le cd.

fakenews (altrui)… se finora ci hanno mentito, perché ora dovremmo credergli?

A prescindere dalla reale gravità della malattia, non 22.

sembra in ogni caso che il Sistema stia approfittando dell’occasione per instaurare uno stato di polizia, un dispositivo di controllo cui corpi (come direbbe Foucault), una “dittatura sanitaria” senza precedenti dai tempi del fascismo?

È vero che la nostra Costituzione volutamente non ha 23.

previsto lo stato di emergenza, e che la grave violazioni delle libertà personali tramite reiterati dpcm (non leggi parlamentari o decreti-legge) è di dubbia legittimità? E’ normale che l’opposizione sia muta, o si limiti a contestare aspetti secondari dei provvedimenti governativi o addirittura ne chieda di più rigorosi?

È vero che nel conteggio dei morti “da covid” e dei 24.

ricoverati “da covid” compaiono anche le persone “con covid”, ossia dei semplici positivi, morti e ricoverati

(21)

per tutt’altre patologie? È vero che gli ospedali ricevono incentivi economici se classificano un paziente come affetto da covid?

È possibile che inizialmente siano state commessi, anche 25.

per la novità della malattia, gravi omissioni ed errori terapeutici? Perché inizialmente sono state vietate le autopsie e bruciate le salme? L’organizzazione della sanità a livello regionale, conseguenza dell’ideologia federalista, può aver contribuito a una mancanza di coordinamento e quindi inefficienza nella gestione dell’emergenza?

L’obbiettivo implicito delle misure securitarie sembra 26.

essere quello di azzerare il numero dei contagi: non è utopistico nel medio-lungo periodo, considerando che l’Italia non è isolata, il virus continuerà a circolare nel resto del mondo, e le frontiere non possono rimanere chiuse per sempre?

È vero che ora sono disponibili terapie efficaci, e che 27.

la cura per la maggior parte dei malati può essere praticata a domicilio, senza sovraffollare gli ospedali?

È vero che molte persone ricoverate sono in buone condizioni, ma si sono recate in pronto soccorso a causa della paura diffusa dai media o della mancanza di qualcuno che possa assisterli durante la malattia? È vero che ad oggi le terapie intensive sono ancora vuote circa la metà dei posti disponibili a livelli nazionale (6000)?

Quotidianamente ci viene propinato il bollettino di 28.

guerra, in cui compaiono tutti i dati possibili, anche quelli più inutili (come il numero dei “nuovi casi” che alla fine dipende dal numero dei tamponi) tranne i dati che sarebbero significativi, ovvero la mortalità da c o v i d c o n f r o n t a t a c o n q u e l l a d e l l e m a l a t t i e respiratorie, dell’influenza o delle altre cause di morte in generale (600-650 mila ogni anno): non è strana questa omissione senza eccezioni?

Quanto dura un’emergenza? Se vi dicessero che il Covid 29.

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durerà 5 o 10 o 20 anni, sareste disposti a trascorrere tutto questo tempo isolati e mascherati? La vita la libertà e la ricerca della felicità costituiscono un rischio, ma non sono preferibili alla mera sopravvivenza fisica in una condizioni di semi-prigionia?

La decisione su quali rischi siano accettabili e quali 30.

libertà siano rinunciabili è eminentemente politica: non dovrebbe essere il popolo a decidere, anziché il governo o i tecnici? Una classe politica che si proclama l i b e r a l e n o n f a r e b b e m e g l i o a d a b b a n d o n a r e l’atteggiamento paternalista di chi tratta i cittadini come bambini, limitandosi semmai a dare raccomandazioni e aiuti, ma senza obbligare alcuno a fare alcunché (salvo i malati contagiosi ovviamente)?

E’ corretto dire che le misure anti-covid colpiscono 31.

duramente l’economia per ora in modo selettivo, certe c l a s s i s o c i a l i ( p r e c a r i , a u t o n o m i , p i c c o l i imprenditori…) e certi settori, ma che alla fine il conto sarà pagato da tutti? Quando tutto sarà finito, chi pagherà i costi della peggior recessione economica (auto-inflitta) dai tempi della guerra? Una conseguenza non sarà l’enorme indebitamento di famiglie, imprese e Stati?

A fronte della massa dei perdenti, c’è una minoranza che 32.

si arricchisce: è realistico pensare che i potentati f i n a n z i a r i , g l i o l i g o p o l i i n f o r m a t i c i , l e multinazionali, gli oligarchi, chi guadagna sulle oscillazioni di borsa, chi “per caso” avesse previsto in anticipo la crisi sanitaria facendo gli investimenti giusti… tutti costoro stanno facendo enormi profitti e alla fine saranno ancora più potenti di prima?

Non sembra che la malattia si diffonda globalmente, a 33.

livello cronologico e geografico, senza apparente ordine logico, e anzi contro un certo buon senso (di più o prima dove meno ce lo si aspetterebbe, e viceversa)?

È legittimo presumere che, se non si fosse verificata 34.

l’emergenza covid, in Usa Trump sarebbe stato

(23)

riconfermato presidente, e in Europa il tema all’ordine del giorno sarebbe l’uscita di vari paesi dall’euro (la Brexit precede immediatamente lo scoppio dell’epidemia)?

Il domandone finale: poiché sia la malattia sia le 35.

restrizioni impattano pesantemente sulla vita dei cittadini, su tutti gli aspetti che ho elencato non dovrebbe essere in atto un diffuso dibattito pubblico, aperto a tutte le opzioni e a tutte le opinioni? Se ciò non avviene, è perché queste considerazioni sono assurde o viceversa perché (almeno alcune) sono verosimili?

IL PROGETTO E’ CHIARO di Eugenio Capozzi

*Analisi del professor Eugenio Capozzi, Professore ordinario

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di Storia contemporanea presso la facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Napoli.*

Il lockdown generale è già stato deciso da tempo.

Tutte le oscillazioni di queste settimane sono soltanto gioco del poliziotto buono e cattivo, tattica per imporre la decisione gradualmente, testando volta a volta le reazioni.

Il progetto è chiaro. Non ha niente a che vedere con la situazione sanitaria, che è sotto controllo (salvo le solite inefficienze di certe regioni) e che vede una pressione sugli ospedali inferiore a quella che si verifica abitualmente ogni anno per le epidemie stagionali di influenza. Morti e terapie intensive sono evidentemente in gran parte anziani ammalati di altro, spesso già ricoverati – i dati emergono su scala locale anche se il governo si guarda bene dal chiarirlo a livello nazionale. Se si volesse affrontare seriamente la protezione delle fasce di cittadini a rischio (chiarissimamente individuabili per via statistica) basterebbe monitorare gli anziani con patologie specifiche attraverso medicina di base e Usca, somministrare loro terapie ormai note ai primi sospetti di virus, fornire servizi per evitare loro il più possibile di uscire di casa, e raccomandare ai loro familiari di adottare con loro il più rigoroso distanziamento.

Ma chiaramente di questo a chi governa non importa nulla. Il progetto già pianificato dalla primavera è un altro, e tutto politico: un esperimento di ri-disciplinamento autoritario delle società funzionale ad un modello economico ben preciso.

È un progetto non solo italiano ma europeo, che parte dall’asse franco-tedesco e da Bruxelles, e di cui il governo italiano è solo uno tra gli esecutori. Non bisogna essere complottisti per individuarlo: esso è già palese nella torsione paternalista, eticizzante delle istituzioni Ue di cui Ursula von der Leyen è la garante.

L’obiettivo di queste classi politiche è enfatizzare a

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dismisura il virus per distruggere quel che resta della piccola e media impresa, del terziario autonomo, degli spazi di formazione, socialità e cultura “fisici”, e sostituirli con consumi, intrattenimento, didattica, socialità integralmente digitalizzati, completamente inglobati dalle grandi corporations hi tech globali.

La narrazione terroristica del Covid e i lockdown sono lo strumento per rimpiazzare del tutto la socializzazione con i social, le comunità di scuola e università con la didattica su piattaforma, l’amore e il sesso con il dating virtuale, i ristoranti e i bar con il food delivery, i cinema e i teatri con Netflix, lo shopping con Amazon, i concerti con le dirette a distanza, lo sport con il “workout” casalingo gestito da app, il lavoro con sussidi statali di semi-indigenza, il culto religioso comunitario con una spiritualità solitaria senza nessun rilievo sociale. E, soprattutto, per eliminare ogni forma di associazione culturale, circolo, movimento civico e politico libero, non controllabile, trasformando la società civile in una pluralità di individui isolati che si limitano ad essere followers dei leader politici, in un quotidiano reality show, “profilati” e sottoposti al continuo martellamento delle news unanimi di regime selezionate per loro dai social media depurandole di quelle che loro chiamano fake news, cioè di ogni fonte che non sia approvata dal complesso politico-mediatico mainstream.

L’accelerazione di questa trasformazione permetterebbe, per le élites europee, la saldatura tra il mega-tecno-capitalismo d’oltreoceano, lo statalismo burocratico Ue a economia sussidiata e il modello di mercato autoritario cinese.

L’unico ostacolo che può ancora frapporsi tra il progetto e la sua attuazione è la reazione, la resistenza, la mobilitazione delle società civili europee, dei ceti e delle fasce sociali che si è deciso di sacrificare. Dalla loro capacità di ribellione, dalla loro capacità di coordinarsi, dando vita a un blocco sociale e politico coerente in sostituzione di una

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rappresentanza politica ormai inesistente, dipende se l’esperimento tecno-autoritario riuscirà o sarà dichiarato fallito, o quanto meno dilazionato.”

COVID-19 E LOTTA DI CLASSE di Antonio Martino

Quando Alberto Asor Rosa pubblicò nel 1977 il suo Le due società: ipotesi sulla crisi italiana nemmeno la fantasia del più fervido indiano metropolitano avrebbe potuto immaginare lo scenario di questi giorni. L’ipotesi di un virus in grado di paralizzare la vita del potentissimo e liberissimo Occidente, infatti, poteva affascinare un lettore di Urania, e non certo un compagno di movimento. Oltre quattro decenni dopo la fantascienza è realtà: anzi, parafrasando Marx, è farsa.

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Tralasciando l’enorme massa di argomenti sulla (pessima) gestione e sui (falsi) rimedi contro la (scontata, essendo in autunno) seconda ondata, vorremmo concentrarci sull’analisi sociale delle conseguenze della crisi, in accordo con quanto già scritto in merito al problema della classe rivoluzionaria.

Partiamo dal dato reale: chi preme per il cd. lockdown è di norma un soggetto che ha dalla propria parte la sicurezza del posto di lavoro e un certo benessere accumulato. Viceversa, chi si oppone è sovente un piccolo imprenditore- proprietario di attività al dettaglio e di commercio minuto, piccole imprese con pochi dipendenti-, un libero professionista o una partita iva. Dal punto di vista strutturale, la linea di faglia è tra garantiti e non, tra lavoratori dipendenti (pubblici e privati di grandi imprese) e unità produttive autonome. In più, l’enorme massa dei disoccupati e dei precari che tende naturalmente a salvaguardare quegli scampoli di normalità fittizia. Si può perciò affermare, generalizzando, che la gestione delle misure di contenimento (sic) del virus siano un’immensa cartina di tornasole della divisione in classi della società italiana.

Anzi, la ratio e la misura dei provvedimenti mostrano la totale incuranza da parte dei governanti delle condizioni di vita della gran parte dei governati: si pensi alle farsesche discussioni sui doppi servizi, sui mezzi di trasporto, sulle case al mare in cui ricoverare gli anziani, come se la villa a Capalbio fosse patrimonio comune di ogni cittadino.

Ancora una volta, le forze della sinistra liberal hanno mostrato il loro volto intollerante: chiunque si ribelli, o osi quantomeno criticare i provvedimenti presi da un governo con ben poca legittimità popolare, va subito etichettato come

“negazionista-complottista-fascista” e segnalato alle forze dell’ordine (borghese). Per i pochi compagni che ancora credono nella possibilità di una costruzione dalla base di una forza socialista, e perciò democratica e costituzionalmente orientata alla giustizia sociale, tutto questo non può andare

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bene. Riteniamo perciò opportuno individuare almeno una proposta di linea per un confronto scevro da ogni pregiudizio ritardato verso le classi più sensibili ai problemi attuali.

Sfruttamento e lavoro autonomo

La classe operaia non può più essere la classe generale della società perché, semplicemente, è stata indebolita dalle riconversioni industriali e dai nuovi processi produttivi. Da allora, ogni soggetto di sinistra – radical o moderato che sia – non è più riuscita a individuare un corpo sociale con cui confrontarsi e costruire un’alternativa. Il ripiegamento, del tutto strumentale e pertanto ipocrita, sul tema delle libertà individuali e dei diritti civili è servito soltanto come cortina fumogena per nascondere il vuoto pneumatico del tradimento. Se si vuole riorganizzare un movimento di classe di critica al sistema, si deve affrontare seriamente il problema dei lavoratori autonomi: partite iva, piccoli imprenditori, proprietari di attività al dettaglio e via discorrendo. Non si tratta più, come negli anni Ottanta, di evasori in grado di guadagnare cinque o sei volte il salario di un operaio: nella gran parte dei casi, il piccolo commerciante e l’avvocato di provincia senza protezioni ed eredità familiari sono redditualmente posizionati sotto un lavoratore dipendente. In più, non avendo alcuna protezione contrattuale, non possono beneficiare dei sacrosanti diritti sanciti – seppur in misura minore rispetto al passato – dai CCNL di categoria. Se v’è una classe “proletarizzata”, ebbene essa è quella sopra descritta. Stretti tra l’ossessiva pervasività del fisco e la concorrenza totalitaria dei grandi monopoli multinazionali, colpiti a fondo dalla crisi di domanda strutturale che attanaglia la società italiana grazie ai vincoli europei, i working poors del 2020 non sono soltanto i rider, gli stagisti e i salariati con contratti da fame:

occorre dunque considerare – e dialogare – anche con i lavoratori autonomi. Non a caso, nell’esplosione di rabbia s v o l t a s i n e l l a n o t t e d i N a p o l i , l a s a l d a t u r a t r a

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sottoproletariato e piccola borghesia è avvenuta perché la seconda:

“[ha] negli ultimi anni dimostrato attitudine allo scontro (si pensi ai Forconi) [e ciò] deriva dal fatto che a) sia la fascia sociale che abbia visto più rapidamente decadere il suo status con la crisi (mentre i lavoratori dipendenti sono ormai pressati da decenni, iper-controllati sul posto di lavoro, spesso frenati dai sindacati nell’organizzarsi); b) la sua cultura sia egemone in Italia e in particolare a Napoli, dove esistono ancora molte categorie di autonomi rispetto ad altri paesi europei in cui la dimensione di impresa è più grossa e ci sono in proporzione più lavoratori dipendenti.”[1]

La stessa base sociale che ha decretato un grosso avanzamento della Lega tra il 2014 e il 2018 era, in gran parte, costituita da ceti medi impoveriti e orfani di rappresentanza politica. Quello che era un tempo la mediazione politica della DC e poi, in misura diversa, di Forza Italia, è oggi assente perché non più praticabile nello scenario di monopolizzazione s p i n t a d e l p r o f i t t o . L a d i s t r u z i o n e c r e a t r i c e d i schumpeteriana memoria passa così dalla eliminazione di ogni soggetto intermedio tra il consumatore e la grande multinazionale. Nel Manifesto Marx aveva intuito che

“Quelli che furono finora i piccoli ceti intermedi, i piccoli industriali, i negozianti e la gente che vive di piccola rendita, gli artigiani e gli agricoltori, tutte queste classi sprofondano nel proletariato, in parte perché il loro esiguo capitale non basta all’esercizio della grande industria e soccombe quindi nella concorrenza coi capitalisti più grandi, in parte perché le loro attitudini perdono il loro valore in confronto coi nuovi modi di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione.”

Processo logico nel capitalismo, impedito e ribaltato solo durante il trentennio keynesiano e la gestione sociale dell’economia, che oggi riemerge in tutta la sua forza. Negare

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la tendenza oggettiva del modo di produzione significa così regalare alla reazione ingenti masse dal potenziale rivoluzionario.

Armonia di interessi tra lavoratori dipendenti e autonomi

Il conflitto sezionale tra autonomi e dipendenti serve, come tutte le divisioni orizzontali, a perpetuare il dominio delle classi dominanti. Una proposta di composizione dello scontro tra diversi settori del mondo del lavoro passa così dalla determinazione delle rivendicazioni comuni. Brevemente si può riassumere che esse possono e devono, insieme, lottare per ottenere quello che da quarant’anni manca in Italia: il partito dei lavoratori, la cui base di classe si rintraccia nella comunità di chi lavora per vivere. La demarcazione tra rendita e lavoro, come già delineato in Costituzione, rappresenta la linea del Piave su cui concentrarsi.

Il rentier, colui che sfrutta le sue ricchezze e trae profitto dall’impiego del capitale accumulato, è il nemico di classe a cui contendere il governo della cosa pubblica. A chi interessa infatti distruggere le piccole attività di quartiere, i limiti alla concorrenza inumana nelle professioni e la tutela pubblica di alcune produzioni tipiche? Ai poteri indiretti del finanzcapitalismo, gli stessi che hanno distrutto le garanzie di civiltà dei lavoratori dipendenti attraverso l’egemonia del pensiero unico neoliberale. Il partito dei lavoratori nasce e vince se si uniscono finalmente le istanze di tutti gli sfruttati. Salari dignitosi, piena occupazione, diminuzione delle ore di lavoro, servizi pubblici civili sono diritti che interessano tutta la classe lavoratrice, e devono tornare a essere la bandiera di ogni lotta. Diritti economici che si saldano così ai diritti civili e alle libertà garantite dalla Costituzione, proprio nell’ora in cui si delinea una seconda e gravissima violazione di tutte le libertà.

Il problema della coscienza di classe

Per saldare le componenti del mondo del lavoro serve

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necessariamente coscienza di classe. E questa, si badi bene, può venire solo dalla costruzione di una contro-egemonia che rimuova le false coscienze liberali purtroppo presenti in tutti i settori. Sia nel milieu del salario che in quello del lavoro autonomo occorre quindi rimuovere le ragioni dei conflitti sezionali e costruire incessantemente una piattaforma comune di convergenza. Su questo punto si può aprire un discorso comune e costruttivo, senza tuttavia cadere nei luoghi comuni che hanno per anni consegnato tali segmenti a forze opposte ai loro interessi. I socialisti devono al momento abbandonare vecchie retoriche superate dai fatti, gli autonomi e i liberi professionisti, simmetricamente, devono comprendere che non sono né potranno mai essere dei Gianni Agnelli in sedicesimo: l’unica ancora di salvezza per la loro esistenza passa dalla consapevolezza del proprio stato di subalternità al Capitale. Da lì all’unione con i salariati organizzati e i disoccupati il passo potrà esser breve trovando un soggetto politico accogliente e non divisore.

Conclusione

Nel 1946 Lelio Basso poteva affermare che

Ai ceti medi, come del resto agli impiegati (che quasi sempre solo una mera parvenza, un fatto puramente esteriore distingue dall’operaio, al quale li lega la stessa dipendenza dal capitalista e la stessa insicurezza del domani) non resta che unirsi al grande esercito dei lavoratori, al proletariato e riconoscersi proletari, abbandonando ideologie, che sono più di retaggio di tradizioni superate e manifestazioni di una retorica da strapazzo, che non la reale espressione di legittimi interessi spirituali […]essi devono appunto rinunciare alla pretesa di costituire la spina dorsale della società borghese, rinunciare alla funzione di mediatori fra capitalisti e lavoratori, che si risolve in definitiva in una funzione di cani da guardia della società borghese, e assumere invece il proprio posto nella lotta rivoluzionaria contro questa società, accettando la guida politica del proletariato,

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che è la classe più preparata a questo compito.[2]

A differenza di allora, non esiste una classe già pronta che assuma su di se il compito rivoluzionario di costruzione del Socialismo. A uno stato di difficoltà ulteriore, però, si può controbattere attraverso l’impegno e la volontà decisa di costruire una società libera e giusta, in cui “il libero sviluppo di ciascuno sia condizione del libero sviluppo di tutti”. Per fare questo bisogna lavorare per esasperare le contraddizioni della società capitalistica oggi in crisi, rialimentando a livello di senso comune l’attesa verso una società più giusta e solidale. A tal fine serve l’unità di tutti i subalterni e di tutte le persone che abbiano a cuore i valori iscritti nella nostra Costituzione. Chi ancora ciancia di bottegai e kulaki rischia di fungere da utile idiota del Capitale: e i lavoratori italiani, modestamente, tanto idioti non sono.

* FONTE: LA FIONDA — https://www.lafionda.org/

LA VERITA’ SUL COVID ED IL

DISASTRO ITALIANO di Leonardo

Mazzei

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Il Covid 19 non è certo un virus peggiore di quello dell’Asiatica (1957-58), probabilmente neppure di quello dell’influenza di Hong Kong (1968-69), ma la classe politica che lo gestisce certamente lo è. E di gran lunga, come ben si vede dall’osservatorio italiano.

C’è un personaggio che esemplifica l’attuale disastro. E’ il buffone mascherato che governa la Campania. Vincenzo De Luca è uno e trino. E’ lo sceriffo col lanciafiamme che tutto vorrebbe chiudere, verrebbe da pensare per sempre. E’ il presidente di una Regione che non è riuscito a potenziare i posti di terapia intensiva, come avrebbe dovuto e come sarebbe stato possibile. E’ il politico che, nonostante tutto ciò, anzi forse proprio grazie anche a tutto ciò, ha vinto le elezioni del 20 settembre col 69% dei voti.

L’epidemia in Campania non ha lasciato tracce nelle statistiche demografiche. La mortalità ufficialmente attribuita al Covid è pari a 0,86 vittime ogni diecimila abitanti, molto più bassa della normale influenza stagionale.

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Eppure lo sceriffo col lanciafamme ha chiuso le scuole dalla s e r a a l l a m a t t i n a , a n c h e s e p o i – a s e g u i t o d e l l a mobilitazione delle mamme – ha dovuto riaprire in fretta e furia almeno le scuole dell’infanzia. Sulla chiusura al momento il governo dice di dissentire, ma non mi stupirei se in un prossimo futuro De Luca risultasse l’apripista di analoghe decisioni governative.

Abbiamo detto delle terapie intensive. Mentre ululava mascherato davanti alle telecamere, il piddino De Luca ben poco faceva su quel versante. Lo denuncia addirittura un suo collega di partito, il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia. Il quale, parlando della Campania, dichiara che:

«Prima del Covid aveva 335 posti letto di terapia intensiva.

Il governo attraverso Arcuri ha inviato 231 ventilatori per le terapie intensive e 167 per le sub intensive. Oggi risultano attivati 433 posti, devono essere 566».

Come mai in Campania manchino 133 posti di terapia intensiva rispetto al previsto nessuno lo sa, ma su questo De Luca non è solo. Ecco cosa dice – sempre nello stesso articolo de la Repubblica – l’Alto (si fa per dire) commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri:

«In questi mesi alle Regioni abbiamo inviato 3.059 ventilatori polmonari per le terapie intensive, 1.429 per le subintensive.

Prima del Covid le terapie intensive erano 5.179 e ora ne risultano attive 6.628 ma, in base ai dispositivi forniti, dovevamo averne altre 1.600 che sono già nelle disponibilità delle singole regioni ma non sono ancora attive. Chiederei alle Regioni di attivarle. Abbiamo altri 1.500 ventilatori disponibili, ma prima di distribuirli vorremmo vedere attivati i 1.600 posti letto di terapia intensiva per cui abbiamo già inviato i ventilatori».

Bene, cioè malissimo, ma almeno Arcuri dà i numeri. Degli

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oltre 4mila posti aggiuntivi in terapia intensiva di cui si parla da marzo, ne sono stati attivati sull’intero territorio nazionale solo 1.449, cioè meno di un terzo. Di chi è la colpa? Certamente dei tanti De Luca che governano le regioni italiane, ma Boccia ed Arcuri (cioè il governo e la pletora dei tecnici superpagati di cui si circonda) colpevoli lo sono anche loro. Avvilente dover leggere sulla stampa la loro denuncia, senza che ci dicano una parola su cosa hanno fatto loro in questi mesi.

Quale intervento, quale iniziativa? Semplicemente non si sa, dunque lo si può capire benissimo: non hanno fatto nulla. O meglio, hanno fatto (e stanno facendo) a gara nello spargere terrore, nel diffondere la paura, nel prendersela con i

“negazionisti”, nel reclamare nuove chiusure alla faccia del milione e mezzo di disoccupati in più che già hanno creato.

Ora anche l’OMS dice che…

Neanche lontanamente paragonabile alla Spagnola, ho già detto in premessa che la portata dell’epidemia in corso appare invece simile a quella delle altre due pandemie influenzali del secolo scorso: l’Asiatica e l’influenza di Hong Kong.

Forme influenzali certamente più gravi della media, ma non esattamente l’Apocalisse di cui si narra oggi. Questa verità, facilmente intuibile da qualunque persona abbia provato ad analizzare i dati con un minimo di razionalità, ci viene adesso confermata perfino dall’OMS.

Confrontando i dati di ottobre con quelli del picco di marzo, il Corriere della Sera del 16 ottobre ha dovuto riconoscere il crollo della letalità allo 0,3%. Ma in realtà anche questa percentuale è sovrastimata, dato che più che i casi acclarati con tampone si dovrebbe tener conto della stima dei contagiati reali. Proprio per questo le valutazioni dell’OMS sono interessanti.

Secondo le “migliori stime” del dottor Michael Ryan,

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responsabile del programma per le emergenze sanitarie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 10% della popolazione mondiale (pari a circa 780 milioni di persone) è già stato infettato da Sars-Cov-2. Si tratta una stima effettuata utilizzando i numerosi studi di sieroprevalenza realizzati in tutto il mondo. Rapportando questa stima al numero dei decessi ufficialmente attribuiti al Covid, il tasso di letalità effettivo sarebbe pari allo 0,14%. Decisamente inferiore a quello dell’Asiatica (0,40%) e presumibilmente a quello un po’ più incerto dell’influenza di Hong Kong.

Certamente in linea con le normali influenze stagionali (circa allo 0,10%).

E’ da notare come la stima attuale dell’OMS sia profondamente diversa da quel 3,4% indicato a marzo dalla stessa organizzazione. Una cifra utilizzata in tutti i modelli di allora per giustificare ogni forma di chiusura e confinamento.

Lo 0,14% è infatti 24 volte (ventiquattro) inferiore al 3,4%, ma è a quelle politiche che molti vorrebbero nella sostanza tornare.

Ad essere pignoli, è molto probabile che il raffronto con le pandemie influenzali del secolo scorso risulti alla fine ancor più favorevole, dato che nel passato gli epidemiologi hanno sempre fatto i loro calcoli sull’eccedenza di mortalità registrata, mentre oggi ragioniamo con i dati ufficiali in base ai tamponi. Numeri, questi ultimi, verosimilmente superiori all’eccedenza di mortalità effettiva, come sembrerebbero indicare alla grande i dati provenienti dagli Stati Uniti. In Italia ogni ragionamento su questo punto è al momento difficile. Infatti, in un Paese dove ormai nulla più funziona, pure l’Istat ha smesso di fornire dati aggiornati.

Tuttavia, quelli comunicati fino a luglio mostrano un calo della mortalità, rispetto all’anno precedente, nei mesi di gennaio, febbraio, maggio, giugno e luglio. Dunque, dopo il violento picco di marzo ed aprile, la situazione si è di fatto rapidamente normalizzata. Quel che possiamo dire ad oggi è che

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ben difficilmente l’aumento di mortalità del 2020 risulterà superiore a quello registrato nel 2015 (con 49.207 decessi in più dell’anno precedente), evento che allora non scaldò minimamente i media.

Meditate gente, meditate…

M e n t r e s c r i v o è i n a r r i v o l ’ e n n e s i m o D p c m , f i g l i o dell’emergenzialismo imperante e dello stato d’emergenza vigente. Stavolta si parla di chiusura dei locali alle 22, nonché di lockdown nel fine settimana. Qualcuno saprebbe spiegarci la razionalità di questi decreti a raffica? Che forse la situazione cambia tutte le settimane? Almeno un po’

di serietà non guasterebbe.

Schierandosi contro lockdown ed emergenzialismo, Donald Trump ama ripetere che “la cura non può essere peggio della malattia”. Parole sagge che nessuno segue. Ma è chiaro come un nuovo lockdown, anche se un po’ attenuato, sarebbe il colpo di grazia per centinaia di migliaia di piccole aziende, con la certezza di una nuova valanga di disoccupati.

Ci dicono i benpensanti che sì, è vero, non c’è l’emergenza di marzo, però le terapie intensive potrebbero saturarsi. Ma è così, o siamo di fronte alle solite esagerazioni mediatiche?

Giusto per fare un esempio, oggi l’Ansa ha parlato di una saturazione all’83% in Piemonte. Dato smentito da un tweet di Guido Crosetto, non proprio l’ultimo arrivato. Leggiamo:

«Questa è l’@Agenzia_Ansa. Io la leggo e capisco che in Piemonte l’83% dei posti in terapia intensiva siano occupati.

Allora chiamo @Alberto_Cirio (il presidente della Giunta regionale, ndr). Scopro che ci sono 33 ricoverati sui 327 posti ordinari. Che possono arrivare a 586 per emergenza».

La saturazione in Piemonte è dunque del 10%, non dell’83.

Vogliamo domandarci una buona volta del perché i media facciano questo sporco gioco?

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Peraltro, che le terapie intensive vadano in crisi durante i picchi influenzali non è cosa nuova.

«Milano, terapie intensive al collasso per l’influenza: già 48 malati gravi, molte operazioni rinviate». Questo titolo del Corriere della Sera non è del 2020, bensì del 10 gennaio 2018.

Toh, meno di tre anni fa! Ed anche allora un’influenza provocava intasamenti, rinvio delle operazioni e decine di malati gravi. Meditate gente, meditate.

La verità è che la Paura (con la P maiuscola) è un’ottima arma di governo. E, come dimostra il caso del buzzurro De Luca, anche di consenso. La verità è che il virus è un gigantesco business. Un modo per ridisegnare in peggio la società, disumanizzandola a più non posso. Non a caso la parola d’ordine è “distanziamento sociale”. Avrebbero potuto dire

“distanziamento fisico”, e sarebbe stato anche più preciso.

Invece no, distanziamento sociale. Detto e scritto ovunque ed h24. Perché quello è l’obiettivo più profondo: una società di atomi impauriti senza diritti e senza coscienza.

Fantascienza? Può darsi, ma qualcuno di voi immaginava un anno fa l’incubo di questo 2020? Sarà meglio svegliarsi il prima possibile, prima che questo incubo diventi la nuova normalità.

Che è esattamente quel che qualcuno vuole.

NAPOLI CHIAMA, BARCELLONA

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RISPONDE

Ieri a Barcellona, violando le prescrizioni anti-Covid, migliaia di ristoratori e baristi, accompagnati da diversi loro dipendenti, hanno manifestato sotto la Generalitat (la sede del governo della Catalogna (vedi foto), contro il lockdown e la chiusura degli esercizi.

Ce ne da notizia La vanguardia la quale ci informa che su 44mila piccole e medie imprese del settore alberghiero e della ristorazione circa il 30% prevede di chiudere i battenti a causa della gravissima crisi economica. L’impatto sull’occupazione, dato che il turismo è un settore trainante, sarà devastante.

Il giorno prima ad Arzano, comune alla periferia di Napoli, si è svolta la protesta dei commercianti contro il cosiddetto mini-lockdown.

Qui sotto un comunicato di Liberiamo l’Italia.

SOLIDARIETA’ AI COMMERCIANTI DI ARZANO Arzano è un comune alla periferia nord-est di Napoli.

Il Commissario prefettizio, a causa di un aumento dei positivi al virus, ha ordinato la chiusura di tutti i negozi, ad eccezione di quelli di generi di prima necessità.

Immediatamente è scattata la rivolta di tutti gli altri commercianti, con due blocchi stradali delle due vie d’accesso

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