• Non ci sono risultati.

Sentenza n. 885/2021 pubbl. il 04/03/2021 RG n. 179/2020

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Sentenza n. 885/2021 pubbl. il 04/03/2021 RG n. 179/2020"

Copied!
13
0
0

Testo completo

(1)

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D'APPELLO DI ROMA SEZIONE LAVORO

Composta dai Magistrati

- dr.ssa Vittoria DI SARIO - Presidente

- dr. Guido ROSA - Consigliere estensore

- dr. Vincenzo SELMI - Consigliere

a scioglimento della riservata decisione assunta l’8.10.2020 in sede di trattazione scritta ex artt. 221 legge n. 77/2020 e 23 dl. n. 137/2020 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

ai sensi dell’art. 1, comma 60, I. 92/2012 nella causa civile in grado di appello iscritta al n.179 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 vertente

TRA

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso giusta procura in atti dall'Avv. Claudio Scognamiglio ed elettivamente domiciliato in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 326

RECLAMANTE E

MIGNANI MARCO, rappresentato e difeso giusta procura in atti dagli Avv.ti Pierluigi Panici e Chiara Panici ed elettivamente domiciliato in Roma, via Germanico, n. 172

RECLAMATO OGGETTO: Reclamo ex art. 1, c. 58, L. n. 92/2012 avverso la sentenza n. 11415/2019 del Tribunale Sezione Lavoro di Roma.

CONCLUSIONI: Come da rispettivi atti.

(2)

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

Con ricorso ex art. 1, c. 47, L. n. 92/2012 Marco Mignani, premetteva di aver prestato servizio a favore della BNL S.p.A. dal 15/12/2009 e di aver lavorato alle formali dipendenze di altre società intermediarie, da ultimo per la Sicuritalia Servizi Fiduciari società cooperativa; di essere stato licenziato per giusta causa da quest'ultima in data 27/2/2018.

Chiedeva, quindi, al Tribunale del Lavoro di Roma, adito con il rito Fornero, l’accoglimento delle conclusioni che si riportano: “in via principale, dichiarata l'interposizione fittizia o l'illiceità dell'appalto, di accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la BNL S.p.A. fin dal 15/12/2009; condannare la Banca a reintegrarlo nel posto di lavoro, con inquadramento nella 2° Area, III livello del CCNL Credito, per violazione dell'art. 18 L. 300/1970 e a corrispondergli la relativa indennità risarcitoria dalla data del recesso a quella dell'effettiva reintegra; in via subordinata ordinare la riassunzione e condannare la Banca a corrispondergli le ordinarie retribuzioni per il periodo indicato, oltre contributi”.

Nel contraddittorio fra le parti, con ordinanza del 29/3/2019, il Tribunale, all’esito della fase sommaria, accoglieva il ricorso ed accertava che tra il ricorrente e la società resistente

“sussiste ed è tuttora in atto un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, dal 15.12.2009, stante la nullità del licenziamento intimato al ricorrente in data 27.2.2018 (da Sicuritalia Servizi Fiduciari Soc. Coop.) e per l'effetto condanna” la resistente “al ripristino dell'effettiva funzionalità del rapporto di lavoro, oltre al risarcimento del danno in misura pari a tutte le retribuzioni maturate e non percepite dalla data del licenziamento (27.2.2018) fino all'effettiva riammissione in servizio, con diritto all'inquadramento nella 2° area, 3°

livello retributivo del CCNL per il settore del credito, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi, con rivalutazione monetaria e interessi legali sulle somme rivalutate dall'insorgenza del diritto fino al soddisfo, oltre che al pagamento delle spese di lite…”.

Con ricorso ex art. 1, c. 51, L. n. 92/2012, la BNL S.p.A. proponeva opposizione avverso l’ordinanza suddetta, chiedendo di accogliere le seguenti conclusioni: “dichiarare l'inammissibilità della domanda per errore di rito; sospendere il giudizio in attesa della conclusione di quello pendente R.G. 10413/2017 deciso con sentenza non definitiva del Tribunale di Roma n. 2989/2019, con cui era stata accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro tra il Mignani e la Banca; rigettare in ogni caso il ricorso”. Nel merito, insisteva

(3)

nell'infondatezza della domanda. Si costituiva tempestivamente Mignani, resistendo all'opposizione chiedendone il rigetto.

Con la sentenza in oggetto il Tribunale così statuiva:- “respinge il ricorso in opposizione e per l'effetto, accertato che tra le parti sussiste un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 15.12.2009, annulla il licenziamento intimato il 27.2.2018 e per l'effetto condanna BNL s.p.a. alla reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro come in parte motiva, oltre al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva commisurata alla retribuzione globale di fatto mensile dal licenziamento fino all'effettiva reintegrazione, nel massimo di dodici mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi, con rivalutazione monetaria e interessi legali sulle somme rivalutate dall'insorgenza del diritto fino al soddisfo; condanna BNL s.p.a. alla rifusione delle spese di lite…”

Il Tribunale non riteneva applicabile l’art. 295 c.p.c., non sussistendo un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica tra il giudizio definito con la sentenza n. 2989/2019. Non riteneva fondata l'eccezione, formulata dalla BNL S.p.A., volta alla declaratoria di inammissibilità dell'originario ricorso del lavoratore, perché proposto nelle forme del rito Fornero in luogo di quelle ordinarie. Nel merito, il giudice di primo grado, riteneva che la BNL S.p.A. non avesse provato l'esistenza del contratto di appalto con le altre società formali datrici di lavoro del Mignani né la riconducibilità alle previsioni contrattuali delle attività da questi concretamente svolte né, ancora, che tali attività fossero state svolte ad esclusivo favore dell'appaltatore. Ad ulteriore conferma dell'applicabilità dell'art. 29, c. 3-bis, D.lgs. 276/2003, per carenza di genuinità dell'appalto, militavano le dichiarazioni rese dai testi escussi durante lo svolgimento della fase sommaria, valutate unitamente a plurimi e convergenti elementi indiziari. Conseguentemente, il provvedimento di licenziamento doveva essere imputato all'effettivo utilizzatore e dunque alla BNL S.p.A., ed atteso l'accertamento svolto nel giudizio parallelo R.G. 10413/2017, il lavoratore aveva diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro con inquadramento nella 2° Area, III livello CCNL Credito.

Con ricorso ex art. 1, c. 58, L. n. 92/2012 la BNL S.p.A. proponeva reclamo avverso la predetta sentenza chiedendo, in totale riforma della stessa, di accogliere le conclusioni già avanzate nel precedente grado.

Con il primo motivo si è lamentata l’erroneità della decisione laddove è stata respinta l'eccezione di inammissibilità dell'originario ricorso proposto dal lavoratore nelle forme del rito Fornero.

Con il secondo si è censurata l’erronea valutazione di non riconducibilità delle mansioni del

(4)

lavoratore nell'oggetto del contratto di appalto; con il successivo, l’erronea valutazione delle testimonianze e delle prove documentali; con il quarto motivo l’erroneo accertamento del diritto del lavoratore all'inquadramento nella 2° Area, III livello CCNL Credito.

Si costituiva tempestivamente Mignani, resistendo al gravame chiedendone il rigetto.

Disposta ex artt. 221 legge n. 77/2020 e 23 d.l. n. 137/2020 la trattazione scritta, ed operata la sostituzione dell’originario relatore, collocato fuori ruolo, all’esito del deposito di note da entrambe le parti, la causa è stata posta in decisione nelle forme di cui all'art. 1, comma 60, I. n. 92/2012.

Il reclamo è infondato per le ragioni che seguono.

Il primo motivo è infondato.

Il Tribunale, seguendo la giurisprudenza di legittimità sul punto, ha ritenuto che il rito speciale si applichi anche nei casi in cui la domanda giudiziale sia proposta nei confronti di un soggetto diverso dal formale datore di lavoro e rispetto al quale l'attore richieda di accertarsi l'effettiva titolarità del rapporto di lavoro.

Secondo il primo giudice quel che rileva è sostanzialmente che il lavoratore abbia impugnato il licenziamento intimatogli invocando le tutele di cui all'art. 18 L. n. 300/1970, in quanto ciò solo determina l'applicazione delle norme disciplinanti tale rito speciale, a prescindere poi dalla fondatezza o meno delle allegazioni.

La reclamante, sottolineando che “il ricorso al c.d. rito Fornero presuppone l'esistenza di un provvedimento di licenziamento riferibile ad una delle parti del rapporto, di cui si chiede accertarsi l'invalidità e/o l'inefficacia” e che, nel caso di specie, non era invece venuto in rilievo alcun atto espulsivo giuridicamente esistente nonché ad essa riferibile, ha contestato che il Giudice di primo grado “avrebbe dovuto concludere che, trovandosi al cospetto di un'ipotesi di inesistenza del licenziamento, non poteva venire in rilievo la tutela di cui all'art.

18 L. 300/1970 e dunque non poteva ricorrersi nelle forme del rito di cui all'art. 1, c. 47 ss, L.

92/12”.

Ribadisce la Corte che rientra nell'ambito di applicazione del rito speciale di cui all'art. 1, commi 47 ss., della L. n. 92 del 2012, anche la domanda proposta nei confronti di un soggetto diverso dal formale datore di lavoro, di cui si chieda di accertare 1'effettiva titolarità del rapporto, dovendo il giudice individuare la fattispecie secondo il canone della prospettazione, con il solo limite di quelle artificiose. Ne consegue che, una volta azionata dal lavoratore un'impugnativa di licenziamento postulando l'applicabilità delle tutele previste dall'art. 18 dello Statuto, il procedimento speciale deve trovare ingresso a prescindere dalla fondatezza

(5)

delle allegazioni, senza che la veste formale assunta dalle relazioni giuridiche tra le parti ne possa precludere l'accesso (Cass. Sez. L 08/09/2016 n. 17775; Cass. Sez. L 18/11/2019 n.

29889; Cass. Sez. L 01/06/2020 n. 10415)

Infatti, sia la natura giuridica del rapporto di lavoro, sia l’individuazione del soggetto che si assume essere datore di lavoro e destinatario dei provvedimenti di tutela ex art. 18 delle legge L. 300/70, rientrano tra le questioni che il giudice deve affrontare e risolvere nel percorso per giungere alla decisione di merito sulla domanda, che è appunto riguarda la legittimità o meno del licenziamento. La previsione normativa “quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro” esprime la volontà del legislatore di non precludere l'utilizzo per le barriere imposte dalla forma assunta dal rapporto.

Nel caso in esame la domanda formulata nel ricorso aveva ad oggetto l'impugnativa del licenziamento con richiesta di applicazione della tutela reintegratoria nei confronti della BNL S.p.A. Quindi l'accertamento che il giudice deve compiere in ordine all'imputazione del rapporto è preliminare alla tutela reale invocata nei confronti di tale società, non può neppure sostenersi che si si basi su fatti costitutivi diversi, perché ne costituisce la causa petendi.

Non è condivisibile neppure il rilievo della reclamante, secondo cui, con il rito Fornero non potrebbero formularsi domande autonome rispetto a quella che ha ad oggetto la reintegrazione, in quanto, nel caso l'accertamento dell'imputazione del rapporto ad essa reclamante, si pone come preliminare alla richiesta dichiarazione d'illegittimità del licenziamento, e quindi non costituisce domanda autonoma, sebbene non vi sia dubbio che l'accertamento sul diritto oggetto di domanda, anche negativo, faccia stato - ex art. 2909 c.c. - anche in ordine all'esistenza ed alla validità del rapporto da cui il diritto stesso trae origine, nei limiti delle questioni la cui risoluzione sia stata necessaria ed indispensabile per giungere alla decisione (cfr. sui limiti del giudicato Cass. 28.8.2009, n. 18791, Cass. 11.2.2011 n.

3434).

Va poi ricordato come la Corte di Cassazione abbia affermato e poi ribadito, con principio che per identità di ratio e disciplina (ex art. 29 comma 3 bis del d.lgs n. 276 del 2003) deve applicarsi anche all'appalto illecito, che nei casi di costituzione d'un rapporto di lavoro direttamente in capo all'utilizzatore, ai sensi dell’art. 27 c. 1 del d.lgs n. 276/2003, gli atti di gestione del rapporto posti in essere dal somministratore producono nei confronti dell'utilizzatore tutti gli effetti negoziali, anche modificativi del rapporto di lavoro, loro propri, ivi incluso il licenziamento, con conseguente onere del lavoratore di impugnare il licenziamento nei confronti di quest'ultimo ai sensi dell'art. 6 della legge 604/1966 (Cass. 13- 09-2016, n. 17969 e Cass. 7.3.2019 n. 6668).

(6)

Conclusivamente ritiene la Corte che il principio di diritto applicato dal Tribunale sia ormai consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte e sia condivisibile (cfr. Cass.

17775/2016, in motivazione; più di recente Cass. 10415/2020; Cass. 29889/2019); pertanto, avendo il Mignani richiesto l'applicazione in suo favore della tutela reintegratoria a fronte di un licenziamento prospettato privo di giusta causa e peraltro intimato “a non domino” in un contesto di interposizione fittizia di manodopera, la domanda giudiziale ben può essere proposta nelle forme del rito Fornero.

È inoltre opportuno evidenziare che la BNL S.p.A. ha motivato la censura di inammissibilità facendo valere solo ragioni formali e riassumibili nella non imputabilità a sé dell'impugnato licenziamento, senza, tuttavia, indicare uno specifico pregiudizio processuale -sia esso una lesione del diritto di difesa, del contraddittorio o in generale delle prerogative processuali protette- che le sarebbe in concreto derivato dalla mancata adozione del diverso rito (Cass.

17775/2016, in motivazione).

Del resto, la maggiore o minore complessità della causa, in ragione dell'accertamento relativo all'imputazione od alla natura del rapporto, non incide sull’interesse, espresso dalla novella processuale del 2012, di pervenire alla celere definizione di quella che il legislatore ha considerato una situazione sostanziale di forte impatto sociale ed economico.

Anche il secondo motivo è infondato e deve essere respinto.

Con il secondo motivo, articolato in due censure, la BNL S.p.A. lamenta la mancata valorizzazione delle dichiarazioni rese dal lavoratore in ordine alle attività lavorative concretamente svolte e la ritenuta impossibilità di accertarne la riconducibilità all'oggetto dell'appalto.

Sul punto il Tribunale, muovendo dalla disamina delle condizioni di liceità dell'appalto previste dall'art. 29 D.lgs. n. 276/2003, ha ritenuto che l’appalto “lecito è dimostrato dall'esistenza del relativo contratto commerciale e dalla riconducibilità dell'attività lavorativa al servizio appaltato, nonché dalla dimostrazione di un vero rischio di impresa dell'appaltatore e di una autentica organizzazione aziendale….Se non vi è prova del contratto e del suo oggetto non può neppure esservi prova della riconducibilità delle attività concretamente espletate alle previsioni contrattuali. E se non vi è prova che le attività svolte dal lavoratore dipendente di una società presso altra società e ad esclusivo favore di quest'ultima siano riconducibili ad un contratto di appalto genuino, poco importa stabilire chi sia il datore di lavoro effettivo di quel lavoratore, il rapporto si costituirà sempre e comunque con l'utilizzatore poiché il datore di lavoro formale (e magari anche sostanziale) si è limitato a vendere manodopera senza stipulare un regolare contratto di

(7)

somministrazione e senza avere la legittimazione e l'abilitazione soggettiva per stipulare contratti di tale tipo…..E' onere del datore di lavoro, sia quello formale che sostanziale, dimostrare la sussistenza di una genuina intermediazione di manodopera (che consista in un contratto di appalto di servizio ovvero in un contratto di somministrazione)…..difettando nella specie la prova che l'utilizzazione del Mignani da parte della BNL e presso i propri luoghi di lavoro, per servizi resi nel proprio esclusivo interesse, potesse discendere da un genuino contratto di appalto stipulato con la società formale datrice di lavoro del ricorrente, deve trovare applicazione l’art. 29 comma 3 ter del d.lgs. 276/03 in base al quale il rapporto di lavoro si costituisce alle dipendenze dell'utilizzatore e si applica il disposto dell'art. 27 comma 2.”

A censura della statuizione sopra riportata, nella sostanza, la BNL S.p.A. prospetta la preminenza del c.d. principio di effettività dell'esercizio del potere direttivo, in tesi esercitato dall'appaltatore, rispetto al dato formale costituito dai contratti di appalto. Aggiunge la reclamante che, ferma la possibilità di stipulare per facta concludentia un contratto di appalto, l'eventuale “diversità tra il contenuto originario del contratto di appalto e la sua applicazione concreta a servizi non previsti” non incida necessariamente sulla dissociazione tra la titolarità formale e l'effettiva destinazione del rapporto. Ciò perchè anche le modifiche all'originario oggetto contrattuale possono essere apportate per comportamento concludente. Quindi sarebbe stato onere del lavoratore provare l'effettivo esercizio del potere organizzativo e direttivo da parte della Banca sui lavoratori del preteso interposto.

La difesa del reclamante, ripropone in questa sede questioni che hanno già trovato definitiva soluzione in sede di legittimità, in analogo giudizio ( cfr. Cass. 18.11.2019 n. 29889).

Secondo la medesima prospettazione, anche in quella sede il giudice avrebbe omesso di valorizzare l'esercizio effettivo del potere direttivo da parte dell'appaltatore, indicato quale unico elemento decisivo per scrutinare la genuinità o liceità dell'appalto. Si aggiunge che, stante il contenuto degli atti di causa ed in particolare quelli del lavoratore, sarebbe stata poi incontroversa la sussistenza di contratti di appalto tra la banca e le società formali datrici di lavoro del reclamato che si sono succedute nel tempo.

La deduzione in fatto non è fondata.

Osserva la Corte che l’attuale reclamante, sin dall’introduzione del rito sommario, aveva dedotto di aver lavorato alle formali dipendenze di diverse società intermediarie (da ultimo Sicuritalia Servizi Fiduciari società cooperativa); di essere stato, tuttavia, sostanzialmente alle dipendenze della BNL, stante la natura meramente fittizia dell'interposizione della società Sicuritalia, nel rapporto di lavoro tra il reclamante e la BNL, come poteva e

(8)

doveva evincersi, proprio, dall'assenza dei contratti di appalto.

Quindi non è esatto quanto prospettato dalla reclamante, considerato che, a fronte della deduzione di assenza di titolo idoneo a giustificare la prestazione lavorativa del Mignani, assenza dei contratti di appalto, la BNL S.p.A., come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, ha dedotto di aver esternalizzato il servizio di controllo e gestione degli accessi presso le diverse sedi aziendali, attraverso successivi contratti di appalto intercorsi con diverse ditte appaltatrici e che il lavoratore era stato licenziato per motivi disciplinari dal proprio datore di lavoro, rispetto ai quali la BNL era del tutto estranea.

E’, per contro, pacifico che la BNL S.p.A., non abbia provato l'esistenza del contratto di appalto tra essa BNL e Sicuritalia e neppure l'esistenza di appalti, in tesi stipulati oralmente, con le società di cui è stato dipendente il Mignani, e neppure la sussistenza di contratti di subappalto.

Sotto tale ultimo profilo la reclamante ha sostenuto che la quasi totalità dei contratti di appalto che hanno disciplinato la realizzazione dei servizi oggetto di controversia consentivano anche il subappalto e la violazione di un eventuale divieto da parte dell'appaltatore non avrebbe potuto risolversi in un profilo di illegittimità o illiceità dell'appalto in danno del committente.

Sul tema si osserva che dalla stessa produzione di altri contratti di appalto, che secondo la BNL S.p.A., sarebbero analoghi a quello che avrebbe regolato il rapporto di cui è causa, emerge il divieto di cessione e di subappalto in toto del contratto, essendo concesso alla società appaltatrice di affidare in subappalto l'esecuzione di singole determinate opere e servizi, previa autorizzazione scritta della Banca e con l'obbligo di comunicare tempestivamente alla Banca i nominativi delle ditte subappaltatrici.

Quindi, secondo la stessa tesi della società reclamante le società subappaltatrici avrebbero dovuto ottenere il preventivo formale gradimento della Banca, come pure i dipendenti della società appaltatrice e di quelli delle altre imprese utilizzate in subappalto, del quali dovevano essere forniti alla Banca nominativi e relativa documentazione.

Orbene, la puntuale regolamentazione del subappalto, ed il pluriennale svolgimento, sin dal 2009, da parte del ricorrente, dell'attività lavorativa di addetto alla accoglienza della portineria e dei garage, con le modalità che emergono anche dalle deposizioni dei testi escussi in sede sommaria (da cui risultano contatti quotidiani del ricorrente con i dipendenti della BNL), non permette di ritenere che la BNL abbia consentito, nei suoi locali, l'espletamento di prestazioni lavorative da parte di un soggetto non individuato quale dipendente di una società appaltatrice ovvero subappaltatrice.

Ma al di là di tale considerazione, resta la circostanza che la BNL non abbia assolto al relativo

(9)

onere probatorio - di indicare il contratto di appalto o di subappalto (anche oralmente stipulato) eventualmente intercorrente con l'impresa datore di lavoro dell'odierno reclamante.

In linea teorica è ipotizzabile la stipulazione un contratto d'appalto anche per facta concludentia, non essendo infatti richiesta la formale redazione di un apposito atto cartaceo né ad substantiam né ad probationem (cfr. Cass. 16530/2016; Cass. 22616/2009).

Tuttavia la tesi della reclamante è infondata laddove finisce per far gravare sul lavoratore l'onere di fornire la prova di chi, tra appaltante e appaltatore, eserciti effettivamente il potere direttivo, posto che l'art. 29, c. 3-bis, D.lgs. 276/2003 prevede unicamente che “quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere … la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze”

dell'effettivo utilizzatore.

Pertanto, stando al dettato normativo, il lavoratore non è tenuto all'assolvimento di un siffatto onere probatorio ed incombe piuttosto sull'appaltante -in specie la BNL S.p.A.- l'onere di provare l'esistenza di un genuino contratto di appalto al fine di sottrarsi alle conseguenze altrimenti previste dalla normativa indicata (cfr. Cass. 29889/2019, in motivazione “...il criterio discretivo per individuare una legittima dissociazione tra formale datore di lavoro e sostanziale utilizzatore delle prestazioni lavorative è, dunque, la riconduzione della fattispecie concreta alle ipotesi normativamente tipizzate. È onere del datore di lavoro, sia quello formale che sostanziale, dimostrare la sussistenza di una genuina intermediazione di manodopera (che consista in un contratto di appalto di servizio ovvero in un contratto di somministrazione)”).

A tale ultimo proposito e con riguardo alla seconda censura interna al motivo in esame, la Banca ha invero impugnato la sentenza in oggetto anche nel capo in cui è stata ritenuta non raggiunta la prova del contratto di appalto e del suo oggetto.

Più precisamente, la reclamante ha sostenuto che il contenuto del contratto di appalto non provato in documentalmente poteva essere dimostrato sulla scorta dei contratti invece prodotti in giudizio, atteso che “il regolamento contrattuale...è sempre stato di tenore identico per tutti gli immobili in relazione ai quali la Banca ha appaltato il servizio”; inoltre, dopo aver precisato che, in ragione della normativa vigente in materia, è fisiologico che dopo “oltre 10 anni la parte di un contratto di appalto possa non conservare la copia del medesimo”, ha richiamato una recente giurisprudenza di merito, secondo la quale pur “risultando scoperte alcune frazioni del periodo oggetto di causa, deve rilevarsi che tale circostanza non appare significativa sussistendo sufficienti elementi di prova a supporto del conferito appalto” (cfr.

Trib. Roma, sent. n. 6489/2019).

(10)

Ritiene la Corte che, in ragione della peculiarità della fattispecie in esame, lontana dalla tradizionale configurazione del rapporto di lavoro in cui compaiono due sole parti -lavoratore e datore di lavoro-, sia imprescindibile fornire la prova puntuale dell'esistenza e dell'esecuzione del contratto di appalto nell'ambito del quale è stata resa la prestazione di lavoro e, laddove ciò non avvenga, di fronte “all'assenza di accordi tra la società effettiva utilizzatrice delle prestazioni dei lavoratori e quella intermediaria che ha proceduto alle loro assunzioni, consegue l'individuazione del datore di lavoro nel soggetto che effettivamente utilizza la prestazione lavorativa” (cit. Cass. 29889/2019).

Conclusivamente, il criterio discretivo per individuare una legittima dissociazione tra formale datore di lavoro e sostanziale utilizzatore delle prestazioni lavorative è la riconduzione della fattispecie concreta alle ipotesi normativamente tipizzate. E' quindi onere del datore di lavoro, sia quello formale che sostanziale, dimostrare la sussistenza di una genuina intermediazione di manodopera (che consista in un contratto di appalto di servizio ovvero in un contratto di somministrazione). Ove, come nel caso in esame, manchi il titolo e non sia provato lo schermo formale del contratto di appalto, non è necessario, come invece ritiene la reclamante, verificare, in concreto le mansioni svolte dal Mignani e la riconducibilità dell'attività lavorativa svolta allo schema legale tipico del contratto di appalto.

Non sussistendo riscontri probatori dello schermo legale tipico del contratto di appalto, riemerge il generale principio di individuazione del datore di lavoro nel soggetto che utilizza la prestazione lavorativa in base alla norma inderogabile dettata dall'art. 2094 cod.civ. che si riferisce alla collaborazione "nell'impresa" alle dipendenze deli' "imprenditore", tipicamente individuato in colui che organizza i fattori della produzione.

Con il terzo motivo, la BNL S.p.A. ha prospettato una diversa lettura delle risultanze testimoniali, dalle quali sarebbe emerso che la società non avrebbe esercitato sul reclamato poteri direttivi, che non vi sarebbe stata alcuna ingerenza da parte dei propri dipendenti nell'attività svolta dal Mignani e che il lavoratore non avrebbe svolto mansioni estranee a quelle oggetto del contratto di appalto.

Osserva la Corte che le considerazioni svolte in sede di esame dei precedenti motivi, che conducono alla riconducibilità del rapporto all’effettivo utilizzatore, rendono assorbita la censura.

In ogni caso si osserva che il Giudice di primo grado ha valutato compiutamente le risultanze istruttorie, anche relativamente agli esiti delle testimonianze rese dai testi indotti dalla parte reclamante, a conferma, anche sotto altro profilo, della tesi della illiceità dell'appalto.

E’ emerso che l'appalto avesse ad oggetto la mera prestazione di energie lavorative (in tal

(11)

senso milita la deposizione del teste Pasquinelli Matteo, che ha riferito che la BNL si limitava a comunicare il monte ore a Sicuritalia); a riprova della dedotta promiscuità nell'impiego personale per l'espletamento del medesimo servizio, il teste Angili Moglioni ha dichiarato che il servizio di portineria fosse svolto sia con i dipendenti di BNL sia con i dipendenti di società esterne.

Sulla scorta della deposizione del teste Domenico Spitalieri, da ritenersi indifferente ai fatti di causa, avendo ormai cessato il rapporto di lavoro con la Banca e non avendo alcun interesse all'esito del giudizio, emerge chiaramente come le mansioni espletate quotidianamente dal Mignani non si diversificassero rispetto a quelle espletate ordinariamente dai portieri dipendenti della BNL e che quindi vi fosse una promiscuità e piena fungibilità tra i dipendenti della cooperativa e quelli della committenza; che la cooperativa si limitasse a fornire manodopera, un certo numero di ore lavorative ( e da tale circostanza il giudice di primo grado ha correttamente desunto l’assenza di un rischio imprenditoriale).

Dalla medesima deposizione, quanto ai responsabili della cooperativa, è risultato che gli stessi si limitassero a svolgere un'attività di gestione dei turni, dei permessi e delle ferie del personale senza l'esercizio di un effettivo potere direttivo e conformativo sui propri dipendenti. Per contro, erano dipendenti della BNL presenti in loco (come Gianni Martini) a relazionarsi direttamente col personale della cooperativa, dando ordini e direttive sulle singole prestazioni da rendere.

La prima parte del quarto motivo è, del pari, assorbita, perché presuppone la liceità dell’appalto (la reclamante contesta che l'accertamento in ordine alla liceità dell'interposizione di manodopera determinerebbe l'assorbimento della questione di nullità/inefficacia del licenziamento, posta l'avvenuta impugnazione nei confronti del soggetto appaltante in luogo dell'appaltatore).

Con l’ultima parte del quarto motivo ci duole che il Tribunale abbia dichiarato il diritto del lavoratore all'inquadramento nella 2° Area III livello CCNL Credito senza il preventivo svolgimento di alcun ulteriore accertamento ed approfondimento istruttorio.

Sul punto, osserva la Corte che il Giudice di primo grado ha determinato l'inquadramento e la retribuzione spettante al Mignani avuto riguardo a quanto accertato nella sentenza del Tribunale di Roma n. 2989/2019 (cfr. pag. 11 sentenza). Trattasi di pronuncia che ha accertato, per quanto attualmente interessa, che fra la reclamante ed il Mignani Marco

“sussiste ed è tuttora in corso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 15.12.2009…con diritto all’inquadramento nella 2° area, 3° livello retributivo del CCNL per il settore del Credito”.

(12)

Per come si ricava dalla sentenza delle SU n. 10027/2012- alla cui motivazione si rinvia- , quando sulla causa pregiudicante si sia già pronunciato un giudice, ancorché con sentenza non definitiva, la sua decisione è assistita da una presunzione di conformità a diritto e la sospensione ex art. 337 c.p.c., comma 2, c.p.c. può essere disposta solo dal giudice “che ritenga di non poggiarsi sull'autorità della decisione pronunziata nel primo giudizio”. Dalla richiamata decisione si evince il principio per cui laddove la sentenza sulla causa pregiudicante sia oggetto di impugnazione, il giudice della causa pregiudicata ha l’alternativa di riconoscere autorità alla sentenza non definitiva della causa pregiudicante ovvero sospendere il giudizio innanzi a sé pendente “sulla base della plausibile controvertibilità che il confronto tra la decisione intervenuta e la critica che ne è stata svolta abbia fatto emergere”

(ed in tal senso anche Cass. n. 25890/2013, Cass. n. 21505/2013).

Ed anche successivamente la S.C. ha affermato che "Ai fini del legittimo esercizio del potere di sospensione discrezionale del processo, previsto dall'art. 337 c.p.c., comma 2, è indispensabile un'espressa valutazione di plausibile controvertibilità della decisione di cui venga invocata l'autorità in quel processo, sulla base di un confronto tra la decisione stessa e le critica che ne è stata fatta. Ne consegue che la sospensione discrezionale in parola è ammessa ove il giudice del secondo giudizio motivi esplicitamente le ragioni per le quali non intende riconoscere l'autorità della prima sentenza, già intervenuta sulla questione ritenuta pregiudicante, chiarendo perché non ne condivide il merito o le ragioni giustificatrici" (così Cass. n. 24046/ 2014, Cass. n.16142/2015).

Nella presente controversia la reclamante non ha fornito elementi specifici tali da portare questa Corte a disattendere le conclusioni della sentenza menzionata, limitandosi a sostenere che “dovrebbe essere, al più, riconosciuta la qualifica di impiegato di 1° livello retributivo- seconda area professionale del CCNL del credito”. Ed allora, in base ai richiamati princìpi interpretativi, non vi è ragione per negare in questa sede alla menzionata sentenza n.

2989/2019 quella piena autorità che l’ordinamento ad esse riconosce.

Il Primo giudice ha, quindi, correttamente rinviato, ex art. 337, c. 2, c.p.c., all'autorità di altra sentenza per decidere parte del merito. Pertanto anche questo motivo di reclamo è infondato.

Alla luce delle motivazioni svolte il reclamo va integralmente respinto.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono il principio della soccombenza ex art.

91 c.p.c. Si dà atto che sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art. 13, c. 1-quater, del d.P.R. 115/2002, come modificato dalla l. 228/2012, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

(13)

P.Q.M.

La Corte rigetta il reclamo proposto da BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A e la condanna al pagamento delle spese del grado che si liquidano in € 4.500,00 oltre 15% iva e c.p.a. da distrarsi. In considerazione del tipo di statuizione emessa, si dà atto che sussistono le condizioni richieste dall’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 comma 17 L. 24.12.2012 n. 228, per il raddoppio del contributo unificato a carico della reclamante.

Così deciso in Roma, all’esito della trattazione scritta dell’8.10.2020

Il Consigliere estensore Dott. Guido Rosa

Il Presidente Dott.ssa Vittoria Di Sario

Riferimenti

Documenti correlati

L’appellante aveva contestato la decisione del tribunale che ha escluso l’esistenza di una situazione personale avente specifica rilevanza al fine di ottenere la protezione

Per quanto si possa riconoscere che le clausole sopra richiamate contenute nel modello ABI siano idonee ad incidere anche pesantemente sulla posizione del garante,

La domanda, proposta con azione ordinaria (che ai sensi dell’art. 198 coesiste con l’azione speciale antidiscriminatoria per ragioni di genere, disciplinata dallo stesso

appartiene alla giurisdizione ordinaria la domanda, proposta dai cittadini residenti nelle zone interessate, di condanna della Pubblica Amministrazione

” ADR: Sono a conoscenza dei fatti oggetto di causa perché ho seguito mia sorella sin dall’inizio della gravidanza. ADR: Mia sorella si era affidata privatamente alla

Alla luce delle precedenti considerazioni, il Tribunale ritiene di dovere dare seguito al proprio orientamento. Dovendo il giudizio comparativo essere operato tra il precedente

 Si costituiva in giudizio il convenuto Bertuna Giuseppe il quale si dichiarava disponibile ad effettuare il trasferimento dell’immobile sito in Vizzini Viale

Deve essere, pertanto, dichiarato il diritto dei ricorrenti alla Retribuzione Professionale Docenti (RPD) in relazione ai servizi prestati con contratti a tempo