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(1)1 La dolce vita di Federico Fellini Federico Fellini è uno dei registi italiani più conosciuti a livello internazionale

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1 La dolce vita di Federico Fellini

Federico Fellini è uno dei registi italiani più conosciuti a livello internazionale.

Con le sue pellicole ha portato il nome del cinema italiano in giro per il mondo.

Ha iniziato come disegnatore, per poi divenire sceneggiatore e infine regista. Ha diretto, per trenta anni, più di venti film di grande successo. Nelle sue pellicole costruisce un ipertrofico parco delle meraviglie e la sua macchina da presa fa muovere i personaggi come nelle montagne russe, dando sensazioni di esaltazione e vuoto improvviso1. Tra i film da lui diretti Luci del varietà, I vitelloni, La strada, La dolce vita, Otto e mezzo, Roma. Tutti lungometraggi che raccontano storie e posti vissuti dal regista. I suoi lavori vogliono far conoscere l’Italia e gli italiani. Una delle caratteristiche delle sue pellicole, è quella di forzare le immagini fotografiche nella direzione che porta dal caricaturale al visionario2. Il lavoro di Fellini non era solo raccontare ciò che vedeva o lo circondava, ma andare oltre, scoprire il lato introspettivo della società di quel tempo. La svolta nel suo lavoro, e forse anche la consapevolezza di ciò che poteva fare nei suoi set, avviene con La dolce vita. Uno dei suoi film che ha vinto premi importanti, descrivendo gli ambienti caratteristici della bella vita romana. Qui, Fellini, parte dal boom economico mostrando un Paese pieno di speranze e di attese. Questa pellicola non rappresenta più, solo, la semplice evoluzione cinematografica del regista, ma è anche il sunto di un intero periodo della storia italiana del secondo dopoguerra. Il film è un ritratto agrodolce della società “in” di quel tempo. Il

1G. P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, 1905-2003, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003, p. 325.

2I. Calvino, Autobiografia di uno spettatore, in F. Fellini (a cura di), Fare un film, Torino, Einaudi, 1980, p. XXII.

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2 successo del La dolce vita e arrivato in maniera insolita. Infatti, la pellicola all’interno del nostro Paese ha fatto discutere tanto, dividendo il mondo della critica in due. Nonostante i pesanti giudizi, il film ha registrato grandi incassi.

Molte le disapprovazioni che sono state rivolte al film, in particolare l’opinione pubblica si è mostrata molto contrariata per delle scene che andavano, a loro parere, contro il buon costume. Federico Fellini in questo lavoro va oltre il neorealismo che si era sviluppato solo qualche anno prima, con registi di grande fama come Luchino Visconti e Roberto Rossellini, raccontando di un paese che guarda avanti nonostante restava ancora ancorato al passato.

1.1 Federico Fellini e il cinema

Federico Fellini regista, sceneggiatore, fumettista e scrittore italiano, nato a Rimini, fin da piccolo rimasto affascinato dal mondo del cinema. Per lui il cinema era l’evasione dalla vita di tutti i giorni, che da sempre l’ha accompagnato, anche se non lo frequentava spesso3. In particolare, durante la sua adolescenza, il cinema, ha rappresentato un mondo diverso da quello che lo circondava. Il suo primo approccio, concreto, con la settima arte avviene alla vigilia del secondo conflitto mondiale. Già da qualche anno trasferito nella capitale. Il suo approccio diretto con il cinema si può collegare al suo arrivo a Roma. Dopo una breve sosta a Firenze, Fellini si trasferì a Roma dove incominciò a lavorare come giornalista.

Infatti uno dei suoi primi approcci con la settima arte, anche se non quello

3F. Fellini, Fare un film, Torino, Einaudi, 1980, p. 42.

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3 decisivo, fu l’incontro con Osvaldo Valenti lo stesso anno che si trasferì a Roma, subito dopo aver preso la maturità. Durante la sua attività giornalistica, il suo direttore responsabile gli affidò un intervista all’attore, era la prima volta che il futuro regista riminese entrava a Cinecittà. Si può affermare che la città eterna, difatti, fu per lui l’ambiente amico e migliore per la sua creatività umana e artistica4. Senza dubbio il suo cinema fu invaso dalla situazione sociale che colpiva il nostro paese e in particolare il suo territorio. Non visse in prima persona l’ingresso al grande conflitto e tutta la durata della guerra nella sua terra d’origine, perché già residente a Roma, ma vide in seguito ciò che la guerra aveva causato.

Dal 1940 al 1945 l’Italia è cambiata e anche chi la abitava, ed è proprio in quegli anni che Fellini si trasferisce da Rimini a Roma. L’ingresso in guerra ha segnato un’intera nazione preoccupata per la sua sorte. Ma L’Emilia Romagna ha vissuto in quel periodo un doppio conflitto. Proprio in quell’area si è andata sviluppando la linea gotica, che partiva da Massa Carrara e terminava a Rimini. In quei territori fu molto attiva la lotta dei partigiani e crebbe la resistenza italiana. Quando all’indomani del conflitto Fellini tornò nei suoi luoghi, vide i lati devastanti di una guerra che ha portato morte e devastazione con l’avanzata dei tedeschi in quei territori, che lo colpirono a tal punto da trarne spunto per alcuni suoi film. Questi sono gli anni bui, che hanno messo in ginocchio tutta l’Italia. Ma quello che colpì Fellini era l’operosità della gente, annidata nelle baracche di legno e che parlavano già di pensioni e alberghi da costruire, la voglia di tirar su delle case5. La voglia di andare avanti di volgere lo sguardo al futuro. Il nostro dopoguerra fu segnato dal boom economico e dalla voglia di riaffermarsi in tutti campi e proprio

4A. Arpa, La dolce vita. Cronaca di una passione, Roma, Edizioni Sabinae, 2010, p. 41.

5F. Fellini, Fare un film, Torino, Einaudi, 1980, pp. 34-35.

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4 negli anni in cui l’Italia si stava preparando al miracolo economico. Sconfitta si apprestava a uscire a testa alta dopo la fine della seconda guerra mondiale. Quello che appare in questi anni è un Paese misterioso, difficile da capire non solo per chi lo vede da fuori, ma anche per chi lo vive. Un’espressione visiva, di quello che si trova la gente ad affrontare, è sicuramente il cinema. In questo momento così delicato il cinema italiano del dopoguerra ha cambiato il modo di vedere il mondo. Verità che a volte turba perché non tutti erano pronti a voler vedere nel grande schermo l’estrema povertà, i malesseri, le lotte sociali e i riferimenti alla criminalità. L’Italia si trova in un momento in cui voleva solo guardare avanti.

Nei primi anni successivi al fine del grande conflitto mondiale, Fellini ritornò a Roma e dal mondo della carta scritta passò a quello del cinema, di cui fu subito affascinato. Fellini prima di diventare regista fu giornalista, fumettista e sceneggiatore. Il suo approccio con il grande schermo fu graduale e decisivo fu il suo incontro con Roberto Rossellini e il film Paisà.

Da Rossellini mi pare di avere appreso – un ammaestramento mai tradotto in parole, mai espresso, mai trasformato in programma – la possibilità di camminare in equilibrio in mezzo alle condizioni più avverse, più contrastanti, e nello stesso tempo la capacità naturale, di volgere a proprio vantaggio queste avversità e questi contrasti, tramutarli in un sentimento, in valori emozionali, in un punto di vista6.

In tutta la sua carriera fece tesoro dell’esperienza lavorativa avuta con Roberto Rossellini. Con lui collaborò durante le riprese di Paisà, aiutò nella scenografia di

6Ivi, p. 45.

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5 I fioretti di San Francesco (Francesco, giullare di Dio), e in fine lo seguì in Europa 51. Qui il contributo di Fellini, insieme con Tullio Pinelli, fu molto importante in diversi passaggi, poiché la stesura della sceneggiatura fu eseguita da loro, anche se non fu riconosciuto in maniera ufficiale. Questi sono stati lavori che hanno formato il giovane Fellini. Le esperienze cinematografiche fatte con Rossellini avvennero in un contesto il più lontano possibile dall’idea che del produrre cinema si aveva all’interno del sistema di Hollywood; le sceneggiature erano scritte e poi riscritte la notte prima dell’inizio delle riprese7. Fellini fece tesoro della collaborazione con Rossellini e, se ci fu, una costante nella carriera cinematografica del regista riminese, questa riguardava il tentativo di ricreare situazioni di riprese caotiche simili a quelle sperimentate durante quegli anni8. Infatti, Fellini ritenne Rossellini il proprio insegnate e maestro, riconoscendo e mettendo in pratica la lezione appresa da lui. Ma non solo Rossellini, durante la a sua carriera considerò maestri e punti d’ispirazione per il lavoro svolto, anche, Vittorio De Sica e Luchino Visconti. Fellini nelle sue opere riuscì a miscelare il contesto neorealista e la favola pura, cultura autoctona e miti francese e americano9. Egli capì che l’essenziale è l’invisibile, che sta dietro il visibile, assumendo caratteristiche inquietanti ed enigmatiche. La realtà nei suoi film si decompone e non offrendo più alcuna certezza. Già nelle sue prime pellicole attinse a un repertorio accumulato nella sua memoria, con immagini che fluttuavano tra sogno e realtà10. Un ruolo da non assecondare, soprattutto nei suoi

7P. Bondanella, Il cinema di Federico Fellini, Rimini, Guaraldi, 1994, p. 66.

8Ivi.

9L. Miccichè, S. Bernardi (a cura di), Storia del cinema italiano 1954-1959, Roma, Marsilio Edizioni di Bianco & Nero, 2001, vol. IX, p. 242.

10G. P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, 1905-2003, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003, p. 188.

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6 primi lavori è stato quello della musica, che indica la possibilità di un cambiamento e di un rinnovamento11.

Luci del varietà, il suo primo film girato a quattro mani con Alberto Lattuada. Un lavoro che subito ha sentito suo, che racconta di ricordi, a volte veri, altre inventati, di quando ha girato l’Italia con il suo maestro. Lattuada, il suo compagno di avventura in questo lavoro, con la sua capacità di decidere e la sua esperienza, era lui che effettivamente dirigeva il film. Mentre Fellini stava al suo fianco in una situazione abbastanza comoda12. Un lavoro che tenne conto delle leggi del mercato, senza tralasciare la componente dello sguardo affamato d’immagini, che cerca di osservare ogni particolare con l’occhio d’amore di Lattuada, e di godere dei doni della giovinezza e bellezza che spesso sono sparsi con generosità dalla natura13. Ben diverse le cose andarono, per quanto riguarda la realizzazione della pellicola Lo sceicco bianco, prodotto da Luigi Rovere. Rovere rimase colpito dal materiale girato da Fellini in Persiane chiuse, nei giorni in cui Gianni Puccini abbandonò il set e si attendeva l’inizio del lavoro di Comencini. E gli propose di dirigere da solo il film. Questo fu il suo primo film che diretto esclusivamente da lui. Negli anni successivi sono messi in scena I Vitelloni e La strada. Il suo intento era disertare il cinema “commerciale”, e promuoverne uno che fosse consapevole delle sue intenzioni documentarie, anche se era immancabile il fascino del cinema americano. Fellini con queste opere rischiò di cadere nell’oblio, nonostante gli era riconosciuto il successo internazionale.

Anche in Italia venne di nuovo apprezzato con Il bidone, un film che a tratti

11P. Bondanella, Il cinema di Federico Fellini, Rimini, Guaraldi, 1994, p. 77.

12F. Fellini, Fare un film, Torino, Einaudi, 1980, p. 48.

13G. P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, 1905-2003, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003, p. 174.

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7 appare grottesco, incentrato sui piccoli truffatori. Qui Fellini sperimenta un nuovo modo di fare cinema mescolando cinismo e religiosità, trovando la sua massima espressione ne La dolce vita. Con quest’opera il nome di Fellini diventò celebre in tutto il mondo. La dolce vita racconta i pensieri, i sentimenti, e quello che vede intorno il regista in quel periodo. La sua “poetica” in quaranta anni di esperienza si è evoluta, ma in tutti i suoi set si accostò sempre con la semplicità di autodidatta14. Un elemento caratteristico e fondamentale nei film di Fellini, ma anche di altri registi di quel periodo è la riflessione sulla realtà sui comportamenti e sull’indole umana, affidata, con toni critici alle donne che sono le sole capaci di autentici sentimenti e vere passioni15. Ed è proprio il personaggio femminile che acquista nelle opere di Fellini una peculiare importanza, senza tralasciare l’aspetto seducente16. Federico Fellini capiva l’importanza di lavorare insieme con un produttore. Tra le case di produzione con cui lavorò, ci fu la Lux Film, destinata a giocare un ruolo di primo piano nell’industria cinematografica italiana. Questa gli permise di incontrare un gran numero di persone molto importanti, tra cui Dino De Laurentis, Carlo Ponti e Luigi Rovere che produssero diversi suoi film. Alla Lux fece una grande esperienza scrivendo diverse sceneggiature, confrontandosi con un sistema cinematografico più simile a quello americano. Inoltre, all’interno di questa grande casa produttrice, ebbe l’occasione di conoscere Alberto Sordi, al quale affidò parti importanti sia in Lo sceicco bianco che ne I vitelloni17.

Federico riuscì a raccontarsi e a far vedere la sua migliore espressione grazie al cinema, e allo stesso tempo riuscì a condurlo fuori dai retaggi del neorealismo e

14Ivi, p. 189.

15L. Miccichè, S. Bernardi (a cura di), Storia del cinema italiano 1954-1959, Roma, Marsilio Edizioni di Bianco & Nero, 2001, vol. IX, p. 166.

16 Ivi, p. 245.

17P. Bondanella, Il cinema di Federico Fellini, Rimini, Guaraldi, 1994, p. 68.

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8 verso il cinema “moderno”, da studiare con l’apporto di nuovi metodi18. La grande capacità di Fellini è stata quella di osservare le cose con un occhio interiore, che pesca le immagini nell’inconscio. Le sue immagini appaiono sospese tra realtà vissuta o realtà immaginaria e sognata19.

1.2 Dal neorealismo fino al suo superamento

Il secondo conflitto mondiale ha lasciato il paese in uno stato di desolazione.

All’indomani della Liberazione e per tutto il decennio degli anni ’50, tutto fu dibattuto, discusso e confrontato. L’Italia negli anni successivi a questo devastante conflitto cerca di riprendersi e trova, attraverso il grande schermo, il modo di farsi conoscere. Nonostante il cinema sia stato vittima di questo abbandono, come tutti gli altri campi trascurati, ha manifestato la volontà di rinascita. L’industria cinematografica si trovava in una situazione di collasso, e ha mostrato molti sintomi di ripresa. Lo spettacolo in genere, prende coscienza della propria identità e vara una serie di iniziative che mirano al consolidamento della produzione. Con diverse difficoltà il cinema italiano riesce a riprendere la propria produzione, e in questo clima diviene la carta diplomatica vincente di riabilitazione del nostro Paese, reinserendosi anche nel contesto internazionale. Divenendo agli occhi del mondo simbolo della volontà di riscatto d’un popolo sconosciuto e il modo diretto

18L. Miccichè, S. Bernardi (a cura di), Storia del cinema italiano 1954-1959, Roma, Marsilio Edizioni di Bianco & Nero, 2001, vol. IX, p. 243.

19G. P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, 1905-2003, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003, p. 189.

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9 di familiarizzare con lui20. I piccoli e grandi e film del dopoguerra aiutano e accompagnano a definire caratteristiche e definizioni della vita e della mentalità degli italiani, che passarono dalla ricostruzione, alla guerra fredda, al miracolo economico, agli anni di piombo. Le pellicole di questo periodo hanno il compito di far scoprire i mille volti di una nazione che sembra aver svanito il senso di identità21. Sembra questo il miglior modo per andare alla scoperta di un’itera nazione. Gli autori, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, si affidarono al neorealismo non facendo distinzione tra pubblico e privato, evidenziando le loro varietà e poliedricità. Per tutti il decennio degli anni Cinquanta, il ruolo di crescita del cinema italiano, sia dal punto di vista produttivo che spettacolare, è fondamentale. Infatti, consentì di superare la crisi che avvolgeva il nostro paese, arrivando fino al decennio successivo, inteso come uno dei momenti più alti e maturi della storia della produzione italiana22. Ma in un periodo di caos e voglia di riaffermarsi non mancarono di certo le discussioni riguardanti l’industria cinematografica. Concentrarono essenzialmente, i propri contrasti su tre punti, riguardanti una nuova «legge [economica] sul cinema» per consentire al meglio la sua rinascita, si vuole guardare avanti e capire come superare la tradizione censoria del fascismo, ponendo delle nuove norme sulla

«censura amministrativa», ma un grande dibattito colpiva l’opinione pubblica quello sul neorealismo e su come creare un «nuovo cinema italiano»23. Propri in questi anni il cinema italiano guarda spesso verso la produzione americana.

L’immagine dell’America che emerge dai film, seppure sostanzialmente comica,

20Ivi, p. 129.

21 Ivi, p. 154.

22Ivi, p. 140.

23L. Miccichè, S. Bernardi (a cura di), Storia del cinema italiano 1954-1959, Roma, Marsilio Edizioni di Bianco & Nero, 2001, vol. IX, p. 37.

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10 rappresenta l’ossessione che gli americani sembravano avere per il progresso, mettendo in questione l’idea che ad un miglioramento delle condizioni economiche debba derivare un aumento del grado di civilizzazione o della cultura24. Ma i veri testimoni del cinema nostrano di questi decenni sono registi come Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Federico Fellini e Michelangelo Antonioni. Grazie a loro già dal 1945, comincia una produzione anno dopo anno sempre più assidua. Non è un caso che per molto tempo il neorealismo sarà il solo cinema a circolare, ma col tempo si affiancheranno altri generi più popolari. Con il neorealismo gli sceneggiatori attingono sempre di più alla realtà, ai fatti di cronaca, spingendo lo sguardo in direzioni di mondi e realtà finora mai considerate. In questo momento sceneggiatori e registi, sia pure per breve tempo, si sentono investiti dal ruolo d’interpreti della storia della società, ed hanno la missione di documentare la ricostruzione del paese25. Il cinema appare come mezzo d’avanguardia del cambiamento. Ma se da un lato troviamo un cinema narrativo che attinge a nuovi temi, nuovi ambienti e figure dall’attualità, dall’altro si conserva, anche se con qualche modifica, la spinta neorealistica che perde le sue ricerche più avanzate, raggiungendo comunque diversi spettatori. Dopo il 1948 lo

“sguardo neorealistico” era presente nell’immaginario comune del cinema italiano industriale, con diverse le tipologie di neorealismo. In quegli anni si susseguono avventure differenti, da quelle più ridenti che parlano di storie d’amore, a quelle più classiche trattate da grandi registi come Vittorio De Sica, Roberto Rossellini e Luchino Visconti. Il neorealismo non era altro che abbandonarsi alla realtà, puntando a un equilibrato studio tra il riconoscimento di verità senza tralasciare

24Ivi, p. 74.

25G. P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, 1905-2003, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003, p. 149.

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11 nulla. Il compito del regista neorealista era quello di situarsi in modo naturale in un punto impalpabile tra l’indifferenza e la goffaggine dell’adesione, così da catturare e guardare le cose dentro e fuori, per svelare ciò che di inafferrabile e di magico ha la vita26. Non tutti però erano concordi con questo nuovo modo di fare cinema. Insomma questo dibattito sul cinema afferma la necessità di sottrarre il grande schermo a ogni estetica normativa e prescrittiva, mettendo in luce più gli aspetti morali, mentali e culturali, arrivando addirittura al superamento del neorealismo. Il superamento del neorealismo non avviene perché viene sconfitto, dai sui nemici socio-politici, o da quelli cinematografici, né tanto meno emarginato perché possiede armi etico-estetiche che andavano bene27. I registi sentono il bisogno di andare oltre, tesaurizzando positivamente l’esperienza neorealistica per giungere a un’altra più avanzata, a una tappa estetica più matura.

Si passa in questo modo dai film che raccontano la cronaca a quelli che parlano della storia, da quelli che descrivono a quelli che narrano, le pellicole sono più romanzi che documentari. È questo il momento in cui il cinema italiano passa dal neorealismo al realismo28. Il grande schermo attraversava una fase di studio di metodi rinnovatori di espressione e di contenuti vivi29. Il cinema nel nostro Paese compie una grande svolta oggettiva. In quel periodo il linguaggio critico concedeva l’appartenenza alla corrente realistica a molti film che mantenevano un legame con il mondo circostante, con l’aggiunta però di un aggettivo. Si parla così di realismo “borghese”, “storico” e “neorealismo rosa”. Il cinema italiano non era

26F. Fellini, Fare un film, Torino, Einaudi, 1980, p. 46.

27L. Miccichè, S. Bernardi (a cura di), Storia del cinema italiano 1954-1959, Roma, Marsilio Edizioni di Bianco & Nero, 2001, vol. IX, p. 38.

28Ivi, p. 39.

29P. M. De Santi, La dolce vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes, Pisa, Edizioni ETS, 2004, p. 31.

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12 più in grado di mantenere il carattere unitario che era caratterizzante fino al 194830. La dinamica neorealista, dal 1955 viene considerata sempre più conclusa, al punto di avviarne la storicizzazione. Tutti i film di questo periodo sono contrassegnati da un distacco in qualche caso radicale dal neorealismo. Il neorealismo aveva sviluppato una molteplicità di poetiche, che in un clima di fervore aveva dato avvio a una stagione d’oro per tutto il cinema. Queste pellicole hanno grandi contaminazioni di melodramma commedia comico, dove il realismo diventa fantastico e il fantastico diventa realistico. Il neorealismo si può considerare come un atteggiamento morale, mentale e culturale d’avanguardia. Ed è in questo scenario che viene sperimentato in maniera più incisiva l’incontro tra il cinema di genere e l’eredità neorealistica. Tra i registi, vi è la volontà di non nascondere nulla, di dare testimonianza di un paese povero, che fin troppo spesso era stato celato dal fascismo. Forse come non mai il cinema di quegli anni era il punto perfetto della fusione tra il mondo della finzione e quello della realtà. E fu proprio questo che spinse molti osservatori al superamento del neorealismo, per il semplice motivo che «l’esperienza del dolore»31 non risultava più funzionale.

Andrè Bazin, in un articolo nella rivista Cinema Nuovo, affermò la necessità di riconoscere al di là dell’ideologia espressa, il giusto merito ai registi che realizzano dei film rigorosamente conformi al suo ideale32. Si ha l’esigenza di andare oltre, in una tappa più avanzata, di estetica più matura. Un momento cruciale per la storia del cinema italiano si passa dal neorealismo al realismo. Per Bazin il neorealismo considera la realtà come un blocco, non certo

30L. Miccichè, S. Bernardi (a cura di), Storia del cinema italiano 1954-1959, Roma, Marsilio Edizioni di Bianco & Nero, 2001, vol. IX, p. 199.

31Ivi, p. 38.

32Ivi, p. 48.

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13 incomprensibile ma indissociabile33. Sicuramente il neorealismo, è stato un momento di forte propulsione artistica che, si è evoluto in realismo passando dalla cronaca alla storia. Questo ha consentito la nascita di un nuovo stile nel quale l’idea e la realtà si fondevano senza che lo spettatore avvertisse la sovrapposizione. Tra i registi non manca certo la volontà di conoscere e di far conoscere. Il cinema italiano trova i suoi cantori, e alcuni delle sue personalità più rappresentative della cultura italiana di tutto il secolo, nel momento in cui si cerca di annullare l’individualità autoritaria, o al massimo, di considerare il regista neorealista come una figura anonima che prende voce da una musa che lo ispira in questo caso la voce di un’intera collettività34. Una collettività che nel giro di un decennio si evolve. E poco oltre la metà del 1950, il clima ideologico delle primissime stagioni postbelliche muta in maniera radicale. Il processo di ammodernamento rapido e profondo, polverizza alcuni fondamenti ideologici-politici, modificando l’assetto sociale del paese. In questo modo si sposta sempre di più l’orizzonte problematico del dopoguerra e si introducono nuove contraddizioni riguardante l’assetto politico del centro sinistra, la nuova cultura industriale, e gli schemi del cinema delle “nuove ondate”35. Federico Fellini avverte questo profondo cambiamento della società e diviene portavoce di questa voglia di cambiare, nonostante le numerose contraddizioni che invadono la collettività. Il suo cinema insieme a quello del suo maestro Roberto Rossellini, si spinse verso la ricerca di una problematica esistenzial-spiritualistica, traendo ispirazione dalle scene di vita dell’immediato periodo postbellico con il “cinema

33 Ivi.

34G. P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, 1905-2003, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003, p. 130.

35L. Miccichè, S. Bernardi (a cura di), Storia del cinema italiano 1954-1959, Roma, Marsilio Edizioni di Bianco & Nero, 2001, vol. IX, p. 53.

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14 della realtà”36. Nonostante la sua formazione neorealista, il suo modo di fare cinema segna il cambiamento, la svolta nel mondo cinematografico. Lui passa dal neorealismo all’antirealismo. Lo sviluppo della sua carriera, gli ha permesso di ricevere diverse influenze dalla cultura popolare italiana e dal cinema, cambierà il corso della storia cinematografica italiana37. Ed è proprio con La dolce vita che inaugura una nuova era. Un’opera considerata ponte perché chiude una fase del cinema italiano e ne apre un’altra percorrendo tensioni e spinte del cinema internazionale38. Infatti, fino all’uscita de La dolce vita il neorealismo aveva avuto il merito di mettere grandi masse di pubblico in contatto con le miserie materiali di un’Italia appena uscita dalla guerra, ma non era mai successo che queste fossero l’oggetto di un film, mostrando sensazioni che non soddisfano e lasciano intatta l’impressione di inutilità e di vuoto39. Nei suoi migliori film degli anni Cinquanta una delle tematiche dominanti è quel bisogno di una possibilità di redenzione in un mondo di decadenza.

1.3 La dolce vita

I film di Federico Fellini nascono dalla sua capacità di lasciarsi trasportare da ciò che lo circonda. Diverse le ispirazioni, da cui il regista riminese, si lasciava stimolare a volte da un colore, oppure da un odore, o ancora da un ricordo di uno

36Ivi, p. 38.

37P. Bondanella, Il cinema di Federico Fellini, Rimini, Guaraldi, 1994, p. 79.

38G. P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, 1905-2003, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003, p. 191.

39 P. M. De Santi, La dolce vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes, Pisa, Edizioni ETS, 2004, p. 46.

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15 sguardo. Per La dolce vita fu l’apparizione di una donna che passeggiava in un mattino luminoso per via Veneto, con un vestito che la faceva sembrare un ortaggio40. Il film nasce sugli aerei transoceanici, alle cene di gala e soprattutto ai margini di via Veneto, dove si agita il bel mondo del carnevale di quegli anni41. La visione dei suoi lavori prendeva il via dai disegni, così da cominciare a guardare in faccia il film nel tentativo di fissare qualcosa42. Un aspetto che non riguarda esclusivamente Fellini, ma che interessa il cinema italiano di quel periodo, in quanto, in quel periodo, traspare la preferenza accordata a un’estetica descrittiva e bozzettistica43. La dolce vita, è uno dei film profondamente autoriflessivi di Fellini, ideato e realizzato a Roma tra l’estate del 1958 e l’autunno del 1959. L’opera cinematografica cominciò a far parlare di sé già un anno prima dalla sua proiezione44. Federico Fellini avviò questo progetto in seguito al contatto di una certa realtà del 1958, passò attraverso lunghe vicissitudini che finirono per realizzare a un’opera che si può considerare una fra le più tipiche espressioni del cinema moderno45. La decisione di girare La dolce vita scaturì dopo una serie di selezioni ed eliminazioni di progetti cinematografici.

Il regista decise di prendere spunto proprio dai cambiamenti della società degli anni Cinquanta, con una trama completamente diversa e uno stile modernista. Con La dolce vita, Fellini arriva a un punto di svolta nella cinematografia, che si spinge in direzione di un mondo cinematografico dalla creatività immaginaria

40F. Fellini, Fare un film, Torino, Einaudi, 1980, p. 57.

41T. Kezich, Su La dolce vita con Federico Fellini. Giorno per giorno la storia di un film che ha fatto epoca, Venezia, Marsilio, 1996, p.25.

42F. Fellini, Fare un film, Torino, Einaudi, 1980, p. 66.

43L. Miccichè, S. Bernardi (a cura di), Storia del cinema italiano 1954-1959, Roma, Marsilio Edizioni di Bianco & Nero, 2001, vol. IX, p. 141.

44 P. M. De Santi, La dolce vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes, Pisa, Edizioni ETS, 2004, p. 31.

45 T. Kezich, Su La dolce vita con Federico Fellini. Giorno per giorno la storia di un film che ha fatto epoca, Venezia, Marsilio, 1996, p. 15.

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16 sempre più personale46. In quest’opera, il regista ha lasciato che le proprie energie vitali confluissero nell’immagine, immettendosi nel racconto in senso quasi fisico47. Il suo lavoro, per questo film si è svolto con non poca fatica. Infatti, Fellini ha deciso di mostrare un’immagine di spensieratezza e festosità pagana, riprodotta in un’espressione essenzialmente figurativa.

1.3.1 Prima sequenza

Il racconto di Fellini si apre con la statua del Cristo Lavoratore che sorvola la città di Roma, e si dirige verso Piazza San Pietro. Già dalle prime scene il regista contrappone tra il sacro e il profano. Due elicotteri che volano sopra i tetti della città di Roma. In uno c’è Marcello Rubini, il protagonista del film, insieme al suo fotografo, Paparazzo. Nell’altro la statua del Cristo Lavoratore che si dirige verso il vaticano dove ad attenderlo c’è una gran folla. Il regista non si concentra sull’evento sacro, infatti, la macchina da presa inquadra delle giovani signore che prendono il sole sopra un terrazzo e lo scambio dei saluti che avviene con i giornalisti. Tra la statua e gli uomini non sembra esserci alcun contatto. Subito il regista pone l’accento su questa contrapposizione che caratterizza tutto il film. La scena, costituita da una solida struttura di narrazione audio-visuale chiarissima, che troviamo fino alla fine del film. Già dalle prime inquadrature vene presentato il protagonista del film interpretato da Marcello Mastroianni. Marcello è un giornalista mondano che capta gli scandali e gli umori dell’alta società. Un tipo

46P. Bondanella, Il cinema di Federico Fellini, Rimini, Guaraldi, 1994, pp. 144-145.

47 G. P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, 1905-2003, Bologna, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003, p. 19.

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17 quasi anonimo, né buono né cattivo, né morale né anormale, con improvvisi scatti di cinismo48. Fellini per il suo film cercò fisionomie importanti e significative, per interpretare i personaggi dei diversi episodi. Per il protagonista scelse Marcello Mastroinni, per cui rappresentò qualcosa di più di una difficile interpretazione, infatti la considerò come la sua grande occasione, e sentiva che questo film poteva cambiare qualcosa nella sua personalità49.

1.3.2 Night-club

Un taglio netto chiude la prima sequenza e ci trasporta in un ambiente completamente diverso. Un violentissimo stacco non solo per le ambientazioni, ma anche per i contenuti opposti. La scena che segue è quella del night-club. Da qui incominciamo a conoscere meglio la personalità del protagonista e il suo lavoro. Marcello è sempre in cerca di uno scoop e sembra essere travolto dalla giostra della barocca. Il regista mostra Marcello come un latin lover che già da questa sequenza, nella sua prima avventura amorosa con Maddalena, una donna benestante della società romana. Il protagonista si offre di accompagnandola fuori dal locale tra le vie di Roma e passa la notte con lei a casa di una prostituta. Da qui si alternano diverse figure femminili, tutte differenti tra loro, che intraprendono rapporti disparati con il protagonista. Solo nelle sequenze che seguono Fellini ci mostra le donne con cui Marcello è solito accompagnarsi.

48 Ivi, p. 22.

49 C. G. Fava e A. Viganò, I film di Federico Fellini, Roma, Gremese Editore, 1995, p. 90.

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18 1.3.3 Tentato suicidio di Emma

Il quadro che segue presenta Emma la compagna fedele di Marcello. La sequenza centrata su questo personaggio, una donna drammatica, passionale innamoratissima del protagonista. Il regista riminese rivela fin da subito il suo carattere possessivo, nei confronti di Marcello, e vulnerabile, e la mostra come una persola sola. In questa scena Emma tenta il suicidio, solo per attirare su di se tutte le attenzioni. Marcello, tornato a casa la trova in uno stato disperato e di corsa la porta all’ospedale. Il protagonista mostra il suo lato più dolce e si rivolge alla donna come se stesse parlando con una bambina. Fellini qui racconta il rapporto tra i due come una specie di condanna, in cui l’amore è esaurito, bruciato. Il loro diventa una specie di rapporto indissolubile, fra due soggetti che non hanno altro. Il film alterna scene tragiche a sequenze più gioiose.

1.3.4 L’arrivo di Sylvia

Il film è caratterizzato da un alternarsi di scene drammatiche ad altre più frivole e gioiose, così da fare vedere la società degli anni Sessanta a tutto tondo.

Sicuramente una sequenza più leggera è quella che riguarda l’arrivo di Sylvia, una diva svedese, in aeroporto. La scena apre con l’arrivo dell’aereo e subito dopo la folla dei giornalisti e fotografi all’aeroporto di Ciampino, per accogliere l’attrice.

Gli incontri di Marcello corrispondono a un sinuoso svolgersi di “stazioni”, nel corso delle quali il personaggio protagonista è osservatore e partecipe di un

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19 sostanziale scontrarsi delle “idee” e degli “ideali” che sono alla base dell’uomo e della vita, ma che sono anche il tardo della nostra esistenza50. Per Marcello, Sylvia rappresenta una figura favolosa, il simbolo della tentazione, l’idolo della femminilità. In seguito la scena si sposta nella camera d’albergo della diva, dove si svolge la conferenza stampa con giornalisti e fotografi. Qui si crea un gioco d’interrogazioni, domande fatte alla diva da dei veri giornalisti che in quel periodo lavoravano a Roma. Una scena che mostra tutta la frivolezza del l’attrice svedese.

Durante la sequenza la figura di Sylvia si contrappone a quella di Emma, che in una telefonata appare gelosa, ossessiva e possessiva nei confronti del suo Marcello.

1.3.5 La cupola San Pietro

La sequenza che segue è una di quelle che ha fatto più discutere le autorità del Vaticano. Infatti, si tratta della scena girata all’interno della cupola di San Pietro.

Qui il sacro e il profano s’intrecciano. Questa è la scena del primo ciack girato. La scena fu ricostruita nel teatro di Cinecittà. Una sequenza che suscitò molto scalpore poiché non solo Fellini aveva osato vestire Sylvia in abito talare, ma l’ambientazione ritrae il cuore del Vaticano. In realtà la sequenza non raffigura nulla di osceno e oltraggioso nei confronti del clero.

50 P. M. De Santi, La dolce vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes, Pisa, Edizioni ETS, 2004, p. 113.

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20 1.3.6 Locale notturno

La scena si apre all’interno di un locale notturno con la canzone in sottofondo

“Arrivederci Roma”. Qui Marcello prova a vuoto a conquistare la diva. Il ritmo della musica cresce e Sylvia da spettacolo facendo ingelosire il suo fidanzato. Tra i due scoppia una lite e Marcello è subito pronto a intervenire per confortare la donna che gli dice “Portami dove vuoi”. La fuga dal locale li porta nella notte tra le strade deserte della capitale. Nel vano tentativo di consumere la nottata galante con l’attrice, arrivano in via Appia antica, dove la donna rimane incantata da tutto ciò che la circonda. Non c’è nessuno e si sente solo il rintocco dell’orologio. La notte li porta in Piazza Fontana di Trevi. Questa è la scena che tutti ricordano, che rimasta impresa nella mente di tutti gli spettatori: il bagno di Sylvia nella Fontana.

Tutto sembra sospeso e l’attrice pare a suo agio mentre fa il bagno dentro la Fontana, e quando arriva Marcello lo invita ad andare vicino a lei. Fellini in questa scena ha saputo dare alla figura femminile un indimenticabile grado di astrazione plastica. Ma quando lo scorrere dell’acqua, si interrompe, ecco che i due sembrano svegliarsi da un sogno e ritornano alla realtà. La coppia dopo avere attraversato Via Veneto fa ritorno in albergo dove ad attenderli c’è ‘amante di Sylvia e i paparazzi, pronti a fotografare la scazzottata con Marcello.

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21 1.3.7 L’incontro con Steiner

La scena è forse una delle più importanti per capire meglio la personalità di Marcello. La sequenza ritrae il protagonista durante un servizio fotografico viene attratto da una chiesa nel quartiere della Garbatella e incuriosito entra all'interno, si sente chiamare e per puro caso ritrova il suo vecchio amico Steiner, personaggio cruciale per capire il protagonista. Fellini, per questo personaggio, trae ispirazione da una persona realmente esistita che poco tempo prima aveva occupato le prime pagine della cronaca nera. Il regista non scelse subito l’attore che doveva interpretare Steiner, ma dopo tanti dilemmi la scelta cadde verso il francese Alain Cuny. La scena si svolge dentro la chiesa, fredda e spoglia, la messa in quadro è classica con una serie di campo e controcampo, e termina con Steiner che suona l’organo, e Marcello che si reca verso l’uscita, dopo aver sostenuto un breve dialogo. Steiner è un personaggio che è travolto dalla sua solitudine sia nello spirito che nella mente. Un uomo che già a vederlo dice tutto di se, e Marcello fa di lui il suo punto di riferimento.

1.3.8 Il miracolo dei bambini bugiardi

Questo episodio nel film fu inserita in un secondo momento. Il miracolo si rilevò una delle sequenze più significative de La dolce vita. Qui Fellini ha voluto rappresentare un’immagine dell’Italia degli anni ‘50 che voleva credere a tutto, anche ai falsi miracoli. Così il regista imposta uno spettacolo amplificato con

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22 ironico cinismo. Decidendo di rappresentare il dramma del fanatismo contemporaneo con l’occhio impietoso del grande artista e con un realismo agghiacciante51. Una storia vera da cui il regista ha preso spunto leggendo un articolo pubblicato nel Luglio del 1958 su Settimo Giorno dal giornalista Tarquinio Maiorino. Filtrando, scomponendo e ricomponendo ha messo in scena un quadro vivo di una forza straordinaria. L’intera sequenza fu girata dal vero a Bagno Tivoli. Qua il legame con il resto del film è la figura di Emma, che rappresenta l’italiano medio di quel tempo e vuole con tutte le sue forze credere a un miracolo mai avvenuto. La scena mostra la famiglia dei piccoli in una cornice cinematografica, aspettando un miracolo che non arriverà mai. L’essenza della sequenza è ciò che i bambini fingono di vedere e ciò che la folla realmente crede di vedere, si svolge e si realizza con toni sarcastici ed in un linguaggio visivo flagellante52. Il miracolo clamorosamente falso viene seguito dal regista osservando il comportamento di Marcello, Emma e di Paparazzo. Marcello ha un atteggiamento scettico e indignato, mentre Emma dà alla scena un’interpretazione spiritualistica, invece Paparazzo registra le reazioni fatue e animalesche degli interessati.

51 P. M. De Santi, La dolce vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes, Pisa, Edizioni ETS, 2004, p. 135.

52 B. Rondi, Il cinema di Fellini, P. M. De Santi (a cura di), La dolce vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes, Pisa, Edizioni ETS, 2004, p. 142.

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23 1.3.9 Casa Steiner

Uno stacco ci porta in un ambiente diverso: il salotto di Steiner. La scena si apre con una finta soggettiva. La casa di Steiner ospita gente intellettuale. Per l’occasione Fellini reclutò veri scrittori, pittori, passando per poeti e cantanti. La casa di Steiner è un ambiente confortevole, elegante, tranquillo, di sottile ma non cerebrale intimità di non ostentata cultura. Un ambiente modesto e borghese, arricchito da persone di alto livello intellettuale che non hanno le capacita concrete di costruire un nuovo mondo che tanto attendono. La riunione nel salotto, a cui intervengono Emma e Marcello, rappresenta “la tragica mascherata risonante nello squallore” di un cenacolo d’intellettuali a confronto d’idee: gli uni, rappresentanti del decadentismo, gli altri, rappresentanti del mondo nuovo.

Entrambi i gruppi sono fuori dal mondo53. Steiner invece, non rappresenta né gli uni né gli altri, lui è un personaggio che si distacca dai suoi ospiti, si trova fuori dal tempo già nel futuro. Steiner sembra avere una personalità quasi opposta da quella di Marcello. Tra i due amici c’è un rapporto stretto, e Steiner dà a Marcello un senso di pace e serenità intellettuale. Marcello si sente attratto, e nello stesso tempo prova invidia, per la vita dell’amico, per la sua tranquillità e per la sua famiglia. La serata passata nella casa di Steiner ha risvegliato in Marcello la voglia di continuare a scrivere il suo romanzo. Per il protagonista l’amico rappresenta il mondo benestante della società romana, a cui lui desidera appartenere. Una sequenza che sembra insignificante, ma che nasce dall’esigenza

53 Ivi, p. 146.

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24 del regista di motivare, anticipare alcuni segnali e sintomi che si configureranno più avanti nel film.

1.3.10 Paola

Ancora un altro salto. Fellini ci mostra il protagonista mentre prova a finire il suo romanzo. Un ambientazione diversa con una musica più allegra. Marcello è seduto sulla terrazza di un ristorante di fronte al mare. La scena apre con un litigio telefonico con Emma. Qui conosce Paola, una ragazzina curiosa di sapere del suo lavoro. Questo breve episodio banale e all’apparenza insignificante, acquisterà particolare rilievo nella sequenza finale del film.

1.3.11 L’incontro con il padre

La sequenza che segue presenta un personaggio interessante: il padre di Marcello, alias il padre di Fellini54. L’arrivo del padre apre la scena nella famosa Via Veneto, nei night club e nelle case delle ballerine. Una sequenza strutturata in tre parti. Il prologo caratterizzato dal confronto tra padre e figlio che assume la piega amara dell’incomunicabilità, e la consapevolezza di un’impossibilità di riavvicinamento. I due sono troppo lontani e non c’è altro che l’affetto che si prova un padre. Il centro della sequenza che si svolge in un atto unico, ha come

54 P. M. De Santi, La dolce vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes, Pisa, Edizioni ETS, 2004, p. 151.

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25 ambientazione un locale notturno di secondo ordine, dove il genitore è voluto andare. La scena si apre in modo festoso ponendo l’accento in questo modo il punto di vista del padre che ripensa ai suoi ricordi giovanili. Mentre l’epilogo si svolge a casa della donna con cui il padre di Marcello decide di trascorrere la notte, ma le cose non vanno come le aveva progettate. Infatti, viene colpito da un malore improvviso. Questo episodio segna la fine di ogni rapporto tra i due. La sequenza termina con la visione dall’alto del padre che sale sul taxi e che va via, lasciando quel senso di malinconia che subito viene contrapposto dal caos di via Veneto.

1.3.12 Al castello

Subito prende il via la sequenza che ha destato molto scalpore nell’ambiente cattolico: il festino dei nobili al castello. Proprio per questa scena l’osservatore Romano voleva escludere la visione de La dolce vita a tutti. Al centro della sequenza inserisce l’intrigo sentimentale con Maddalena che costringe il primo attore a un gioco erotico fascinoso e sadico. Dopo un dialogo tra i due, Marcello si unisce agli altri invitati che decidono di andare a spasso nella vecchia villa a caccia di fantasmi. Il senso dell’episodio è un cinico, morto abbandonarsi alla curiosità di un passato, visto nella sua polverosa sfilata di reliquie, da parte di una classe che certamente non appartiene al presente, ma lo sta esurpando55. Una sequenza dall’erotismo più deciso e delirante, così come l’ha definito Brunello

55Ivi, p. 161.

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26 Rondi. Le scene si snodano in maniera rapidissima tra i più estrosi epiloghi erotici del cinema felliniano. La sequenza termina con una riapertura dell’inquadratura sul giardino della villa mentre sorge il sole. Nel palco sfilano due file di nobili che si stanno recando al castello. Mentre camminano a un tratto, incontrano la principessa/madre che si era alzata di buon mattino per recarsi alla messa nella cappella privata. Rondi fa notare la forza del contrasto com’è strutturato: la vecchia generazione che taglia perpendicolarmente la strada ai nipoti e pronipoti degeneri.

1.3.13 La lite tra Emma e Marcello

Una dissolvenza porta all’ennesimo litigio tra Emma e Marcello. La scena si svolge nella macchina ferma in uno dei viali alberati dell’EUR. La notte sta per finire, sta per albeggiare. La sequenza apre al centro di un litigio in cui Emma piange disperatamente, che sfocia in una sequela di pugni, schiaffi e offese56. Qui Fellini getta in faccia allo spettatore la realtà, non la finzione, ed esso arriva a percepirlo 57. Un episodio passato all’inizio un po’ in secondo piano all’attenzione della critica, ma assai per il futuro della filmografia di Fellini58. Il regista sembra sottolineare sempre di più il fallimento dei diversi rapporti di Marcello.

56 Ivi, p. 164

57 Ivi, p. 169

58 Ivi, p. 164

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27 1.3.14 Il suicidio di Steiner

La scena destabilizza lo spettatore, ma ancor prima ha lo scopo di far crollare le certezze che Marcello aveva riposto nell’amico di vecchia data. Un episodio che nessuno si aspetta, tratto da un episodio di cronaca realmente accaduto. Questo gesto produce un vuoto clamoroso che fa cadere il protagonista nella disperazione più nera. Questa fu la vera esigenza, per Fellini, di inserire questo personaggio.

Marcello guardava Steiner come l’unico punto concreto e solido della sua vita.

Nel momento in cui l’amico intellettuale decide di togliersi la vita, provoca nel protagonista la perdita di certezze che riponeva in lui59. La sequenza apre con una telefonata e la corsa di Marcello verso la casa di Steiner. La prospettiva delle scale fissate in immagini di pura vertigine, da a tutto l’episodio la fama di cult movie60. Questo è l’episodio più drammatico di tutto il film. Nella stanza la polizia scientifica rileva tutte le misurazioni tecniche mentre Marcello prende atto del gesto disperato dell’amico che nessuno poteva salvare, perché forse aveva paura di se stesso. Viene ripreso un ambiente esente da interiezioni figurative, ad acquistare rilievo è solo la poltrona in cui giace Steiner, coperto da un lenzuolo.

La stanza viene abbandonata da un carrello indietro, facendo vedere una ambiente coperto di teli destinato ad essere a rimanere chiuso per un po’di tempo. Il tratto più drammatico è lasciato con sagacia al momento in cui l’annuncio della tragedia viene dato per strada alla moglie di Steiner. La calca dei fotoreporter che vuole immortalare il momento della triste notizia, perché per loro è solo un pretesto per rendere pubblica la tragedia.

59Ivi, p. 94.

60Ivi, p. 168.

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28 1.3.15 Il festino dei nobili

Il racconto procede con una forza quasi selvaggia, nel ritmo infernale dell’orgistica notte di Fregene. Il film, qui, si scarica in pura follia visionaria, in un delirio ritmico e frantumato, reso frenetico dall’esasperato e allucinante rullo di tamburi adottato come commento musicale di questo trionfo della dissoluzione, di questa macabra allegoria del disgusto61. Come rileva Rondi, gli elementi significativi di questo episodio una forte dose di masochismo e sadismo. Elementi che ritroviamo in ogni gesto di Marcello. Una scena studiata nei minimi dettagli, che raggiunge una perfetta armonia tra il ritmo delle immagini, la loro esaltazione visionaria, la ricchezza di riferimenti nel corpo di ogni inquadratura costituisce il coronamento finale del film. Si capovolgono i valori, mostrando il degrado del protagonista che arriva quasi alla perversione, festeggiando l’annullamento di un matrimonio62.

1.3.16 Sequenza finale

Il film termina con la scena del “pesce mostruoso”. La sequenza si apre in dissolvenza che riprende la sfilata degli ospiti mentre escono dalla villa. Una lenta carrellata riprende Marcello mentre insieme ai nobili, mentre si dirige verso la spiaggia dove si era schiantato un pesce. L’animale mostruoso non è altro che il riflesso simbolico della società dei viziosi. Il film ha una conclusione amara.

61Ivi, p. 171.

62 Ivi, p. 172.

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29 Marcello incontra di nuovo Paola la ragazza che ammirava tanto il suo lavoro. I due si salutano e provano a comunicare tra il fragore del mare e del vento. Il film finisce sul primo piano di Paola che guarda con fiducia, simpatia e speranza Marcello che torna in mezzi ai mostri63. Avvolto dal rumore assordante che richiama la sequenza iniziale.

1.3.17 Osservazioni finali

La dolce vita è la storia di un grande affresco della Roma degli anni Sessanta, vista dal protagonista, Marcello, in un momento della sua vita in cui è colto da una profonda crisi di identità64. Nulla è lasciato al caso. La sceneggiatura appare molto complessa e a volte risulta stranamente sfumata e generica e forse fu per questo che Fellini fu più volte accusato di scarsa coscienza delle esigenze produttive, di confusione mentale, e di malafede artica65. Spesso arricchiva un soggetto anche nel corso di una ripresa, tutti i consigli dovevano essere eseguiti senza alcuna imprecisione. Quindi durante la messa in opera della pellicola, il regista riminese, inventò delle battute, dei personaggi e dei movimenti nell’atto stesso di girare o poco prima, così da riuscire ad arrivare alla maturazione di un processo più complesso. Tutto ciò che Fellini aggiunse durante le riprese del film non fu mai causale. Un opera cinematografica che fece tanto parlare di se. Quando uscì nelle sale cinematografiche, fu tanta la polemica, la curiosità, l’attesa. La

63 B. Rondi, Il cinema di Fellini, P. M. De Santi (a cura di), La dolce vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes, Pisa, Edizioni ETS, 2004, p. 177.

64 A. Arpa, La dolce vita. Cronaca di una passione, Roma, Edizioni Sabinae, 2010, p. 41.

65 T. Kezich, Su La dolce vita con Federico Fellini. Giorno per giorno la storia di un film che ha fatto epoca, Venezia, Marsilio, 1996, p. 81.

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30 pellicola fu disinganno per alcuni ed entusiasmo per altri66, e molto discussa ancor prima dell’avvio delle riprese. Solo oggi il film viene visto, proprio come l’aveva pensato e ideato lo stesso regista, ma in quel periodo fu definito osceno e oltraggioso, arrivando a chiederne l’immediato ritiro dalle sale cinematografiche.

Non tutti erano contro, c’era chi aveva applaudito al nuovo film di Fellini, nel quale vedevano un ritratto fedele, uno specchio della decadenza e della corruzione morale della borghesia italiana. Questa contrapposizione dei punti di vista dell’opinione pubblica favorì film una pubblicità vastissima e gratuita67. L’opera cinematografica riscosse un successo commerciale senza precedenti. La stampa affermò che fu la pellicola con maggiore incasso, sul mercato italiano del secondo dopoguerra68. Questa è una pellicola, in cui troviamo tutti gli ingredienti principali delle opere di Fellini, l’occhiata ironica e scompigliata su un mondo probabilmente inesistente o già morto, ma che esisteva tra le pagine dei rotocalchi di quel periodo69. Infatti, all’interno del lavoro sono presenti continui riferimenti ai servizi fotografici e di cronaca degli ultimi mesi, ponendo lo spettatore in un punto di riflessione. La dolce vita è un film nato dalla cronaca, e che nella cronaca si prolunga70. Questo lavoro non segnò solo la carriera di Fellini, ma anche tutta un’epoca del cinema italiano.

La dolce vita è un film che lascia con la voglia di nuovi propositi. Un film che da coraggio, nel senso di saper guardare con occhi nuovi la realtà e non lasciarsi ingannare dai miti, superstizioni, ignoranza, bassa cultura, sentimentalismo. È un

66 C. G. Fava e A. Viganò, I film di Federico Fellini, Roma, Gremese Editore, 1995, p. 92.

67P. Bondanella, Il cinema di Federico Fellini, Rimini, Guaraldi, 1994, pp. 144-145.

68 P. M. De Santi, La dolce vita. Scandalo a Roma, Palma d’oro a Cannes, Pisa, Edizioni ETS, 2004, p. 95.

69C. G. Fava e A. Viganò, I film di Federico Fellini, Roma, Gremese Editore, 1995, p. 14.

70T. Kezich, Su La dolce vita con Federico Fellini. Giorno per giorno la storia di un film che ha fatto epoca, Venezia, Marsilio, 1996, p. 113.

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31 film leale71. Lo stesso regista affermò, parlando della sua opera cinematografica, che era uno strano film, il più difficile che avesse immaginato fino a quel momento. «La dolce vita andrebbe proiettato tutto insieme in un’enorme inquadratura». Inoltre ha spiegato come il film non pretendeva di denunciare, ma

«vuole mettere il termometro a un modo malato, che evidentemente ha la febbre»72.

1.4 Roma

Un altro molto importante per la formazione professionale di Federico Fellini è Roma. Questo film è una sorta di compendio dei rapporti del regista con

“l’esterno”, con il “resto” del mondo73. La pellicola è il ritratto fantastico e variegato di Roma. Il racconto parte da Rimini, passa da Firenze per poi arrivare a Roma, attraverso dei ricordi di un ragazzo che arriva nella capitale poco prima del secondo conflitto mondiale. Fellini, in questo suo lavoro, è come se volesse continuare a raccontarci di un paese complesso e contradditorio. Il film presenta dei continui e lunghi flash back senza alcuna connessione tra loro se non quella dello spirito, della memoria del regista. L’opera cinematografica è la continua mescolanza di splendida “invenzione”, e di marginale e non riuscitissima intenzione documentaria. In questa pellicola, Fellini manifesta il suo vero amore nei confronti di Roma, una città che gli ha dato molto, in cui il cinema gli si è

71T. Kezich, Su La dolce vita con Federico Fellini. Giorno per giorno la storia di un film che ha fatto epoca, Venezia, Marsilio, 1996, p. 160.

72Ivi., p. 23.

73 C. G. Fava e A. Viganò, I film di Federico Fellini, Roma, Gremese Editore, 1995, p.137.

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32 rivelato. Roma è forse il film più autobiografico di Fellini. Il regista romagnolo, con quest’opera ha voluto realizzare un documentario-simbolo, per cercare di dare un quintessenza di Roma74. Qui il regista riminese vede la città con occhio spietato, anche se gli piace moltissimo e crede di non potere vivere in un altro luogo75. La città viene vista come un essere umano, suscettibile di mille definizioni diverse.

Come una splendida donna , anzi una serie di donne. C’è in lei l’aspetto materno e quello dell’amante; alle volte è fresca come una bambina appena uscita dalla prima comunione. Talvolta è cupa, torva, bisbetica. Una città come Roma possiede ogni età e ogni aspetto contemporaneamente, e, a seconda del nostro stato d’animo, vi si adatta76.

Nel film la capitale viene vista con gli occhi di un provinciale, che scruta non i vari ambienti della città ma anche chi la vive. Un lavoro che segna un altro tassello nella sua maturazione artistica. Il film viene girato dopo dieci anni dalla La dolce vita, ed è un continuum della società romana degli più duri per gli italiani. Cambiano i personaggi e gli ambienti, infatti al posto di Via Veneto, viene ritratto il Grande Raccordo Anulare, non raffigurando più solo la società

“in” di quel periodo. In Roma parecchie cose sono rimaste fuori dalla sceneggiatura, tra cui la sequenza sul cimitero del Verano, che Fellini voleva inserire perché credeva che la morte per i romani fosse un aspetto familiare.

74 B. Zapponi, Roma di Federico Fellini,Bologna, Editore Cappelli, 1972, p.13.

75 Ivi p. 138.

76 Ivi, p.23.

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33 1.4.1 La trama

La pellicola è ambientata nei primi anni trenta, a Rimini. La storia gira intorno ad un ragazzo ospite di un collegio di religiosi e immagina Roma descritta dai suoi insegnanti e dalla retorica del regime fascista. Sono continui i salti che portano il giovane ragazzo di provincia a osservare la grande capitale. Nel 1939, a venti anni, parte per la capitale e scopre il suo vero volto, i piccoli personaggi di una pensione popolare, le trattorie all'aperto, i bambini nelle strade. Poi si passa al 1972, agli ingorghi del raccordo anulare, con Fellini che gira un film in una città colma di turisti, tra i giovani che lo rimproverano per il suo disinteresse per la politica. Torna alla memoria l'immagine di un teatrino d'avanspettacolo rionale, con il pubblico vociante in fuga per un allarme aereo. Poi la scena si sposta nella galleria della metropolitana in costruzione, quando la scoperta di reperti archeologici fa sospendere i lavori. Quindi gli hippie di Piazza di Spagna, e la fauna variegata dei frequentatori, ricordo ormai lontano, dei bordelli degli anni quaranta. C'è anche una sfilata di moda ecclesiastica, la "festa de no antri" a Trastevere, la confusione generale, con la polizia che manganella e i motociclisti rombanti nella notte77. Una sceneggiatura complessa che fa vedere la città in tutte le sue sfumature e in tutti i suoi ambienti.

77 Fondazione Fellini Cineteca comunale, www.federicofellini.it, Comune di Rimini.

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34 1.4.2 Osservazioni finali

Con questo film Federico Fellini racconta cos’è per lui Roma. La capitale, la città che lo ha adottato, per il regista riminese, è un luogo che permette ogni tipo di speculazione verticale, e allo stesso tempo è un città orizzontale, divenendo la piattaforma ideale per dei voli fantastici78. Gli intellettuali, gli artisti, vivono in uno stato di dissidio fra la fantasia e la dimensione reale. Il regista vede la sua città adottiva come una madre ideale, perché indifferente. Una madre che ha troppi figli e non può dedicarsi ad ognuno di loro, non chiede nulla e non si aspetta niente79 e non ti obbliga a comportarti bene. Fellini per la realizzare questo film ha analizzato la città caput mundi, in tutti i suoi aspetti, arrivando a scrutarla come da uno straniero, cercando di liberarsi di tutto ciò che lo poteva influenzare.

Il regista riminese vedeva Roma come una città vicinissima, ma allo stesso tempo lontana come in un altro pianeta80. Da queste contraddizioni si sviluppa la pellicola. Per Fellini la sua capitale impediva la vera maturazione di chi la viveva.

Il regista l’ha definita come una città di bambini svogliati, scettici e maleducati, anche un po’ deformati, psichicamente, giacché impedire la crescita è innaturale81. L’impressione è che questa città, sembra a volte abitata da un ignorante che non vuole essere disturbato e che è il più esatto prodotto della Chiesa. Un essere umano che vuol bene alla famiglia e che crede che si può vivere solo in un modo82. Fellini in Roma rappresenta i vari ceti della società, e ne viene fuori un’atmosfera di un minestrone, incoraggiata dalla Chiesa, ritenuta dal regista

78 F. Fellini, Fare un film, Torino, Einaudi, 1980, p. 144

79 Ivi.

80 Ivi, p. 148.

81 Ivi, p. 145.

82 Ivi, p. 146.

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35 l’unica responsabile di questo tipo di società. Il regista riminese quasi si rimprovera di non essere riuscito a ritrarre l’aspetto magico della città.

In questo film provo la strana sensazione di non aver neppure sfiorato l’argomento. La materia non solo si è logorata, ma neppure è stata intaccata. Roma, insomma è rimasta immacolata, totalmente estranea al mio film su di lei83.

Fellini ha lavorato molto su questo film ed ha cerato di esaurire totalmente i rapporti con la città, e di neutralizzare le prime emozioni e i primi ricordi riguardanti il suo arrivo nella grande metropoli.

1.5 Tra censura e critica

La dolce vita è un film che ha segnato il cambiamento del cinema di Federico Fellini, che ha suscitato molto scandalo nella collettività, ma che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes. Il film esce in un periodo in cui l’azione repressiva si scaglia contro la libertà di informazione e pensiero, prendendo di mira nono solo la letteratura ma anche le arti figurative. In questo clima moralistico e in un contesto di inibizione del processo di democratizzazione del paese si pone l’attacco contro il cinema, sul quale la censura inferisce con particolare accanimento, concentrando sempre più le proprie forze. Così facendo invasero ampi settori della vita sociale e culturale del paese, travolgendo idee, pensieri e

83 Ivi, p. 150.

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