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Le sanzioni previste amministrative, ed a seconda della gravità, anche penali hanno riflessi sia sull’impresa che sull’individuo che risulta responsabile di tali azioni dannose.

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INTRODUZIONE

Con l’avanzamento tecnologico gli scambi informativi sono sempre più veloci e fanno sì che i mercati diventino sempre più complessi per essere in linea con i bisogni del consumatore. Lo scambio di informazioni “sbagliate” può diventare un ostacolo alla libera concorrenza.

La normativa antitrust è chiara: le intese restrittive della concorrenza e gli abusi di posi- zione dominante posti in essere dalle imprese saranno sanzionati poiché vincolano la libera concorrenza sul mercato.

Le sanzioni previste amministrative, ed a seconda della gravità, anche penali hanno riflessi sia sull’impresa che sull’individuo che risulta responsabile di tali azioni dannose.

Per quanto riguarda l’Italia, nel corso del 2014 l’ Autorità italiana garante della concorrenza e del mercato (AGCM), nel comunicare i criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative, ha stabilito una circostanza attenuante: l’adozione ed il rispetto da parte dell’impresa di un Programma di Compliance Antitrust in linea con le best practies europee e nazionali (tra cui le Linee Guida dell’International Chamber of Commerce e le Linee Guida Confindustria per la compliance Antitrust delle imprese).

Questo lavoro è costruito su tre capitoli. Purtroppo non è stato possibile analizzare un caso aziendale specifico, che potrebbe essere stato una guida per lo sviluppo tecnico del presente lavoro. Ma è stato possibile riportare casi reali grazie alle delibere dell’AGCM disponibili sul sito istituzionale, oltre ad altri esempi specifici presenti sui siti di alcune imprese.

Nel primo capitolo effettueremo un inquadramento teorico dell’Enterprise Risk Management, spiegando il ruolo della compliance nell’ambito Risk Assessment, fino ad approfondire il rischio di compliance antitrust e le relative normative di riferimento.

Nel secondo capitolo, invece, approfondiremo le tre dei principali attività aziendali sensibili alla normativa antitrust per meglio comprendere gli ambiti in cui la compliance antitrust deve essere attiva.

Nel terzo capitolo entreremo nel vivo di questa trattazione. Analizzeremo nel dettaglio il

Programma di Compliance Antitrust: costruzione, aggiornamento e monitoraggio.

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Per quanto riguarda aggiornamento e monitoraggio approfondiremo gli aspetti relativi alle modalità e alle implicazioni ad essi connessi.

Valuteremo il ruolo dei codici di condotta e etico come strumenti di diffusione della cultura della compliance antitrust.

Infine constateremo come il Programma di Compliance Antitrust si integra nell’ERM ed in particolare, quale ruolo di monitoraggio è attribuito nel sistema di controllo interno attraverso lo studio del Three Lines Of Defence Model.

Cercheremo, quindi, di spiegare come avviene l’integrazione del Programma nell’Enterpriese Risk Management, di valutare come questo strumento venga utilizzato dalle imprese e di comprendere il ruolo che la funzione compliance antitrust si inserisce nell’organizzazione preesistente.

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Capitolo Primo

IL RISCHIO DI COMPLIANCE NELL’ENTERPRISE RISK MANAGEMENT

Tutte le aziende oggi stanno cercando di introdurre un modello di gestione dei rischi, sia per prevenirli che per arginarne gli eventuali danni.

Nelle piccole e medie imprese tale modello può non essere formalizzato ma sempre più aziende si stanno conformando, spinte soprattutto dalla disciplina dell’ex D.Lgs.

231/2001.

Le grandi imprese e le multinazionali, generalmente, sono dotate di un Sistema di Controllo Interno che ha come obiettivo e priorità il governo dell'azienda attraverso l'individuazione, valutazione, monitoraggio, misurazione e gestione di tutti i rischi d'impresa, coerentemente con il livello di rischio scelto/accettato dal vertice aziendale.

1.1. L’Enterprise Risk Management

Nell’ambito del Sistema di controllo interno, l’Enterprise Risk Management si occupa di guidare i manager nella valutazione e nel miglioramento della gestione del rischio aziendale attraverso un modello integrato che intende comprendere tutti i rischi aziendali:

1. Rischio strategico: riguarda il rischio per l’azienda di non riuscire a creare valore nel medio lungo termine, è il rischio che riguarda i fattori macro dell’ambiente che circonda l’impresa inclusa la sua competitività sul mercato;

2. Rischio operativo: riguarda i fattori che portano al peggioramento di efficacia, efficienza ed economicità dei processi operativi sia gestionali che finanziari;

3. Rischio di reporting: riguarda il rischio del report e le informazioni in esso contenute non siano accurate, tempestive, rilevanti, aggiornate, controllabili, confrontabili, selettive.

4. Rischio di compliance: riguarda il rischio che l’azienda volontariamente o involontariamente non sia conforme alle normative e regolamenti e, conseguentemente crei un danno economico a sé stessa.

Il tema della gestione del rischio nell’ambito nella Corporate Governance, soprattutto

negli ultimi 20 anni, si è trasformato nella necessità di disporre di un valido modello di

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riferimento per identificare, valutare e gestire gli eventi ed i loro potenziali impatti in modo efficace, al fine di gestire tutte le tipologie di rischio in modo integrato.

L’Enterprise Risk Management nasce a fronte di questa necessità, è stato definito per la prima volta dal Committee of Sponsoring Organizations della Treadway Commission (COSO) istituita su iniziativa del settore privato americano che, sulla spinta dei drammatici eventi del settembre 2001 e del periodo di scandali finanziari e dei clamorosi fallimenti, sviluppò l’Enterprise Risk Management – Integrated Framework.

L’Enterprise Risk Management Framework del COSO Report, hanno ispirato l’evoluzione di tutti modelli e sistemi di controllo interno degli ultimi anni tra cui, il modello di riferimento definito dal Comitato di Basilea, il Codice di Autodisciplina per le società quotate in Borsa (“Codice Preda”), il modello organizzativo richiesto ai sensi del D.Lgs. 231/2001 (responsabilità amministrativa e penale delle società per reati compiuti nel loro interesse o vantaggio da amministratori, apicali o loro sottoposti), i controlli per il contingency management e, ovviamente, per la business continuity, a protezione di tutte le tipologie di rischio rilevanti per l’impresa.

Esistono diverse best practice, framework e standard di Enterprise Risk Management.

COSO ne è un esempio, la ISO 31000, più recente, ne è un altro.

La ISO 31000 si propone come una linea guida piuttosto che come uno standard finalizzato ad una certificazione. La ISO recepisce molti dei principi dell’ERM contenuti nel COSO. Gli elementi chiave dei tre capitoli su cui si incardina la ISO sono:

i principi, il framework, i processi.

Figura 1 - Framework ERM

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Figura 2- Process frame ISO 31000

Il successo dell’ERM, dipende prima di tutto dall’allineamento con gli obiettivi strategici con le azioni operative del management e in secondo luogo dall’allineamento delle funzioni di assurance che insieme al Chief Risk Officer (CRO), laddove istituito, devono garantire un’efficace ed organico sistema di monitoraggio per l’identificazione delle aree di sofferenza e di miglioramento: Audit (interno od esterno), Consiglio di Amministrazione, Organismo di Vigilanza, Dirigente preposto, Collegio sindacale, Inform on Security, Safety.

Essendo l’ERM un sistema profondamente radicato in tutti i livelli organizzativi, assume particolare importanza il coinvolgimento ed il sostegno delle funzioni Risorse Umane ed Organizzazione e il loro contributo attivo è fondamentale nella revisione ed integrazione degli assetti organizzativi, delle mansioni, delle politiche aziendali per la gestione dei rischi.

Tenendo presente questa prima introduzione dell’ERM, il nostro obiettivo principale approfondire uno dei quattro macro rischi che questo modello propone di gestire: il rischio di compliance. All’interno del rischio di compliance andremo ad analizzare ed approfondire il rischio di compliance antitrust alla luce delle nuove normative e linee guida redatte al fine di supportare le aziende nella creazione e costruzione del Programma di Compliance Antitrust (ACP - Antitrust Compliance Program).

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1.2. Il rischio di compliance e la funzione compliance

In Italia il legislatore ha provveduto nel tempo ad introdurre sempre più obblighi relativi al sistema di controllo interno e anche le modalità di gestione dei rischi aziendali. Tra i testi normativi più importanti ricordiamo:

• il Testo Unico della Finanza (D.Lgs. 58/1998) e le successive modifiche e integrazioni (es. L. 262/2005) nel quale viene specificato che nella relazione sulla gestione allegata al bilancio:

– sia data informativa dei principali rischi e incertezze (art. 154 ter);

– sia data informativa sulle principali caratteristiche dei sistemi di gestione dei rischi e di controllo interno esistenti in relazione al processo di informativa finanziaria (art. 123 bis).

• il Codice Civile che all’art. 2428 stabilisce che il bilancio debba “essere corredato da una relazione degli amministratori contenente [...] una descrizione dei principali rischi e incertezze cui la società è esposta”.

E per quanto riguarda la gestione dei rischi finanziari, l’articolo precisa che

“dalla relazione devono in ogni caso risultare [...] in relazione all'uso da parte della società di strumenti finanziari e se rilevanti per la valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell'esercizio:

– gli obiettivi e le politiche della società in materia di gestione del rischio finanziario, compresa la politica di copertura per ciascuna principale categoria di operazioni previste;

– l'esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al rischio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi finanziari”.

• Il D.Lgs. 39/2010, intervenuto sul Codice Civile, prevede inoltre che il collegio sindacale vigili sull'efficacia dei sistemi di controllo interno e di gestione del rischio.

• Il D.Lgs. 231/2001 (“Disciplina della responsabilità amministrativa delle

persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità

giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”),

introducendo, come ormai sappiamo, la responsabilità amministrativa e penale

degli enti. Questo decreto ha contribuito a promuovere processi di

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identificazione e valutazione del rischio di commissione di specifiche fattispecie di reato e soprattutto una cultura di risk management a tutti i livelli aziendali.

• Il D.Lgs. 81/2008 (“Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”) e il D.Lgs. 196/2003 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”) che contengono riferimenti, seppur minori, alla gestione dei rischi e ribadiscono la centralità dei processi di identificazione e valutazione dei rischi.

Una definizione di rischio di non conformità (o rischio di compliance) è data dall’ISVAP nel Regolamento n.20 del 2008 all’art. 18 comma 2: “il rischio di incorrere in sanzioni giudiziarie o amministrative, subire perdite o danni reputazionali in conseguenza della mancata osservanza di leggi, regolamenti o provvedimenti delle Autorità di vigilanza ovvero di norme di autoregolamentazione, quali statuti, codici di condotta o codici di autodisciplina”.

La definizione rileva due componenti fondamentali della non conformità: quello regolamentare e quello reputazionale.

La componente reputazionale è solo una conseguenza della non conformità regolamentare ma non può essere trascurabile. Oltre al danno amministrativo o giudiziario, la reputazione negativa in molti casi può costituire la fine della vita dell’azienda.

La funzione compliance gestisce il rischio di non conformità alle normative, ecco perché la gestione del rischio è integrata al modello globale dell’Enterprise Risk Management.

Introdurre un modello di gestione dei rischi è necessario per aumentare la probabilità di raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione creando sistemi efficaci di prevenzione e fronteggiamento degli eventi rischiosi e ridurre le perdite che l’organizzazione può subire da rischi non gestiti.

Proprio per la sua importanza, la funzione compliance, adotta tecniche condivise con gli Internal Auditors aziendali e dell’O.d.V. (Organismo di Vigilanza ai sensi della Legge 231/2001) per la valutazione del grado di esposizione dell’impresa al rischio di compliance, mentre per l’analisi di eventi di non conformità verificatesi si coordina con la funzione di Risk Management.

Possiamo, quindi affermare che la funzione compliance svolge un ruolo complementare

rispetto al sistema di gestione dei rischi soprattutto in un’ottica preventiva.

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La funzione compliance si pone come intermediario fra gli organi di corporate governance e l’organizzazione stessa con lo scopo di evitare il rischio di non conformità dei comportamenti di impresa alle norme e di suggerire gli opportuni interventi correttivi.

Alla Funzione Compliance è affidato il compito prevenire i disallineamenti tra le procedure aziendali e l’insieme delle regole interne ed esterne all’azienda, assistere le strutture aziendali nell’applicazione delle Norme, predisporre interventi formativi per adeguare le procedure interne dei dipendenti e dei collaboratori alle Norme, coordinare e garantire l’attuazione degli adempimenti richiesti dalle Norme, segnalare le più recenti novità normative al fine di aggiornare periodicamente la documentazione in essere presso l’azienda, risolvere situazioni di discordanza tra le Norme in vigore e le specifiche realtà operative dell’azienda, assicurare le relazioni con le Autorità ed Organi di Controllo interni ed esterni.

Rispetto alle imprese ed in base a quanto stabilito da Basilea II e Solvency II, a seguito degli scandali e fallimenti in ambito finanziario è stato previsto che banche, intermediari finanziari e compagnie assicurative, nominino in via prudenziale la funzione compliance. In questo ambito la funzione compliance svolge un ruolo complementare rispetto al sistema di gestione dei rischi. Infatti, tale la funzione deve essere istituita obbligatoriamente nelle banche, dagli intermediari che offrono servizi di investimento e servizi assicurativi

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L’esperto di Compliance è colui che cura e consolida l’immagine aziendale dal punto di vista della correttezza delle procedure e del rispetto delle norme. Il fine è quello di far sì che l’azienda non sia soggetta sanzioni che potrebbero danneggiare la reputazione dell’azienda nei confronti dei clienti, dei partner e di tutti gli stakeholders in generale.

Questo significato ultimo di Compliance vale soprattutto in quegli ambiti di business nei quali la fiducia è un elemento imprescindibile per la transazione.

Ciò che differenzia la funzione Compliance da quella dell’Internal Audit è il fatto che quest’ultimo si focalizza sul monitoraggio dell’intero Sistema di Controllo Interno mentre la funzione compliance è focalizzata, appunto, sul rispetto delle normative.

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La Banca d'Italia il 12 luglio 2007 nelle "Disposizioni di Vigilanza - La funzione di conformità (compliance)" da disposizione alla funzione compliance negli istituti di credito; la CONSOB (congiuntamente a Banca d'Italia) il 29 ottobre 2007 nel "Regolamento in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio"

da disposizioni in merito alla funzione compliance per gli intermediari di investimento e risparmio; l’ISVAP il 26 marzo 2008 nel

"Regolamento N. 20 recante disposizioni in materia di controlli interni, gestione dei rischi, compliance (…)" da indicazioni in merito alla funzione compliance nelle società assicurative.

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Le due figure appena introdotte in un primo momento possono sembrare equivalenti.

Certo è che le società possono scegliere configurazioni più o meno miste delle due figure in base alle proprie possibilità organizzative.

Effettuando un’adeguata analisi è possibile individuare le attività svolte dalle due funzioni e trovarne le sostanziali differenze.

Attività di consulenza

L’Internal Auditor svolge la propria attività di consulenza proponendo soluzioni idonee a garantire il superamento dei punti di debolezza del Sistema di Controllo Interno.

Svolge la sua attività sia nel momento in cui emergono disallineamenti tra il Sistema dei Controlli Interni e il modello di business e di governo adottato dall’azienda, sia nella fase di revisione dei processi e delle procedure, garantendo coerenza e linearità all’intero impianto dei controlli a protezione dei rischi.

Nel caso della Funzione Compliance, invece, l’attività di Consulenza riguarda la rispondenza dei processi ai procedimenti normativi, ai principi e ai valori promossi dall’azienda, è rappresentata dalla legittimità stessa delle procedure aziendali.

Assurance dell’assetto organizzativo

L’Auditor valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo relativamente ai requisiti previsti per il ‘buon funzionamento’ dell’azienda mentre la Funzione Compliance ne verifica la conformità in base alle normative di riferimento, con l’obiettivo di salvaguardare l’organizzazione da eventuali conflitti di interesse che dai compiti assegnati alle singole unità organizzative.

Assurance del sistema delle deleghe e dei poteri

L’Internal Audit valuta la corrispondenza del sistema delle deleghe e dei poteri in base a ciò che è stato deliberato dal Consiglio di Amministrazione o dalla Capogruppo, verifica che la distribuzione dei ruoli e delle responsabilità non determini duplicazioni, sovrapposizioni od omissioni di compiti.

La Funzione Compliance, in questo caso invece, valuta che l’allocazione delle deleghe e

dei poteri garantisca l’esercizio delle responsabilità attribuite dalle normative di

riferimento a specifici soggetti o a specifiche funzioni aziendali nonché un idoneo

presidio dei conflitti di interesse, riguardanti sia le risorse all’interno delle diverse unità

organizzative che i singoli esponenti aziendali.

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Assurance del sistema dei controlli interni

La Funzione di Internal Audit analizza, come già detto, l’adeguatezza del sistema di controllo interno, relazionando periodicamente all’Alta Direzione e agli Organi Societari sugli esiti delle attività svolte e proponendo soluzioni di miglioramento;

provvedendo, inoltre, a valutare il funzionamento di tutti gli attori del sistema stesso, inclusa la Funzione Compliance.

La Funzione Compliance effettua e aggiorna periodicamente la mappatura dei rischi di non conformità e reputazionali emergenti dai processi/prodotti, tenendo il passo con l’evoluzione del modello di business aziendale, l’introduzione di nuove normative e l’aggiornamento di quelle vigenti, nonché all’adozione di norme di autoregolamentazione e di codici di condotta.

Assurance dei modelli di gestione del rischio

L’attività di Assurance dell’Internal Auditor si focalizza su tutti i modelli di gestione del rischio adottati dall’azienda allo scopo di verificarne il corretto ed efficace funzionamento incluso quello di Compliance, con lo scopo di assicurare che il modello adottato consenta al management un’efficace gestione dei rischi.

La Funzione Compliance progetta e provvede all’aggiornamento del modello di gestione del rischio relativo ai rischi di non conformità e reputazionali, adottato coerentemente con le strategie e l’operatività aziendale valutando, inoltre, la concordanza alla normativa, anche degli altri modelli di gestione dei rischi adottati dalla società.

Assurance dei processi

L’attività di Assurance svolta dall’Internal Audit riguarda principalmente al miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza dell’organizzazione attraverso la valutazione dei processi aziendali con l’obiettivo di fornirne una valutazione di affidabilità sul Sistema di Controllo.

La Funzione Compliance svolge l’attività di assurance dei processi in modo continuo ed

in particolare ne identifica costantemente le norme applicabili, ne valuta la loro

integrazione nei processi e nelle procedure aziendali, garantendone la corretta

applicazione e valutandone l’impatto.

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Assurance delle procedure aziendali

Nelle fasi di disegno e ridisegno delle procedure aziendali l’Internal Audit svolge un ruolo attivo, fornendo stime nell’applicazione dei principi di controllo e nell’analisi dei processi e dei rischi senza, però, essere chiamato alla redazione delle procedure aziendali. In base agli interventi di verifica effettuati può raccomandare azioni di miglioramento sui presidi di controllo formalizzati nelle procedure aziendali.

La Funzione Compliance garantisce che le procedure organizzative contengano le indicazioni necessarie a prevenire la violazione delle normative esterne che quelle di autoregolamentazione.

Assurance dei sistemi aziendali di reporting e informativa

La Funzione di Internal Audit ha il compito di valutare l’adeguatezza dei sistemi informativi aziendali e l’affidabilità delle informazioni disponibili rispetto alla complessità del contesto operativo, alla dimensione e all’articolazione territoriale dell’impresa e verifica che non sussistano potenziali minacce al sistema organizzativo adottato.

La Funzione Compliance valuta la conformità del reporting e dell’informativa aziendale con riferimento alla sua idoneità a rispondere ai requisiti normativi vigenti o alle disposizioni interne stabilite dall’azienda, anche in termini di contenuti e tempistica.

Identifica, inoltre, le norme applicabili dalla società e si assicura che le stesse siano state correttamente recepite nelle procedure aziendali di reporting e di produzione dell'informativa.

Assurance delle attività di controllo e di verifica

La Funzione di Internal Audit esplica le proprie attività di verifica con interventi sul sistema dei controlli, con lo scopo di valutare la rischiosità intrinseca di particolari aree di attività.

La Funzione Compliance svolgere l’attività di monitoraggio continuo dei processi e

nelle procedure di mitigazione dei rischi di non conformità e reputazionali.

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1.3. Il contesto normativo

È importante individuare, prima di procedere con l’argomentazione fondamentale di questo lavoro, il quadro normativo di riferimento e i testi che fungono da linea guida a chi ha il compito di sviluppare un Programma di Compliance Antitrust.

È noto che la norma principale italiana che regola la disciplina antitrust è la Legge 10 Ottobre 1990, n.287.

Essa rappresenta la prima Legge in Italia che provvede a disciplinare le norme per la tutela della concorrenza e del mercato e degli organi preposti a farne da garante.

Questa norma si articola in cinque titoli (inizialmente erano sei ma un titolo è stato integralmente abrogato con il Testo Unico in materia bancaria e creditizia – D.Lgs.

385/1993).

Di seguito si approfondiremo la Legge 287/90, elencandone i Titoli, i Capi e gli articoli e, dove utile ai nostri fini, commenteremo ed approfondiremo quanto stabilito dalla Legge.

Il Titolo I tratta le “Norme sulle intese, sull’abuso di posizione dominante e sulle operazioni di concentrazione”. In questo titolo vengono definite tutte le situazioni oggettive che generano una limitazione della libera concorrenza.

Art. 1 Ambito di applicazione e rapporti con l’ordinamento comunitario

In questo articolo si fa espresso riferimento agli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e al rispetto dei principi dell’ordinamento della Comunità europea in materia di concorrenza.

Art. 2 Intese restrittive della libertà di concorrenza

L’articolo definisce le intese restrittive e ne definisce gli aspetti vietati

1. Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari.

2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:

a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero

altre condizioni contrattuali;

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b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;

c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

d) applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;

e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi.

3. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.

Art. 3 Abuso di posizione dominante

1. È vietato l'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato:

a) imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;

b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori;

c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;

d) subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi.

Art. 4 Deroghe al divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza

È stabilito che possono essere autorizzate dall’AGCM, per un periodo limitato, intese vietate purché generino dei miglioramenti delle condizioni di offerta sul mercato. Questi miglioramenti devono portare un beneficio ai consumatori ma mantenendo la concorrenzialità tra imprese sul piano internazionale. La restrizione può avvenire solo per le finalità stabilite e non ne deve risultare l’eliminazione della concorrenza da buona parte del mercato.

Infatti, in caso di abuso dell’autorizzazione da parte dell’impresa l’Autorità garante può

revocare attraverso una diffida tale autorizzazione.

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Art. 5 Operazioni di concentrazione

L’articolo definisce quando si realizzano le operazioni di concentrazione:

a) quando due o più imprese procedono a fusione;

b) quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un'impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente od indirettamente, sia mediante acquisto di azioni o di elementi del patrimonio, sia mediante contratto o qualsiasi altro mezzo, il controllo dell'insieme o di parti di una o più imprese;

c) quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un'impresa comune.

Art.6 Divieto delle operazioni di concentrazioni restrittive della libertà di concorrenza Sono vietata quelle operazioni di che comportano la formazione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale eliminando o riducendo in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Queste operazione sono soggette a comunicazione come previsto al successivo art. 16.

Art. 7 Controllo

Questo articolo definisce la posizione di controllo ai fini della rilevazione della posizione dominante.

Un’impresa o una persona detengono la posizione di controllo, come previsto anche dall’articolo 2359 del Codice Civile, quando:

1) La società detiene la maggioranza dei voti in assemblea ordinaria di un’altra società;

2) La società detiene un numero di voti tali da avere un’influenza sufficiente in assemblea ordinaria di un’altra società;

3) La società ha un’influenza dominante su un’altra società per effetto di vincoli contrattuali.

Quindi, generano una posizione di controllo quando una società detiene diritti di proprietà o di godimento sul patrimonio di un’altra società o comunque vi sono in essere altri diritti o contratti che possano influenzare le decisioni degli organi di controllo dell’altra società.

Art. 8 Imprese pubbliche e in monopolio legale

Le disposizioni contenute negli articoli precedenti non si applicano a quelle “imprese

che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico

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generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati”.

Quindi, le imprese pubbliche e a prevalente partecipazione non sono escluse dalla normativa sulla concorrenza. Ne sono escluse solo quelle per cui la legge lo prevede espressamente.

Art. 9 Autoproduzione

Quando un bene o un servizio è assegnato per riserva di legge a un ente pubblico del monopolio su un mercato o ad un’impresa incaricata, questo può essere comunque prodotto dai terzi per uso proprio, della società controllante e delle controllate.

Il Titolo II si concentra sull’ “Istituzione e compiti dell’autorità garante della concorrenza”. Questo titolo istituisce l’AGCM, ne definisce i poteri, i compiti e il funzionamento.

In particolare il Capo I Istituzione dell’autorità si occupa in particolar modo dell’istituzione dell’AGCM e dei vincoli per le cariche dei membri e la selezione del personale.

Art. 10 Autorità garante della concorrenza e del mercato

In questo articolo è specificato, inoltre, il rapporto dell’AGCM con tutte le pubbliche amministrazioni, gli enti di diritto pubblico e con gli organi della Comunità Europea.

Per adempiere ai propri compiti di tutela della concorrenza e del mercato l’Autorità può e deve collaborare con le altre entità pubbliche.

Art. 11 Personale della Autorità

Non sono previsti più di 50 dipendenti selezionati attraverso bando pubblico e possono essere assunti a tempo determinato pari unità. Ai dipendenti dell’Autorità è vietato ricoprire altri impieghi professionali, commerciali e industriali.

È previsto inoltre che il segretario generale dell’Autorità è nominato dal Ministero dell’industria, del commercio e dall’artigianato su proposta del Presidente dell’Autorità stessa.

Il Capo II Poteri dell’autorità in materia di intese restrittive della libertà di

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concorrenza e di abuso di posizione dominante si articola in:

Art. 12 Poteri di indagine

È stabilito in questo articolo che l’AGCM può procedere con un’istruttoria:

- dopo aver valutato gli elementi in suo possesso, quelli forniti dalle pubbliche amministrazioni o da chiunque vi abbia interesse incluse le associazioni rappresentative dei consumatori

- d’ufficio;

- su richiesta del Ministero di giustizia, del commercio, dell’artigianato o dal Ministero delle partecipazioni statali, etc.

Art. 13 Comunicazione delle intese

“Le imprese possono comunicare all'Autorità le intese intercorse. Se l'Autorità non avvia l'istruttoria di cui all'articolo 14 entro centoventi giorni dalla comunicazione non può più procedere a detta istruttoria, fatto salvo il caso di comunicazioni incomplete o non veritiere.”

Art. 14 Istruttoria

Nei casi di presunta infrazione l’istruttoria deve essere notificata alle imprese ed agli enti che la riguardano. Con la notifica vengono indicati anche i termini entro i quali devono essere sentiti i legali rappresentanti o i loro procuratori speciali. Durante questa fase i legali rappresentanti possono presentare deduzioni e pareri in ogni fase dell’istruttoria oltre ad essere sentiti nuovamente prima della chiusura della stessa.

In fase di istruttoria l’Autorità può:

- chiedere informazioni e documenti utili per i fini della stessa;

- disporre ispezioni e trattenerne una copia;

- chiedere la collaborazione di altri organi dello Stato (Guardia di Finanza, Carabinieri…);

- disporre perizie, analisi economiche e statistiche;

- avvalersi di esperti in specifiche materie per assolvere ai fini dell’istruttoria.

Sono, inoltre, previste sanzioni amministrative in caso di mancata collaborazione e fornitura della documentazione senza giustificato motivo.

Tutte le informazioni raccolte e i dati riguardanti le imprese oggetto dell’istruttoria sono

tutelati dal segreto d’ufficio. Essendo i funzionari dell’autorità pubblici ufficiali sono

obbligati, loro stessi, al segreto d’ufficio.

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Art. 14-bis Misure cautelari

In casi specifici che possano arrecare grave danno ed irreparabile per la concorrenza, l’Autorità potrà deliberare misure cautelari che non potranno essere né prorogate né rinnovate.

Anche in caso di mancato rispetto delle misure cautelari sono previste sanzioni amministrative che possono essere quantificate fino al 3 per cento del fatturato.

Art. 14-ter Impegni

Questo articolo ci interessa particolarmente, per gli scopi di questo scritto:

“1. Entro tre mesi dalla notifica dell'apertura di un'istruttoria per l'accertamento della violazione degli articoli 2 o 3 della presente legge o degli articoli 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell'istruttoria. L'Autorità, valutata l'idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall'ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l'infrazione.

2. L'Autorità in caso di mancato rispetto degli impegni resi obbligatori ai sensi del comma l può irrogare una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato.

3. L'Autorità può d'ufficio riaprire il procedimento se:

a) si modifica la situazione di fatto rispetto ad un elemento su cui si fonda la decisione;

b) le imprese interessate contravvengono agli impegni assunti;

c) la decisione si fonda su informazioni trasmesse dalle parti che sono incomplete inesatte o fuorvianti».

Gli impegni di cui si parla in questo articolo possono essere verificati attraverso del Programma di Compliance Antitrust che formalmente viene riconosciuto come strumento di mappatura e prevenzione dei rischi concorrenziali, di cui parleremo nel prosieguo.

Art. 15 Diffide e sanzioni

Quando l’Autorità a seguito dell’istruttoria identifica le infrazioni di cui agli articoli 2 e 3 fissa il termine entro il quale le imprese o gli enti devono eliminare le infrazioni stessi.

Nei casi gravi sarà fissata una sanzione amministrativa pari al 10 per cento del fatturato

effettuato l’anno precedente alla chiusura dell’istruttoria delle imprese che ne sono state

(18)

soggette.

In caso di collaborazione, invece, la sanzione amministrativa può essere ridotta o eliminata se rientrante tra le fattispecie individuate dal diritto comunitario.

Il Capo III Poteri dell’autorità in materia di divieto delle operazioni di concentrazione si articola in:

Art. 16 Comunicazione delle concentrazioni

2

Le operazioni di concentrazione di imprese devono essere comunicate all’Autorità quando:

- il fatturato nazionale delle imprese interessate è superiore a 499 milioni di euro;

- il fatturato nazionale dall’impresa da acquisire sia superiore a 50 milioni di euro;

- il fatturato è pari ad un decimo del valore dell’attivo dello stato patrimoniale (solo per gli istituti bancari e finanziari).

L’Autorità provvede, entro 5 giorni dalla comunicazione di concentrazione, a darne notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’artigianato.

Entro 30 giorni dalla notifica della comunicazione, nel caso in cui essa debba essere vietata dovrà avviare un’istruttoria secondo quanto previsto dall’articolo 14.

Art. 17 Sospensione temporanea dell’operazione di concentrazione

Nell’attuazione di quanto previsto dal precedente articolo, l’AGCM può chiedere la sospensione della realizzazione dell’operazione di concentrazione fino al momento della conclusione dell’istruttoria.

Art. 18 Conclusione dell’istruttoria sulle concentrazioni

Se l’operazione di concentrazione non rispetta i requisiti stabiliti l’Autorità ne vieta l’esecuzione.

L’istruttoria può essere chiusa anche nel caso non emergano elementi tali da intervenire nei confronti dell’operazione di concentrazione.

Mentre se l’operazione di concentrazione è già stata effettuata l’Autorità potrà chiedere che vengano eliminati gli elementi distorsivi.

2 Gli importi si intendo aggiornati ai sensi dello stesso articolo a seguito del passaggio da Lira ad Euro.

In particolare si fa riferimento: http://www.agcm.it/concorrenza--concentrazioni/notifica-di-unoperazione/4427-b-obbligo-di- comunicazione-calcolo-del-fatturato-imprese-interessate-e-restrizioni-accessorie.html

(19)

Art. 19 Sanzioni amministrative pecuniarie per inottemperanza al divieto di concentrazione e all’obbligo di notifica

Le sanzioni pecuniarie previste in caso di violazione del divieto all’operazione di concentrazione variano dall’1 al 10 per cento del fatturato derivante dalle attività di impresa oggetto di concentrazione.

Capo IV Disposizioni Speciali

Art. 20 Aziende ed istituti di credito, imprese assicurative e dei settori della radiodiffusione e dell’editoria

Il riferimento per questa categoria di aziende sono il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (T.U.B.) e il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.U.F.).

Il Titolo III Poteri conoscitivi e consultivi dell’autorità verso il Parlamento e il Governo, si organizza nei seguenti 4 articoli:

Art. 21 Potere di segnalazione al Parlamento ed al Governo Art. 22 Attività consultiva

Art. 23 Relazione annuale

Art. 24 Relazione al Governo su alcuni settori

Il Titolo IV Norme sui poteri del Governo in materia di operazioni di concentrazione si articola in:

Art. 25 Poteri del Governo in materia di operazioni di concentrazione

Il Governo può autorizzare in via eccezionale alcuni tipi di operazioni di concentrazione purchè siano rilevanti per gli interessi generali dell’economia nazionale nell’ambito dell’economia europea. Le operazioni di concentrazione autorizzate dal Governo non devono eliminare la concorrenza dal mercato o creare restrizioni alle condizioni di concorrenza che esulino dai fini prefissati.

Art. 26 Pubblicità delle decisioni

Le decisioni devono essere pubblicate entro 20 giorni dalla delibera in un apposito bollettino.

Il Titolo V Norme in materia di partecipazione al capitale di enti creditizi è stato

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abrogato.

Infine, il Titolo VI Disposizioni finali

Art. 31 Sanzioni richiama la Legge n. 689/1981 Art. 32 Copertura finanziaria

Art. 33 Competenza giurisdizionale Art. 34 Entrata in vigore

Un altro documento di estrema importanza è la Delibera AGCM 22 ottobre 2014, n.25152 - Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90 (Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90. Questa delibera stabilisce le sanzioni che verranno applicate in caso di non conformità alle leggi antitrust).

Meritano di essere citati anche gli articoli 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, a cui fa espresso riferimento la Legge 287/1990 e da considerare parte integrante delle normative italiane. Questi due articoli definiscono rispettivamente le intese restrittive della concorrenza e l’abuso della posizione dominante.

L’Art. 101 del TFUE prevede che “Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:

a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;

b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;

c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per

(21)

prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;

e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.

Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto.

Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:

- a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,

- a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e - a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate,

che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando di:

a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;

b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi.”

L’Art. 102 del TFUE prevede che “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.

Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:

a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;

b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;

c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;

d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.”

(22)

Le Linee Guida ICC riportate nel testo “Guida pratica ICC alla compliance antitrust”

pubblicata nel 2015: sono la traduzione italiana delle linee guida della Camera di Commercio Inglese rappresentano il documento tecnico sul quale le aziende possono far riferimento gli addetti ai lavori per lo sviluppo del Programma di Compliance Antitrust.

Non vi è alcun riferimento alla normativa italiana, il documento è costruito in modo tale da essere generico ed applicabile alle imprese sia italiane che europee.

È discorsivo ma schematico. Rappresenta un vero e proprio documento tecnico.

Il testo ha inizio con uno Starter Kit. Lo Starter Kit sostanzialmente identifica le due parti in cui si divide il testo: una per chi introduce per la prima volta un programma di compliance (i capitoli da 1 a 4) e l’altra per chi deve integrare un programma già esistente (i capitoli da 5 a 11). Lo starter kit rappresenta una vetrina iniziale che permette di individuare immediatamente i capitoli di interesse. Questa sorta di introduzione schematica permette agli addetti ai lavori di risparmiare tempo e risorse.

Ogni capitolo, inoltre, è dotato di esempi pratici a cui poter fare riferimento per la costruzione del proprio Programma di compliance Antitrust.

Per meglio comprendere l’articolazione del testo di seguito riporteremo il dettaglio dei capitoli e dei paragrafi di cui si dotano le linee guida:

Capitolo 1) La compliance come parte integrante della cultura e della politica aziendale a. Riconoscere l’antitrust come un rischio che ogni azienda deve affrontare b. Ottenere l’impegno dei vertici aziendali

c. Codice di Condotta e/o Dichiarazione di Principi Aziendali d. Integrazione in altri programmi e meccanismi di controllo

d. Impegno continuo e duraturo del senior management Capitolo 2) Organizzazione e risorse per la compliance

a. Direzione e organizzazione del programma di compliance b. Relazione periodica ai livelli dirigenziali

c. Finanziamento adeguato

Capitolo 3) Identificazione e valutazione del rischio

a. Comprendere l’approccio globale dell’azienda alla gestione dei rischi b. Applicare la stessa metodologia alle problematiche antitrust

c. Messa in atto o miglioramento degli strumenti di controllo d. Efficacia dei controlli

Capitolo 4) Know-how in materia di compliance antitrust

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a. Know-how in materia antitrust: manuali, prontuari e guide b. Formazione in materia antitrust

c. Stimolare la partecipazione del personale

d. Informazioni sui procedimenti di ispezione antitrust Capitolo 5) Sistemi di gestione delle problematiche antitrust

a. Riconoscimento del valore dei sistemi di gestione delle problematiche antitrust b. Diversi tipi di sistemi di reporting interno

c. Segnalazioni di violazioni antitrust (whistleblowing) d. Comunicare, educare e incoraggiare le segnalazioni e. Non ritorsione e riservatezza

f. Tempestività e adeguatezza delle risposte fornite dalla società ai rilievi formulati
dai dipendenti

g. Efficacia delle misure

Capitolo 6) Gestione delle indagini interne a. Tipologia di indagini interne

b. Elementi da considerare/strumenti e consigli pratici Capitolo 7) Azioni disciplinari

a. Requisiti generali per i procedimenti disciplinari b. Potenziali fattori aggravanti e attenuanti

c. Considerazioni specifiche nei casi antitrust Capitolo 8) Due diligence antitrust

a. La due diligence nell’assunzione di nuovi dipendenti b. Due diligence nella verifica dell’effettività della compliance c. Valutazioni antitrust (audit) o approfondimenti specifici d. Due diligence in relazione alle associazioni di categoria e. Due diligence nei casi di M&A

f. Consigli pratici per la due diligence Capitolo 9) Certificazioni di compliance antitrust

a. Certificazione individuale di compliance b. Certificazione di enti terzi (ONG)

c. Certificazioni governative di programmi di compliance Capitolo 10) Incentivi per l’adozione della compliance

a. Perché prevedere incentivi alla compliance?

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b. Tipi di incentivi

Capitolo 11) Monitoraggio e miglioramento continuo

a. Monitoraggio e valutazione dei processi e dei controlli b. Valutazione dell’efficacia dei processi e dei controlli c. Processo di audit e analisi di benchmarking

d. Monitoraggio e valutazione dell’effettività della compliance e. Pianificazione dei miglioramenti dei programmi di compliance

Approfondiremo alcuni di questi punti ai fini della nostra trattazione nel capitolo 3, per questo non riteniamo opportuno dilungarci ulteriormente in questa sede.

Alle Linee Guida ICC sono inoltre allegati ulteriori schematizzazioni tra cui il “Blue Print” redatto sempre da ICC e dal gruppo di Chief Legal Officer secondo cui le imprese dovrebbero predisporre una metodologia e una procedura di valutazione dei rischi tali da poter rendere il programma di compliance antitrust adattabile a tutte le tipologie di rischio.

Anche Confindustria ha dato il suo contributo nell’aprile 2016 con le “Linee guida Confindustria per la compliance antitrust delle imprese”. Questa pubblicazione fa seguito alle linee guida dell’ICC e introduce in Italia un manuale rivolto alle imprese. Si tratta di un manuale pratico volto a promuovere una politica commerciale conforme alle regole di concorrenza nazionali ed UE riportando esempi specifici di accertamenti eseguiti dall’AGCM.

Il documento dopo una breve introduzione, esplicita i vantaggi relativi all’adozione del Programma di compliance antitrust non solo dal punto di vista di prevenzione di eventuali sanzioni ma anche dell’aspetto attenuante che può avere in caso di eventuali istruttorie effettuate dall’AGCM.

Ne esplicita l’adattabilità del documento alle diverse realtà aziendali, comprese le PMI tenendo conto che ogni organizzazione deve costruire il proprio modello “su misura”.

Approfondisce l’importanza dell’impegno alla compliance da parte del vertice aziendale come fondamento della riuscita e del funzionamento del programma di compliance.

Per quanto concerne, invece, la parte informativa, le Linee guida evidenziano che per garantire il rispetto delle regole normative vi è la necessità che l’intera organizzazione ne sia a conoscenza.

Il testo prosegue, poi, con approfondendo i seguenti punti:

- Processo organizzativo

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- La mappatura e la valutazione dei rischi - La gestione dei rischi

- Il monitoraggio e miglioramento continuo - Le sanzioni disciplinari 


Gli allegati integrati alle Linee Guida, integrano la parte tecnica iniziale con un

riassunto delle normative relative all’antitrust inquadrando le varie fattispecie a cui far riferimento e casi pratici di decisioni dell’AGCM per rendere maggiormente chiare le fattispecie individuate.

Oltre alle leggi e alle linee guida italiane negli anni sono stati sviluppati da parte di

specialisti in materia antitrust numerosi testi esteri come guide e best practice.

(26)

1.4. La compliance antitrust

Nel corso degli ultimi anni la proliferazione di normative antitrust rispecchiano la volontà, sia a livello nazionale che dell’Unione Europea, di migliorare il funzionamento dei mercati, di salvaguarne la libera concorrenza e di tutelare il benessere dei consumatori.

In seguito alle normative e alle forme sanzionatorie previste dalle stesse, come vedremo anche nei prossimi capitoli, è scaturita la necessità di introdurre veri e propri programmi di compliance antitrust.

Ma va detto che come ogni problematica, prima di introdurre un qualsiasi programma di compliance antitrust, la violazione delle leggi e dei regolamenti sulla concorrenza devono essere riconosciuti come un rischio concreto nel quale ogni individuo dell’organizzazione può esserne coinvolto.

Nelle grandi aziende la necessità di una compliance antitrust è rilevata prevalentemente dall’ufficio legale e da una forte spinta del senior management, mentre nelle piccole medie imprese che difficilmente sono dotate di un ufficio legale interno, questa necessità dovrebbe essere rilevata dall’alta dirigenza.

Ovviamente non basta introdurla per far sì che essa sia efficace, deve instaurarsi all’interno dell’azienda la “cultura della compliance”. Per questo motivo è fondamentale che il senior management, appunto, sia coinvolto ed impegnato nel rilevamento della compliance antitrust.

Possiamo affermare che la sensibilizzazione del senior/top management è la condizione principale per far sì che tutti i livelli della piramide organizzativa condividano la stessa cultura e sensibilità al programma di compliance antitrust, mentre la redazione del programma di compliance spetterà alla Funzione compliance che potrà avere, a sua volta, una formazione più o meno complessa in base alla struttura organizzativa societaria.

Come vedremo nei prossimi capitoli, infatti, la semplice formazione sulla materia non può portare all’effettiva compliance se non accompagnata da una cultura generale insita in tutti i componenti dell’organizzazione.

L’impegno richiesto per far sì che il programma di compliance sia efficiente è un

impegno a lungo termine che richiede formazione continua di tutti i livelli,

principalmente quelli più esposti alla normativa antitrust.

(27)

Sarà indispensabile lo studio dei casi rilevati dalla stampa o se possibile di testimonianze e workshop mirati, ma si renderà necessario anche l’aggiornamento del programma ogni qualvolta vengano modificate le normative e l'attuazione dei conseguenti test di verifica.

L’impostazione di un modello aziendale di compliance antitrust, come analizzeremo in dettaglio, permette all’azienda di tenere sotto controllo tutti i comportamenti sanzionabili, nel caso del nostro paese, dall’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza sul Mercato) o comunque di contenere i possibili danni causati di un comportamento anticoncorrenziale dell’azienda stessa.

Infatti come si può comprendere dalla Delibera dell’AGCM 22 ottobre 2014 - n.25152, ci sono circostanze attenuanti che permettono la riduzione della sanzione tra cui:

“… l’adozione e il rispetto di uno specifico programma di compliance, adeguato e in linea con le best practice europee e nazionali. La mera esistenza di un programma di compliance non sarà considerata di per sé una circostanza attenuante, in assenza della dimostrazione di un effettivo e concreto impegno al rispetto di quanto previsto nello stesso programma (attraverso, ad esempio, un pieno coinvolgimento del management, l’identificazione del personale responsabile del programma, l’identificazione e valutazione dei rischi sulla base del settore di attività e del contesto operativo, l’organizzazione di attività di training adeguate alle dimensioni economiche dell’impresa, la previsione di incentivi per il rispetto del programma nonché di disincentivi per il mancato rispetto dello stesso, l’implementazione di sistemi di monitoraggio e auditing)."

Quindi, non è sufficiente avere un programma di compliance antitrust aggiornato con le ultime normative. È necessario che sia dimostrabile il coinvolgimento nelle misure necessarie dei vari livelli organizzativi.

La compliance antitrust dovrà, oltre ad esser compresa dall’organizzazione, diventare parte integrante della cultura aziendale.

La componente etica diventa, pertanto, un elemento fondamentale per la riuscita del programma di compliance, perché il dipendente che si sente parte di una “cultura positiva” si sentirà libero di denunciare comportamenti dubbi o sospetti.

Il mancato rispetto delle leggi e delle normative europee potrà implicare conseguenze molto pesanti per le imprese, quali:

a. Multe fino al 10% del fatturato e se l’impresa fa parte di un gruppo la multa può

essere calcolata al fatturato del gruppo;

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b. Azioni di risarcimento intentante da clienti, fornitori o concorrenti che hanno subito un danno a causa del comportamento anticoncorrenziale;

c. Sanzioni penali, con annesse multe e pene detentive, per gli individui coinvolti nel comportamento anticoncorrenziale;

d. L’incapacità di far valere i contratti;

e. L’obbligo da parte delle autorità garanti della concorrenza o dal tribunale a cambiare le proprie pratiche commerciali;

f. Ultimo, ma non meno grave, la pubblicità negativa e il danno d’immagine.

Tenuta conto l’evoluzione dei moderni mezzi di comunicazione, per le attività imprenditoriali che basano la propria leadership sulla pubblicità e sulla comunicazione, la violazione dei principi della libera concorrenza portano inevitabilmente alla perdita di contratti e un abbattimento drastico delle vendite in quanto il consumatore perderà la fiducia con conseguenze disastrose per la sopravvivenza dell’impresa.

L’effettivo rispetto del diritto della concorrenza, garantito dalla definizione e dalla

concreta applicazione di un efficace programma di compliance, comporta benefici più

ampi rispetto al solo evitare le conseguenze negative.

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Capitolo Secondo

ATTIVITA’ AZIENDALI SENSIBILI ALLA NORMATIVA ANTITRUST

Dopo aver inquadrato la normativa di riferimento ci sembra opportuno approfondire quelle che sono le principali attività che ogni azienda svolge nella propria vita e che sono sensibili alla normativa antitrust.

Ci sono sicuramente 3 tipologie di attività maggiormente sensibili alla competition. Tra queste possiamo individuare gli accordi commerciali, le clausole di vendita e la partecipazione ad associazioni di categoria.

2.1 Accordi commerciali

Attraverso gli accordi commerciali si ha la forma maggiormente comune di violazione delle normative italiane ed europee relative all’antitrust.

È ben inteso che nella nozione di accordo viene fatta rientrare ogni manifestazione dell’incontro tra le volontà di più imprese, a prescindere dalla forma utilizzata. È sufficiente una semplice manifestazione di volontà comunemente raggiunta nel contesto di riunioni tra rappresentanti delle imprese, anche in assenza di verbali e resoconti delle riunioni medesime, perché il comportamento delle partecipanti possa essere sanzionabile.

Possiamo distinguere due tipologie di accordi:

- orizzontali: gli accordi o pratiche concordate conclusi tra due o più imprese operanti al medesimo stadio della catena di produzione o di distribuzione ovvero imprese concorrenti attive nello stesso ambito merceologico e geografico. Le forme più comuni nonché maggiormente lesive della concorrenza di intese orizzontali sono quelle elencate dall’articolo 101 del TFUE, come dall’articolo 2 della legge n. 287/90.

Le tipologie di accordi orizzontali maggiormente ricorrenti possono essere sintetizzate come segue.

• accordi di ricerca e sviluppo (R&S): hanno per oggetto la realizzazione in comune

da parte di due o più imprese tra loro concorrenti di un progetto di ricerca ed

eventualmente anche di sfruttamento in comune dei risultati. Questo tipo di

(30)

cooperazione può realizzarsi all’interno di un’impresa comune costituita dalle parti a tale scopo oppure formare oggetto di un contratto sottoscritto dalle parti dell’accordo;

• accordi di produzione: due o più imprese concordano di fabbricare e/o fornire in comune determinati beni e/o servizi;

• accordi di specializzazione: in cui le aziende decidono unilateralmente o reciprocamente di specializzarsi, cessando così la produzione di un determinato bene per acquistarlo dal proprio partner;

• accordi di acquisto in comune: generalmente sono accordi conclusi da PMI che, mediante gli acquisti in comune, puntano a conseguire presso i propri fornitori volumi e sconti simili a quelli ottenuti dalle loro imprese concorrenti di grandi dimensioni. Anch’essi possono essere realizzati dalle parti sia mediante la costituzione di un’impresa comune, sia mediante la conclusione di un accordo contrattuale;

• accordi di commercializzazione: possono realizzare la cooperazione tra imprese concorrenti relativamente a una o più funzioni commerciali come la vendita, la distribuzione oppure la promozione dei prodotti o servizi oggetto dell’accordo. In linea di principio, la liceità di questo tipo di accordi può essere sostenuta se essi consentono l’utilizzo in comune di una risorsa allo scopo di ridurre i costi o comunque di razionalizzare l’attività; laddove però ciò comporti di fatto la definizione di aspetti commerciali attinenti alla distribuzione del prodotto (vengono cioè definite anche le condizioni alle quali i prodotti devono essere ceduti al distributore comune), è probabile ricadere nel divieto di cui agli articoli 101 del TFUE e 2 della legge n. 287/90.

Un accordo di commercializzazione potrebbe essere ritenuto lecito sotto un profilo antitrust qualora sia indispensabile per consentire a un’impresa di accedere a un mercato che altrimenti le sarebbe stato precluso (il caso dei raggruppamenti temporanei di imprese che partecipano alle gare pubbliche di appalto). Di contro, un accordo che abbia per oggetto la fissazione dei prezzi di vendita, a prescindere dal potere di mercato delle parti e dalla natura esclusiva dell’accordo, è di regola considerato restrittivo.

• accordi di standardizzazione: hanno per oggetto la definizione di requisiti tecnici o

qualitativi di prodotti o servizi, ovvero di processi o metodi di produzione attuali o

futuri.

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Sebbene essi siano considerati le tipologie di accordo più delicate sotto il profilo antitrust, in taluni casi possono avere una valenza pro-competitiva qualora consentano di realizzare incrementi di efficienza o altre forme di benefici (come ad esempio maggiore qualità di beni e/o dei servizi o progresso tecnologico), trasferibili ai consumatori senza che la concorrenza risulti inevitabilmente compromessa.

In particolare, nei casi di accordi di cooperazione circoscritti a definite fasi di un processo produttivo, le aziende, pur avendo beneficiato di una cooperazione a livello intermedio di tale processo, continueranno a farsi concorrenza per la vendita del prodotto finito.

La Commissione Europea ha individuato alcuni principi che devono essere applicati nel valutare le fattispecie in questione in quanto, secondo le parole della Commissione “gli accordi di cooperazione orizzontale possono determinare vantaggi economici sostanziali, in particolare se combinano attività, competenze o attivi complementari. La cooperazione orizzontale tra imprese può costituire uno strumento idoneo a condividere i rischi, ridurre i costi, aumentare gli investimenti, mettere in comune il know-how, aumentare la qualità e la varietà dei prodotti e lanciare più rapidamente le innovazioni sul mercato”.

- verticali: gli accordi o pratiche concordate conclusi tra due o più imprese operanti a un diverso livello della catena di produzione o di distribuzione e relative alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi. Esempi tipici sono gli accordi di distribuzione tra produttori e commercianti all’ingrosso o dettaglianti oppure gli accordi tra un distributore e un rivenditore al dettaglio o tra un fornitore di materia prima e un produttore del prodotto finito. Anche questa tipologia di intese sono in grado di falsare il gioco della libera concorrenza;

questo tipo di intese, però, godono di un trattamento più favorevole perché non coinvolgono imprese in diretta concorrenza tra loro poiché possono generare guadagni di efficienza.

Può accadere che si renda necessario stipulare accordi e contratti con concorrenti in base ai quali il concorrente diventa acquirente o fornitore della società, la miglior soluzione per l’impresa è richiedere il sostegno del proprio ufficio legale e la circoscrizione delle discussioni alla specifica transazione commerciale.

Sia per gli accordi verticali che per quelli orizzontali la Commissione Europea ha

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