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In questo modo la morfologia finale dello scaffold e delle singole fibre che lo compongono, dipendono dall’abilità dell’operatore (Puppi et al., 2011b)

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CAPITOLO VII DISCUSSIONI

Una metodica semplice, con tecnica di wet-spinning, per la produzione di strutture fibrose non-tessute in *PCL attraverso il movimento casuale del bagno di coagulazione, è stata proposta da Puppi et al. nel 2011 (2011b). Nel presente lavoro di ricerca, strutture fibrose, non tessute, tridimensionali sono state prodotte adottando la medesima tecnica descritta da Puppi et al. (2011b) e aumentando il tempo di deposizione della fibra. Questo ha permesso l’allestimento di scaffolds tridimensionali a geometria cilindrica da validare come sostegno per la rigenerazione di lesioni ossee con grave perdita di sostanza. Questa tecnica, tuttavia, presenta alcuni limiti quali la scarsa riproducibilità della struttura dello scaffold e la possibilità di allestire solo strutture con geometria tridimensionale semplice definita dalle caratteristiche geometriche del contenitore di raccolta. Il movimento manuale, casuale e continuo del recipiente, comunque, richiede circa 50 minuti per l’allestimento di una struttura di circa 15mm di spessore con impiego di un operatore dedicato. In questo modo la morfologia finale dello scaffold e delle singole fibre che lo compongono, dipendono dall’abilità dell’operatore (Puppi et al., 2011b). Per ovviare a questo inconveniente i nostri studi sono stati rivolti all’automatizzazione del processo di produzione, in modo da migliorare la resa di processo e la riproducibilità della struttura dei campioni prodotti. La tecnica di wet- spinnig automatizzata, sviluppata nel corso del nostro studio sperimentale, ha permesso di ottenere strutture tridimensionali composte da fibre polimeriche allineate e di avere quindi un buon controllo sull’architettura interna degli scaffolds, nonché sulla loro forma e dimensione.

La tecnica wet-spinning si presenta, inoltre, come un metodo conveniente e versatile per fabbricare strutture polimeriche microfibrose, caricate con agenti bioattivi, che non richiede alte temperature o esposizione a solventi aggressivi che potrebbero compromettere l'attività di agenti bioattivi (Crow et al., 2005); tuttavia la possibilità di produrre fibre polimeriche caricate con agenti bioattivi mediante tecnica di wet-spinning, è stata descritta solo in pochi studi (Denkbas et al., 2000; Crow et al., 2005; Crow & Nelson, 2006; Gao et al., 2007; Chang et al., 2008; Puppi et al., 2011a). La presenza di additivi nella soluzione polimerica influisce sul processo di inversione di fase sia dal punto di vista termodinamico che cinetico, influenzando, così, la morfologia della fibra (Strathmann et al., 1975; Reuvers

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& Smolders, 1987; Mulder, 1996; Kim & Lee, 1998). Il numero di studi su scaffolds tridimensionali costituiti da microfibre ha visto un forte incremento negli ultimi anni, a causa delle loro proprietà strutturali che si pensa possano essere favorevoli alla neoformazione di tessuto. Infatti, l’alta area superficiale, porosità e interconnessione tra pori possono favorire l’adesione, la migrazione e la proliferazione cellulare, così come i fenomeni di trasporto di massa necessari per creare un microambiente idoneo alla rigenerazione tissutale (Gomes et al., 2003; Tuzlakoglu et al., 2004; Gomes et al., 2006;

Puppi et al., 2010c). I dati ottenuti dalle valutazioni condotte in vivo hanno permesso di ottenere ulteriori informazioni riguardo la biocompatibilità degli scaffolds, e le loro capacità osteoinduttive, osteoconduttive e osteogenetiche in difetti ossei gravi.

La tecnica di impianto scelta si è rivelata di rapida e semplice esecuzione. L’osteotomia della diafisi del radio, preservando l’integrità dell’ulna che garantisce stabilità alla sede di impianto, è ampiamente riportata in numerosi lavori sulla rigenerazione ossea nel coniglio (Wheeler et al., 1998; Meinig, 2002; Geiger et al., 2005) in quanto permette di evitare l’applicazione di mezzi di osteosintesi metallici per stabilizzare i monconi ossei limitando, quindi, i tempi chirurgici, l’incidenza di complicazioni post-operatorie e contribuendo a contenere i costi dell’intervento (Bodde et al., 2007). Questo dato è stato confermato, anche, dal recupero piuttosto veloce della funzionalità e del carico differenziato sull’arto trattato, nonché dal mantenimento di una buona qualità di vita degli animali che hanno mostrato un discreto incremento ponderale nel periodo di osservazione. L’integrità dell’ulna, come affermato da molti autori (An & Friedman, 1999b; Bodde et al., 2007), rappresenta un presupposto importante per la buona riuscita dell’intervento, e ne è stata una dimostrazione il caso che ha presentato frattura al 5° giorno post-operatorio, dopo incisione della corticale dell’ulna, con, conseguente, perdita di stabilità dell’impianto ed esclusione del soggetto dallo studio. Nessun animale sottoposto a trattamento ha presentato segni di infezione e/o infiammazione locale o sistemica confermando la correttezza della tecnica applicata e la biocompatibilità degli impianti osservata anche in vitro.

Lo studio radiografico, condotto nell’immediato post-operatorio e a intervalli regolari di 4 settimane, si è confermato, in accordo con quanto riportato in bibliografia (Lane &

Sandhu, 1987; An & Friedman, 1999b) un valido supporto per monitorare il processo rigenerativo. Le immagini, riprese dopo l’intervento chirurgico, trattate con opportuno software, ci hanno permesso di confermare la radiotrasparenza degli scaffolds in tutti i

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campioni e di misurare, in maniera piuttosto accurata, l’entità del difetto creato. Tali dati sono stati, poi, paragonati con quelli ottenuti dalle immagini riprese agli intervalli successivi per valutare la presenza o meno di reazione periostale, la qualità dell’unione su entrambe le osteotomie e il grado di rimodellamento osseo, se presente.

Recenti studi, analoghi al nostro, indicano nella micro-tomografia computerizzata (μTC) un supporto molto più valido per l’osservazione del processo di rigenerazione ossea, in quanto in grado di fornire immagini tridimensionali che permettono una più completa localizzazione e quantificazione del tessuto neoformato a copertura del difetto e intorno ad esso (Hedberg et al., 2005; Schmidhammer et al., 2006). Ciò nonostante, lo studio condotto da Hedberg e coll. nel 2005 ha evidenziato come, sia le indagini radiografiche, sia la μTC, sia lo studio isto-morfometrico, possono essere utilizzati per raccogliere informazioni univoche riguardanti il processo rigenerativo sostenuto da scaffolds ossei e le loro capacità di sostenere e promuovere la rigenerazione ossea. In accordo con quanto sopra affermato, quindi, le immagini radiografiche ottenute con tecnica digitalizzata, nelle due proiezioni ortogonali standard, in associazione ai sistemi di valutazione a punteggi (Lane & Sandhu, 1987; Hedberg et al.,2005), hanno permesso di quantificare, in maniera piuttosto accurata, il processo di rigenerazione realizzatosi sugli impianti oggetto di questo studio.

La lesione creata sulla diafisi radiale (circa 20mm di lunghezza) si conferma come lesione critica. Una perdita di sostanza a carico delle ossa lunghe è definita critica (Critical-Size Defect o CSD) quando: supera una lunghezza pari a due volte il diametro dell’osso considerato (An & Friedman, 1999b), non è in grado di guarire spontaneamente se non trattata per un certo periodo di tempo (Bos et al., 1983), o mostra, per tutta la vita dell’animale, una rigenerazione ossea minore al 10% (Schmitz & Hollinger, 1986). An e Friedman fissarono, nel 1999 (1999b), la lunghezza del CSD per il radio del coniglio adulto di razza New Zealand White intorno ai 15mm. Studi successivi, hanno osservato dati contrastanti per tale misura (Bodde et al., 2007) finché, più recentemente, Wang e coll.

(2010) hanno osservato come 20mm rappresenti un difetto di dimensioni critiche tale da non presentare segni di rigenerazione ossea spontanea.

Dal confronto con i dati riportati in bibliografia riguardanti il grado di rigenerazione ossea, valutato dalle immagini radiografiche, in lesioni critiche (>15mm), non sottoposte a nessun tipo di trattamento (Hedberg et al., 2005; Bodde et al., 2007; Kasten et al., 2008; Liu et al., 2009; Niemeyer et al., 2010; Wang et al., 2010) è emerso come, i due tipi di scaffolds

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testati nel presente studio in vivo, risultino, entrambi, significativamente capaci di sostenere e promuovere la rigenerazione ossea (p<0,05) in difetti creati sulla diafisi radiale di coniglio New Zealand White, in tutti i tre intervalli di tempo considerati.

Il grado di rigenerazione ossea tra i due tipi di impianti testati, *PCL e *PCL-HA, ai tre intervalli di osservazione (4, 8 e 12 Settimane) non ha presentato una differenza statisticamente significativa (p>0,05).

L’Idrossiapatite, è una ceramica ossea bioattiva sintetica, con composizione chimica simile all’apatite ossea, principale componente della matrice dell’osso con cui forma un legame diretto (Bucholz, 2002). Ampiamente studiata per la rigenerazione ossea (Sopyan et al., 2007), è definita bioattiva in quanto in grado di supportare l’accrescimento osseo e l’osteo- integrazione di impianti ortopedici, dentali e maxillo-facciali. Numerosi articoli nel campo dell’ingegneria tissutale dell’osso hanno riportato lo sviluppo di scaffolds in materiale composito mediante inclusione di particelle di HA in una matrice polimerica biodegradabile al fine di migliorarne le proprietà meccaniche (De Long et al., 2007; Ma, 2008; Fabbri et al., 2010; Puppi et al., 2011a). L’inserimento di particelle di idrossiapatite in matrici polimeriche aumenta, inoltre, l’osteo-conduttività e le proprietà meccaniche degli scaffolds polimerici e crea un pH basico in grado di tamponare i prodotti della degradazione acida della matrice polimerica stessa (Ural et al., 2000; Koh et al., 2006;

Rezwan et al., 2006). Gli scaffolds contenenti HA investigati nel presente lavoro di dottorato non hanno mostrato differenze significative in termini di bioattivita’ rispetto a quelli preparati solo con *PCL. Tale risultato può essere dovuto all’inclusione dell’HA nella matrice polimerica che non la rende immediatamente disponibile sulla superficie.

I dati estrapolati dall’analisi macroscopica degli espianti hanno confermato quanto già osservato dalle indagini radiografiche, ovvero l’assenza di una reazione periostale particolarmente abbondante, l’assenza di segni macroscopici di reazione infiammatoria peri-impianto e la facile dissezione dai tessuti molli circostanti. La presenza di una rigenerazione maggiore sul versante cranio-laterale dell’impianto, in prossimità dell’ulna, è stata osservata in molti campioni, confermando quanto osservato radiologicamente. In molti degli espianti, che hanno ottenuto uno scoring radiologico di rigenerazione medio- alto, lo scaffold è apparso non cedevole al tatto, con consistenza simile a quella dell’osso.

Tutti questi dati sono stati ulteriormente confermati dalle osservazioni condotte sui preparati istologici. La presenza di osso neoformato, caratterizzato dalla contemporanea

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presenza di tessuto lamellare e intrecciato, ha confermato l’evidenza radiologica di tessuto con densità simile a quella dell’osso. La crescita marginale sullo scaffold (nessun campione, in sezione trasversale, si è presentato completamente infiltrato e occupato da tessuto osseo) in prossimità dell’ulna, così come il rimodellamento con formazione del canale midollare e di corticali distinte sono stati ulteriormente confermati a livello istologico. La porzione dei supporti, non interessata da presenza di tessuto osseo neoformato, è risultata occupata in tutti i casi da tessuto connettivo fibroso. In poche sezioni, soprattutto per i casi con rigenerazione scarsa, è stata rilevata la presenza di piccole aree di reazione infiammatoria intorno alle fibre caratterizzate da infiltrato infiammatorio mononucleato. In nessun soggetto è stato, comunque, riscontrato alcun segno macroscopico di flogosi peri-impianto. In nessun soggetto, durante tutto il periodo di osservazione, sono stati evidenziati segni clinici di possibile tossicità sistemica, a conferma della buona biocompatibilità di entrambi gli scaffolds testati in vivo.

Di particolare rilievo istologico è stata la presenza di vasi sanguigni neoformati. Questo dato si presenta di particolare interesse in quanto, la mancata colonizzazione da parte dei vasi sanguinei negli scaffolds, è stata ampiamente descritta, in letteratura, come una delle maggiori complicazioni che portano alla non-unione o alla scarsa rigenerazione ossea (Probst & Spiegel, 1997, Tatsuyama et al., 2000; Soucacos et al., 2008). La maggior parte degli scaffolds, attualmente in uso per la rigenerazione ossea, non mostra particolari attività neo-angiogenetiche e l’infiltrazione dei vasi sanguigni è solitamente limitata a poche centinaia di micron dalla superficie dello scaffold (Jabbarzadeh et al., 2008), per cui, recenti studi, sono stati rivolti verso la funzionalizzazione degli impianti con fattori promotori la neovascolarizzazione (Vascular Endothelial Growth Factors – VEGF) per testare la loro azione sul processo di rigenerazione ossea (Street et al., 2002; Geiger et al., 2005; Jabbarzadeh et al., 2008). La presenza di vasi neoformati rilevati all’interno degli scaffolds a base di *PCL testati in questo studio, suggerisce il non ricorso a tale ulteriore funzionalizzazione con fattori promotori di crescita, anche se più approfondite valutazioni in merito devono essere condotte.

Nei campioni con scoring radiologico di rigenerazione medio-basso, i preparati con le diverse colorazioni hanno messo in evidenza la presenza di un “ponte di rigenerazione”

teso tra ulna e monconi osteotomizzati del radio suggerendo una colonizzazione dello scaffold a partire dall’ulna piuttosto che dalle corticali e dal canale midollare dei monconi

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del radio, mentre tra le fibre degli scaffolds è stata rilevata, diffusamente, la presenza di tessuto connettivo fibroso.

Il rilievo di una rigenerazione marginale sullo scaffold, sul versante laterale in prossimità dell’ulna, è stato osservato anche da Hedberg e coll. (2005) e da Bodde e coll. (2007). In tali studi, il ricorso a immagini tridimensionali con μTC ha confermato la presenza di una rigenerazione sul margine esterno dello scaffold applicato, in corrispondenza del versante laterale del radio, in prossimità dell’ulna. Tale fenomeno può trovare molteplici spiegazioni quali:

• la non completa rimozione del periostio e dello strato Cambium, contenente cellule precorritrici degli osteoblasti, durante la fase di impianto. Questo sottile strato, rimanendo adeso al legamento interosseo teso tra radio e ulna, fa sì che le cellule cambiali, particolarmente attive nei giovani animali (O’Driscoll et al., 2001), penetrino nello scaffold e lo colonizzino dando il via al processo di rigenerazione ossea (O’Driscoll, 1999);

• la stimolazione del periostio ulnare, durante la fase di osteotomia del radio, può stimolare la rigenerazione soprattutto nei soggetti giovani (Simon et al., 2003).

Le considerazioni sull’influenza che il modello sperimentale può avere sull’esito del processo rigenerativo per la vicinanza tra le due ossa lunghe, hanno spinto numerosi autori a valutare modelli alternativi, quali l’impiego di ossa piatte del cranio (An & Friedman, 1999b) o di ossa lunghe come il femore (Gil-Albarova et al., 2005). Se da una parte questi modelli permettono di poter ottenere dati più veritieri (non influenzabili dalla presenza del periostio di ossa vicine) sulla capacità rigenerativa degli impianti, dall’altra presentano non poche complicazioni dal punto di vista di esecuzione dell’intervento e di incidenza di complicazioni nel periodo post-operatorio (An & Friedman, 1999b). Anche la scelta di altri modelli sperimentali su altre specie animali è stata ampiamente valutata. Il modello cunicolo, comunque, presenta vasta diffusione per la conduzione di studi sperimentali per la valutazione di diversi tipi di materiali ossei per impianti (An & Friedman, 1999a; Pearce et al., 2007). In particolare, l’osteotomia della diafisi radiale, nel coniglio rappresenta attualmente il modello sperimentale più diffuso per lo studio di difetti ossei critici a carico di ossa lunghe (An & Friedman, 1999b; Pearce et al., 2007; Bodde et al., 2007; Wang et al., 2010). La facilità di gestione e la taglia di questa specie la rendono particolarmente

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indicata sebbene, esistano enormi differenze con le comuni specie da affezione (cane, gatto, grossi erbivori) e con l’uomo, sia per la conformazione anatomica, sia per la struttura istologica dell’osso (Wang et al., 1998), nonché, per il rimodellamento osseo (haversiano e corticale) cui esso va incontro (Castaneda et al., 2006).

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