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Al fine di un corretto campionamento devono essere considerati:

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Academic year: 2021

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3. INTRODUZIONE

La raccolta dei campioni biologici da sottoporre ad indagini laboratoristiche, in aree geografiche di difficile accesso, è di crescente importanza.

Al fine di un corretto campionamento devono essere considerati:

- la sicurezza nella fase di raccolta - la stabilità del campione

- i metodi di stoccaggio e spedizione

- le differenze con i metodi di campionamento di uso corrente.

L’utilizzo della carta da filtro come metodo di campionamento e stoccaggio di campioni biologici è stato utilizzato per la prima volta in Scozia dal Dott. Robert Guthrie nel 1963, il quale utilizzò campioni di sangue neonatale depositati su carta da filtro per l’analisi di malattie metaboliche come la Fenilchetonuria (PKU) (Guthrie R. et al., 1963).

Il test di Guthrie è un dosaggio semiquantitativo progettato per rilevare elevati livelli ematici

di fenilalanina, utilizzando la capacità della fenilalanina di facilitare la crescita batterica in

un terreno di coltura contenente un inibitore. Una goccia di sangue di solito ottenuto

pungendo il tallone di un neonato al sesto o settimo giorno di vita viene raccolto su carta da

filtro e lasciato essiccare a temperatura ambiente per alcune ore. I campioni devono essere

conservati in sacchetti di plastica a bassa permeabilità ai gas per ridurre l'umidità ed essere

mantenuti a temperatura ambiente, anche in condizioni climatiche non ottimali. Un piccolo

disco di carta da filtro viene perforato e collocato su una piastra di gel di agar contenente

Bacillus subtilis e b-2-thienylalanine. Il gel di agar consente la crescita batterica, ma la b-2-

thienylalanine la inibisce, tuttavia, in presenza di alti livelli di fenilalanina extra rilasciati dal

disco l'inibizione viene superata e nel giro di un giorno la crescita batterica che circonda il

disco di carta è visibile ad occhio nudo. Il diametro della colonia è proporzionale alla

quantità di fenilalanina presente nel sangue del neonato che viene quantificata confrontando

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il diametro della colonia in esame con quello di una serie di dischi di riferimento contenenti un quantitativo di fenilalanina noto. Questo esame, a basso costo ed eseguibile facilmente su larga scala, ha consentito di realizzare le prime campagne di screening neonatale per individuare i neonati affetti da fenilchetonuria (PKU), il più comune difetto congenito del metabolismo, caratterizzato da un grave ritardo mentale.

Da allora, i campioni di carta Guthrie sono stati raccolti sistematicamente in oltre 20 paesi per lo screening non solo della fenilchetonuria ma di un ampio spettro di malattie metaboliche.

Il sangue raccolto su carta da filtro, è stato utilizzato per acquisire campioni per i test di ormoni tiroidei, (Slazyk W.E. et al., 1988), per il monitoraggio terapeutico dei farmaci (Spooner N. et al., 2009), droghe d'abuso ( Henderson L.O. et al., 1997) e analisi genetiche (Struewing J. P. et al., 1997) oltre che per studi epidemiologici molecolari (Steinberg K. et al., 2002) e più recentemente è diventato una preziosa fonte di DNA per le analisi di diagnostica molecolare anche in siti remoti dove le condizioni di mantenimento e di trasporto dei materiali biologici non sono ottimali. È di fatto possibile collezionare i campioni nei siti di raccolta senza refrigerazione immediata e mandarli ai laboratori senza bisogno di costosi trattamenti o di ghiaccio secco, ma semplicemente inviandoli per posta.

La possibilità di isolare mRNA da campioni di sangue raccolti ed essiccati su carta da filtro

è stata presa in considerazione molto tempo dopo. Ciò è probabilmente dovuto al generale

riconoscimento che l’mRNA sia altamente instabile e che possa essere facilmente degradato

senza l’adozione di reagenti in grado di inibire l'attività della ribonucleasi. In realtà lo studio

di mRNA per la ricerca di mutazioni genetiche potrebbe avere diversi vantaggi rispetto ad

analisi del DNA. In primo luogo, non richiede la conoscenza delle strutture genomiche e in

secondo luogo, l'espressione genica può essere valutata. A questo scopo studi hanno

dimostrato che l'mRNA è isolabile dai campioni di sangue “spottati” su carta da filtro e può

essere utilizzato per l'analisi molecolare di malattie genetiche. Esistono studi che dimostrano

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che l’RNA può essere isolato da campioni “spottati” e conservati a temperatura ambiente per un anno (Matsubara Y. et al., 1998).

Le cartine da filtro sono ottimi vettori per la raccolta e conservazione non solo di campioni di sangue, che di fatto rappresenta il materiale biologico prediletto per ottenere DNA genomico in elevata quantità e di ottima qualità, ma sono in grado di immobilizzare acidi nucleici da qualsiasi tipo di campione biologico (Smith L.M. et al., 2004), batteri (Rajendram D. et al., 2006), virus ( Picard-Meyer E. et al., 2007) e materiale vegetale (Ndunguru J. et al., 2005).

3.1 CARTINE DA FILTRO: TIPOLOGIE e CARATTERISTICHE

Per poter essere utilizzate come metodo di campionatura, stoccaggio e trasporto di campioni biologici da sottoporre ad indagini laboratoristiche la carta da filtro è stata progettata in modo da:

- non alterare l'analita di interesse,

- non interferire con il successivo test diagnostico, - rilasciare facilmente gli analiti,

- fornire un ambiente stabile per la conservazione dell'analita,

- avere una capacità di assorbimento appropriata tale da permettere di raccogliere un volume di campione sufficiente per le analisi successive che si vogliono effettuare (Moscoso H.et al., 2004).

I limiti di sensibilità e specificità dovuti alla minore quantità di volume di campione disponibile ha limitato l'uso di spot di sangue essiccato per molti anni.

Tuttavia, i recenti progressi, come l'introduzione della reazione a catena della polimerasi

hanno superato molti di questi problemi. In ogni caso il materiale della cartina deve

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possedere una certa capacità di assorbimento per accogliere il volume richiesto dalle procedure di estrazione.

A seconda del materiale di cui sono costituite, le carte da filtro possono contenere una varietà ampia di potenziali sostanze contaminanti, ma spesso l’utilizzo di additivi per rimuovere le contaminazioni non è possibile perché tali additivi potrebbero venir estratti insieme all’analita ed alterare i test

1

.

Nel 1960 Schleicher e Schuell iniziarono a produrre una carta da filtro chiamata 903. Il materiale di base di questo tipo di cartine è il cotone e non contiene catalizzatori o additivi.

Per la produzione della 903 sono stati presi in considerazione parametri quali: tempo di assorbimento dell’acqua, del siero e del sangue e dimensioni dello spot. Nel 1987, Edward McCabe riportò con successo l'estrazione del DNA da spot di sangue raccolto ed essiccato su carta da filtro 903 (McCabe E.R.B. et al., 1987). Questo risultato, combinato con l'avvento delle tecniche di amplificazione degli acidi nucleici, ha reso possibile la realizzazione di test genetici su campioni di sangue raccolto su carta da filtro.

Con questi progressi i laboratori di screening neonatale hanno cominciato ad attuare test

genetici anche per le emoglobinopatie, la distrofia muscolare di Duchenne e la fibrosi

cistica (Prior T.W. et al., 1990). Il quadro si è poi ulteriormente ampliato rendendo la

raccolta di campioni biologici su “filter paper” un metodo efficace anche per la diagnosi di

malattie infettive.

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ISOCODE ® ID ™ SAMPLE REGISTRATION MATRIX

Figura 1: IsoCode ID Card

Nel 1987 Schleicher & Schuell BioScience hanno introdotto IsoCode ™ ® ID (Figura 1).

IsoCode ™ ® ID è una carta chimicamente trattata che è battericida, fungicida e virucida, in grado di mantenere il campione di DNA stabile ed intatto impedendone la degradazione.

IsoCode ® ID ™ è dotata di un indicatore, per aiutare ad identificare la posizione di un campione dopo l'applicazione sulla carta per mezzo di un cambiamento di colore. Ciò è particolarmente utile per la conservazione dei campioni incolori, come per esempio i tamponi risospesi in soluzione fisiologica o tamponi a ph stabile, difficilmente visualizzabili sulla carta. Il cambiamento di colore avviene immediatamente dopo l’apposizione e il contrasto di colore rimane ben visibile dopo l'essiccamento.

IsoCode ® ID ™ è utilizzata per qualsiasi applicazione in cui sono necessari campioni di DNA e quando sono richiesti metodi di campionamento non invasivi quali: studi di genetica delle popolazioni (McDade T.W. et al., 2007), studi cancro epidemiologici riguardo alcune neoplasie, test di paternità e test biologici in ambito forense (Prieto A. et al., 2006).

Quando un campione viene applicato alla carta da filtro la matrice trattata chimicamente lisa

le cellule, dissocia le proteine dagli acidi nucleici e distrugge gli enzimi nucleolitici ( Harvey

M. A. et al., 1995 ; Harvey M. A. et al., 1996). In seguito all’essiccamento, gli inibitori della

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PCR vengono fissati alla matrice della carta . In seguito ad un semplice e veloce step di riscaldamento il DNA eluito in acqua è pronto per l'amplificazione per PCR.

2

.

Oltre a raccogliere campioni di sangue su IsoCode, numerose indagini sono in corso per valutare la sua efficacia per la raccolta di tamponi, sangue, urine e addirittura sperma per il successivo impiego in analisi genetiche.

In particolare sono state ricercate le sequenze STR (Short Tandem Repeat) a partire da diversi tipi di campioni biologici e con l’utilizzo delle cartine da filtro IsoCode card e IsoCode ® ID ™ (Barbaro A. et al., 2004). In questo studio hanno raccolto il campione di sangue su cartine da filtro IsoCode card, mentre saliva e sperma sono stati raccolti su cartine IsoCode ® ID ™. È stata verificata l’efficacia della raccolta su cartine IsoCode ® ID ™ anche di campioni di urine. Il volume di campione applicato su ciascuna carta da filtro varia tra i 30/40 µl e tutti campioni sono stati analizzati 1 giorno, 1-5 mesi dalla loro applicazione sulla carta da filtro. Da tutti i fluidi biologici analizzati (sangue, saliva, sperma, urine) si è ottenuto, con la procedura di raccolta dei campioni su cartine da filtro, un templato completo di DNA paragonabile a quello ottenuto seguendo la procedura tradizionale di conservazione dei campioni in ambienti refrigerati e non “spottati” su cartine da filtro. Lo studio dimostra che le cartine IsoCode ® ID ™ , oltre che per i campioni di saliva e sperma, risultano molto utili anche per la raccolta di campioni di urina che generalmente contengono un basso numero di copie di DNA che viene degradato in un breve lasso di tempo. In effetti i risultati degli studi dimostrano che il DNA da campioni raccolti su IsoCode card e IsoCode ® ID ™ sia di sufficiente qualità e quantità da essere utilizzato per l’analisi delle STR a partire da campioni conservati in sacchetti di plastica a temperatura ambiente per periodi di tempo prolungati.

Le cartine IsoCode sono in grado di lisare diversi tipi cellulari quali cellule di mammifero,

di lievito e vegetali. In merito a questo una grande varietà di campioni di DNA possono

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essere conservati sulle cartine IsoCode e archiviati senza pericolo di contaminazione, crescita eccessiva o degrado.

WHATMAN FTA® CARDS

Figura 2: Cartine da filtro per la raccolta delle cellule della bocca (“Flinder Technology Associates”: FTA card) e applicatore.

L’ampliarsi delle possibili applicazioni delle “filter paper” nel quadro delle analisi diagnostiche e degli studi epidemiologici ha portato ad una crescente produzione di altri modelli di carte da filtro. Whatman FTA® Cards, cartine da filtro sviluppate per la raccolta e lo stoccaggio del DNA da campioni biologici, sono state prodotte da Whatman Ltd., una divisione della General Electric Healthcare, e utilizzate da scienziati di tutto il mondo (Figura 2).

FTA cards contengono sostanze chimiche brevettate che stabilizzano il DNA del campione biologico applicato sulla carta da filtro lisando le cellule, denaturando le proteine e proteggendo gli acidi nucleici dalle nucleasi, dal danno ossidativo e dal danno causato dai raggi UV (Natarajan P. et al ., 2000 ; Rogers C.D. et al., 2000 ; Moscoso H. et al., 2004 ; Smith L.M. et al., 2004).

I campioni di DNA prelevati da fluidi deposti sulle cartine, sono stati conservati a

temperatura ambiente e successivamente analizzati con successo dopo diversi anni. Le

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cartine bianche sono utilizzate per l’ applicazione di campioni facilmente visualizzabili su carta come per esempio il sangue. Per la raccolta di campioni incolori, come i liquidi di risospensione dei tamponi, è consigliabile utilizzare le FTA cards “Indicating”, cartine rosa che contengono una indicatore che permette di convertire in bianco la porzione del filtro esattamente dove viene applicato il campione. Le FTA cards possono essere utilizzate praticamente per qualsiasi tipo di campione: sangue, cellule in coltura, cellule buccali, plasmidi e tessuti solidi. Dopo l’incisione di una piccola porzione della carta da filtro sulla quale è applicato il campione, il DNA stabilizzato sulla matrice del filtro viene facilmente purificato ed è pronto per essere amplificato

3

.

La procedura di raccolta del campione di sangue sulle FTA cards è estremamente veloce e, fattore di non meno importanza, per nulla invasiva (Figura 3). É sufficiente una puntura a livello del polpastrello. Si depositano 2 o 3 gocce di sangue (circa 100µl) nella zona centrale della cartina stando attenti a non eccedere nella quantità di sangue depositato. Si lasciano asciugare i campioni a temperatura ambiente, senza riscaldarli, in quanto ciò potrebbe fissare gli inibitori della PCR sulla matrice fibrosa. Se il campione deve essere archiviato, le cartine vengono messe in un sacchetto di plastica trasparente con essiccante e conservate in un ambiente fresco e asciutto a umidità controllata.

La procedura di raccolta di campioni buccali, illustrata in Figura 4, consiste

nell’inserimento di un applicatore sterile in bocca sfregando uno dei lati del tampone in

spugna all’interno della guancia per 30 secondi. La medesima operazione è ripetuta sull’altra

guancia sfregando l’altro lato del tampone.

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Figura 3 :Procedura di raccolta su “filter paper”di campioni ematici

Si fa scorrere l’applicatore lungole gengive e sotto la lingua in modo da imbibirlo il più possibile di saliva e cellule epiteliali di sfaldamento. Dopo avere rimosso l’applicatore dalla bocca, si applica il campione sull’area della cartina premendo la punta di spugna dell’applicatore e spremendola mediante un movimento di 90° per saturare completamente l’area. Si lascia asciugare la cartina per circa 30 minuti a temperatura ambiente e quando la cartina è asciutta si può trasportare o conservare a temperatura ambiente fino al momento dell’estrazione del DNA. Le FTA Cards presentano vantaggi e svantaggi riassunti nella tabella sottostante (Tabella 1):

Figura 4: Procedura di raccolta su “filter paper”di campioni buccali

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Tabella 1 : Vantaggi e svantaggi sull’utilizzo delle Whatman FTA

METODI di PURIFICAZIONE

I vantaggi pratici del campionamento e della conservazione di campioni biologici su carta da filtro per analisi diagnostiche e studi epidemiologici evidenziano la necessità di un processo ottimale di purificazione del DNA che deve risultare affidabile e sensibile. Il DNA viene eluito in pochi semplici passaggi fornendo DNA in soluzione pronto alle esigenze di amplificazione delle analisi che si vogliono effettuare.

Figura 5: Procedura di purificazione IsoCode e Whatman FTA Elute Cards

Quando un campione viene applicato sulla cartina le sostanze presenti nella matrice lisano le

cellule intatte, dissociano le proteine dagli acidi nucleici e le sostanze inibenti sono fissate

alla matrice. Come illustrato (Figura 5) la carta da filtro saturata dal campione viene incisa

in modo da recuperare il campione deposto ottenendo un dischetto di circa 3 mm (1) che

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viene trasferito in una provetta contenente 500µl acqua (2/3). Si centrifuga 3 volte per pochi secondi. Si recupera il dischetto e si introduce in una nuova provetta sterile (4). Si aggiungono 100 µl di acqua e a seguito di un breve periodo di incubazione a 95°C (30 min circa), il DNA è eluito nel surnatante (5/6) (Harty L.C et al. 2000; Barbaro A. et al. 2004;

Henning L. et al. 1999). La procedura di purificazione da Whatman FTA Cards (Milne E. et al. 2006) è riassunta in figura 6 (Figura 6):

\

Applicazione del campione : lasciare asciugare

completamente

Figura 6. Procedura di purificazione da Whatman FTA Cards

Aggiungere PCR master mix direttamente nella provetta e si

amplifica.

Lavaggi con Purification Reagent FTA :

Inserire il disco in una provetta e lavare 3 volte con FTA Purification Reagent. Scaricare dopo ogni lavaggio

Lavaggi con Buffer TE :

Lavare 2 volte con Buffer TE (10 mM Tris,0.1 mM EDTA, pH 8.0) Scaricare dopo ogni lavaggio

Fase di essiccamento del disco in provetta

Rimozione del disco

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PROPRIETÀ VIRUS-CIDE E BATTERICIDE DELLE CARTINE DA FILTRO

Le tipologie di cartine descritte sono in grado di lisare le cellule che vengono a contatto con la matrice del filtro compresi virus e batteri. Di conseguenza la potenziale crescita batterica che può contaminare il campione viene inibita.

Esistono molti studi di curve di crescita di preparazioni virali in colture cellulari. In particolare un campione di sangue intero infetto con Poliovirus di tipo 1 è stato applicato su cartine da filtro IsoCode card e 903 card e trattato con e senza la procedura di essiccamento.

La replicazione virale nel campione è stata analizzata tramite la formazione di placche di lisi su cellule di rene di scimmia (cellule VERO). Osservando la Figura 7 i dati dimostrano che la metodica di applicazione del campione sulle cartine da filtro inibisce consistentemente la crescita virale

4

.

PFU/ml

Figura 7. Replicazione del Poliovirus infettante prima e dopo la deposizione su carta

da filtro con e senza essiccamento

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Le proprietà battericide sono state utilizzate con cellule di Staphylococcus epidermis. Le cellule batteriche sono state applicate su IsoCode Cards e Stix e su carta da filtro non trattata. Tutti i campioni sono stati lasciati ad asciugare overnight a temperatura ambiente. I campioni sono stati posti in brodo di Luria, un terreno liquido altamente nutritivo, incubati a 37°C e lasciati in agitazione “overnight”. L’effetto battericida, in funzione della crescita cellulare è stato misurato tramite analisi spettrofotometrica. Come illustrato (Figura 8) i due formati base IsoCode (Cards e Stix) non mostrano crescita batterica, mentre le cartine non trattate supportano la crescita dei batteri

4

.

Figura 8 Curva di crescita di Staphylococcus epidermis prima e dopo deposizione su carta

IsoCode

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3.2 DIAGNOSI DI INFEZIONI VIRALI

La raccolta di campioni di fluidi biologici su carta da filtro per indagini cliniche ha dimostrato di essere un mezzo altamente efficace. Recentemente un gran numero di studi ha dimostrato l'efficacia di questo metodo per la raccolta di campioni per la diagnosi di malattie infettive.

Inizialmente molti studi si sono concentrati sulla possibilità di utilizzare le “filter paper”come metodo di raccolta di campioni da utilizzare per la ricerca di infezioni da Virus dell’ Immunodeficienza Umana (HIV) (Mehta N. et al., 2009) per valutarne la sieroprevalenza tra le donne fertili (Gwinn M. et al., 1991) e per l’impostazione della terapia antiretrovirale (Boukobza S. et al., 2011 ; McNulty A. et al., 2007).

INDAGINI MOLECOLARI

Molti studi si sono rivolti alla rilevazione di diverse specie virali a partire da campioni applicati su carta da filtro, considerando i virus clinicamente più rilevanti per l’uomo ma includendo anche specie virali di minore urgenza clinica, per valutare l’efficacia della “filter paper” in previsione di un possibile utilizzo, soprattutto in siti di raccolta dei campioni clinici poco favorevoli, quali i paesi in via di sviluppo.

In particolare sono state trattate l'infezione da Citomegalovirus (CMV) (Yamagishi Y. et al.,

2006 ; Binda S. et al., 2004 ; Yamamoto A.Y. et al., 2001 ; Leruez-Ville M. et al., 2011), dai

Virus dell’epatite A e C (HAV/HCV) (Desbois D. et al., 2009 ; A. Carlos de Castro Toledo

Jr. et al., 2005), da virus dell’epatite B (Jardi R. et al., 2004), da virus

dell’Immunodeficienza Umana (HIV), ricercando DNA provirale nel sangue intero (Cassol

S. et al., 1991 ; Beck I. A., 2001) e RNA virionico sia nel sangue (O’Shea S. et al., 1999)

che nel plasma (Fiscus S.A. et al., 1998 ; Cassol S. et al.,1997)

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ma anche da Adenovirus (ADV) (Zlateva K. T. et al., 2005), virus del Morbillo (De Swart R. L. et al., 2001 ; Katz R. S. et al., 2002), virus Dengue (Prado I. et al., 2005), virus della Rabbia (Picard-Meyer E. et al., 2007) e Virus Erpetico Umano 6 e 7 (Zerr D. M. et al., 2000).

Shibata et al., nel 1994 fu il primo a segnalare che l’infezione congenita da CMV poteva essere identificata mediante test per il DNA virale tramite PCR a partire da campioni di sangue neonatale applicato su ”filter paper”. Tuttavia questo è stato uno studio retrospettivo e quindi non c'era modo di verificare la sensibilità e la specificità del risultato rispetto al metodo di riferimento.

Studi successivi (Barbi M. et al., 1996 ; Barbi et al., 2006) hanno confermato la valutazione di infezione congenita da CMV a partire da campioni di sangue essiccato su carte da filtro un valido strumento di diagnosi, in alternativa alla metodica tradizionale. Il test è stato effettuato su Guthrie cards. La sensibilità e la specificità del test, rispetto al metodo di riferimento, sono state riportate in un intervallo tra il 71 e il 100% e il 99 e il 100%, rispettivamente. Questo studio ha anche sottolineato i punti critici che il test può presentare.

Utilizzando le cartine si solleva il problema della reale quantità di DNA virale che si è conservata nel tempo in maniera adeguata e se vi è il rischio di contaminazione crociata tra cartine adiacenti. Per quanto riguarda la conservazione nel tempo, la stabilità del DNA per lunghi periodi sulle cartine, sia a 4°C (Johansson P.J. et al., 1997) sia a temperatura ambiente (Barbi M. et al 2000), è stata confermata dai risultati positivi per CMV di test effettuati su soggetti la cui infezione era stata diagnosticata mediante isolamento fino a 18 anni prima. In merito alle possibili contaminazioni crociate non vi è prova, se le cartine sono perfettamente asciutte prima di essere archiviate, di trasferimento di DNA da un cartina all’altra, anche se non conservate in cartelle separate (Johansson P.J. et al., 1997). Molti altri studi hanno confermato l’assenza di contaminazione in seguito all’archiviazione (Barbi M.

et al 2000 ; Fischler B. et al., 1999 ; Van der Knaap M.S. et al., 2004).

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Uno studio recente (Desbois D. et al., 2009) ha dimostrato che anche l’RNA può essere accuratamente recuperato da campioni di siero “spottati” su carte da filtro (DSS) a fini di indagini molecolari nella diagnosi di infezione da HAV. È stato dimostrato che l'RNA di HAV è stabile a temperatura ambiente per un massimo di un mese senza perdita di carica virale. L'analisi mediante RT-PCR a partire da campioni DSS conservati per tempi più prolungati ha evidenziato una perdita di sensibilità di circa un logaritmo rispetto ai test effettuati con campioni di siero refrigerati.

La perdita di carica virale in seguito all’essiccamento del campione è stata inoltre segnalata per la rilevazione dell’RNA di HIV (Amellal B. et al., 2007). In tale studio sono stati utilizzati campioni di siero essiccati su carte da filtro Guthrie per la diagnosi di infezione da HIV. La perdita media di 0.64 log

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copie/mL di RNA è stata imputata alla suscettibilità dell'HIV all’essiccamento in condizioni di conservazione del campione a 37°C per una settimana. A questo proposito è stato messo in evidenza che una misura affidabile della carica virale dell’HIV richiede buone condizioni di conservazione del campione..

Diminuzione nell’ambito del titolo virale in seguito a conservazione su “filter paper” è stata rilevata anche per la rilevazione dell’RNA del virus dell'epatite C (Abe K. et al., 1998) e per la rilevazione del DNA del virus dell’epatite B (Jardi R. et al., 2004).

Le problematiche principali legate alla raccolta del campione su carta da filtro nella diagnosi

di infezioni virali riguardano sia la tipologia del virus, in quanto un virus sprovvisto di

envelope sarà meno sensibile alla procedura di essiccamento rispetto ad un virus che ne è

provvisto (Desbois D. et al., 2009), sia la limitazione del volume del campione che può

essere incluso nella procedura di estrazione. Come mostrato in diversi studi per tutte le

diagnosi di infezioni virali eseguite con la metodica dell’essiccamento su carte da filtro, la

perdita di sensibilità osservata rispetto al metodo di diagnosi di routine può dare risultati

falsi-negativi per campioni che risultano avere un basso titolo virale di partenza e ciò è

attribuito al metodo di eluizione utilizzato (Kenji A. et al., 1998 ; Prado I. et al., 2005).

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Un processo ottimale di recupero e isolamento del genoma virale è quindi un prerequisito fondamentale per la qualità e riproducibilità dei dati..

Diversi protocolli sono stati sviluppati al fine di migliorare il recupero del genoma virale. Le procedure analizzate consistono in:

- incubazione in Buffer di lisi di utilizzo commerciale (McMichael G.L. et al., 2011 ; Moscoso H. et al., 2005 ; Ziemniak C. et al., 2006 ; de Vries J. J. et al., 2009 );

- incubazioni in MEM (“Minimum Essential Medium”) (Barbi M. et al. 2000), - risospensione in PBS (Phosphate Buffer Saline) (Parker S.P. et al., 1999).

Uno studio pubblicato nel 2005 (Bereczky S. et al., 2005) ha introdotto un nuovo metodo di purificazione degli acidi nucleici virali da cartine da filtro basato sull’utilizzo del buffer Tris-EDTA. Il metodo è stato valutato in relazione alle due metodiche standard basate sul Chelex 100, un materiale chelante sviluppato dalla Bio-Rad, e sull’utilizzo del metanolo, nell’individuazione tramite PCR del parassita Plasmodium falciparum da campioni conservati da 1 a 2 anni. Lo studio è stato effettuato su cartine da filtro Whatman FTA e 903 Schleicher & Schuell. La metodica di purificazione basata sul buffer TE si è risultata migliore rispetto alle metodiche basate su metanolo e Chelex 100 sia in sensibilità che in riproducibilità su entrambe le tipologie di cartine da filtro. Ad oggi questa procedura di purificazione è quella maggiormente utilizzata per il recupero dei genomi virali.

INDAGINI SIEROLOGICHE

La raccolta di campioni biologici raccolti su carta da filtro ha ottenuto risultati più che soddisfacenti anche nella ricerca sierologica e negli studi siero epidemiologici (Handali S. et al., 2007).

La diagnosi di epatite A acuta si basa sulla rilevazione delle immunoglobuline M (IgM)

rivolti contro il virus HAV (HAVM). e la determinazione degli anti-HAV totali o anti-HAV

IgG (HAVT).

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Studi recenti (Desbois D. et al., 2009) hanno dimostrato che l’RNA di HAV può essere accuratamente isolato da campioni di siero “spottati” su carta da filtro per studi epidemiologici con metodi molecolari e hanno confermato l'affidabilità dei campioni

“spottati” nella diagnosi sierologica di infezione da HAV. Per quanto riguarda l’indagine sierologica si sono utilizzate carte da filtro differenti rispetto alle carte da filtro usate nelle indagini molecolari in quanto le FTA cards, chimicamente trattate, sono in grado di denaturare le proteine. Gli studi presenti in lettera hanno dimostrato 100% di specificità e sensibilità per il rilevamento di HAVT da campioni di siero “spottati” su carta da filtro conservati fino ad un mese, a temperatura ambiente o anche a 37 °C.

Risultati analoghi sono stati ottenuti per il rilevamento di anticorpi contro il virus dell’epatite C (HCV) a partire da campioni di sangue applicati su carte da filtro (McCarron B. et al., 1999).

Studi recenti hanno ottenuto risultati non altrettanto incoraggianti sulla diagnosi dell’infezione da HBV. La valutazione dell'utilizzo di sangue essiccato su carta da filtro ha mostrato una sensibilità ed una specificità del 78,6% e 88,6%, rispettivamente. Questo risultato è stato ritenuto non ottimale per la diagnosi sierologica della HBV, ma ulteriori studi sono in corso (Forbi J. C. et al., 2010).

3.3 POSSIBILI APPLICAZIONI

SCREENING GENETICO NEONATALE DI MALATTIE METABOLICHE TRAMITE L’UTILIZZO DI CARTINE DA FILTRO

Gli errori congeniti del metabolismo sono un gruppo di malattie genetiche dovute alla

deficienza di un enzima specifico che provoca malattia per accumulo di metaboliti a monte

della reazione enzimatica coinvolta, o per mancanza del prodotto della reazione. La base

razionale per questo screening è costituita dal fatto che numerosi errori metabolici non si

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manifestano clinicamente nel neonato ma si esprimono solo nel lattante, nel bambino o addirittura nell’adulto quando si sono già verificati danni irreparabili. L’individuazione di queste affezioni nel neonato consente di instaurare un trattamento appropriato e quindi di prevenire o quanto meno attenuare le manifestazioni della malattia. Inizialmente, la raccolta di sangue su carta da filtro è stata utilizzata principalmente per il test sulla fenilalanina per rilevare la fenilchetonuria (PKU) nei neonati (Guthrie R. et al., 1963). Il programma di screening neonatale a partire da sangue applicato su carta da filtro si è poi ampliato verso un elenco di altri disturbi metabolici quali la galattosemia e l'ipotiroidismo congenito (Hofman L.F. et al., 2004), l'anemia falciforme (Jinks D.C. et al., 1989), la fibrosi cistica e le distrofinopatie Duchenne/Becker (Prior T.W. et al., 1990).

Il materiale da esaminare è costituito da campioni di sangue raccolti su carta da filtro nei primi giorni di vita. Dal momento che il campione di sangue raccolto su carte da filtro sembra fornire sufficiente quantità di DNA per tali analisi molecolari, l’utilizzo di questo tipo di procedura si è diffusa enormemente nei programmi di screening di neonati per l’identificazione di queste malattie (Prior T.W. et al., 1990).

Nei Paesi in via di sviluppo lo screening neonatale genetico non è operante oppure sono in

corso limitati programmi pilota. Questa situazione è in contrasto con uno dei principi etici

più importanti per regolare gli screening genetici costituiti dalle pari opportunità di accesso

da parte di tutte le popolazioni ed è proprio per questo motivo che diventa sempre più

diffuso l’utilizzo delle carte da filtro in questo campo. Infatti in questi siti la raccolta del

sangue venoso può essere difficile da intraprendere a causa dei costi elevati, mancanza di

personale specializzato, complessità organizzativa e di spedizione e soprattutto per i requisiti

di mantenimento. La tecnica di raccolta e di conservazione del campione su carte da filtro

offre un’ottima alternativa di campionamento più economica e facilmente trasportabile.

(20)

APPLICAZIONE DELLA TECNICA “TANDEM MASS SPECTROMETRY” A PARTIRE DA CAMPIONI ESSICCATI SU CARTA DA FILTRO

La nuova visione dello screening neonatale, introdotta a livello internazionale nel 2006 dal lavoro congiunto dell’American College of Medical Genetics (ACMG) e dell’American Academy of Pediatrics (AAP) statunitensi ha di fatto avviato la nuova rivoluzionaria fase del cosiddetto “screening esteso”, ossia la programmazione dinamica di screening neonatali rivolti, in particolare mediante l’uso di tecnologia di spettrometria di massa, verso un numero sempre maggiore di gruppi di patologie “rare” in cui la diagnosi precoce postnatale rappresenta il cardine fondamentale di un intervento medico e sociale di beneficio per il soggetto affetto

5

. L’ applicazione della spettrometria di massa può avvenire da campioni eluiti da spot ematici assorbiti su carta da filtro di Guthrie come una crescente letteratura analitica va confermando (Cache D. H. et al., 2003). La spettrometria di massa è una tecnica che identifica e quantifica le molecole in base alla loro massa o peso molecolare (PM), caratteristica determinata dalla composizione elementare della molecola. Poiché migliaia di molecole possono essere presenti in miscele complesse, come quelle derivate dai liquidi biologici, e più molecole ionizzate intatte possono presentare lo stesso PM, il sistema analitico deve prevedere un apparato aggiuntivo di separazione, generalmente costituito da un sistema cromatografico, in fase gassosa (GC) o liquida (LC), che consente di ottimizzare l'identificazione degli ioni molecolari e degli ioni “frammento”, ossia il risultato della divisione di uno ione molecolare che si dissocia, se sottoposto ad un sufficiente flusso di energia e/o ad un processo di collisione con altre molecole. L’uso associato di due spettrometri di massa (MS/MS o “tandem mass”) è un’ulteriore evoluzione delle tecniche di spettrometria di massa. L’introduzione nei laboratori clinici, avvenuta sul finire degli anni

’80, della tecnologia della “tandem mass spectrometry” ha di fatto consentito una relativa

semplificazione del processo diagnostico. Il passo successivo, ossia l’applicazione delle

tecniche spettrofotometriche al campione applicato su “filter paper”, già usualmente

(21)

utilizzato per lo screening neonatale, ha permesso una potenziale drammatica espansione del numero di patologie tecnicamente affrontabili con politiche di screening neonatale, aprendo la possibilità di valutare simultaneamente, con la stessa azione tecnica, gruppi di malattie rare, singolarmente non rispondenti ai criteri di selezione delle patologie per i programmi di screening neonatale. Si è resa tecnicamente possibile la selezione, in un’unica seduta analitica e su un unico campione biologico, di numerosi errori congeniti del metabolismo (amminoacidopatie, difetti del metabolismo degli acidi grassi) (Chace D.H. et al., 2003).

3.4 SPECIE VIRALI PRESE IN ESAME

Molti studi hanno trattato rilevazione del genoma di HIV e di altre specie virali a partire da campioni biologici applicati su carta da filtro; il virus di maggiore interesse e’ stato il virus dell’Immunodeficienza Umana (HIV), essendo uno dei virus diffusi nei paesi in via di sviluppo. Nonostante solo il 12% della popolazione mondiale si trovi in Africa, si stima che ben il 60% degli individui malati di AIDS vive nel continente e che la coinfezione HIV- micobatteri sia la maggior causa di morte tra gli infetti nei paesi sub-sahariani (Smith R. A., 2001).

Nel nostro studio, a scopo di indagine conoscitiva, abbiamo preso in considerazione specie virali di particolare rilevanza clinica nell’uomo e ad alta endemicità nelle aree geografiche di difficile accesso, siti in cui la raccolta e conservazione dei campioni clinici risulta essere difficile e nei quali la metodica di collezionamento dei campioni biologici su “filter paper”

potrebbe avere un’applicazione reale. I virus presi in esame sono il HBV e due Herpesvirus,

EBV e CMV, virus di non urgenza come l’HBV ma comunque associati a patologie di

rilievo in soggetti immunocompromessi, quali ad esempio soggetti affetti da AIDS.

(22)

VIRUS dell’EPATITE B (HBV)

L’epatite virale è un processo infiammatorio a carico del fegato e può essere causato da diversi fattori, quali farmaci, malattie autoimmuni, esposizione a tossici e virus. Tra i virus identificati e riconosciuti come responsabili della maggior parte delle epatiti virali acute e croniche vi sono il virus dell’epatite A (HAV), B (HBV), C (HCV), Delta (HDV) ed E (HEV) i quali differiscono tra loro per dimensione, peso molecolare, genoma, ciclo replicativo, assetto antigenico, vie di trasmissione ed evoluzione clinica dell’infezione (Tabella 2).

L’HBV è la seconda causa di epatite virale. E’ stato stimato che, nel mondo, due miliardi di individui sono infettati da HBV e circa 400 milioni siano portatori cronici del virus (Figura 9). A partire dal 2010, in Cina si contano 120 milioni di individui infetti, seguono: India e Indonesia con 40 milioni e 12 milioni rispettivamente. L'epatite B provoca oltre 600 mila decessi annui per le conseguenze croniche della malattia

6

.

Diffusione dell'epatite B nel mondo (2005):

██ Alta : prevalenza superiore a 8%

██ Moderata: tra il 2 e il 7%

██ Bassa: inferiore al 2%

Figura 9.

La principale via di contagio dell’epatite B è la trasmissione percutanea di sangue infetto o

emoderivati. Tuttavia, grazie ai controlli di screening, nei paesi industrializzati, la

trasfusione di sangue non è più la principale via di trasmissione (<2-3%). Un problema di

importanza crescente è, invece, lo scambio di aghi tra coloro che fanno uso di droghe per via

(23)

endovenosa e il rischio aumenta al 60-70% se il sangue proviene da un soggetto HBeAg e HBV DNA positivo. La trasmissione parenterale può essere anche inapparente, quando la penetrazione del virus avviene attraverso l’utilizzo di strumenti professionali non adeguatamente sterilizzati. Anche il trapianto di organi e tessuti rappresenta una via di trasmissione del virus. Tra le vie non percutanee la trasmissione sessuale e quella perinatale rivestono un’importanza determinante (Redd J.T. et al., 2007).L’epatite virale di tipo B ha un periodo di incubazione che va da 45 a 120 giorni. Circa il 90% dei soggetti infettati va incontro ad una infezione primaria asintomatica mentre nel rimanente 10% dei casi, l’infezione primaria risulta sintomatica. Circa l’1% dei casi può sviluppare la forma fulminante, fatale nell’80% dei casi. Il 90% dei casi di epatite acuta volge a guarigione, mentre il 10% delle infezioni primarie evolve verso la cronicizzazione. Circa il 30% delle epatiti croniche evolve verso la cirrosi,che rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo del carcinoma epatocellulare ( 10% dei casi).

L’HBV appartiene alla famiglia degli Hepadnaviridae, piccoli virus a DNA muniti di

“envelope” caratterizzati da uno spiccato epatotropismo e da uno spettro d'ospite ristretto . La famiglia degli Hepadnaviridae, oltre che dall’HBV, comprende anche:

- il virus dell'epatite della marmotta (woodchuck hepatitis virus: WHV);

- il virus dell'epatite dello scoiattolo (ground squirrel hepatitis virus: GSHV);

- il virus dell'epatite B dell'anatra (duch hepatitis B virus: DHBV);

- altri virus ancora non ben caratterizzati in grado di infettare sia mammiferi (ad esempio

alcune specie di scimmie) che uccelli (ad esempio l'airone).

(24)

Tabella 2 : Caratteristiche cliniche e virologiche dei virus epatici maggiori

Tutti questi virus hanno una struttura simile, grossolanamente circolare, un genoma a DNA parzialmente bicatenario e una peculiare ed insolita strategia replicativa. Malgrado le ricerche sull'HBV siano estremamente difficoltose per la mancanza sia di linee cellulari in grado di supportare l'infezione sia di animali di laboratorio adeguati in considerazione del ristretto spettro d'ospite del virus, le tecniche di biologia molecolare e l'uso degli altri Hepadnavirus con i relativi ospiti come modelli animali hanno consentito notevoli progressi nella comprensione della struttura del virus, del suo ciclo replicativo e della patogenesi dell'infezione.

Da un punto di vista mofologico, l’HBV si presenta sotto forma di tre distinte particelle: una particella sferica di circa 42 nm di diametro,“particella di Dane”, corrispondente al virione maturo ed infettante, e due particelle sferiche o filamentose di circa 22 nm di diametro, prive di DNA ma munite degli antigeni di superficie (Figura 10).

L’ envelope è di natura lipoproteica ove sono immerse le glicoproteine di superficie che nel

loro insieme rappresentano l’HBsAg. All’interno vi è un nucleocapside icosaedrico di

approssimativamente 30 nm di diametro, che contiene il DNA genomico (HBV DNA),

l’antigene core (HBcAg) e la polimerasi virus-specifica che compie l'attività della trascrittasi

inversa (DNA-pol) (Figura 11. A,B).

(25)

Figura 10: HBV osservato al TEM. Accanto alle “particelle di Dane” si osservano formazioni tubulari e sferiche di piccole dimensioni.)

A

B

Figura 11 : Struttura tridimensionale (A) e schematica (B) dell’HBV

(26)

Il genoma è rappresentato da una molecola di DNA circolare parzialmente bicatenario con una catena più lunga L(-) della lunghezza di 3200 nt e una catena più corta S(+) di lunghezza variabile da 1700 a 2800 nt. (Figura 12. A,B).

Nella catena L- sono stati identificati quattro geni codificanti organizzati in quattro ORFs (open reading frame) parzialmente sovrapposti:

- ORF E (regioni pre-S1, pre-S2 ed S) contiene 389 o 400 codoni (in base al genotipo) e, avendo tre start per la traduzione, codifica per le tre proteine dell’envelope che nel loro insieme costituiscono l’HBsAg. È sovrapposto all’ORF della polimerasi;

- ORF C (gene pre-Core/Core) codifica per le proteine del nucleocapside (HbcAg) e per l’antigene secretorio HbeAg. È parzialmente sovrapposto all’ORF della polimerasi e all’ORF dell’X;

- ORF P (gene P) codifica per la DNA polimerasi - trascriptasi inversa ed essendo il più lungo dei quattro ORF risulta sovrapposto parzialmente agli altri tre;

- ORF X (gene X) codifica per la proteina X, con funzione verosimilmente regolatrice della replicazione virale, sovrapposto con l’ORF C e ORF P. La funzione della proteina codificata dal gene X non è pienamente compresa, ma è associata con lo sviluppo del cancro al fegato.

Stimola, infatti, i geni che promuovono la crescita cellulare e inattiva le molecole che la regolano (Li W. Et al., 2010)

La trascrizione delle ORFs è diretta da 4 promotori: l’Enhancer II/basal core promoter (BCP), il promoter pre-S1, il promoter S ed Enhancer I/promoter X (Locarnini S., 2005).

Il genoma dell’HBV presenta un tasso di mutazioni tra 1x105 e 3x105 per sito/anno a causa

della mancata attività di proof-reading della polimerasi virale. Nell’ambito della casualità

tendono, comunque, a selezionarsi mutazioni a livello di siti e regioni che conferiscono un

vantaggio replicativo al virus o un vantaggio mimetico rispetto all’ospite (Carman W.F. et

al., 1992).

(27)

A

B

Figura 12 : Rappresentazione genomica schematica (A) e linearizzata (B) dell’HBV

HBV, pur essendo un virus a DNA, si replica come un Retrovirus attraverso la trascrizione

inversa di un intermedio a RNA, detto RNA pre-genomico. Subito dopo l’infezione e

l’esposizione del genoma, il DNA virale viene trasferito nel nucleo, dove enzimi cellulari

operano la conversione del rcDNA (relax and circular) virale in DNA completamente

bicatenario e superspiralizzato (cccDNA, covalently closed circular DNA) tramite la sintesi

della parte mancante dell’elica S (+). Poiché il cccDNA rappresenta lo stampo per la

trascrizione dell’RNA pregenomico, la sua formazione indica l’inizio di infezione. A questo

punto l’RNA-polimerasi II cellulare inizia la trascrizione del cccDNA con la formazione di

due classi di RNA rappresentate rispettivamente da una serie di RNA messaggeri sub-

genomici e da una serie di molecole di RNA (+) pre-genomici in cui è trascritta l’intera

sequenza della catena polinucleotica completa (-) del genoma del virus infettante. Gli RNA

(28)

messaggeri e gli RNA pre-genomici sono quindi trasferiti nel citoplasma. La traduzione degli RNA messaggeri sub-genomici porta alla produzione delle proteine virus specifiche che verranno inserite nell’involucro pericapsidico e della proteina X. Gli RNA pre- genomici, invece, sono bifunzionali poiché rappresentano sia i messaggeri per la produzione delle proteine del capside (core) e della polimerasi, sia gli stampi per la sintesi del DNA della progenie virale. Dopo la sintesi delle proteine tradotte dagli RNA pre-genomici, questi ultimi vengono incapsidati dalle proteine del core in una struttura che prende il nome di provirione, al cui interno vengono trascritti in DNA, ad opera della DNA-polimerasi RNA- dipendente (trascrittasi inversa) virus specifica, con la formazione di un complesso intermedio RNA/DNA. La polimerasi virale opera, a questo punto, la rimozione dello stampo di RNA pregenomico e la successiva sintesi (parziale) della catena complementare di DNA (attività di polimerasi DNA-dipendente). La sintesi del filamento S (+) non sarà completato a causa delle proteine del nucleocapside che si legano all’elica L (-), quindi il genoma virale della progenie sarà circolare, rilassato e parzialmente bicatenario (Seeger C.

et al., 2000). Il provirione, a questo punto, è un virione definitivamente formato nelle sue

strutture essenziali, che acquisisce l’involucro pericapsidico dalle membrane del reticolo

endoplasmatico in cui sono inserite le glicoproteine virali di superficie e, seguendo la

pathway secretoria, è liberato all’esterno della cellula (Bruss V., 2007) (Figura 13). Un

aspetto caratteristico della replicazione degli hepadnavirus è rappresentato dal fatto che

alcuni virioni, una volta completata la sintesi del genoma, anziché essere avviati

all’acquisizione dell’involucro pericapsidico e all’esportazione all’esterno della cellula,

vengono riciclati mediante il loro trasferimento nel nucleo cellulare dove il genoma virale,

viene ulteriormente trascritto, con l’innesco di un ulteriore ciclo replicativo. Questo

meccanismo consente una notevole amplificazione della quantità di progenie virale prodotta

da una singola cellula, e spiega la presenza di antigeni virali nel nucleo delle cellule infette.

(29)

Dopo la penetrazione nella cellula ospite, quindi, l’HBV DNA esiste in due stati: libero, che rappresenta la forma intermedia di replicazione, o integrato nel genoma cellulare.

Figura 13 : Rappresentazione schematica del ciclo di replicazione dell’HBV

Il virus dell'epatite B interferisce principalmente con le funzioni del fegato replicandosi nelle sue cellule, note come epatociti. Il recettore non è ancora noto (Shuping T. et al., 1999). I virioni di HBV si legano alla cellula ospite tramite la presenza dell'antigene di superficie e successivamente interiorizzati per endocitosi. Recettori specifici HBV sono presenti principalmente sugli epatociti. tuttavia il DNA virale e le proteine sono state rilevate anche in siti extraepatici, suggerendo che i recettori cellulari per l'HBV possono esistere anche su cellule extraepatiche. Durante l'infezione da HBV la risposta immunitaria causa sia la danno epatocellulare e che la clearance virale. Anche se la risposta immunitaria innata non gioca un ruolo significativo in questi processi, la risposta immunitaria, con i linfociti citotossici in particolare, contribuiscono alla maggior parte dei danni al fegato associati con l'infezione da HBV.

I quadri clinici di infezione da HBV sono abbastanza variegati: L'infezione acuta da virus

dell'epatite B è associata a epatite virale acuta, una malattia che esordisce con un malessere

(30)

generalizzato, perdita di appetito, nausea, vomito, dolori muscolari, febbre lieve, urine scure, e procede quindi allo sviluppo di ittero (dovuta ad un aumento della bilirubina nel sangue).

È stato notato che il prurito può essere un possibile sintomo di tutti i tipi di virus dell'epatite.

La malattia si protrae per un paio di settimane e poi migliora gradualmente nella maggior parte delle persone colpite. Alcuni pazienti possono avere una malattia più grave del fegato (insufficienza epatica fulminante) e possono morire. L'infezione può essere anche del tutto asintomatica e può non essere riconosciuta.

L'infezione cronica da virus dell'epatite B può essere asintomatica o può essere associata ad una infiammazione cronica del fegato (epatite cronica) che può condurre alla cirrosi dopo un periodo di diversi anni. Questo tipo di infezione aumenta drammaticamente l'incidenza di carcinoma epatocellulare (tumore del fegato). I portatori cronici sono incoraggiati ad evitare consumare alcol, in quanto aumenta il rischio di cirrosi e cancro del fegato. Il virus dell'epatite B è stata collegata allo sviluppo di glomerulonefrite membranosa. Il portatore asintomatico è in grado di trasmettere la malattia anche per molti anni.

Sono stati riconosciuti quattro principali sierotipi virali (adr, ADW, Ayr, ayw) sulla base di epitopi antigenici che si presentano sulla superficie e in otto genotipi in base alla variazione complessiva della sequenza nucleotidica del genoma. I genotipi hanno una distribuzione geografica distinta e sono utilizzati nel tracciare l'evoluzione e la trasmissione del virus.

Differenze tra genotipi influenzano la gravità della malattia, il decorso clinico, la probabilità di complicazioni e la risposta alla vaccinazione e al trattamento.

I genotipi differiscono di almeno l'8% della loro sequenza e sono stati segnalati a partire dal 1988 quando ne furono descritti inizialmente sei (A-F). Altri due tipi sono stati descritti da allora (G-H). La maggior parte dei genotipi sono ora suddivisi in sub-genotipi con proprietà distinte (Schaefer S., 2007) Genotipo A è più comunemente riscontrato nelle Americhe, in Africa, India ed Europa occidentale. Il genotipo B è più frequente in Asia e negli Stati Uniti.

Il genotipo B1 domina in Giappone, il B2 in Cina e Vietnam, mentre il B3 è limitato

(31)

all'Indonesia. Il B4 è prevalentemente presente in Vietnam. Il B5 è più comune nelle Filippine, mentre il genotipo C in Asia e negli Stati Uniti. Il sub-genotipo C1 è comune in Giappone, Corea e Cina. Il C2 è comune in Cina, Sud-Est asiatico e in Bangladesh, il C3 in Oceania, il C4 tra gli aborigeni australiani. Il genotipo D è più comunemente riscontrato nel Sud Europa, in India e negli Stati Uniti ed è stato suddiviso in otto sottotipi (D1-D8). In Turchia genotipo D è anche il tipo più comune. Il genotipo E è più frequente in Occidente e Africa meridionale. Il tipo F è si trova in Centro e Sud America ed è stato diviso in due sottogruppi (F1 e F2). Il genotipo G ha un inserimento di 36 nucleotidi nel gene core e si trova in Francia e negli Stati Uniti. Il tipo H è caratteristico dell'America centrale e meridionale e della California. L'Africa presenta cinque genotipi (A-E). Di questi i genotipi predominanti sono in Kenya il tipo A, B e D in Egitto, D in Tunisia, A e D in Sud Africa ed E in Nigeria. Il genotipo H si è probabilmente scorporato dal genotipo F all'interno del Nuovo Mondo.

Solitamente l'epatite B, come altre malattie che provocano danno alle cellule epatiche, può

essere sospettata nella fase acuta a seguito della presenza di ittero, bilirubinuria (color

marsala delle urine) e feci alcoliche o ipocromiche (per deficit di stercobilina). Tuttavia

questi segni evidenti di danno epatico possono mancare per tutta la lunga fase cronica di

malattia, che può durare anche 20-30 anni; questo fa sì che né il medico né il paziente

sospettino l'infezione e quindi ritardino le cure necessarie. La corretta diagnosi di epatite B

può però essere fatta solamente studiando il dosaggio dei markers virali specifici. Le prove

per la rilevazione di infezione da virus dell'epatite B prevedono test di siero o di sangue che

rilevano entrambi gli antigeni virali (proteine prodotte dal virus) o anticorpi prodotti dal

soggetto ospitante. L'interpretazione di questi test è complesso. L'antigene di superficie

dell'epatite B (HBsAg) è il più frequentemente usato per individuare la presenza di questa

infezione essendo il primo antigene virale rilevabile ad apparire. Tuttavia, all'inizio di

un'infezione, questo antigene può non essere presente e può essere rilevabile soltanto più

(32)

tardi. Il virione infettivo contiene un interno "particella core" che racchiude genoma virale.

La particella core icosaedrica è fatto di 180 o 240 copie della proteina del core, questo è conosciuto come antigene dell'epatite B core o HBcAg. Durante il periodo finestra in cui l'ospite è infettato gli anticorpi IgM dell'antigene core (anti-HBc IgM) possono essere l'unica prova sierologica della malattia. Poco dopo la comparsa di HBsAg, un altro antigene chiamato antigene dell'epatite B (HBeAg) può essere rilevato. Tradizionalmente, la presenza di HBeAg nel siero è associato a tassi molto più alti della replicazione virale ed infettività maggiore, tuttavia, esistono varianti del virus dell'epatite B che non producono antigene 'e' e quindi questa regola non appare sempre vera. Durante il corso naturale di una infezione, l'HBeAg può essere eliminato, questa conversione è di solito associato con un declino drammatico della replicazione virale. Se il portatore è in grado di eliminare l'infezione, alla fine l'HBsAg diventa inosservabile e saranno invece presenti gli anticorpi IgG per l'antigene di superficie dell'epatite B e l'antigene core (anti-HBs e anti HBc IgG). Il tempo tra la rimozione di HBsAg e la comparsa di anti-HBs è chiamato periodo finestra. Una persona negativa per HBsAg ma positiva per anti-HBs o ha superato un'infezione o è stato vaccinato in precedenza. Le persone che rimangono HBsAg positivi per almeno sei mesi sono considerati portatori di epatite B. Portatori del virus potrebbe avere l'epatite B cronica, che si rifletterebbe da elevati livelli serici di alanina aminotransferasi (ALT) ed infiammazione al fegato, come rilevabile dalla biopsia. I vettori che hanno sieroconversione HBeAg di status negativi, in particolare quelli che hanno acquisito l'infezione da adulti, hanno ben poco moltiplicazione virale e, quindi, possono essere a rischio di complicanze a lungo termine o di trasmettere l'infezione ad altri.

Test PCR sono stati sviluppati per rilevare e misurare la quantità di DNA del virus HBV,

chiamata carica virale, in campioni clinici. Questi test sono usati per valutare lo stato

infettivo di una persona e per monitorarne il trattamento. Gli individui con elevata carica

virale, tipicamente presentano "epatociti con citoplasma a vetro smerigliato".

(33)

I marker virologici infettivi sono:

• HBsAg: antigene Australia o di superficie, positivo al contatto col virus anche nel periodo antecedente alla manifestazione dei segni e sintomi della malattia;

• HBsAb: anticorpi contro l'antigene di superficie prodotti dai linfociti B, positivo dopo la guarigione della malattia o nei soggetti vaccinati;

• HBcAb: anticorpi contro l'antigene del core virale (HBcAg), può esistere di due diverse classi di immunoglobuline: la classe IgM è dosabile in fase acuta mentre la classe IgG lo è per tutta la vita;

• HBeAg: antigene non corpuscolato del core virale; indica attività della malattia e della replicazione virale, è presente in fase acuta e in alcuni tipi di portatore cronico attivo;

• HBeAb: anticorpo contro l'antigene non corpuscolato del core virale, compare nell'epatite acuta quando comincia a risolversi; è presente anche nel portatore cronico sia attivo che inattivo.

L'infezione acuta da epatite B generalmente non richiede un trattamento poiché la maggior

parte degli adulti è in grado di eliminare l'infezione spontaneamente. Il precoce trattamento

antivirale può essere utile solo per meno dell'1% dei pazienti, il cui contagio avviene con un

decorso molto aggressivo (epatite fulminante) oppure per soggetti immunocompromessi. In

caso di presunta infezione, entro 48 ore si può eseguire una profilassi passiva con iniezioni

di immunoglobuline anti-HBV ovvero anticorpi diretti contro il virus ed iniziare la

vaccinazione completa. D'altra parte, il trattamento dell'infezione cronica può rendersi

necessario per ridurre il rischio di cirrosi e cancro al fegato. Gli individui con infezione

cronica che presentano elevati valori di alanina transaminasi, un marker di danno epatico,

sono candidati alla terapia. Anche se nessuno dei farmaci attualmente disponibili può

eliminare l'infezione, alcuni possono bloccare la replicazione del virus, riducendo così al

minimo i danni al fegato. Per la prevenzione dell'infezione da virus dell'epatite B sono stati

sviluppati diversi vaccini a partire dagli anni 80. Queste si basano sull'uso di una delle

(34)

proteine dell'involucro del virus (antigene di superficie dell'epatite B o HBsAg). Il vaccino è stato originariamente ottenuto dal plasma di pazienti che avevano contratto da lungo tempo l'infezione da virus dell'epatite B. Tuttavia, dal 1996, viene realizzato grazie a una tecnologia di sintesi del DNA ricombinante che non contiene derivati del sangue. Non si può essere infettati con il virus dell'epatite B da questo vaccino.

HERPESVIRUS

Gli Herpesvirus sono virus a DNA a doppio filamento con simmetria icosaedrica,

appartenenti alla famiglia Herpesviridae. Caratteristica di questa famiglia di virus è quella di

non abbandonare più l'ospite dopo la prima infezione e di annidarsi in un tipo di cellula

dell'organismo, causando una cosiddetta infezione latente. Questa si verifica in un tempo

variabile a seconda del tipo di virus e della sensibilità dell'ospite. Da tale stato di latenza il

virus può riattivarsi, anche dopo molti anni, dando luogo a una recidiva della malattia. Gli

stimoli che inducono il "risveglio" dell'attività virale possono essere il caldo eccessivo, il

freddo eccessivo, i traumi, la febbre, gli stress e soprattutto le variazioni dello stato di difesa

immunitaria dell'ospite. Nei virioni, di 180-200 nm di diametro, si distingue il core,

contenente il DNA, il capside con 162 capsomeri a simmetria icosaedrica, il tegumento di

natura proteica e l'envelope (Figura 14).

(35)

Figura 14 : Rappresentazione tridimensionale Herpesvirus

La replicazione e i processi di sintesi proteica avvengono totalmente all'interno del nucleo della cellula ospite. Il genoma di tutti gli Herpesvirus è lineare a doppio filamento, ma differisce per dimensioni e orientamento dei geni. Sequenze ripetute, dirette o invertite, delimitano regioni uniche del genoma: regione unica lunga (UL); regione unica breve (US).

La ricombinazione tra sequenze ripetute ed invertite di HSV, CMV, e VZV permette che regioni del genoma invertano l’orientamento reciproco dei segmenti genomici UL e US, formando genomi isomerici e permettono anche la circolarizzazione del genoma (Figura 15).

Figura 15 : Struttura genomica Herpesvirus

Il ciclo replicativo degli Herpesvirus comporta l’attacco delle glicoproteine virali (VAP: gB,

gC, gD, gH,gE/gI) ai glicosaminoglicani (recettore: eparansolfato) presenti sulla cellula

(36)

bersaglio. La penetrazione e il successivo ingresso nel citoplasma avviene per fusione (glicoproteine di fusione: gB) del mantello con la membrana citoplasmatica. Il nucleocapside raggiunge la membrana nucleare dove avviene il rilascio del genoma nel nucleo. La replicazione virale comporta la sintesi di 3 classi di geni virali (molto precoci, precoci e tardivi), trascritte in sequenza ordinata dall'enzima cellulare RNA polimerasi II (Figura 16).

Proteine molto precoci (α): fattori di regolazione della trascrizioneche stimolano la sintesi del DNA e delle proteine precoci.

Proteine precoci (β): ulteriori fattori di trascrizione ed enzimi tra

cui la DNA pol-DNA dip virale e la timidina-chinasi.

Proteine tardive (ɣ): proteine strutturali prodotte dopo la replicazione del genoma.

Figura 16: Sintesi proteine virali

La replicazione del genoma virale avviene ad opera della DNApolimerasi DNAdipendente virale per questa ragione la DNA polimerasi virale è il bersaglio dei farmaci antivirali.

Enzimi virali di recupero dei nucleotidi forniscono i substrati deossiribonucleotidici alla polimerasi. Questi enzimi favoriscono la replica virale in cellule che non si trovano in fase replicativa, dove mancano i substrati necessari alla sintesi del DNA virale (i neuroni). I procapsidi vuoti si assemblano nel nucleo e successivamente viene inserito il DNA. Il mantello viene acquisito dal foglietto interno della membrana nucleare o dalle vescicole del Golgi. Il virus esce per lisi o esocitosi Le cellule che promuovono l’infezione latente limitano la trascrizione a geni specifici (trascritti associati alla latenza o LAT) che non sono tradotti in proteine e non permettono la replica del genoma virale.

Esistono 8 Herpesvirus umani:

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• Alpha-herpesvirus: Herpes simplex di tipo 1 e 2 (HSV-1 e 2), Virus della Varicella Zoster (VZV/HHV3).

Il ciclo replicativo è rapido, hanno un marcato effetto citopatico e un tropismo tissutale ampio. La sede preferenziale di latenza è nelle le cellule dei gangli nervosi sensitivi.

• Beta-herpesvirus:Citomegalovirus (CMV/HHV5), Virus erpetici umani 6 e 7 (HHV- 6 e 7)

Il ciclo replicativo è piuttosto lungo, hanno un ristretto tropismo tissutale e capacità di indurre sincizi. La sede di latenza è nelle ghiandole salivari, nei tubuli renali, nelle linfoghiandole (cellule epiteliali,monociti).

• Gamma-herpesvirus: Epstein-Barr (EBV/HHV4), Virus erpetico umano 8 (HHV8)

Il tropismo tissutale è limitato a cellule linfoidi, che costituiscono anche la sede di latenza.

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VIRUS di EPSTEIN- BARR (EBV/HHV4)

Il virus di Epstein-Barr (EBV) è un virus a DNA appartenente alla famiglia degli Herpesviridae, responsabile della mononucleosi infettiva e coinvolto nella genesi di alcuni tumori epiteliali e di alcuni tipi di linfoma.

Come tutti gli Herpesvirus, l'EBV ha una forma sferoide ed è formato da una doppia membrana lipoproteica, il tegumento, che riveste un capside icosaedrico (100-110 nm di diametro) composto da 150 esoni e 12 pentoni. Il capside racchiude il genoma, che è costituito da una molecola lineare di DNA a doppio filamento di 172 kilobasi. Il genoma è caratterizzato dalla presenza di diverse sequenze ripetute, alcune localizzate altre intersperse.

Codifica circa cento geni dei quali durante la latenza ne vengono trascritti al massimo 11 di cui 9 tradotti (Figura 17).

Figura 17: Rappresentazione schematica della struttura dell’EBV

Questo virus è diffuso ovunque sulla superficie terrestre, e il fatto che è stato possibile

isolarlo anche in etnie umane isolate costituisce una situazione abbastanza eccezionale in

virologia umana. L'analisi molecolare ha evidenziato che esiste un solo tipo di EBV e che le

piccole variazioni osservate nel DNA del suo genoma non sono significative e non

modificano le sue proprietà.

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EBV ha come ospite esclusivo l'uomo e qualche raro ceppo di scimmie antropomorfe, e l'indisponibilità di modelli animali ha posto difficoltà per la valutazione sperimentale di un eventuale vaccino. Le cellule colpite di preferenza dall'EBV sono i linfociti B. EBV fu isolato a Londra per la prima volta nel 1964 da Anthony Epstein e Yvonne Barr. Questi virologi inglesi avevano ricevuto dall'Uganda e messo in coltura delle cellule prelevate da pazienti africani affetti da un particolare linfoma che colpiva le zone malariche sub- sahariane. I prelievi erano stati eseguiti da Dennis Burkitt, che dal 1958 aveva individuato e descritto questa malattia e ne aveva analizzato le caratteristiche epidemiologiche. Isolando una linea cellulare e analizzando le cellule al microscopio elettronico, Epstein e Barr scoprirono la presenza di questo nuovo Herpesvirus che, in loro onore, venne chiamato virus di Epstein-Barr. Considerato pertanto all'inizio come responsabile del linfoma di Burkitt, il virus fu in seguito ritrovato nella quasi totalità degli individui adulti e il suo ruolo nella patogenesi del tumore africano fu messa in discussione. Dal 1968 si sa che nella maggioranza degli individui infettati EBV non provoca manifestazioni patologiche o provoca una forma indistinguibile dalle comuni infezioni respiratorie da virus; in alcuni casi è responsabile della malattia benigna nota come mononucleosi infettiva e comunque è associato, oltre che al linfoma di Burkitt, ad altri tipi di tumore maligno, tra cui il linfoma di Hodgkin e il carcinoma del rinofaringe, comune in Asia sud-orientale e nel Maghreb. La trasmissione del virus avviene principalmente con la saliva. Questo tipo di trasmissione è ben evidenziato dal nome che si dà comunemente alla mononucleosi ("malattia del bacio").

Le altre vie di trasmissione (ematica, sessuale) sono possibili, ma in via del tutto eccezionale. Nei paesi economicamente sviluppati il primo contatto con il virus avviene nell'adolescenza e dopo i 25 anni di età quasi tutti gli individui, anche coloro che non hanno sviluppato la mononucleosi, presentano positività agli anticorpi anti-EBV.

L'età della prima infezione si riduce in modo significativo a seconda del livello socio-

economico e delle condizioni di promiscuità e di igiene. In Africa la trasmissione

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