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Nel presente elaborato si vuole affrontare il tema dell’uscita volontaria del socio nella società per azioni, concentrando maggiormente le riflessioni sul procedimento di liquidazione della partecipazione azionaria del recedente.

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1 Introduzione

Nel presente elaborato si vuole affrontare il tema dell’uscita volontaria del socio nella società per azioni, concentrando maggiormente le riflessioni sul procedimento di liquidazione della partecipazione azionaria del recedente.

L’istituto del recesso societario, le cui radici storiche affondano nel diritto romano classico

1

, costituisce lo strumento che consente al socio di liberarsi dai vincoli societari al verificarsi di specifici eventi disciplinati dalla legge e dallo statuto, o qualora ritenga non più confacente ai suoi interessi il proseguio del rapporto societario

2

.

Da un punto di vista generale l’istituto in esame trova la sua disciplina di riferimento nel diritto dei contratti, alla stregua di quanto prevede l’art. 1324 del c.c.; mentre nell’ambito societario viene ad essere regolato da varie norme dettate per lo specifico tipo di società.

1La cosiddetta renuntiatio è indubbio che costituisse nelle società romane una delle cause di scioglimento del rapporto societario fra le più significative tra quelle disponibili per il socio e deve essere inquadrata nell’ambito del consensus perseverans1, presupposto per il perdurare della società. Di questo ne siamo pressoché sicuri grazie a Gaio il quale, nelle sue istituzioni 3, 151, così affermava: Manet autem societatis co uscque , donec in eodem conensum perseverant at cum aliquis renuntiaverit societati societas solvitur. Oltre al recesso unilaterale lo scioglimento della società conseguiva nel caso di morte, capitis deminutio, publicatio honorum e honorum venditio. Per un analisi dettagliata dell’istituto nel periodo del diritto romano tra gli altri, BONA F., Studi sul recesso del socio in diritto romano classico, Milano, Giuffrè, 1968; ARANGIO RUIZ V., La società di diritto romano, jovene, Napoli, 1950, pp. 152 e ss.;CERAMI P., Affari finanza, e diritto nei primi due secoli dell’impero, relazione del Convegno di Copanello 5-10 Giugno 2004; CERAMI P. – PETRUCCI A., Diritto commerciale romano, Giappichelli, Torino, 2010

2 Questo - come vedremo - può avvenire solo nella società contratta a tempo indeterminato con preavviso di almeno 180 giorni.

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2

Elemento comune del recesso è il fatto di costituire un atto unilaterale recettizio, attraverso il quale un socio manifesta, con dichiarazione espressa, la volontà di uscire dalla compagine societaria.

L’esercizio di tale diritto non determina tuttavia lo scioglimento del contratto societario, il quale continua a sussistere e proseguire tra i soci rimanenti.

Il tema in questione è stato oggetto di importanti modifiche alla stregua della riforma del diritto societario del 2003, volte a ridisegnare i rapporti tra maggioranza e minoranza azionaria e ad attribuire più spazio all’autonomia statutaria.

L’originario timore che il legislatore nutriva nei confronti dell’istituto, manifestato con la relegazione dello stesso a casi limitati, ha lasciato il posto ad una nuova visione del recesso come strumento atto a garantire al socio una possibilità di disinvestimento, ma, come vedremo, anche volto a incentivare l’adesione alla compagine sociale da parte di potenziali soggetti esterni.

La nostra attenzione sarà dedicata soprattutto all’analisi delle questioni relative al diritto di recesso nella società per azioni, iniziando da un’analisi storica per poi passare ad affrontare l’istituto nella regolamentazione attuale, attraverso una rassegna analitica delle singole cause dei recesso e un approfondimento dei temi ad essi afferenti.

Particolare e specifica sarà la trattazione delle questioni attinenti al

procedimento di liquidazione della partecipazione azionaria, anch’esso

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3

profondamente innovato dalla riforma del 2003. Procedimento a fasi progressive, dove è prevista la possibilità di passare allo step successivo solo dopo aver “tentato” senza risultato quello precedente (con eccezione della fase di collocamento delle azioni a terzi o sul mercato).

Dall’attuale disciplina, infatti, emerge con tutta evidenza l’intenzione primaria del legislatore di bilanciare i due interessi in gioco:

quello del socio al rimborso e quello della società a non vedere intaccato il capitale sociale o, peggio ancora, a dover intraprendere la procedura di scioglimento.

Questo appare evidente dal fatto che la procedura di rimborso possa essere ipoteticamente strutturata in due “momenti” distinti ma collegati tra loro: il primo, nel quale vengono utilizzati gli strumenti volti a rimborsare la partecipazione azionaria attraverso la collocazione delle azioni del recedente tra i soci stessi, i terzi, o mediante acquisto da parte della società stessa; il secondo, subordinato al mancato funzionamento dei meccanismi del primo, prevede di attingere al capitale sociale, situazione che potrà anche portare alla delibera di scioglimento dell’ente societario.

Da ultimo verrà dedicato un breve spazio all’analisi, in una

prospettiva di confronto, della disciplina che l’ordinamento dedica

all’istituto nell’ambito della società a responsabilità limitata, al fine di

individuare gli elementi di analogia e di differenza che intercorrono, in

ordine all’istituto stesso, tra le due tipologie di società di capitali.

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4

Analogie che dopo la riforma del 2003, con la quale è stata

abbandonata la configurazione della s.r.l. come piccola s.p.a., si sono

assottigliate ed hanno lasciato il posto a importanti elementi di

differenziazione, i quali si ritrovano anche e soprattutto nell’esercizio del

diritto di exit e nel procedimento di rimborso della quota.

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5

Capitolo primo

IL DIRITTO DI RECESSO NELLA S.P.A.:

PROSPETTIVA STORICA.

Sommario. 1. Il recesso nella disciplina codicistica ante-riforma. Dal codice di commercio del 1865 al codice civile del 1942 - 2. Gli spazi concessi all’autonomia privata nel codice civile del 1942. “Istituzionalismo contro contrattualismo”.

1. Il recesso nella disciplina codicistica ante riforma. Dal codice di commercio del 1865 al codice civile del 1942.

Nell’iniziare l’analisi dell’istituto in esame dobbiamo innanzitutto rilevare come nella formulazione originaria del codice del 1942

3

il recesso

4

fosse circoscritto a specifiche ipotesi di radicale mutamento

3 Per una prospettiva storica, FRAGONARA E., Recesso e procedimento per la liquidazione delle azioni e delle quote, Giuffre, Milano, 2008; IOVENITTI P., Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi in Rivista delle società, Giuffrè, 2005, pg. 459 e seg.; GRIPPO G., Il recesso del socio, in Trattato delle società per azioni , diretto da Colombo G. E. – Portale G. B, Utet, Torino, 1993; BISCOTTI A.M., Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della novella legislativa. Alcune considerazioni civilistiche, economiche e contabili in quaderni monografici, Rirea, Roma, 2007

4 COTTINO G., diretto da, Società per azioni, in Trattato di diritto commerciale, Cedam, Milano, 2010;COLOMBO G. E. – Portale G. B., Trattato delle società per azioni, Utet, Torino 2004; ABBADESSA P. e. PORTALE G. B., Il nuovo diritto delle società - Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Utet, Torino, 2006;AA. VV.

Diritto commerciale, Monduzzi editore, Bologna, 2007;CAMPOBASSO G. F., Diritto

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6

delle “basi essenziali societarie”, configurandosi come uno strumento del tutto eccezionale rispetto alla vincolatività delle delibere assembleari adottate secondo il principio maggioritario

5

.

L'art. 2437 c.c. consentiva al socio, manifestando la sua volontà, di esercitare il suo diritto di exit

6

nei casi di cambiamento dell'oggetto sociale, di trasformazione del tipo di società e di trasferimento della sede all'estero.

L’avvento del codice civile ha infatti segnato una riduzione del campo di applicazione dell'istituto, dato che il vecchio codice di commercio del 1882 contemplava tra le cause di recesso anche i casi di aumento del capitale e di fusione (con esclusione di quella di trasformazione del tipo).

Alle ipotesi previste dal codice del '42 se ne aggiunse poi una quarta per effetto dell'art. 13 della l. 149/1992, recante la disciplina delle offerte pubbliche di vendita, sottoscrizione, acquisto e scambio titoli: “i soci di una società le cui azioni sono quotate in borsa, che siano dissenzienti dalla deliberazione riguardante la fusione mediante costituzione di una società nuova ovvero incorporazione di una società le

Commerciale Vol. 2, Utet, Torino, 2012;NICCOLINI G. e STAGNO D’ALCONTRES A., Società di capitali, Jovene, Napoli, 2004

5 CAMPOBASSO G. F., Diritto commerciale, Vol. 2, UTET, Torino, 2012 ; AA.VV.

Diritto Commerciale Monduzzi, pp. 174-192; DI CATALDO V.,Il recesso del socio di società per azioni in Il nuovo diritto delle Società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, a cura di Abbadessa P. e. Portale G.B, Utet, Torino, 2006 pp. 220 ss

6 Sul diritto di exit, DELLI PRISCOLI L., Delle modificazione dello stauto, Diritto di recesso in Codice civile, Commentario, pp. 3- 4 Giuffrè, il quale afferma che il termine in questione è mutuato dal linguaggio economico e accomuna fenomeni giuridici quali il recesso e l’alienazione di partecipazioni. Questi pur essendo molto diversi hanno una notevole interdipendenza; ANGELICI C., La riforma delle società di capitali, cedam, Padova, 2006

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7

cui azioni sono quotate in borsa, hanno diritto di recedere ai sensi e per gli effetti dell'art. 2437 del c.c.

L'istituto in realtà non ebbe una diffusa applicazione pratica, soprattutto per il pregiudizio d'ordine patrimoniale che il prescritto sistema di rimborso poteva arrecare alle ragioni del recedente

7

.

Il legislatore del '42, consentendo al socio di recedere nelle tre ipotesi menzionate, intese dare un assetto più definito - rispetto al passato - ai rapporti interni tra poteri di maggioranza e minoranze azionarie, consentendo allo stesso, nei casi di modificazioni essenziali del contratto sociale, di dissentire con un'azione di uscita. Ma la considerazione nei confronti dell’istituto continuava tuttavia ad essere di diffidenza; da ciò continuò a conseguirne la relegazione a casi eccezionali.

Questa eccezionalità del recesso era peraltro riscontrabile già a partire dal codice di commercio del 1882, nello specifico nella Relazione Mancini

8

, dove si parlava di strumento concesso a salvaguardia di chi,

“dopo aver concorso con una somma determinata ad una società avente un certo scopo, possa essere da un voto dell'assemblea generale travolto in una società diversa”. Al fine di evitare abusi del diritto, che avrebbero potuto arrecar danno alla società, la relazione ne richiedeva un'esercizio

“ristretto nei limiti rigorosi”.

Il codice di commercio del 1865 disponeva invece, all’art. 163, che

“in tutte le società commerciali devono risultare, da espressa

7 GRIPPO G., Il recesso del socio, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo G. E. – Portale G. B., Utet, Torino,1993, pp. 136 e ss.

8 Relazione Mancini dall’allora guardasigilli.

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8

dichiarazione o deliberazione dei soci, e devono essere depositati, trascritti, affissi e pubblicati … la mutazione, il recesso e l’esclusione dei soci”. Prevedeva poi, all’art. 164, che “in mancanza delle formalità stabilite e finché queste non saranno adempiute, ciascun socio può recedere dalla società mediante una dichiarazione notificata per atto di usciere”.

Da quanto qui riportato si può ben capire come il recesso, nel codice di commercio del 1865, non venisse ricollegato alle modificazioni dello statuto, ma, almeno per quanto concerneva le cause legali, alla violazione della legge in materia di pubblicità

9

.

Solo con il codice di commercio del 1882 il legislatore mise in relazione il diritto di recesso con alcune delibere assembleari di modifica dell’atto costitutivo, consentendo ai dissenzienti di “recedere dalla società e di ottenere il rimborso delle loro quote od azioni in proporzione dell’attivo sociale secondo l’ultimo bilancio approvato …”

10

Il legislatore, ovviamente, fece una selezione delle cause che potevano dar luogo al recesso e ne fissò i termini specifici per l’esercizio al fine di impedirne abusi

11

.

Ma negli anni successivi sempre più evidenti si manifestarono i segnali di discrasia tra le scelte legislative effettuate e la situazione

9 TOFFOLETTO A., Diritto di recesso e autonomia statutaria nelle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2004, pg. 5; RODORF R., Il recesso del socio di società di capitali: prime osservazioni dopo la riforma, in Le società, 7, 2003, pg. 923

10 Art. 158 Codice di commercio del 1882

11 In base all’art. 158, comma 4 del Codice di commercio, il recesso deve essere dichiarato dagli intervenuti all’assemblea entro ventiquattro ore dalla chiusura di essa e dagli altri soci entro un mese dalla pubblicazione della deliberazione del giornale degli annunzi giudiziari sotto pena di decadenza.

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economica generale, tanto che furono adottati, negli anni a cavallo della prima guerra mondiale e nel periodo immediatamente successivo, interventi volti a sospendere l’applicazione delle cause di recesso in ipotesi di fusione, aumento di capitale e cambiamento dell’oggetto sociale in connessione con operazioni di concentrazione. Questo al fine di impedire eventuali ostacoli con il processo di integrazione fra imprese, elemento indispensabile della loro crescita o del loro salvataggio in un momento delicato per l’economia nazionale.

I provvedimenti approvati in quel periodo, progressivamente volti a ridurre le possibilità di recesso per il socio, fanno intendere con chiarezza questa impostazione e sono espressione di una scelta legislativa prettamente incentrata a tutelare gli interessi del “sistema delle società di capitali” e delle dinamiche societarie; interessi che in quegli anni si erano intensificati con i suddetti processi di integrazione e concentrazione aziendale

12

.

È allora chiaro il perché dell’atteggiamento di disfavore e di restrizione che il legislatore del ’42 tenne nei confronti dell’istituto in esame; il “bagaglio storico – economico” degli anni immediatamente precedenti alla codificazione ebbe un forte impatto sulle sue scelte, tutte improntate a limitare le ipotesi di operatività dell’istituto ai soli tre casi menzionati.

L’obbiettivo del legislatore del ’42 era quello di garantire che la

12 GRIPPO G., Il recesso del socio, in Trattato delle società per azioni , diretto da COLOMBO G. E. – PORTALE G. B., Utet, Torino,1993, IV, pg 141; TOFFOLETTO A., Diritto di recesso e autonomia statutaria nelle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2004, pg. 8

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società potesse effettivamente operare con le dinamiche tipiche di una struttura organizzativa, caratterizzata da una volontà propria e da un proprio patrimonio e come conseguenza del suo riconoscimento come persona giuridica; una struttura che agisse esclusivamente con i suoi organi, i quali avrebbero attuato la stessa capacità di agire della persona giuridica e, a differenza dei rappresentanti della persona fisica, non investiti di un distinto e qualificato potere di agire.

A tale scopo era sicuramente necessario fare in modo che il socio non potesse incidere sul patrimonio sociale recedendo a sua discrezione e richiedendo il rimborso della propria partecipazione; questo avrebbe potuto indebolire la società e ostacolato il conseguimento dell’oggetto sociale

13

.

La disciplina attuale, all’analisi della quale si rinvia al prossimo capitolo, nonostante prosegua nel solco tracciato dal legislatore del ’42, introduce importanti elementi di novità, dettati da una mutata considerazione dei rapporti tra principio maggioritario e diritti individuali e, ovviamente, dal cambiamento del quadro economico – sociale.

2. Gli spazi concessi all’autonomia privata nel codice civile del 1942.

“Istituzionalismo contro contrattualismo”.

13 CALIFANO G.V., Il recesso nelle società di capitali, libreria bonomo, 2009, Bologna pg 11; BISCOTTI A.M., Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della novella legislativa. Alcune considerazioni civilistiche, economiche e contabili in quaderni monografici Rirea, Rirea, Roma, 2007, pg. 6

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Un altro tema che merita di essere trattato in chiave storica attiene alla possibilità di ampliamento, attraverso clausole statutarie, delle ipotesi di recesso del socio; questione che è stata oggetto di un complessa discussione nell’ambito della disciplina del codice del ‘42.

Sul punto due erano gli orientamenti: quello istituzionalista e quello contrattualista

14

.

I sostenitori del primo ritenevano che fosse da escludere la possibilità di ampliare le ipotesi di recesso legali, in quanto da un lato incompatibili con il principio maggioritario, dall’altro incompatibili con la tutela dei creditori sociali e la salvaguardia del patrimonio sociale.

A sostegno di questa impostazione si adduceva come la tesi contraria non sarebbe stata conciliabile con l’evoluzione storica dell’istituto e con gli opposti interessi che l’hanno caratterizzata

15

.

In secondo luogo, l’estensione della disciplina dei contratti avrebbe lasciato senza freni la prevedibilità mediante statuto dei casi convenzionali, con la conseguenza di attribuire, in modo ingiustificato, un potere capace di indebolire la regola della modificabilità a maggioranza dell’atto costitutivo.

Infine, sempre secondo i fautori della tesi istituzionalistica, la limitazione legale delle cause di recesso aveva una funzione

14 GRIPPO G., Il recesso del socio, in Trattato delle società per azioni , diretto da Colombo G. E. – Portale G. B, Utet, Torino,1993, pp. 146 e ss

.;

TOFFOLETTO A., Diritto di recesso e autonomia statutaria nelle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2004, pg. 45; per un ulteriore approfondimento PELLIZZI G., Sui poteri indisponibili della maggioranza assembleare, in Riv. Dir. Civ., 1967, I, pg. 202 (citato da TOFFOLETTO A. op.cit., pg. 14)

15 GRIPPO G., op.cit., pg. 146

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12

propriamente economica, in quanto consentiva di impedire la dispersione del capitale sociale e quindi il rischio di estinzione dell’impresa.

Avverso il suddetto orientamento dottrinale vi era la tesi contrattualistica, la quale muoveva anzitutto dal dato letterale. Proprio il dettato normativo, nulla dicendo sul punto e limitandosi esclusivamente a prevedere i soli tre casi di recesso menzionati, poteva far desumere una possibilità di ampliamento per via statutaria delle ipotesi di operatività dell’istituto

16

. Inoltre, in opposizione ai sostenitori della tesi istituzionalistica, i quali incentravano le loro argomentazioni sull’impossibilità di estensione statutaria per non comprimere il principio maggioritario, i contrattualisti ritenevano eccessivo togliere ai soci uno strumento che avrebbe potuto dare una soluzione ad alcuni dei conflitti di interessi che possono insorgere nelle società a ristretta base azionaria

17

.

Da menzionare poi è l’impostazione che potrebbe essere collocata al centro delle due prospettate. Secondo questa tesi, che potremmo definire “di centro”, il recesso poteva essere previsto dall’atto costitutivo solo nei casi di riduzione del capitale sociale operanti in una situazione di

“esuberanza” del medesimo, tale che avrebbe permesso di prendere la deliberazione di cui all’art. 2445 c.c.

18

Alla luce della rinnovata disciplina dell’istituto in esame, derivante

16 TANTINI G., Le modificazioni dell’atto costitutivo nelle società per azioni, Cedam, Padova, 1973, pg. 164; in senso diametralmente opposto sentenza Trib., Milano, 8 Ottobre 1958, Passigli c. OMSA, secondo la quale “in mancanza di una previsione espressa della disciplina normativa si deve propendere per una tesi restrittiva circa la possibilità di prevedere ipotesi statutarie di recesso”.

17 FERRI G. jr., Investimento e conferimento, Giuffrè, 2001, pg. 162

18GABRIELLI G., Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Giuffrè, Milano, 1985, pp. 111 e ss.

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13

dalla riforma del 2003, le tesi in esame risultano ormai molto lontane.

Nonostante questo sia innegabile qualcosa delle stesse suscita ancora qualche riflessione.

In ordine alla teoria istituzionalistica, sembra che nella disciplina attuale dell’istituto possa essere riscontrata l’intenzione del legislatore di considerare il recesso strumento di temperamento del principio maggioritario.

Con riferimento alla seconda, la cui impostazione è stata nella sostanza accolta dal legislatore della riforma, niente si diceva in ordine a quali fossero i limiti all’interno dei quali gli interessi dovevano essere protetti

19

.

Il tema, oggetto di approfondite riflessioni e al quale si collegano nuove problematiche, verrà comunque approfondito nel successivo capitolo.

19 GRIPPO G., op. cit., pg.147

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Capitolo Secondo

IL RECESSO NELLA SOCIETÀ PER AZIONI:

DISCIPLINA ATTUALE

Sommario. 1. Aspetti generali e valutativi dell’istituto – 1.1. - Il recesso come strumento di bilanciamento tra incentivazione dell’investimento ed efficienza del mercato del credito - 2. Analisi delle singole cause di recesso. Le cause legali inderogabili: art. 2437 c.c. –. 2.1. (segue): Il recesso nella società contratta a tempo indeterminato - 2.2. (segue): Il recesso nelle società quotate in mercati regolamentati –2.3. (segue): Le cause legali inderogabili nelle società soggetta ad attività di direzione e coordinamento: art. 2497 quater – 3. cause legali di recesso derogabili dallo statuto. La proroga del termine –3.1. (segue):

Introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari – 4.

Cause di recesso statutarie – 5. Termini e modalità per l’esercizio del diritto – 6.

La perdita dello status socii.

1. Aspetti generali e valutativi dell’istituto.

Nell'attuale sistema normativo, a seguito della Riforma del Diritto

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Societario

20

, apportata con il D.Lgs 6 del 2003 (cd.tta riforma Vietti), il diritto di recesso è stato oggetto di un importante modifica, derivante soprattutto dall'ampliamento delle ipotesi tipiche

21

, la quale ha determinato il configurarsi di una forte tutela del socio nei confronti della maggioranza.

Sono state infatti ampliate le fattispecie che costituiscono il presupposto per l'esercizio del diritto di recesso e disciplinati termini e modalità del suo esercizio, i criteri per la determinazione del valore delle azioni, il procedimento di liquidazione, le disposizioni speciali per le società con azioni quotate nei mercati regolamentati e le azioni riscattabili.

Innovativa è, senza alcun dubbio, la scelta del legislatore di attribuire il diritto di recesso ad nutum nell’ipotesi di società contratta a tempo indeterminato e nell’ipotesi di restrizione alla circolazione delle partecipazioni idonee a determinarne la sostanziale trasferibilità

22

.

In ordine alla prima ipotesi, gli art. 2437, comma 3, per le società azionarie non quotate e l’art. 2473, comma 2, per le s.r.l., prevedono che il socio possa recedere in ogni momento, salvo il preavviso, quando la società è costituita a tempo indeterminato

23

.

20 SANDULLI M. – SANTORO V., La riforma delle società, Giappichelli, Torino, 2007

21 Le innovazioni apportate dalla riforma, in realtà, non sono tutte da considerarsi originali. In qualche misura la riforma è da intendere un ritorno al passato: il codice del 1882 dava infatti al recesso una veste più ampia di quella datagli dal legislatore del ’42.

22 GRANELLI C., Il recesso del socio nelle società di capitali alla luce della riforma societaria, in Le societa, 2, 2004, pg. 147; RODORF R., Il recesso del socio di società di capitali: prime osservazioni dopo la riforma, in Le società, 7, 2003, pg. 932

23 GRANELLI C., op. cit., pg.145

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In proposito occorre osservare come prima della riforma non fosse prevista la possibilità di costituire una società senza previsione di un termine, ragion per cui non poteva essere riconosciuta l’ipotesi in esame.

Detto ciò, proprio con riguardo alle società contratte a tempo indeterminato, particolarmente rilevante è stata la previsione della possibilità per il socio di recedere in ogni momento, tra l’altro con preavviso di centottanta giorni; ma ancor più importante forse è stata l’introduzione della facoltà di prevedere nello statuto un preavviso più lungo, anche se non superiore ad un anno.

Le ragioni di questo ampliamento sono da ricondursi al perseguimento di due obbiettivi ben precisi: attrarre gli investimenti e bilanciare le innovazioni effettuate in altri campi del diritto societario, cercando di contenere al minimo i casi di depatrimonializzazione

24

.

Per raggiungere questo risultato il legislatore ha teso ad incentivare l'acquisto delle partecipazioni da parte degli altri soci, attribuendo la possibilità che le società di capitali chiuse si mantengano tali nei confronti di potenziali acquirenti terzi eventualmente indesiderati.

Quindi, per fare un esempio, nel caso delle clausole di mero gradimento, l'alternativa al recesso è costituita dall'acquisto da parte della

24 L’ampliamento dell’istituto esprime il nuovo atteggiamento del legislatore. Questi non vede più nel recesso un pericoloso strumento nelle mani della minoranza per ostacolare il regolare svolgimento delle funzioni deliberative dell’assemblea, bensì un essenziale strumento di contrattazione a tutela del socio e delle sue scelte; quest’ultimo viene considerato come “negoziatore”, sia al momento della costituzione della società sia nel prosieguo ANGELICI C., La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Cedam, Padova, 2006, pg. 77; RODORF R., Il recesso del socio di società di capitali: prime osservazioni dopo la riforma, in Le società, 7, 2003, pg. 924

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società o dei soci e non anche dei terzi

25

, evitando così, in quest’ultimo caso, la depatrimonializzazione della società stessa, ma consentendo nel contempo l’uscita del socio.

È allora prevista la possibilità di garantire al socio che acquista le azioni di quello recedente che il suo sforzo economico sia compensato dalla possibilità di impedire l'alterazione della compagine sociale: tale possibilità può giungere fino al punto di impedire il recesso nel caso di introduzione di limiti alla circolazione delle partecipazioni.

Discorso analogo va fatto anche con riferimento al procedimento di liquidazione della partecipazione azionaria, con la precisazione che, qualora lo statuto non preveda clausole di mero gradimento, nel caso in cui il tentativo di collocare le azioni del recedente presso gli altri soci non vada a buon fine, è prevista la possibilità di tentare l’offerta a terzi (infra Capitolo terzo, § 4)

Come da alcuni osservato, dalla nuova disciplina emerge una mutata prospettiva che induce a considerare il diritto di recesso strumento di tutela del singolo socio e della minoranza, ma non più separato dai poteri di voice

26

.

Può prospettarsi un utilizzo del recesso, ovviamente, come

25 Le clausole di gradimento sono appunto quelle clausole che sottopongono al placet o al gradimento di un determinato organo sociale l’ingresso di nuovi soci all’interno della compagine sociale. Sul punto vedi CAMPOBASSO G. F., op. cit., pg.

242

26I membri di un'organizzazione collettiva, nel caso in cui non condividano le scelte della maggioranza, hanno due opzioni: far sentire il proprio dissenso, rimanendo all'interno del gruppo (potere di Voice), oppure abbandonare il gruppo (potere di Exit).

Vedi in proposito, ANGELICI C., La riforma delle società di capitali, Cedam, Milano, 2006, pg. 3

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18

strumento di exit, ma anche (ed è questa la novità) come istituto di voice, potendo la minoranza azionaria utilizzarlo per condizionare le scelte della maggioranza, convincendola, in considerazione dei costi del recesso, ad una preventiva negoziazione

27

.

La riforma ha dedicato particolare attenzione su questo punto e in considerazione delle concrete possibilità di exit offerte dal mercato ha diversamente graduato e modellato le due tecniche utilizzabili a tal fine:

il recesso e l’alienazione della partecipazione

28

. Tecniche in un certo modo alternative e che costituiscono due differenti soluzioni per liquidare il proprio investimento nella società.

Tuttavia, a questo ampliamento di tutela, riconosciuta al socio di minoranza attraverso l’attribuzione del diritto di recedere della società, in molte più occasioni che in passato fa da contraltare una nuova e più ampia autonomia decisionale della maggioranza.

L’attuale disciplina, diversamente da quella passata, riconosce infatti alla maggioranza il potere di prendere decisioni che prima potevano essere adottate solo con il consenso di tutti i soci. Ne costituiscono un chiaro esempio due delibere: quella con cui si revoca lo stato di liquidazione e quella che modifica i diritti di voto o di partecipazione spettanti ai soci di s.p.a., o i diritti attribuiti ai soci di s.r.l.

a norma dell’art. 2648, co. 4.

27 CHIAPPETTA F., Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili interpretativi e applicativi in Rivista delle società. 2005, pg. 489

28 Sul rapporto che intercorre tra i due istituti si può rinviare a DELLI PRISCOLI L., L’uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2005, pp. 14 e ss.

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19

In questi casi il socio potrà si recedere, qualora non condivida le scelte della maggioranza, ma non potrà impedirle.

Da rilevare poi come la maggioranza abbia a suo favore un importante strumento per contrastare il recesso di una minoranza consistente: quello di rendere inefficace il recesso, o, se non ancora esercitato, l’impossibilita di farlo esercitare quando la società revochi la delibera che lo ha legittimato, ovvero, quando sia stato già deliberato lo scioglimento della società

29

.

1.1. Il recesso come strumento di bilanciamento tra incentivazione dell’investimento ed efficienza del mercato del credito.

Nel proseguire la nostra analisi - per ora generale - dell’istituto in esame, uno dei temi di maggior rilevanza, riconducibili all’esercizio dello stesso nell’ambito delle strutture societarie, risiede nel delicato bilanciamento fra incentivazione dell’investimento azionario ed efficienza del mercato del credito

30

.

Infatti, tanto più ampie sono le possibilità di liquidare l’investimento prima della sua conclusione naturale, quanto più è

29 Qualora il recesso non scaturisca da una delibera ma da un diverso fatto previsto nello statuto, non essendovi alcuna delibera da revocare la società, per evitare il recesso, potrà soltanto deliberare il proprio scioglimento.

30 CALANDRA BUONAURA V., Il recesso del socio di società di capitali in Giuris. Comm., 2005, I pg 293;RODORF R., Il recesso del socio di società di capitali:

prime osservazioni dopo la riforma, in Le società, 7, 2003, pg. 924; DELLI PRISCOLI L., L’uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2005, pg. 219

(20)

20

incentivato l’ingresso in società da parte di chi non sia interessato a svolgere il ruolo attivo di soggetto economico.

Gli aspiranti soci sono infatti “garantiti” della possibilità di smobilizzare le risorse impiegate, qualora le condizioni dell’iniziativa dovessero diventare non più sostenibili e ampiamente difformi da quelle originarie.

L’incentivo più forte è senza dubbio dato dalla sussistenza di regole legali che assicurino il rispetto, da parte dei gestori, delle linee funzionali cui è indirizzato l’agire comune.

Tuttavia, la consapevolezza di poter disporre di una minaccia di exit è comunque gradita, anche se l’aderente sia interessato ad assumere un ruolo più attivo in società aspirando ad utilizzare strumenti di voice

31

.

Tale circostanza sarà valutata al momento dell’entrata in società, benché sia difficile immaginare che si svolga una vera e propria contrattazione, soprattutto sulle cause di natura soggettiva.

Manifestare alla propria controparte timori su di una sua ipotetica scorrettezza complicherebbe non di poco la trattativa e il suo buon esito.

Le cause legali di recesso si vengono quindi a costituire come un valore economico

32

idoneo a ridurre i costi di transazione; l’aspirante aderente può limitarsi a considerare quelle possibilità di exit, senza dover formulare richieste alla controparte.

Dall’altra parte, però, ampliare oltremodo il diritto di recesso

31 ANGELICI C., La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale. Cedam, Padova, 2006, pg. 5

32 CALIFANO G.V., Il recesso nelle società di capitali, libreria bonomo, 2009, Bologna, pg. 20

(21)

21

avrebbe come conseguenza una maggiore difficoltà dei finanziatori esterni di valutare la convenienza del proprio investimento: essi possono valutare il progetto meritevole ma non possono prevedere, con un certo grado di certezza, il comportamento futuro dei soci. Un eccessivo rischio di recesso potrebbe allora rendere l’operazione impossibile per il finanziatore avverso al rischio in quanto andrebbe a determinare un aumento eccessivo del costo del credito.

“Una valutazione costi-benefici relativa all’ampliamento delle cause di recesso si rende quindi necessaria, in quanto potrebbe configurasi come disincentivante rispetto all'investimento” e rivelarsi controproducente per gli interessi della società.

33

2. Analisi delle singole cause di recesso. Le cause legali inderogabili:

art. 2347 c.c.

Venendo ad una disamina analitica delle singole cause di recesso previste nelle s.p.a, così come contemplate dall'attuale disciplina, possiamo anzitutto operare una distinzione tripartitica

34

:

Cause legali inderogabili;

Cause legali, in relazione alle quali è possibile un intervento

33 GALLETTI D., Il diritto di recesso in Il nuovo diritto delle società, Cedam, Milano, 2005, pp. 1491-1492

34 CAMPOBASSO G. F., Diritto commerciale Vol. 2, UTET ; AA.VV., Diritto Commerciale Monduzzi ; CALIFANO G.V., Il recesso nelle società di capitali, libreria bonomo, 2009, Bologna, pp. 149 e ss.

(22)

22

derogatorio in senso negativo da parte della volontà dei soci, i quali abbiano a prevederne l'eliminazione in sede statutaria (art. 2437, comma 2);

Cause statutarie (art. 2437, comma 4), ammissibili solo nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

In ordine alle prime, previste al 1 comma (lettere a,b,c,d,e,f,g), come più volte ricordato, l'ampliamento delle cause non derogabili dallo statuto ha teso a garantire uno spettro di protezione di più ampia portata per il socio, oltre il quale la discrezionalità statutaria non può spingersi al fine di escludere o rendere più gravoso l'esercizio del diritto di recesso.

Ogni previsione in tal senso sarebbe affetta da nullità (art. 2437 c.c.

ultimo comma)

35

.

Tale ampliamento si pone allora come contrappeso ad una significativa estensione dei poteri della maggioranza, che possono giungere fino a sacrificare i diritti individuali dei singoli.

a) La modifica della clausola dell’oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società.

- Il nuovo catalogo esordisce con quella che costituiva, anche nella disciplina pre-riforma, la prima causa di recesso nelle s.p.a.: “la modifica dell'oggetto sociale” .

35 CHIAPPETTA F., Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili applicativi e interpretativi, in Rivista delle Società, Giuffrè, Milano, 2005 pg. 490

(23)

23

La norma parla nello specifico di modifica della clausola dell’oggetto sociale. Il diretto riferimento alla clausola consente di escludere la legittimità del recesso in caso di alterazione de facto, realizzata attraverso una mutazione radicale dell’attività d’impresa, anche con atti estranei all’oggetto sociale

36

.

È all’oggetto formalmente indicato nell’atto costitutivo e non all’attività economica effettivamente svolta dalla società che dovrà riferirsi il mutamento rilevante legittimante il recesso

37

. L’attività in concreto esercitata potrebbe essere più ampia o più ristretta rispetto all’oggetto statutario. Nella prima ipotesi, l’eventuale adeguamento dell’attività sociale, di fatto esercitata all’ambito dell’oggetto indicato in statuto, non comporterà un mutamento rilevante ai fini del recesso.

Quanto alla seconda ipotesi (oggetto di fatto più ampio dell’oggetto statutario), anche qui il diritto di recesso non può attivarsi in via automatica; pur sussistendo la situazione di fatto (cambiamento dell’oggetto sociale), manca il presupposto della deliberazione assembleare di modificazione dell’atto costitutivo, a cui il potere di recedere qui è subordinato

38

. Infatti, nonostante non vi sia più la generale subordinazione tra la deliberazione assembleare e il diritto ad esercitare il recesso come in passato (essendo prevista dall’art. 2437 bis la possibilità di recedere per fatti diversi da una deliberazione), qui non sono concessi

36 DI CATALDO V., Il recesso del socio di società per azioni in Il nuovo diritto delle Società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, a cura di Abbadessa P. e. Portale G.B, Utet, Torino, 2006 pg. 227

37 GRIPPO G., Il recesso del socio, in Trattato delle società per azioni , diretto da Colombo G. E. – Portale G. B, Utet, Torino,1993,pg. 155

38 GRIPPO G., op.cit., pg. 159

(24)

24

spazi per prescindere da tale collegamento; trattandosi di una modificazione della clausola dell’oggetto sociale essa avverrà solo attraverso una delibera assembleare

39

.

Dalla formulazione della norma inoltre emerge come il diritto di recesso non possa essere esercitato in qualunque caso di modifica del contratto sociale, ma la modifica stessa dovrà essere tale da consentire una radicale variazione dell'attività, così da rendere la società altro rispetto a quella originariamente esistente

40

.

Come diffusamente ritenuto infatti, affinché la modifica possa dar luogo alla facoltà legittima di recedere, sarà necessario un mutamento significativo delle condizioni di rischio dell’investimento. Per mutamento significativo bisogna intendere qualunque modifica delle condizioni di rischio, non solo un loro aggravamento: il patrimonio sociale dovrà essere dirottato verso un settore di attività diverso da quello originario

41

.

Il diritto di recesso dovrà allora essere riconosciuto sia nei casi di ampliamento che di restrizione dell’oggetto sociale, come da tempo giurisprudenza afferma

42

.

39 GALLETTI D., GALLETTI D., Il diritto di recesso in Il nuovo diritto delle società, a cura di Alberto Maffei Alberti, Cedam, II, Padova, 2005, pg.1500

40 DI CATALDO V., Il recesso del socio di società per azioni, in Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Utet, Torino, 2006 pg. 227; CALIFANO G.V., Il recesso nelle società di capitali, libreria bonomo, 2009, Bologna, pg. 151; CHIAPPETTA F., Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili applicativi e interpretativi, in Rivista delle Società, Giuffrè, Milano, 2005, pg. 492; PLATANIA F., Le modifiche del capitale, in Il diritto privato oggi, serie a cura di P. Cendon, Giuffrè, Milano, 1998, pg.

305

41 ANNUNZIATA F., Commento agli articoli 2437 e 2437 quinquies, in Commetario, Marchetti, Ghezzi, Bianchi, Notari, Giuffrè, Milano, 2008, pg. 520

42 La suprema corte, infatti, ha più volte affermato come “il diritto di recesso spetti al socio non solo nel caso di sostituzione dell’oggetto sociale, ma anche quando lo stesso venga dilatato ed esteso ovvero ristretto e diminuito, in modo da eccedere

(25)

25

Sul punto risulta tuttavia necessaria una precisazione.

Si conviene infatti che, nel caso di ampliamento, una qualsiasi deliberazione che aggiunga all’indicazione dell’oggetto sociale originario l’enunciazione di un oggetto diverso anche se affine, non potrà considerarsi “cambiamento” idoneo a legittimare il recesso, essendo lo stesso possibile quando il cambiamento muti le condizioni di rischio

43

. Lo stesso metro di giudizio dovrà essere adottato anche nel caso di restrizioni dell’oggetto sociale deliberate dall’assemblea. Non può essere riconosciuto il diritto di recesso nei casi in cui la società decida di operare in un altro settore della stessa attività, senza correre un’alea maggiore di quella che correrebbe se continuasse ad operare in tutti i settori dell’originario programma economico.

Anche qui il criterio da adottare sarà quello di accertare la ricorrenza delle mutate condizioni di rischio, tali da legittimare il disinteresse del socio a permanere nella società

44

. Criterio che, come si può immaginare, potrà talvolta risultare difficile da utilizzare.

Per oggetto sociale poi deve intendersi il programma economico della società, ragion per cui la formulazione statutaria di tale programma dovrà essere circostanziata al fine da rendere possibile l'individuazione del settore economico in cui esso va realizzato, nonché del tipo di attività. Un eventuale genericità o previsione di più attività fra loro non

semplici esigenze di specificazione, adattamento e completamento”, Cass., n°

3050/1971.

43 FERRARA F. – CORSI F., Gli imprenditori e le società, Giuffrè, Milano 2001, pg.

597

44 GRIPPO G., op. cit., pg. 154

(26)

26

complementari o coordinate consentirebbe agli amministratori, grazie all'autonomia di cui godrebbero, di effettuare scelte lesive nei confronti dei soci e dei terzi

45

. L'eccessiva genericità dell'attività indicata in statuto eluderebbe inoltre la predeterminazione delle originarie condizioni di rischio che erano state valutate dal socio e sulla base delle quali questi era disposto ad investire.

b) La trasformazione della società.

- Per quanto riguarda la seconda causa inderogabile - la trasformazione della società

46

- la nuova formulazione non fa più riferimento specifico al “cambiamento del tipo della società” come in passato. L’eliminazione del riferimento al tipo permette un allineamento con la disciplina riformata delle trasformazioni consentendo il riferimento alla trasformazione eterogenea. Quest’ultima realizza non un cambiamento del tipo ma il passaggio da una forma societaria ad una forma non societaria, mutando la stessa causa del contratto fissata nell'atto costitutivo

47

.

45 CALIFANO G.V., Il recesso nelle società di capitali, libreria bonomo, 2009, Bologna, pg. 152; GRIPPO G., op. cit., pg. 149

46 AA.VV. Diritto commerciale, Monduzzi editore, Bologna, 2007; M. Confalonieri Trasformazione, fusione, conferimento, scissione e liquidazione delle società, il sole 24 ore 2013; G. Campobasso Diritto commerciale vol. 2 UTET 2012; CHIAPPETTA F., op. cit., pg. 493

47 Occorre ricordare come, a seguito della riforma del 2003, si distingua tra trasformazione omogenea ed eterogenea. La prima realizza il passaggio dall’uno all’atro tipo nell’ambito delle società lucrative. La trasformazione non determina però l’estinzione della società, la quale continua a vivere in una rinnovata veste giuridica e

(27)

27

Il tenore letterale della norma esprime l’obbiettivo del legislatore di diversificare la disciplina prevista per le società azionarie rispetto a quella delle società a responsabilità limitata, dove, invece, è prevista come causa di recesso legale l’ipotesi nella quale il socio dissenta dalla delibera che dispone la fusione o scissione della società. Questo in considerazione delle non trascurabili differenze che intercorrono tra i due tipi di società in questione, differenze che primariamente attengono al diverso assetto strutturale e al diverso ruolo che il socio viene ad avere nella società stessa

48

.

Fin da subito occorre infatti ricordare come nell’attuale s.r.l. la persona del socio abbia rilevanza centrale e la previsione dell’ipotesi in esame come causa di recesso risulta del tutto giustificata, in quanto tendente a tutelare l’interesse del socio stesso a non subire modifiche della originaria compagine sociale.

Nelle s.p.a. questo interesse non sussiste, mentre forte e prevalente è l’esigenza di promuovere e favorire l’integrazione delle strutture societarie

49

.

Ormai pacifica (anche da prima della riforma) è l’affermazione

conserva i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione. Si ha trasformazione eterogenea quando si passa da una società lucrativa ad una non lucrativa e viceversa.

Espressamente vietata è la trasformazione di una società cooperativa a mutualità prevalente in società lucrativa, anche se tale trasformazione è deliberata all’unanimità.

Si ha trasformazione eterogenea anche nel passaggio da società di capitali in un ente non societario o in una comunione di azienda e viceversa. Sul tema, CAMPOBASSO G.

F., Diritto Commerciale, II, Utet, Torino, 2012, pg. 643 e ss.; AA.VV. Diritto commerciale, Monduzzi editore, Bologna, 2007, pp. 387 e ss.

48 CALIFANO G.V., Il recesso nelle società di capitali, libreria bonomo, 2009, Bologna, pg. 154

49 CHIAPPETTA F., Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili applicativi e interpretativi, in Rivista delle Società, Giuffrè, Milano, 2005, pg. 493

(28)

28

secondo la quale il recesso è esercitabile sia nel caso in cui la trasformazione avvenga verso un ente societario più complesso, sia nel caso di trasformazione in senso opposto verso un tipo societario meno evoluto

50

. Questo dimostra ancora una volta come il recesso sia stato messo a disposizione del socio non solo per rimediare all’eventuale aggravamento della sua posizione, ma anche per garantirgli una tutela del suo interesse alla conservazione dei connotati originari della sua partecipazione.

c) Il trasferimento della sede legale all’estero.

- In ordine al trasferimento della sede sociale all'estero, terza causa di recesso contemplata dalla norma in esame, il legislatore ha confermato l’ipotesi normativa già prevista nel testo originario.

Questa ipotesi quindi continua ad essere ricompresa nel catalogo delle cause di recesso inderogabili, in quanto modificherebbe, in modo significativo, le condizioni di rischio dell’investimento come conseguenza dell’assoggettamento della società ad un regime diverso.

Secondo alcuni però il mantenimento di tale norma sarebbe da considerare anacronistico, quantomeno per il trasferimento all’interno del territorio europeo, data l’attuale esistenza dell’unione europea la cui

50 GRIPPO G., op. cit., pg.169; CAMPOBASSO G. F., Commerciale, 2, Utet, Torino, 2012, pp. 642 e ss.

(29)

29

istituzione ha determinato una maggiore armonizzazione delle normative nazionali

51

.

Tuttavia, come giustamente altri hanno notato, “siamo ancora molto lontani dal poter considerare uniforme la disciplina in materia societaria, ragion per cui una tale previsione risulta ancora opportuna”

52

.

d) La revoca dello stato di liquidazione.

- Nuova, almeno dal punto di vista formale, è la quarta causa di recesso inderogabile: la revoca dello stato di liquidazione. Tale previsione permette di superare, in senso affermativo, la questione dell’ammissibilità della revoca a maggioranza dello stato di liquidazione, basata sulla contrapposizione tra interesse della maggioranza alla continuazione dell’attività sociale e diritto del socio alla quota di liquidazione.

Una riflessione merita la scelta di consentire il diritto di recesso parziale, il quale si giustifica con il riconoscimento dell’interesse a ridurre l’investimento e proporzionarlo alla mutata situazione organizzativa della società: se l’interesse protetto, rispetto ad una ripresa dell’attività che ridestina il patrimonio comune a produrre ricchezza, è quello di assicurare a chi non condivida tale scelta la liquidazione della

51 GALLETTI D., Il diritto di recesso in Il nuovo diritto delle società, a cura di Alberto Maffei Alberti, Cedam, II, Padova, 2005, pg. 777

52 Così CALIFANO G.V., Il recesso nelle società di capitali, libreria bonomo, 2009, Bologna, pg. 155; in tal senso anche VENTORUZZO M., op. cit., pg. 320

(30)

30

partecipazione, è contraddittorio riconoscere al socio il diritto di ridurre l’investimento che egli ha ribadito voler cambiare in complessivo disinvestimento

53

.

e) e f) L’eliminazione di una o più cause di recesso previste dal comma secondo ovvero dello statuto e la modifica dei criteri di liquidazione della quota ex art. 2437 ter c.c.

- A presidio dell’effettività del diritto di recesso e con una disposizione che mira ad impedire alla maggioranza di modificarne i presupposti di esercizio, senza consentire al socio di operare una personale valutazione sulla convenienza a restare in società, sono state inserite due fattispecie: l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dal comma 2 dell’art. 2437 c.c. ovvero dello statuto e la modifica dei criteri di liquidazione della quota ex art. 2437 ter c.c.

La norma conferma la funzione del recesso di incentivazione dell’investimento azionario: infatti, chi valuta la possibilità di entrare in società è disposto a tenere in considerazione la possibilità di exit, ma solo se ha la garanzia che le condizioni di uscita non saranno modificate dalla maggioranza dopo l’adesione senza possibilità di reazione

54

.

Il legislatore avrebbe potuto rendere immodificabili le ipotesi di

53 PACIELLO A., Diritto di recesso nella s.p.a.:primi rilievi in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni pp. 417-439; GALLETTI D., Il diritto di recesso in Il nuovo diritto delle società, Cedam, Milano, 2005 pp. 1504-1506

54 DELLI PRISCOLI L., Delle modificazioni dello statuto, diritto di recesso, in Il codice civile, commentario, Giuffrè, Milano, 2013, pg. 8

(31)

31

recesso introdotte in statuto e ciò avrebbe egualmente agito come incentivo positivo all’investimento; ma ha ritenuto - direi giustamente - di non “irrigidire” l’organizzazione, contemperando gli interessi della maggioranza e della minoranza.

La norma inoltre sembra trovare applicazione a prescindere che la modifica sia migliorativa o peggiorativa per il socio uscente: il legislatore ha voluto evitare ogni discrezionalità sul punto, in conformità alla tendenza di diminuire i costi di transazione collegati con il diritto di recesso.

Questa configurazione, è stato ritenuto, creerebbe un problema.

Per le società che, non facendo ricorso al mercato del capitale di rischio, hanno previsto specifiche ipotesi statutarie di recesso, l’interpretazione letterale della norma impedirebbe di riconoscere al socio il diritto di recedere quando la maggioranza intervenga su tali clausole senza eliminarle ma apportando modifiche, anche qualora quest’ultime rendano più gravoso l’esercizio del recesso.

Una soluzione al problema sarebbe quella di applicare nei casi più gravi l’art. 1344 c.c. il quale sanziona con la nullità le pattuizioni fatte in frode a norme imperative. Tale norma, dei contratti in generale, sarebbe applicabile anche al contratto di società e, in specie, al caso di cui all’art.

2437 comma 6”

55

.

Tale soluzione pare però non poter essere seguita in quanto, in primo luogo, l’art. 1344 c.c. richiede l’elusione di norme imperative, le

55 VENTORUZZO M., op. cit., pg. 323

(32)

32

quali nel caso in esame non esistono; in secondo luogo, perché non considera che la maggioranza ha il diritto di eliminare o modificare le cause di recesso statutarie. Questa ipotesi quindi non potrebbe configurarsi come posta in frode a norme imperative.

Forse da preferire sarebbe la soluzione di interpretare estensivamente la norma in esame. La sua tassatività, anche se la rende inderogabile, non ne preclude un estensione applicativa qualora ricorrano i presupposti che la giustificano e sia diretta al perseguimento dell’intento del legislatore e della restante disciplina

56

.

In ordine alla causa di recesso di cui alla lettera f), discutibile è la scelta di consentire il recesso per ogni modifica dei criteri di liquidazione di qualunque rilevanza, laddove, allo stesso scopo, non basta qualsiasi cambiamento della disciplina delle cause derogabili, essendo necessaria la soppressione della causa stessa.

Sarà quindi possibile per la maggioranza peggiorare sensibilmente la disciplina, ad es. dei termini e delle modalità di esercizio, nei limiti che devono ritenersi consentiti e senza dover temere l’esercizio del diritto di exit.

La fissazione di un termine eccessivamente breve o irragionevole sarà comunque da ritenersi nulla in applicazione dell’art. 2965

57

.

56 CALIFANO G.V., op. cit., pg. 159

57 Art. 2695 c.c.: è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente di fficile a una delle parti l’esercizio del diritto.

(33)

33

g) Le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.

- La formula dell’articolo 2437 comma 1 lett. g, pur non destando alcuna problematica per ciò che attiene al diritto di voto, non consente di individuare con immediatezza la latitudine dei diritti di partecipazione;

c’è innanzitutto da chiedersi se si tratti di partecipazione ai risultati o all’attività comune; di diritti quindi patrimoniali o amministrativi.

Si deve ritenere preferibile la prima tesi

58

; ragion per cui nell’ipotesi in esame debbono essere fatte rientrare tutte le modifiche della clausola di cui all’art. 2328, comma 2, n.7, ma anche l’emissione di una nuova categoria di azioni

59

o di strumenti finanziari che agli utili partecipino. Non vi rientra invece la creazione di patrimoni destinati che non dia luogo a modifica statutaria.

2.1.(segue): Il recesso nella società contratta a tempo indeterminato.

Altra causa di recesso inderogabile introdotta dalla riforma è quella contemplata dal comma 3 dell’articolo 2437 c.c., correlata alla mancata previsione statutaria del termine di durata per le società che non abbiano

58 PACIELLO A., Art. 2437, diritto di recesso in Società di capitali vol. 3,Jovene, Napoli, 2004, pg. 1114

59 Di parere contrario CHIAPPETTA F., op. cit., secondo il quale: “ciò che rileva ai fini dell’insorgenza del diritto di recesso sarebbe la modifica statutaria consistente non già nella semplice introduzione di nuove categorie di azioni, ma nel cambiamento di clausole concernenti i diritti di voto o di partecipazione connessi a categorie di azioni già esistenti”.

(34)

34

azioni quotate in mercati regolamentati. In tal caso il socio che intenda recedere deve dare un preavviso di centottanta giorni, elevabile fino ad un anno dallo statuto.

Siamo in presenza di una sorta di recesso ad nutum che fornisce al socio uno strumento di exit senza causa, salvo ovviamente il necessario preavviso.

“La facoltà di recesso da una società costituita a tempo indeterminato prescinde completamente, al contrario delle ipotesi indicate al primo comma dell’art. 2347 c.c., da una delibera societaria nei confronti della quale non si sia espresso un voto favorevole, e ciò mette in crisi la giustificazione del recesso fondata esclusivamente su un concetto dello stesso quale strumento di reazione concesso alla minoranza da esercitare contro una decisione non gradita”

60

.

Si ricava allora l’esigenza da parte delle società di contenere i recessi e i conseguenti rischi di instabilità del capitale sociale attraverso l’adozione di clausole di durata determinata, le quali, tuttavia, qualora risultino prevedere tempi piuttosto lunghi (oltre la durata della vita umana), possono porre un problema di equiparazione della fattispecie a quella della società a tempo indeterminato

61

.

Questa problematica per le società di capitali risulta attualmente irrisolta

62

ove si tenga conto che il legislatore della riforma,

60 DELLI PRISCOLI L., L’uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2005, pg. 148

61 DELLI PRISCOLI L., Delle modificazioni dello statuto, diritto di recesso, in Il codice civile, commentario, Giuffrè, Milano, 2013, pp. 28 e ss.

62 Per le società di persone la soluzione è nel senso dell’equivalenza in virtù dell’art.

(35)

35

nell’accordare il diritto di recesso in ipotesi di società a tempo indeterminato, non abbia escluso altre ipotesi, ritenendo meritevole di tutela l’interesse del socio a non rimanere prigioniero della società là dove questa si protragga (per statuto) oltre la normale durata della vita umana. Un’interpretazione questa che conduce a riconoscere il diritto di recesso quantomeno nell’ipotesi in cui la partecipazione sia detenuta da una persona fisica applicando in via analogica l’art. 2285

63

.

Tale impostazione non pare essere molto convincente e secondo molti sarebbe da rigettare; soprattutto in considerazione del fatto che – come già ripetuto più volte - la partecipazione alla s.p.a. è stata pensata e disciplinata nel suo significato oggettivo di investimento e di momento organizzativo prescindendo dalla persona del socio, la quale invece rileva nelle società di persone e (entro certi limiti e a seguito della riforma) nelle s.r.l.

64

(vedi infra Capitolo quarto, § 1 e 2).

C’è comunque da considerare l’opinione di chi su tale conclusione nutre forti dubbi. Quest’ultimi si fonderebbero sull’assunto che la ratio fondante il recesso (previsto e disciplinato), nel caso di società a tempo indeterminato, è la stessa che può giustificare il recesso (non previsto e non disciplinato) della società “di fatto” a tempo indeterminato, con la conseguenza che, trattandosi di casi simili e di materia analoga, si potrebbe applicare analogicamente la disciplina espressamente prevista

2285, secondo il quale il recesso spetta quando la società è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci.

63 Sul punto interessanti sono le riflessioni di CHIAPPETTA F., op. cit., pg. 1400 e CALANDRA BUONAURA, op. cit., pg. 300

64Di opinione conforme anche DI CATALDO V., op. cit., pg 229

(36)

36 all’ipotesi non regolamentata

65

.

2.2.(segue): La causa di recesso prevista per le società quotate in mercati regolamentati.

L’art 2437 quinquies, nelle società quotate, riconosce il diritto di recedere ai soci che non abbiano votato a favore di una decisione di delisting, di una decisione cioè che, attraverso l’esclusione della società dalla quotazione, determina una maggiore difficoltà futura di vendere le azioni

66

. Tale disposizione trova un significativo precedente nell’art 131 del T.U.F. (d.lgs. febbraio 1998 n. 58), che attribuiva il diritto di recesso agli azionisti dissenzienti dalle deliberazioni di fusione o di scissione che comportavano l’assegnazione di azioni non quotate (norma poi abrogata dal d.lgs. febbraio 2004, n. 37).

Per questa causa di recesso la giustificazione si rinviene nella considerazione della quotazione come elemento di importanza essenziale nella valutazione dell’investimento azionario, essendovi connessa una serie di rilevanti effetti quali, in particolare, la possibilità di un rapido disinvestimento e l’assoggettamento ad un complesso sistema di

65 CALIFANO G.V., op. cit., pg. 166; dubbi sulla soluzione seguita in questo elaborato sono nutriti anche da VENTORUZZO M., op.cit., pg. 328 e ss.

66 DELLI PRISCOLI L., Delle modificazioni dello statuto, diritto di recesso, in Il codice civile, commentario, Giuffrè, Milano, 2013, pg.179

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