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(1)

INTRODUZIONE

Il presente lavoro ha lo scopo di ricostruire la storia del monastero urbano lucchese di S. Salvatore in Brisciano dalle origini fino alle trasformazioni avvenute nell’ambito della riforma gregoriana del secolo XI. Per l’indagine ci siamo avvalsi prevalentemente della ricca documentazione lucchese presente nell’Archivio Arcivescovile di Lucca e nell’Archivio di Stato di Lucca, dove è presente il fondo pergamenaceo del monastero, nonché degli atti emessi da re e imperatori che più volte beneficiarono questo istituto.

La tesi ha inizio con la fondazione del cenobio voluta dal duca Allone alla fine del secolo VIII nella delicata fase di passaggio dalla dominazione longobarda a quella franca e si pone immediatamente la questione della dipendenza dal cenobio di S. Salvatore di Brescia, testimoniata non soltanto dalla specificazione nel nome stesso del monastero lucchese – S. Salvatore in Brisciano –, ma anche dalla documentazione dello stesso istituto bresciano, importante pedina per le strategie personali e di stato di re e imperatori nei secoli VIII-X.

Il termine Brisciano presente nella denominazione del

monastero è il toponimo che nella Lucca medievale identificava

un’area intramuranea dell’avamposto nord-occidentale della città in

cui sorgeva il cenobio. Recenti scavi archeologici hanno rivelato

l’orientamento alle attività produttive e artigianali di quest’area e non

si esclude che proprio i rapporti fra Lucca e Brescia abbiano favorito

l’immigrazione di artigiani e maestri costruttori lombardi e che il loro

(2)

insediamento abbia dato origine al toponimo. Certo è che il monastero di S. Salvatore, poi S. Giulia, di Brescia deteneva una proprietà – la Corte Cicula – nei pressi del monastero lucchese e ciò rafforza l’ipotesi che oltre al rapporto fra i due omonimi cenobi vi fossero ulteriori legami fra le realtà a cui essi appartenevano.

I suddetti scavi archeologici hanno fatto luce anche sulla struttura dello stesso monastero rivelando la vocazione sacrale della terra su cui sorse e una sorprendente continuità dell’originaria struttura della chiesa monastica dall’epoca carolingia fino al secolo XIX.

Le vicende del monastero nei secoli VIII e XI rimangono ignote data l’assenza di prove documentarie, mentre l’atto di nomina della badessa Grimma del 960 al posto dell’anziana zia Teuderata sembra testimoniare la chiusura di un periodo di crisi del cenobio, che quattro anni più tardi ricevette da Ottone I il primo privilegio imperiale a noi pervenuto.

Questo evento sembra segnare l’inizio di un periodo positivo per S. Salvatore in Brisciano che alcuni anni più tardi, durante l’abbaziato di Alperga (1002-1026), ricevette il privilegio del re Arduino, dell’imperatore Enrico II e di Corrado II. L’importanza di questi riconoscimenti è tanto maggiore se si considera che fu l’unica istituzione lucchese ad essere beneficiata da tutti e tre i sovrani, e che proprio nell’ambito dei rapporti con i massimi poteri sembra quasi rivestire il ruolo di rappresentanza dell’intera comunità cittadina.

Dopo due decenni di silenzio gli atti testimoniano una nuova e

intensa fase per il monastero alla cui guida salì Eriza, probabilmente la

più importante badessa dei primi tre secoli di questa istituzione. Forse

(3)

legata alla potente famiglia pisana degli “Erizi”, il suo abbaziato è attestato fra il 1049 e il 1099, dunque negli anni in cui la rinascita spirituale europea portò ad una riforma epocale della chiesa. Anche il monastero di S. Salvatore in Brisciano fu travolto da questa trasformazione: introdusse il nuovo culto a S. Giustina, il cui caput fu donato alle monache dai piacentini durante la traslatio del corpo da Roma a Piacenza, ed edificò una nuova chiesa con la cripta affinché i fedeli e i pellegrini potessero raccogliersi di fronte alle reliquie della martire.

Questo monastero sembra essere legato al pellegrinaggio fin dalle sue origini dato che si colloca, anche se con un po’ di ritardo, in quella schiera dei cenobi di fondazione longobarda che snodandosi da nord a sud lungo l’Appennino offriva al pellegrino, e non solo, una via sicura per raggiungere Roma e il Santuario di S. Michele sul Gargano.

Lucca ebbe nel Medioevo una forte vocazione hospitale grazie alla sua collocazione sulla via Francigena. Questa importantissima arteria viaria accedeva alla città dalla porta ovest di S. Donato e dalla vicina posterula di S. Tommaso, ed il monastero, che sorgeva fra questi due accessi alla città, attraverso questo complessivo rinnovamento nel secolo XI rilanciò nuovamente il suo ruolo strategico sul principale asse stradale europeo.

E’ importante sottolineare che anche le proprietà fondiarie

appartenenti a S. Salvatore in Brisciano erano dislocate

prevalentemente lungo importanti vie di comunicazione; in particolare

quelle ubicate ad ovest della città erano concentrate lungo la stessa via

Francigena e la via di Ripafratta, soprattutto in corrispondenza dei due

ponti, ‘del Marchese’ e ‘di Flesso’ che permettevano alle suddette

(4)

strade di attraversare i due rami del fiume Auser e proseguire la prima in direzione della Versilia e la seconda verso Pisa. Anche la stessa strategia patrimoniale dell’istituto, che si rivela purtroppo in un bassissimo numero di documenti, era orientata a rafforzare i possessi proprio in questa zona oggi identificabile con gli insediamenti di Montuolo, Nozzano e Nave.

Ma l’abbaziato di Eriza può essere ricordato anche per altri avvenimenti, ben più insoliti, come il processo a cui fu sottoposta la stessa badessa per le accuse di fornicazione sollevate da alcune monache del monastero, che si concluse con l’intervento del pontefice Alessandro II ed una pubblica assoluzione di fronte alla cittadinanza riunitasi nella cattedrale.

Sempre durante l’incarico di Eriza si tennero a Lucca due placiti presieduti dal marchese di Tuscia Goffredo il Barbuto (1059) e da Matilde di Canossa (1073) dai quali il monastero ottenne il banno su alcune proprietà contese. Sebbene il giudizio si espresse in entrambe le cause a favore del cenobio, i rapporti con i marchesi di Tuscia furono di carattere esclusivamente istituzionale, come avvenne generalmente fra i Canossa e i monasteri toscani.

D’altro lato il diploma emesso da Enrico IV nel luglio del 1081

a favore di S. Salvatore in Brisciano invece conferma nuovamente il

particolare interesse già mostrato in passato dai sovrani per questo

istituto. Se a giugno il re aveva concesso alla città di Lucca un

privilegio con cui proibiva la costruzione di castelli vicino all’urbs

entro il circuito delle Sei Miglia, a meno di un mese di distanza con

questo atto per Eriza e le monache poneva sotto la propria tutela il

castello che possedevano a Castagnori in Val Freddana, a breve

(5)

distanza dalla città

Il secolo XI e la nostra indagine si chiudono con l’ultima

attestazione di Eriza. Tale personaggio non poteva che congedarsi, a

cinquant’anni esatti dalla stesura della sua pagina repromissionis al

vescovo di Lucca, con un atto altrettanto straordinario. Si tratta della

permuta da lei effettuata nel 1099 con una certa Drusiana con la quale

il cenobio acquisì una lunga serie di beni posti ad ovest della città,

nella zona in cui abbiamo visto si concentrava maggiormente il

patrimonio monastico. Dal canto suo Drusiana ricevette la metà del

castello di Castagnori insieme a case e chiese limitrofe, castello che

l’anno successivo venne distrutto dagli stessi lucchesi.

(6)

CAPITOLO I. LE ORIGINI DEL MONASTERO DI S.

SALVATORE BRISCIANO

I. Le prime attestazioni (secolo IX)

La prima attestazione del monastero femminile di S. Salvatore Brisciano

1

di Lucca risale ad un giudicato dell’800 con il quale il prete loci servator Rasperto risolse una causa riguardante l’eredità ricevuta da un certo chierico Autiperto per dotis cartulam dal padre Deusdedit

2

. La questione riguardava solo marginalmente il monastero, che comunque uscì leso da questa azione legale. L’atto fornisce due indicazioni riguardanti questa istituzione. La prima è che a quella data il monasterium Domini et Salvatoris, possedendo già la capacità e gli strumenti per rivendicare diritti acquisiti precedentemente, doveva essere stato fondato ormai da alcuni anni. La seconda è che allora era governato da Altruda abbatissa.

Sebbene in questo atto il cenobio compaia genericamente come monasterium Domini et Salvatoris, possiamo comunque affermare che si tratti proprio del monastero Domini et Salvatoris que dicitur Brisciano dato che il documento risulta actum Luca e non vi è traccia di altre istituzioni femminili intitolate al Salvatore in Lucchesia

1

Negli atti la specificazione del monastero è citata anche come qui dicitur Brisciani, que dicitur Bresciano, qui dicitur Briscano, qui dicitur Prisciano, que dicitur Brisi ano, oppure semplicemente ecclesia monasteri Brisciane. Per comodità in questa sede citeremo sempre il monastero come “S. Salvatore Brisciano”.

2

M

ANARESI

, Placiti, I, n. 11, pp. 30-32.

(7)

all’inizio del secolo IX

3

.

Uscendo dall’ambito della documentazione lucchese, in un diploma dell’851 si ha la seconda, non esplicita, attestazione del monastero. Mi riferisco a quello emesso dalla cancelleria imperiale l’8 settembre di quell’anno con il quale Lotario I confermò la propria protezione al cenobio di S. Salvatore di Brescia, al quale aveva affidato la figlia Gisla

4

. Nell’elenco delle pertinentia del cenobio bresciano troviamo citato un monasterium in Luca, quod Allo dux edificavit.

Quali sono le ragioni che spingono a identificare questo monastero con S. Salvatore Brisciano?

Innanzi tutto la successiva specificazione nel nome del cenobio lucchese, che sottintende un legame con la città lombarda. Non sono emersi dalle carte risalenti all’epoca indizi che facciano pensare che altre istituzioni monastiche lucchesi potessero essere legate alla città di Brescia.

Il titolo di dux, duca, portato dal fondatore del monastero, era assegnato a chi veniva investito di una delle più importanti cariche politiche durante la dominazione longobarda. Ciò significa che il monastero a cui si riferisce il diploma dell’851 doveva essere stato fondato durante il regno longobardo o immediatamente dopo la sua caduta. Il cenobio lucchese di cui ci stiamo occupando era già in piena attività nell’anno 800 ed è probabile quindi che sia stato fondato diversi anni prima.

Non è da tralasciare anche l’identica intitolazione dei due

3

Per i cenobi lucchesi all’inizio del secolo IX vedi IP, III, pp.386-492 e B

ELLI

B

ARSALI

, La topografia, pp. 461-552.

Per il monastero di S. Salvatore Brisciano sempre IP, III, pp. 440-441 e B

ELLI

B

ARSALI

, p. 531.

4

MGH, III, n. 115, pp. 265-266.

(8)

monasteri, Domini et Salvatoris, che è ricorrente nelle fondazioni longobarde e testimonia un importante elemento comune alle due istituzioni. La diffusione, in epoca longobarda, delle chiese dedicate al Salvatore è il segno non solo dell’avvenuta conversione di questo popolo, ma anche della «reazione determinatasi in occidente alla lotta iconoclasta, che aveva infierito soprattutto contro l’immagine del Salvatore»

5

e che aveva altresì determinato l’arrivo del Volto Santo a Lucca

6

.

Un’ulteriore testimonianza concreta del legame fra le due istituzioni è data dall’esistenza di una proprietà del monastero di S.

Salvatore di Brescia nei pressi del monastero lucchese. Nel 924 un certo Flaiperto permutò beni e case in Lucca con il vescovo Pietro.

Una delle case soggette allo scambio, situata all’interno della città presso la chiesa di S. Tommaso, confinava per un lato con terra et orto, que dicitur Curte Cicula, que est pertinentes de monasterio illo sito Briscia que dicitur S.Julie

7

, dove il monastero bresciano compare già con l’intitolazione che nel corso del secolo X affiancò e poi sostituì quella originaria ‘Domini et Salvatoris’.

Sono state queste considerazioni, e forse anche altre, a far maturare quell’unanime convinzione, espressa dalla tradizione storica, che identifica il monastero di S. Salvatore Brisciano con quello citato nel diploma dell’851 e fondato dal duca Allone.

Purtroppo non ci è pervenuto l’atto di fondazione del monastero lucchese, dunque per individuare la data della sua istituzione è

5

V

IGNALI

, Chiese e basiliche, pp. 505-515, in particolare p. 508.

Il Vignali cita, fra le chiese e gli istituti religiosi che portano tale titolo, per la città di Lucca la cappella Domini et Salvatoris, attestata tra VIII e IX secolo, che sorgeva in piazza S. Martino, e il monastero di S. Salvatore in Bresciano.

6

Ibid., p. 506.

7

MDL, V/3, n. 1199, pp. 112-13.

(9)

necessario risalire agli anni del ducato di Allone.

Prima però concludiamo la serie delle attestazioni del secolo IX con la terza citazione del monastero, di nuovo di ambito lucchese, in un atto del 3 febbraio 899

8

con il quale un certo Gastaldo detto Cillo, figlio del defunto Dominichi permutò con il vescovo Pietro beni della chiesa di S. Gervasio e S. Maria

9

, molto vicina alla porta est della città alla quale dette il nome, in cambio di proprietà poste a Puntiano

10

(forse nell’area suburbana a sud della cinta muraria) e confinanti con beni dell’ ecclesiae monasteri Domini et Salvatoris qui dicitur Brisciano. E’ a partire da questo atto che il cenobio femminile assume questa specifica denominazione nella documentazione lucchese.

II. Allone duca di Lucca, fondatore del monastero

II.1 termini cronologici del mandato

Il suo nome compare per la prima volta nel 774. E’ citato in una epistola di papa Adriano I a Carlo Magno, nella quale il pontefice accusò il duca Allone di aver attentato alla vita di un pisano di nome Giusfrido rientrato dall’esilio in Francia

11

.

Il termine post quem per circoscrivere il periodo del mandato di

8

MDL, IV/2, Appendice, n. 56, p. 73

9

Sulla chiesa di S. Gervasio e sulla possibile congiunzione con quella di S. Maria Forisportam vedi D

E

C

ONNO

, L’insediamento, pp. 107-108, e B

ELLI

B

ARSALI

, La topografia, p. 534.

10

Località di difficile identificazione. Il Barsocchini lo definisce genericamente “luogo presso Lucca” (MDL, V/3, Nomi antichi e moderni, IV), mentre Repetti (Dizionario storico) non lo cita.

Anche il documento non fornisce indicazioni utili all’identificazione della località. Dal testo si evince soltanto che i beni erano posti in un luogo dicitur “trans via” e che vi erano vigne. Dato che il nome della località richiama il nome ‘Ponziano’ non si esclude che si trovasse nei pressi dell’omonima chiesa dei SS. Giacomo e Filippo, poi S. Ponziano, che sorgeva in Placule a sud della città. In proposito vedi B

ELLI

B

ARSALI

, La topografia, p. 535.

11

MGH, Epist., III, n. 50, pp. 569-570. «Ipsae referuit nobis siquidem Gausfridus: dum a vobis

absolutus reversus est, voluit eum interficere Allo dux».

(10)

Allone quale duca di Lucca è il 773. Risale a quell’anno una permuta tra un certo Prandulo e suo fratello Gumprando chierico, relativa a beni posti infra civitatem ista Lucense nelle cui confinanze compare il fundamento de casella Tachipert dux

12

. Gli storici si sono posti dei dubbi sull’identità di questo Tachiperto e sul fatto che fosse ancora vivo alla data di redazione del documento, dato che il duca poteva essere morto da tempo e la sua dimora essergli sopravvissuta in veste di riferimento topografico

13

.

Risulta tuttavia probabile che Tachiperto perse il titolo nel 774 all’indomani della vittoria dei Franchi sui Longobardi, quando Carlo Magno provvide ad eliminare i funzionari sostenitori dell’ancora formidabile partito di re Desiderio, e a sostituirli con uomini fidati. E’

opinione del Falce che Allone, incaricato di una funzione militare nella fase di conquista del regno longobardo, fosse riuscito a guadagnarsi la fiducia di Carlo, che lo investì della carica di duca di Lucca a cui spettava il delicato compito di difendere il litorale toscano da Luni a Massa Marittima

14

. Si trattava di una carica molto importante, dato che Lucca nel lungo periodo della dominazione longobarda aveva assunto il ruolo di capitale della Tuscia.

Le notizie su Allone sono molto scarse. Nell’ambito della documentazione lucchese è attestato soltanto due volte: nel 782 comparve come contraente in una permuta

15

, mentre nel 785 presiedette un placito che ebbe come protagonisti il vescovo Giovanni e il chierico Agiprando, figlio di Alprando

16

. Nel 797 è già citato nei

12

MDL, IV, n. 79, p. 129.

13

D

E

C

ONNO

, L’insediamento, p. 62, in particolare la nota n. 13.

14

F

ALCE

, La formazione, p. 130.

15

MDL, V/2, n. 188, p. 109.

16

Placiti, I, n.11, pp. 30-32.

(11)

documenti il primo conte franco, Wicheramo

17

.

Dunque abbiamo individuato due estremi per delimitare cronologicamente il ministero di Allone: 774-797. Nell’arco di questi anni il duca fondò il monastero di S. Salvatore Bresciano ed è probabile che la genesi dell’istituzione trovò le sue ragioni in questo delicato momento della storia medievale italiana e lucchese.

II.2 La posizione di Allone nel passaggio dalla dominazione longobarda a quella carolingia. Premessa alla fondazione del monastero.

Probabilmente di origini lucchesi, data la notevole diffusione del nome in ambito cittadino

18

, il longobardo Allone esercitò dunque il proprio potere dall’anno della caduta del regno di Desiderio all’instaurazione del primo conte franco.

Ai fini della nostra indagine sarebbe interessante conoscere se la genesi di questa importante fondazione fosse più legata allo sforzo del duca di preservare il proprio personale patrimonio fondiario, nel tentativo di arginare le gravi conseguenze dello sfaldamento della sua civiltà di origine, oppure alla sua capacità di sfruttare a proprio vantaggio la politica di consolidamento del potere franco.

Gli storici hanno avanzato opinioni contrastanti su questo poco noto personaggio: Falce, seguito da Schwarzmaier

19

, lo riteneva filofranco e investito di particolari compiti militari nonché dell’incarico di vigilare sulle mosse del papa Adriano I

20

. De Conno

21

17

MDL, V/2, n. 159, p. 151.

18

S

CHWARZMAIER

, Lucca, n. 31, pp. 166-167.

19

Ibid., pp. 166 e ss.

20

F

ALCE

, La formazione, pp. 53 e ss.

21

D

E

C

ONNO

, L’insediamento, p. 63.

(12)

invece concorda con il Volpe che riguardo alle azioni del duca afferma: «ce lo dimostrano longobardo e pieno di mal animo contro il partito franco ed il pontefice

22

». Gli stessi studiosi leggono scopi del tutto divergenti dietro agli scarsi episodi conosciuti che coinvolgono questo personaggio. Ad esempio il suo rifiuto di intervenire contro gli attacchi dei greci al litorale toscano, come risulta da un’epistola di Adriano I indirizzata a Carlo Magno nel 776

23

, è interpretato dal Falce quale atto di disobbedienza al papa dovuto ad una direttiva di politica precauzionale verso i bizantini che Carlo, in questi primi tempi del suo governo in Italia, imponeva ai suoi subordinati nel regno longobardo

24

. Per il Volpe e il De Conno, invece, sarebbe un chiaro segno dell'insofferenza del duca lucchese nel mantenersi sottomesso ai Franchi, specialmente se fosse reale l’ipotesi che gli atti di “pirateria”

denunciati fossero in realtà razzie operate dai longobardi Ildebrando, duca di Spoleto, in territorio papale e Regimbaldo, duca di Chiusi, in Tuscia

25

.

Appare molto difficile farsi un’idea precisa della personalità di questo duca e dei suoi propositi. Rimane un personaggio satellite di una realtà incerta e piena di contraddizioni, che visse la particolarità delle proprie vicende all’ombra instabile delle autorità universali.

22

V

OLPE

, Lombardi e Romani, pp. 369-416.

23

MGH, Epist, III, n. 59, p. 584-585. «...In quibus et direximus exinde Alloni duci, ut preparare debuisset plura navigia et comprehenderet iam dictis Grecis et naves eorum incendio conclamaret; sed noluit nostris obtemperare mandatis, quia nos nec navigia habemus nec nautas, qui eos conprehendere potuissent».

24

F

ALCE

, La formazione, pp. 137-139.

25

F

UMAGALLI

, Il Regno Italico, pp. 11-12.

(13)

III. Ragioni e aspetti di una fondazione monastica alla fine del secolo VIII

I termini cronologici del governo di Allone individuano dunque l’intervallo temporale in cui nacque il monastero di S. Salvatore Brisciano, ma vi è la tendenza a spostare l’ultimo termine di fondazione al 785, anno della più tarda attestazione documentaria del duca Allone

26

.

L’ipotesi di istituzione del cenobio negli anni ottanta del secolo VIII concorda sia con il grande sviluppo che il culto dell’immagine del Salvatore conobbe a Lucca in quel periodo, sia con un eventuale tentativo del duca di pacificazione con Carlo Magno

27

, sia con l’anno – l’800 – della prima attestazione del monastero

28

nella lite fra Altrude, badessa del suddetto monastero, e la badessa di S. Simeone per il possesso di alcuni beni

29

.

La fondazione del S. Salvatore di Lucca, analogamente a quella dell’omonimo bresciano, si inserisce in quella che Kurze ha individuato come la prima delle epoche di fondazione di monasteri nel medioevo

30

. Il cenobio femminile lucchese rientra, infatti, nel numero delle fondazioni, sedici in tutto, attestate nell’VIII secolo, durante l’ultima fase di dominazione longobarda, periodo particolarmente prolifico per i monasteri di matrice nobiliare e, addirittura, regale. Fu

26

D

E

C

ONNO

, L’insediamento, p. 114.

27

Ibid.

28

Vedi nel presente cap., par. I.

29

G

IANNINI

, Un santo lucchese, p. 150.

30

K

URZE

, Monasteri e nobiltà, pp. 339-362.

L’autore nel suo saggio sul monachesimo toscano altomedievale, individua tre epoche di fondazione di monasteri.

La prima epoca, anteriore all’800, comprende monasteri di fondazione regia. La seconda epoca va

dall’800 alla fondazione della Badia Fiorentina (978), senza grosse novità. La terza epoca, che

parte dalla fine del X secolo, grazie alla rinascita ottoniana, vede fiorire importanti e numerose

fondazioni monastiche sotto l’impulso del marchese Ugo.

(14)

il re, o il duca per suo conto, a promuovere la fondazione di un monastero per amministrare meglio sia le zone meno sottoposte al controllo, sia le città più rappresentative del regno, come Lucca, definita in epoca longobarda «gloriosa civitas super universam Tusciae marchiam capud»

31

.

Il monastero benedettino di S. Salvatore rientra perfettamente in questa tipologia di fondazioni e copre quindi, sin dai suoi esordi, un ruolo strategico fondamentale. E’ al contempo espressione di rinnovamento, se consideriamo che in questo periodo si assiste al passaggio dalla dominazione longobarda a quella carolingia, e di conservatorismo, come attestano il carattere prettamente longobardo del suo nome e le origini del suo fondatore

32

.

III.1 La «continuità longobarda» nella chiesa lucchese: una possibile ragione della fondazione di S. Salvatore Bresciano

Nonostante il passaggio dal dominio longobardo a quello franco non dovette avvenire senza scosse, come testimoniano non soltanto la presa in ostaggio da parte di Carlo Magno dei vescovi lucchese e pisano, ma anche altri episodi meno rilevanti

33

, è interessante l’osservazione del De Conno secondo cui «sembrerebbe difficoltoso anche per Lucca fissare una cesura precisa al momento dell’invasione franca, almeno dal punto di vista dei massimi poteri»

34

. Lo stesso ritiene che, sia per quanto riguarda i vertici funzionariali, che le

31

G

IANNINI

, Un santo lucchese, pp. 150-151. La citazione in V

IGNALI

, Chiese e basiliche, p. 508

32

Ibid.

33

R

OSSETTI

, Società e istituzioni, pp. 209-338, in part. p. 220.

Riguardo agli scontri nell’immediato suburbio cita una carta lucchese del 790 con la quale il diacono Jacopo fondava e dotava la chiesa e monastero dei Santi Giacomo e Filippo nello stesso luogo, prope muro huius civitatis Lucane nel quale il defunto Sichiperto aveva a sua volta fondato una chiesa dedicata a S.Vitale, che tuttavia a gentibus incensa et desolata fuisset.

34

D

E

C

ONNO

, L’insediamento, p. 64.

(15)

trasformazioni interne alla composizione della società lucchese, con l’inserimento di elementi nuovi di origine franca, si deve porre a questo punto, intorno al primo decennio del IX secolo, ovvero venti anni dopo la fondazione di S. Salvatore Brisciano, il termine dell’età longobarda lucchese

35

.

Data la mancanza di mezzi per riuscire a governare il regno italico appena conquistato, i primi funzionari che Carlo Magno mise a capo delle città toscane furono duces di origine longobarda, ai quali succedettero conti franchi soltanto alla fine del secolo VIII. Anche allora i Franchi penetrarono nelle più alte cariche civili, mantenendo ancora a lungo le istituzioni longobarde nella gestione dell’amministrazione e della giustizia. Molto spesso gli incarichi rimasero in mano a quelle stesse famiglie longobarde che li detenevano da molto tempo. L’affermazione dei Franchi in ogni ambito della vita pubblica era comunque solo questione di tempo, e le potenti famiglie longobarde tentarono di utilizzare a proprio vantaggio la stessa politica di consolidamento di Carlo Magno per mantenere il proprio status. Questa strategia di stabilizzazione si basava sull’incremento del potere dei vescovi e delle istituzioni ecclesiastiche. La chiesa aveva eletto Carlo paladino della cristianità e dalle proprie fila, soprattutto dalla comunità vescovile, forniva ai nuovi invasori gli unici alleati nella gestione del regno italico, ostile e diviso internamente.

Il contributo più illuminante riguardo al tentativo di preservazione dell’élite longobarda rimane l’espressione coniata del

35

Ibid., pp. 65-66.

(16)

Keller di “continuità longobarda”

36

. Lo storico afferma che «il ceto dominante longobardo poté conservare la propria posizione sociale, e talvolta anche provvedere alla propria sicurezza, soprattutto assumendo cariche ecclesiastiche; esso cercò inoltre di salvare i propri beni dalla conquista franca cedendoli a chiese e monasteri. Motivi religiosi, riconoscibili nelle fondazioni di monasteri del tardo periodo longobardo, interferivano cogli opportunistici calcoli politici»

37

. Questa affermazione è in parte confermata dalla documentazione lucchese che cita un conte franco già nel 797, mentre i vescovi furono tutti longobardi almeno fino all’837

38

.

Alla luce delle considerazioni fatte, possiamo ipotizzare che la fondazione del monastero di S. Salvatore fosse opportunamente legata ad interessi politici ed economici della famiglia del duca o del suo entourage.

Difficile dire se questi interessi fossero più legati al tramonto dell’establishment longobardo, che si arroccava negli alti ranghi del clero locale per preservare il proprio status nonché la propria sopravvivenza, oppure all’alba della nuova realtà franca, che costruiva solide fondamenta intessendo amichevoli e reciprocamente proficui rapporti con la chiesa.

Difficile dirlo, data l’ambigua personalità del fondatore. E’

fuori dubbio, invece, che le iniziali vicende del cenobio fossero strettamente legate a quelle di Allone, dato che quella lucchese è l’unica istituzione, fra le numerose elencate fra le dipendenze di S.

Salvatore di Brescia, per la quale è specificato il nome del fondatore.

36

K

ELLER

, La marca, pp. 117-140.

37

Ibid., p. 120.

38

S

CHWARZMAIER

, Lucca, pp. 98 e ss. e p. 175.

(17)

III.2 La fondazione del monastero dei Ss. Pietro e Gregorio: la nascita di un’istituzione affine e contemporanea al S. Salvatore Bresciano

Poiché l’atto di fondazione del cenobio di S. Salvatore Brisciano non ci è pervenuto, può essere illuminante analizzare la carta di fondazione di un altro istituto monastico lucchese: la chiesa e monastero femminile dei Ss. Pietro e Gregorio in Lucca, fondato nel 783 dentro le mura di Lucca da un certo Teudiperto e da sua moglie Asperta

39

. Sebbene non fosse un’importante fondazione ducale come S. Salvatore Brisciano, questo ente presentava molti aspetti comuni a quello trattandosi di un monastero femminile fondato negli stessi anni all’interno della città per volontà di longobardi. L’analisi di questa carta può fornire dunque una traccia della condizioni poste da Allone nel documento di fondazione di S. Salvatore.

Per il rimedio dell’anima sua e della consorte Asperta, Teudiperto fondò in onore di S. Pietro e di S. Gregorio una chiesa e monastero su un fondo che possedeva in città, e immediatamente offrì a Dio e alla predetta chiesa, fra le cose sue, una serie di proprietà. In città, nei pressi del monastero, offrì alcune case solariate, cioè a più piani, con le relative pertinenze, mentre fuori dalla città donò una casa massaricia, nella località Capelle in val Freddana, e tutto ciò che i due coniugi possedevano in località Buviti presso Pescia, in val di Nievole, ed in Cappiano nel Val d’Arno inferiore. Allo stesso modo Teudiperto offrì al monastero anche alcuni dei suoi uomini: Causipertolo, i fratelli Buonuomini, Fridipertolo, Rodipertolo, con le serve e i bambini.

39

MDL, IV, n. 92, p. 146.

(18)

Dopo la fondazione e la dotazione patrimoniale, Teudiperto rese chiara la propria posizione nei confronti del monastero e di tutti i beni e le persone ad esso sottoposti: avrebbe avuto la potestà nel reggere e nel governare ogni cosa, e se fosse mancato o avesse dovuto allontanarsi gli sarebbe subentrata la moglie nell’esercizio di questo stesso potere

40

.

Le figlie avrebbero potuto prendere il sacro velo ed entrare nel monastero, e se Dio e la congregazione delle monache avessero voluto sarebbero state elette badesse. Se per qualche motivo così non fosse stato, allora le monache stesse, insieme agli eredi di Teudiperto, avrebbero eletto la badessa. L’elezione della badessa competeva dunque alle monache stesse e alla famiglia dei fondatori ed era preclusa l’intromissione di una qualsiasi terza parte, sia ecclesiastica sia civile: et ipsam tertiam pars nullatenus ei contradicere possat.

Teudiperto prese una serie di provvedimenti per tutelare il suo monastero. Gli eredi avrebbero dovuto difendere il monastero da ogni forma di invasione e dall’esercizio di qualsiasi potere

41

. Chiunque avesse agito contro la sua volontà così espressa sarebbe stato punito con il pagamento di auri soledos nomero ducentos.

Affinché permanesse per sempre l’ordine del monastero, il fondatore stabilì che nessun erede, o chiunque altro, avesse la potestà o la licenza di vendere o cedere il monastero. Se questa decisione non fosse stata rispettata la potestà sul monastero sarebbe passata al vescovo di Lucca, affinché ripristinasse lo stato iniziale delle cose

40

«…volo ut ipsum monasterium in omnibus suprascripti rebus et hominibus sit in potestatem jam predicte Asperte …gi (coniugi) me avendi, regendi, gubernandi, usufructuandi, et licentia aveat ivi ordinationem faciendi, et illam, quam ipsam ordinaverit post ejus decesso, firmiter permaneat, caste et recto ordine vivendi.»

41

«…nam non aveat licentia ivi nullam invasionem, nec imperationem faciendi.»

(19)

secondo la volontà del fondatore, ed impedisse che vi si creasse il dominio o l’invasione altrui

42

.

Possiamo ragionevolmente ipotizzare che la volontà di Allone si espresse in una forma molto simile. Probabilmente fu suo anche l’intento di compiere un forte investimento di beni e uomini in un’istituzione indipendente da poteri locali, sulla quale arrogava ogni diritto a se stesso e alla propria famiglia.

E’ interessante l’appello finale alla più alta carica della chiesa lucchese affinché intervenisse a difesa del monastero soltanto nel caso in cui qualcuno vi irrompesse o cercasse di esercitarvi un proprio dominio, rimanendo altrimenti distante dalle vicende dell’istituzione, come qualsiasi altra tertia pars.

Forse il rapporto del cenobio lucchese fondato da Allone con il celebre monastero bresciano trova in parte ragione anche in questa prepotente emancipazione dal potere ecclesiastico locale, già presente in una fondazione minore quale fu quella di Teudiperto e Asperta.

IV. Inizio e ragioni della dipendenza da S. Salvatore di Brescia.

Purtroppo l’assenza di una documentazione esaustiva non ci permette di stabilire se il monastero fosse fin dall’inizio dipendente dal cenobio bresciano e se questo avesse avuto addirittura un qualche ruolo nella sua fondazione

43

.

42

«…volumus ut episcopus ujus Lucane Ecclesie potestatem aveat ipsum monasterium, cui datum fuerit retollandi, et in pristino statum reducendi, sicut nos supra decrivimus: nam aliam nullam imperationem, aut invasionem, ivi facere presumat. »

43

Per un approfondimento sulla storia di Brescia: Storia di Brescia, a cura di G.T

RECCANI DEGLI

A

LFIERI

, vol.I, Dalle origini alla caduta della Signoria Viscontea (1426), Brescia 1963. Per

(20)

Coevo agli albori dell’istituto lucchese è il diploma di Carlo Magno a favore di S. Salvatore di Brescia

44

. Purtroppo l’atto non fornisce alcun indizio sulla questione poiché si dilunga nel convalidare vecchi privilegi e concederne di nuovi, e sbrigativamente conferma omnes res, quas moderno tempore iuste et rationabiliter ipsud monasterium possidere videtur. Questa formula generica compare di nuovo nei successivi privilegi emessi dalla cancelleria imperiale, fino al diploma di Lotario I dell’851 in cui viene citato per la prima volta fra le pertinenze il monasterium in Luca, quod Allo dux edificavit.

La posizione del monastero lucchese e la sua nascita in un’epoca sconvolta da drammatici cambiamenti ci porta a fare diverse ipotesi sull’inizio dei suoi rapporti con quello bresciano. L’assenza dell’identificativo Brisciano nella prima citazione di S. Salvatore, il giudicato dell’anno 800

45

, è ragionevole motivo di dubbio riguardo ad una scontata dipendenza iniziale del cenobio lucchese da quello bresciano.

Per conoscere «quando», «perché» e «come» ebbe origine questa dipendenza è necessario chiedersi quali furono i rapporti fra Lucca e Brescia fra il secolo VIII e IX. Le risposte risiedono nella personalità dei fondatori di S. Salvatore di Brescia, nella strategia politica degli ultimi sovrani longobardi e in quella della successiva dinastia carolingia.

maggiori notizie sull’abbazia di S.Giulia di Brescia: S.Giulia di Brescia. Archeologia, arte, storia di un monastero regio dai Longobardi al Barbarossa, Atti del Convegno internazionale (Brescia, 4-5 maggio 1990), Brescia 1992.

44

MGH, I, n. 135, pp. 185-186. Il diploma non è datato, il Pasquali lo attribuisce al 781. Vedi P

ASQUALI

, Gestione economica, in particolare p. 135.

45

Vedi nel presente cap. il par. I.

(21)

IV.1 Il monastero «familiare» degli ultimi sovrani longobardi La fondazione di Ansa e Desiderio

Il monastero femminile di S. Salvatore, poi S. Giulia, fu fondato in Brescia nel 753. Inizialmente il monastero fu dedicato a S. Michele e a S. Pietro, e l’intitolazione rimase tale almeno fino al 759

46

; già nel 760

47

comparve nei documenti con il titolo Domini et Salvatoris.

Promotrice della fondazione fu la bresciana Ansa, moglie del futuro ultimo re longobardo Desiderio, allora duca di Lucca

48

.

Sappiamo poco del mandato di Desiderio in Toscana. Scarsi i documenti al riguardo e molti i disaccordi fra gli storici, ma questo legame fra il fondatore del cenobio bresciano e la città che ospitava una delle sue più importanti istituzioni di pertinenza costituisce senz’altro un elemento degno di essere evidenziato.

Simonetti, sulla base dei documenti del tempo, stila l’elenco dei duchi di Lucca dei quali non si può mettere in dubbio l’esistenza e fra questi non c’è traccia di Desiderio

49

. Lo storico cita gli inattendibili lavori condotti «senza alcun discernimento» da Cosimo della Rena

50

e da Giovan Battista Orsucci

51

, dove nell’elenco dei duchi lucchesi compare Desiderio, sebbene con dati che però non coincidono.

Orsucci fa risalire il mandato di Desiderio al 744 (fra il ducato di Alperto e quello di Tachiperto, anch’essi collocati nel 744), mentre il Della Rena lo pone nel 756 (fra il ducato di Alperto del 754 e quello di Adelchis suo figlio del 757). La celebre Historia Langobardorum di Paolo Diacono non è di grande aiuto dato che termina la narrazione

46

CDL, III/1, n. 31, p. 187.

47

CDL, III/1, n. 33, p. 206.

48

IP, VI, pp. 320-328, in particolare p. 320

49

S

IMONETTI

, I Duchi di Lucca.

50

D

ELLA

R

ENA

, Della serie, p. 74.

51

MDL, I, p.29.

(22)

delle vicende del popolo longobardo con il regno di Liutprando, anche se nell’appendice il cronista afferma che Ratchis, in occasione della morte del fratello Astolfo (756), tentò di recuperare il trono, contendendolo a Desiderio, duca di Tuscia. E di seguito si legge di

«Desiderio, originario di Brescia, inviato da Astolfo in Tuscia…»

52

. La carta di fondazione del monastero purtroppo non ci è pervenuta, ma da diversi documenti risulta che la nascita dell’istituzione avvenne per volontà della pia regina Ansa. E’ indicata quale fondatrice in alcuni diplomi per S. Salvatore, ad esempio in quello di Adelchi del 772 che riferisce che Ansa «…suavissima genitrix nostra, in amorem Domini nostri Iesu Christi ipso monasterio ad (sic) fundamentis construxit »

53

, come pure nel privilegium di papa Paolo I per lo stesso monastero

54

e nel cosiddetto Rituale di Santa Giulia dell’anno 1438

55

.

Considerando la genesi della sua fondazione, San Salvatore di Brescia potrebbe essere collocato, come sostiene Mor, tra i monasteri

«fondati dalle regine nella speranza di potervisi ritirare, quando fosse terminata la loro carriera politica o di rappresentanza»

56

.

Da monastero familiare a pedina nella strategia politica dei sovrani

Quando nel 757 Desiderio conquistò il trono, il monastero perse la sua dimensione privata e venne integrato nella politica del re, assumendo un posto di particolare rilievo e privilegio tra le fondazioni monastiche del regno. Nel 758 Desiderio fondò sempre a Brescia

52

P

AOLO

D

IACONO

, Historia, pp. 269-271.

53

CDL, III/1, n. 44, p. 254.

54

B

ETTELLI

B

ERGAMASCHI

, A proposito, 67, 1-2, pp. 119-137, e Ibid., 68, 1-2 pp.139-174, in particolare I, p. 135, 1.3.

55

Si tratta in realtà di un Ordinario. Vedi B

ETTELLI

B

ERGAMASCHI

, Il tempo monastico, pp. 87-88.

56

MOR, Poteri laici e monasteri, cit., p.21.

(23)

anche il celebre monastero maschile di Leno, ma è su S. Salvatore che si concentrò la sua paziente opera di investimento.

L’ascesa al potere della famiglia fondatrice di questa istituzione investì e cambiò il destino del monastero che mutò repentinamente la propria dedicazione. Il Voigt

57

attribuisce questa variazione di intitolazione a trasformazioni eseguite sull’edificio monastico, costruito inizialmente inglobando un antico groviglio di rovine e forse una chiesetta con un piccolo chiostro già esistenti. Sembra invece ragionevole attribuire questo intervento ad una complessa trasformazione che dovette investire ogni ambito della vita dell’istituzione a seguito del prestigioso ruolo assunto da questa istituzione familiare dopo l’incoronazione di Desiderio.

La scelta di questa nuova intitolazione necessita un approfondimento dato che al Salvatore fu dedicato anche lo stesso monastero lucchese fondato quasi due decenni più tardi, intorno alla metà degli anni ottanta. Il Vignali

58

mette in luce la numerosissima fioritura di chiese dedicate al Salvatore negli ultimi decenni del secolo VIII e la loro ragione. Questa dedicazione si estese nell’Europa occidentale, in netta opposizione allo scismatico Impero Orientale che con il monotelismo riconobbe la sola natura divina del Cristo ed impose l’iconoclastia. L’equivalente coesistenza nel Cristo della natura divina e di quella umana divenne il caposaldo della Chiesa Occidentale, e la figura di Cristo quale uomo che si sacrifica sulla croce per salvare tutta l’umanità ne diventò il vessillo iconografico.

Già dopo la conversione dall’arianesimo al cristianesimo i re e i duchi longobardi avevano iniziato ad erigere chiese dedicate al

57

V

OIGT

, Die Königlichen, pp.23-25

58

V

IGNALI

, Chiese e basiliche.

(24)

Salvatore, e tale intitolazione si diffuse ulteriormente in coincidenza con la questione iconoclasta. Mutare la dedicazione di questo monastero bresciano negli anni di più intenso conflitto con l’Impero Orientale per la questione dell’iconoclastia significava politicamente per Desiderio schierarsi dalla parte del papa Paolo I contro l’impero bizantino ed erigersi a difensore dei valori e della tradizione cattolica

59

.

Anche la documentazione del monastero è testimone delle trasformazioni avvenute nel tempo delle motivazioni iniziali che avevano portato alla fondazione di S. Salvatore, evidenziando sempre più un ruolo funzionale al rafforzamento del potere dei sovrani fondatori.

A tale proposito Bettelli Bergamaschi rileva un fatto importante: «Se nel praeceptum del 759

60

esso viene definito come

“lo spazio santo in cui abita la gloria di Dio”, e in quello dell’anno successivo

61

appare nella sua funzione di luogo di preghiera incessante (giorno e notte) per l’anima dei fondatori, nel 767

62

Desiderio precisa che le donazioni al cenobio hanno come obiettivo il conseguimento non solo della salvezza personale, ma anche della stabilità del regno:

ob amorem ipsius Redemptoris nostri et stabilitate gentis nostrae Langobardorum donamus…»

63

.

La storica, riferendosi agli atti del 759 e 760, sottolinea come la concezione religiosa medievale, che interpretava la salvezza come compenso ottenibile mediante la preghiera altrui, fosse fra le

59

B

ETTELLI

B

ERGAMASCHI

, pp. 159-168.

60

Vedi nota n. 46 del presente cap.

61

Vedi nota n. 47 del presente cap.

62

CDL, III/1, n. 39, p. 234.

63

B

ETTELLI

B

ERGAMASCHI

, Monachesimo Femminile, pp. 41-75, in particolare p. 52.

(25)

motivazioni principali che portarono all’edificazione di questo, come degli altri monasteri altomedievali. Desiderio, associato al trono l’unico figlio maschio e maritate a duchi e re le altre figlie femmine, pose la figlia Anselperga alla guida del cenobio e dell’”esercito del cielo”, la cui occupazione principale era pregare per i fondatori.

Nel medioevo si riteneva che non solo la preghiera ma anche l’elemosina avesse efficacia salvifica per i peccati e procurasse tesori in cielo, perciò questo cenobio familiare fu subito arricchito di un notevole patrimonio. La dote di terre che Desiderio e la sua famiglia attribuirono progressivamente al monastero rispecchia l’intreccio di poteri ed interessi degli ultimi decenni della famiglia reale

64

, e ciò sembra confermare l’affermazione di Desiderio del 767 riguardo all’obiettivo di stabilità del regno. A tale proposito Bettelli Bergamaschi afferma: «La dislocazione dei possessi di San Salvatore in aree lontane dal monastero mostra chiaramente la loro rispondenza ad una finalità politica e strategica: si trattava infatti con tutta evidenza di costituire dei punti d’appoggio fidati anzitutto nei ducati di Spoleto e Benevento, tradizionalmente refrattari ad accettare il controllo del re; in secondo luogo, in zone che si trovavano a ridosso del ducato di Roma, ancora bizantino, al cui possesso aspirava Desiderio, come già i re longobardi che l’avevano preceduto,

64

Furono conferiti al monastero i beni confiscati all’omicida Cunimondo figlio

di Cunimondo di Sirmione (CDL, III/1, n. 27, p.181), i poderi della famiglia

paterna di Ansa, come la corte di Ripalta ed i fondi di Timoline (in Temoninas),

in Franciacorta (a sud del lago di Iseo), e di Fistoline. Il monastero di sua

iniziativa acquistò e permutò terre nella Bassa Bresciana, nel Cremonese, nel

Lodigiano, in Valcamonica, mentre per munificenza regia e per contributo dei

devoti il suo patrimonio fondiario ben presto comprese poderi nel Bolognese,

nel Pistoiese, nello Spoletino e fin nel Beneventano. T

RECCANI DEGLI

A

LFIERI

, Storia

di Brescia, p. 238.

(26)

soprattutto a partire da Liutprando (712-744)».

65

Un quadro del patrimonio fondiario del monastero bresciano è fornito dall’ultimo privilegio longobardo per S. Salvatore prima della sconfitta di Desiderio

66

. Con questo atto datato l’11 novembre 772 re Adelchi confermò al monastero e alla sorella, la badessa Anselperga, tutti i possessi del monastero donati dai suoi genitori, da lui stesso e da altri; aggiunse ulteriori donazioni e privilegi; liberò i dipendenti del monastero da una parte delle imposte e dei servizi pubblici ed assegnò al monastero le donne arimanne che avessero sposato un servo del monastero. Si tratta del più esteso fra i diplomi di donazione dei re longobardi. Di grande interesse sono gli accenni ai Longobardi fuggiti nel regno dei Franchi, i cui possessi vennero donati dal re a S.

Salvatore, né può essere trascurata la menzione delle donazioni fatte dai duchi di Benevento e Spoleto al monastero, la cui importanza politica negli ultimi anni del regno longobardo risulta sottolineata.

Purtroppo la pergamena, non in buono stato di conservazione, presenta una lacuna proprio in corrispondenza dell’enumerazione dei monasteri pertinenti a S. Salvatore (et alias monasterias et ecclesias, quod ab ipso monasterio per donationem et commutationem advenerunt). Nonostante ciò, i nomi di alcuni monasteri risultano leggibili: uno in Pavia (intra regia nostram Ticinensem civitatem), uno nel castello di Sirmione, uno presso Soriano nel luogo detto Monte Lungo, il monastero di San Cassiano in civitate Bononiense, pervenuto al monastero di S. Salvatore e alla badessa Anselperga dal prete Sindulfo, un monastero nei pressi di Pistoia, proveniente per scambio con l’abate Ermeberte, come pure il monastero costruito in

65

B

ETTELLI

B

ERGAMASCHI

, Monachesimo femminile, p. 61.

66

CDL, III/1, n. 44, p. 251.

(27)

Sextuno, presso Rieti, con una corte in Narni vicino a Santo Rustico.

Sempre nel Reatino sono enumerati un monastero presso San Vito e un altro in finibus Balbense, poi un monastero costruito presso San Liberatore, vicino a Benevento, concesso per diritto al monastero di S.

Salvatore dal duca longobardo Arechiso.

Poiché il principio germanico della chiesa privata attribuiva la proprietà delle istituzioni monastiche ai fondatori, che potevano liberamente disporne, il diritto del tempo forniva l’espediente per assicurare in luoghi religiosi strategici centri fidati per l’informazione, il recapito, l’alloggio, come richiedeva la singolare situazione costituzionale di una corona da cui solo nominalmente dipendevano i più potenti che, alla periferia, tessevano rapporti con potenze nemiche confinanti. I monasteri attribuiti a S. Salvatore dai fondatori e dal figlio Adelchi, dai duchi o da altre istituzioni non si trovavano soltanto in area lombarda, ma si snodavano lungo la dorsale appenninica fino al cuore dei ducati del meridione.

Nel 762, in un momento di piena intesa fra re Desiderio e il pontefice, Paolo I concesse al cenobio regio di S. Salvatore, e a tutti i monasteri e relative chiese che in qualunque parte ne dipendessero, un’importante immunità

67

: i vescovi locali non avrebbero avuto possibilità d’ingerenza, e sarebbe spettato alla badessa/abate designare il vescovo per la celebrazione delle funzioni riservate all’ordine episcopale.

Questa immunità divenne per il monastero un importante strumento di potere politico e consentì alle istituzioni dipendenti di emanciparsi dalla schiacciante ingerenza dei poteri ecclesiastici

67

IP, VI, p. 321. L’immunità risulta molto più ampia di quella che un secolo prima era stata largita

al monastero di Bobbio.

(28)

locali

68

. Vedremo in altra sede se anche il monastero di S. Salvatore Brisciano riuscì, almeno agli inizi della sue vicende, a salvaguardarsi da un’eccessiva interferenza dell’autorità episcopale lucchese.

L’epitaffio di Ansa e la tradizione longobarda del pellegrinaggio

Una breve composizione letteraria del celebre narratore della storia dei longobardi, Paolo Diacono, sembra rivelare che dietro a questa catena di monasteri dipendenti da S. Salvatore di Brescia, collocati lungo importanti vie di comunicazione che andavano da Sirmione a Pavia e dalla lombarda Soriano, passando per il Monte Bardone

69

, scendevano a sud lungo gli Appennini fino a Rieti, è possibile scorgere un disegno ben preciso degli ultimi sovrani longobardi.

L’Epitaphium Ansae Reginae, dettato da Paolo Diacono in onore della regina Ansa, era destinato a suggellare la memoria della regina sulla sua pietra sepolcrale all’interno dell’amato cenobio bresciano. Dopo i disastri del 774 e l’esilio francese, Ansa trovò la morte lontana dall’amata Brescia, presso la figlia duchessa di Benevento. Il suo corpo non fu tumulato in S. Salvatore, perciò l’epitaffio non fu mai inciso sul marmo e i codici ce lo hanno tramandato come opera letteraria. La composizione narrava dei disordini in mezzo ai quali Desiderio e Ansa avevano assunto la corona e delle speranze che avevano riposto nel giovane Adelchi.

Narrava delle figlie sposate ai sovrani dei Franchi e dei Bavari e al

68

T

RECCANI DEGLI

A

LFIERI

,Storia di Brescia, cit. p.442

69

Grande importanza strategica doveva avere il monastero che San Salvatore possedeva a

Montelungo, sull’itinerario della via Francigena, situato «in finibus Sorianense» sul Monte

Bardone, presso l’attuale Passo della Cisa. Nella successiva documentazione di epoca carolingia

appare dotato di un «hospitale» dedicato a San Benedetto. Vedi CDL, III/1, n. 44, p. 255.

(29)

principe di Benevento, e di quella sposa del Signore entro le mura del monastero. L’accenno alla figlia che, sul Reno, moglie di un forte principe, circoscrive la genesi dell’epitaffio ai brevi giorni di felicità della povera Ermengarda, sposa di Carlo Magno.

Alcuni dei versi assumono un notevole interesse:

«CULTIBUS ALTITHRONI QUANTAS FUNDAVERIT AEDES, QUASQUE FREQUENTAT EGENS, PANDIT BENE RUMOR

URBIQUE.

SECURUS IAM CARPE VIAM, PEREGRINUS AB ORIS OCCIDUIS QUISQUE VENERANDA CULMINA PETRI GARGANIAMQUE PETIS RUPEM VENERABILIS ANTRI.

HUIUS AB AUXILIO TUTUS TELA LATRONIS FRIGORA VEL NIMBOS FURVA SUB NOCTE TIMEBIS;

AMPLA SIMUL NAM TECTA TIBI PASTUMQUE PARAVIT»

70

I versi possono essere così tradotti: «La fama diffonde ovunque quanti templi egli ha dedicato al culto dell’Altitrono e quali va a visitare l’orante. O pellegrino, affronta sicuro il cammino, tu che da oriente e da occidente ti dirigi verso la chiesa di S. Pietro a Roma o verso S. Michele sul Gargano!»

71

.

Dunque la catena dei monasteri erano, per l’epigrafista, una via sicura per il pellegrino diretto alla tomba dell’Apostolo o alla caverna di S. Michele. La citazione del santuario sul Gargano, accanto a quella del sepolcro di Pietro, non sembrerebbe dovuta soltanto alla grande

70

MGH, Scriptores, pp. 248-249.

71

La presente traduzione è stata gentilmente realizzata dalla Professoressa Marina Soriani del

Dipartimento di Medievistica dell’Università di Pisa.

(30)

venerazione che il popolo guerriero longobardo aveva per l’arcangelo armato di spada, quanto anche al voler evidenziare che tale sicuro cammino permetteva di proseguire oltre la città eterna e raggiungere il cuore dei fieri ducati longobardi del Mezzogiorno.

In tempi bui, con grandi difficoltà di comunicazione, possiamo immaginare quale importanza poteva assumere questa arteria che collegava il cuore spirituale, economico e affettivo della stirpe longobarda regnante e la città eterna. E possiamo immaginare quale importanza potevano assumere i piccoli monasteri che sorgevano sul percorso che legava ai due estremi della penisola il potere sacro e quello profano, testimoni del passaggio di uomini, commerci e interessi.

Come abbiamo visto, la fondazione del monastero lucchese di S. Salvatore Brisciano avvenne intorno al 785, alcuni anni dopo la sconfitta di Desiderio, ma questo cenobio può essere stato fin dall’origine un’ennesima pedina inserita in una compagine preesistente e ben collaudata, che nonostante i disastrosi avvenimenti sopravvisse e forse si fece ancora più forte grazie agli stessi vincitori che ne intuirono le potenzialità e vi investirono ulteriori risorse.

Dunque quella del pellegrinaggio risulta, fin dalle origini, una componente importante nelle vicende di S. Salvatore Brisciano, perciò è molto interessante accennare brevemente all’antica tradizione nell’ambito della quale nacque l’istituzione lucchese.

Fin dall’inizio della cristianizzazione dei popoli ariani numerosi

visitatori iniziarono a giungere al sepolcro di S. Pietro e dalla seconda

metà del secolo VIII cominciarono a dividersi secondo le nazioni e le

genti da cui provenivano. Le opere di assistenza dettero origine ad una

(31)

serie di fondazioni o di istituti che assunsero il nome di Scholae peregrinorum. Sorgevano intorno alla Basilica di S. Pietro ed erano dotate di chiesa, abitazioni per il clero, ospedale e cimitero

72

, vere e proprie associazioni di stranieri della stessa nazionalità, uniti in corporazioni per la tutela dei propri interessi, la mutua assistenza e l’esercizio della pietà verso i propri defunti

73

. I più antichi istituti furono quelli degli Anglosassoni, dei Longobardi, dei Franchi e dei Frisoni, seguiti poi da quelli degli Ungari, degli Abissini e degli Armeni. Secondo la tradizione, la Schola Longobardorum ebbe origine con il re longobardo Rachis quando, nel 749, ricevette dalle mani del pontefice la cocolla di monaco e prima di ritirarsi a vita monastica a Montecassino alloggiò in Roma in un ospedale nei pressi della basilica vaticana. Il contenuto dell’epitaffio di Ansa svela l’esistenza di una consolidata tradizione longobarda nell’assicurare un lungo corridoio che consentisse ai pellegrini di giungere a Roma e proseguire fino al Gargano, rivelando inoltre una particolare attenzione della regina nel tutelare questa realtà: impegno esercitato anche mediante le numerose attribuzioni di enti religiosi all’importante monastero di S. Salvatore, come testimoniano i numerosi privilegi pervenuti.

IV.2 Un nuovo ruolo: al centro della strategia politica carolingia Se sotto la dominazione longobarda il monastero fu largamente dotato di beni ed ebbe un ruolo politico tutt'altro che marginale – valga per tutti il già citato diploma di Adelchi del 772, che

72

D

E

A

NGELIS

. L’Ospedale, pp. 122-124.

73

Ibib., p. 123.

(32)

confermava i diritti spettanti al monastero, le sue proprietà e i monasteri da lui dipendenti – , il passaggio dalla dominazione longobarda a quella carolingia non lo penalizzò affatto, come attesta il diploma di Carlo di conferma dei beni

74

.

Il monastero di S. Salvatore diventò, sotto la dominazione carolingia, il centro della strategia politica dei regnanti: oltre alla futura moglie di Ludovico II, Angelberga

75

, vi ricevettero educazione anche Gisla, figlia di Ludovico il Pio e Giuditta, nonché l’omonima figlia di Everardo, duca del Friuli

76

.

All’823 risale il diploma di conferma di Ludovico il Pio

77

, che assegnò in beneficium il monastero alla moglie, l’imperatrice Giuditta

78

, mentre nell’837 fu l’imperatore Lotario I ad occuparsi dell’accertamento e della conferma dei beni di S. Salvatore

79

, e ad assegnare il monastero alla moglie Ermengarda e successivamente alla figlia Gisla

80

. Il diploma di Ludovico II dell’851 testimonia un l’ampliamento del patrimonio monastico; tramite questo atto l’imperatore

81

, assegnò S. Salvatore in beneficium alla moglie Angelberga e alla figlia Ermengarda

82

.

Con la decadenza della stirpe carolingia e l’inizio delle lotte per la corona d’Italia, il monastero di S. Giulia perse il suo importante ruolo politico, assumendo una dimensione particolaristica, in contrasto con il ruolo internazionale che aveva assunto in epoca longobarda e

74

G

IANNINI

, Un santo lucchese, p. 145.

75

T

RECCANI

D

EGLI

A

LFIERI

, Storia di Brescia, p.473.

76

Ibid., p.462

77

Ibid.

78

C.D.L., n. 103, col. 188

79

MGH. DD. L I, n. 35, pp. 112-113, anche in T

RECCANI

D

EGLI

A

LFIERI

, Storia di Brescia, p. 436 e P

ASQUALI

, Gestione economica, p. 136.

80

MGH. DD. L I, n. 101, pp. 240-242.

81

G

IANNINI

, Un santo lucchese, p. 145.

82

CDL, n. 245, pp. 414-415.

(33)

carolingia. Nello scenario delle lotte per la corona d’Italia, infatti, l’antico monastero bresciano prese le parti di Berengario, duca del Friuli, come dimostra non solo la presenza di Berta, figlia del duca, ai vertici dell’istituto, ma soprattutto la comparsa, in questo periodo, del falso composto secondo lo schema del privilegio di Paolo I del 762 e attribuito al patriarca di Aquileia, contemporaneo di Desiderio, redatto con l’intento di sostituire all’autorità del papa quella del patriarca, e di rafforzare la posizione del duca

83

.

Il ridimensionamento del ruolo politico dell’istituzione bresciana portò inevitabilmente alla perdita di potere e controllo sulle istituzioni pertinenti più lontane, quali il cenobio lucchese.

IV.3 Gli interessi di S. Salvatore di Brescia nella città di Lucca quale premessa alla dipendenza di S. Salvatore Brisciano dal cenobio lombardo

Nell’Archivio di Stato di Milano è conservato l’originale o una copia coeva del più notevole documento archivistico pervenutoci dal IX secolo

84

.

Si tratta di un rotolo lungo circa cinque metri e mezzo, formato da 12 pergamene legate da lacci pergamenacei. Sul retro del rotolo sono riportate alcune note dorsali. La prima è del XVI secolo:

«Breviaria de curtibus monasterii». L’altra, dei secoli XVIII – XIX, ne spiega il contenuto: «905 o 906 Memoria delle corti di proprietà del monastero di S. Giulia di Brescia, dei frutti che rendono annualmente e di quanto in esse esiste, rapporto alla Chiesa, ed al numero delle famiglie di ambo i sessi nella qualità sì libera che obbligati a servitù».

83

T

RECCANI

D

EGLI

A

LFIERI

, Storia di Brescia, p. 507.

84

P

ASQUALI

G., S.Giulia di Brescia.

(34)

Molti storici anticipano la datazione del documento di circa due decenni rispetto al 905 o 906 e ritengono che il lungo e minuzioso elenco sarebbe stato redatto dopo le vessazioni di Carlo il Grosso, per tutelare il patrimonio del monastero da eventuali nuove ingerenze.

Il polittico è la trascrizione di brevia particolari, elaborati molto probabilmente dopo un’inquisitio condotta sul posto o con escussione di testi. La materia è ordinata secondo uno schema bipartito rigido:

“dominico” e “massaricio”, che viene registrato anche sui beni in dotazione delle cappelle o delle piccole corti (curticellae).

Nonostante la sua ampiezza, il documento appare chiaramente mutilo. Manca parte della prima pergamena e le prime righe sono gravemente obliterate da un reagente. La prima linea è quasi scomparsa per uno strappo e non è possibile dire se da questa avesse inizio l’inventario. Dato che le prime corti nominate erano situate fuori Brescia, è molto probabile che altre linee precedessero la prima ed elencassero i possedimenti in città e nel suburbio.

Ma è l’incompletezza della parte finale del polittico a deludere

la speranza di un riscontro con una fonte ricca e minuziosa per

l’indagine sul monastero lucchese. Alla quart’ultima riga della

dodicesima pergamena inizia l’inventario della corte di Sextuna, che

continuava nella perduta tredicesima pergamena. Probabilmente

questa (ma forse le pergamene perdute sono più di una) conteneva

anche la descrizione delle corti dell’Italia centrale e meridionale,

donate e confermate a più riprese nel corso dei secoli VIII e IX, e

forse ancora possedute dal monastero all’inizio del secolo X. Questi

dati avrebbero potuto fornirci l’effettiva influenza del potente

monastero sull’orbita lucchese e forse sull’intera Tuscia.

(35)

Ma altri indizi testimoniano tali interessi. Abbiamo visto che nella documentazione lucchese si ha notizia di un unico possesso del monastero bresciano, nell’ambito di una permuta di beni del 924 fra Flaiperto scabino e il Vescovo Pietro: la Curte Cicula, que est pertinentes de monasterio illo sito Briscia que dicitur S.Julie.

85

C’è poi il toponimo Bresciano, Brisciano o Brisciana, che nella tradizione medievale lucchese si trova indica un area urbana situato al margine nord est della città

86

. La stessa forma ablativa nella denominazione più ricorrente nei documenti riguardanti il monastero, ovvero ecclesia monasteri Domini et Salvatoris que dicitur Brisciano, colloca il monastero in un’area così denominata.

Difficile affermare se fu il monastero, identificato prevalentemente per il suo legame con Brescia, a dare il nome all’intera zona, oppure se fu il toponimo a dare il nome al monastero.

Forse S. Salvatore di Brescia aveva altre proprietà in questo quartiere oltre alla Corte Cicula. Forse anche altre istituzioni o realtà bresciane avevano interessi in questa stessa zona.

Nel capitolo successivo parleremo ampiamente dell’area urbana in cui sorgeva S. Salvatore, zona decentrata caratterizzata soprattutto da due componenti: l’ingresso della via Francigena in città – fortemente transitata fin dall’alto medioevo a causa non soltanto della strategica posizione di Lucca su questa arteria viaria, ma anche per il fortissimo richiamo del celebre Volto Santo, la cui fama risuonava per tutta Europa – e la presenza di numerose attività produttive ed artigianali.

85

Vedi nel presente cap. nota n. 7.

86

Prima della scoperta della filiazione del S. Salvatore lucchese da quello bresciano, con il termine Brisciano si intendeva «il quartiere di Lucca ove si trovava il monastero di S. Giustina». Cfr.

MDL, V/3, Nomi antichi e moderni, I; S

CHNEIDER

, L’ordinamento pubblico, p. 315, nota n. 52.

(36)

Proprio l’esistenza nell’area del Brisciano di realtà economicamente fervide ha portato Cinzio Violante ad ipotizzare che fossero stati proprio gli stretti rapporti fra il S. Salvatore di Brescia e quello di Lucca a consentire a maestranze transpadane di giungere numerose a Lucca fra l’VIII e il IX secolo

87

.

Nel suo saggio Violante analizza le citazioni di uomini designati con l’appellativo di transpadani nei documenti di Lucca, Tuscania, Viterbo e della Sabina. Interessante la particolare caratteristica comune alla maggioranza delle citazioni lucchesi, ovvero il coinvolgimento di personaggi che esercitavano professioni artigianali o edili.

La prima testimonianza che ci è stata tramandata per la Tuscia settentrionale è l’unica che riguarda Pistoia, ma ci è pervenuta in un documento redatto a Lucca e ancora conservato nel suo archivio arcivescovile

88

. Nell’ottobre del 742 il transpadano Mauro vendette due terreni ad un mercante avendo fra i testimoni un calderaio di Lucca, elemento che sembra assimilare il transpadano al ceto medio di mercanti, artigiani e proprietari terrieri.

Alcuni anni più tardi compaiono a Lucca testimonianze di tre magistri casarii transpadani. Due erano i fratelli Natale e Appo/Appulo, che nel 787 e l’anno successivo comprarono insieme terreni in Val di Serchio

89

. Natale è attestato da solo nell’805 quando costruì una chiesa e una casa in città su suolo precedentemente di proprietà vescovile e la donò al vescovo, riservandosi però il diritto di reggere la chiesa fino alla sua morte. Infine nell’819, ormai chierico,

87

V

IOLANTE

, I traspadani, pp. 403-456.

88

CDL, III/1, n. 106, pp. 233-235.

89

MDL, V/2, n. 216, p. 127 e n. 231 p. 130.

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