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L’area presa in esame nel seguente lavoro è la foce del fiume Serchio, territorio facente parte del Parco naturale Migliarino-S. Rossore-Massaciuccoli istituito nel 1979 (L.R. 13/12/1979, n° 61).

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1 Introduzione

L’area presa in esame nel seguente lavoro è la foce del fiume Serchio, territorio facente parte del Parco naturale Migliarino-S. Rossore-Massaciuccoli istituito nel 1979 (L.R. 13/12/1979, n° 61).

La particolarità di questo territorio, oltre l’indiscussa bellezza naturalistica, è la diversità di uso che hanno le due sponde. La sinistra fa parte della Tenuta di S. Rossore ed ha un grado di naturalità molto elevato, testimoniato dall’alta biodiversità e dalla presenza sia animale che vegetale di specie molto rare. L’altra sponda, pur facendo parte del parco naturale, non ha certo lo stesso grado di naturalità anzi vi è una massiccia presenza antropica che si esplica con il susseguirsi di artigianali attracchi per le imbarcazioni. Negli ultimi anni, come conseguenza del miglioramento della qualità delle acque del fiume Serchio, c’è stato un intensificarsi del transito dei natanti in questo tratto di fiume, soprattutto per scopi ludico ricreativi.

Il presente lavoro è finalizzato a contribuire ad una migliore definizione dell’impatto dell’attività antropica alla foce del fiume Serchio considerando come specifici indicatori lo stato delle acque, lo stato delle sponde (destra e sinistra comparativamente) e lo stato della vegetazione (principalmente sulla sponda sinistra completamente naturale); un’indagine storica sulla fruizione del fiume nel tempo e sullo stato attuale della normativa ha permesso di inquadrare il problema fruizione antropica nella luce più corretta, considerando che la zona di studio insiste sul territorio del Parco Naturale di Migliarino-S.Rossore-Massaciuccoli.

In due campagne di misura, una condotta prima dell’estate e l’altra dopo le piogge autunnali , sono stati monitorati, valutati e confrontati i parametri quali evoluzione delle morfologie di sponda, idrochimica delle acque, stato della vegetazione.

Oltre al monitoraggio dei parametri sopra indicati si è eseguito anche un controllo sull’entità dell’utilizzo di tipo nautico attraverso il conteggio del flusso di imbarcazioni, nel periodo tipicamente balneare (da Maggio a Settembre) e misurando la velocità media dei natanti, si è cercato di valutare il tipo di onda provocato.

La trattazione e la valutazione dei dati ambientali acquisiti sia direttamente che da bibliografia, l’approfondimento del quadro legislativo-vincolistico dell’area, nonché l’analisi storica sono tutti elementi necessari per valutare l’impatto antropico attuale in un area come la

“bocca del Fiume Serchio” importante non solo a livello locale, ma anche a livello nazionale ( Zona a Protezione Speciale -ZPS).

Non deve essere dimenticato infatti che in questa area ora considerata fra le più

naturalisticamente pregiate della provincia, l’uomo ha storicamente avuto un ruolo

estremamente importante: ci sono testimonianze della presenza umana fin dall’età del bronzo,

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e queste s’intensificano in epoche più recenti, basti pensare alle opere di bonifica avvenute a partire dal ‘700 e protrattasi fino ad oggi, che hanno trasformato profondamente il territorio, rendendolo da zona umida e paludosa a terreno coltivabile.

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2 Inquadramento dell’area di studio

Per meglio capire l’importanza che il fiume Serchio ha nel territorio e l’alta valenza ambientale del sito è necessario fare un inquadramento più generale su tutta l’area attraversata dal corso del fiume sia dal punto di vista geologico che idrologico per arrivare a capire le deviazioni di percorso che questo ha conseguito durante la sua storia che hanno in tempi diversi condizionato la morfologia del territorio circostante e cambiato più volte anche il suo sbocco verso il mare.

Sembra opportuno inoltre analizzare l’uso che l’uomo ne ha fatto dall’epoca romana ad oggi per arrivare a capire le radici della fruizione antropica che tutt’oggi persiste molto forte.

Un inquadramento dell’area di studio, con un particolare zoom sulla foce del Serchio è visualizzato in figura 2.1.

Figura 2.1: inquadramento dell’area di studio: foce del fiume Serchio

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2.1 Geologia e geomorfologia della pianura di Pisa

Il tratto terminale del fiume Serchio scorre nella pianura di Pisa, che ha dei confini fisici che vanno dal piede meridionale del Monte Pisano a quello dei Monti d’Oltre Serchio e ancora al piede settentrionale delle Colline pisane e Livornesi arrivando fino al lago di Massaciuccoli e al fosso della Bufalina fino al mare, all’altezza di Bientina tra il Monte Pisano ed il Pianalto delle Cerbaie. La zona considerata è stata oggetto di numerosi studi nel corso del tempo; il lavoro di Mazzanti, 1994, riporta un inquadramento generale dell’area e dello stato delle conoscenze, figura 2.1.1.

A: rocce del substrato pre- neogenico

B: sedimenti del Neogene e del Pleistocene inferiore C: sedimenti del Pleistocene medio sul Terrazzo I

D: sedimenti del Pleistocene superiore sul Terrazzo II E: sedimenti alluvionali della pianura olocenica

F: (a puntini) sabbie di Le Rene; ( a barbette ) limi e torbe palustri

G: sedimenti eolici e palustri del litorale olocenico

H: acque marine e lacustri I: linea di riva dell’VII-V sec a.C.

L:linea di riva attuale

Figura 2.1.1: carta geomorfologica schematica della Pianura di Pisa e dei rilievi contermini

(Mazzanti, 1994 .)

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Osservando la figura 2.1.1 si possono fare delle considerazioni sulla natura intermontana della pianura legata agli sprofondamenti dei bacini di sedimentazione neoautoctoni avvenuti tra i rilievi dei monti che la circondano.

Un ruolo importante nel modellamento geologico della pianura di Pisa, l’hanno avuto sicuramente i due fiumi principali dell’area: l’Arno e il Serchio che con il loro riversamento di materiali alluvionali hanno fatto si che la pianura si estendesse in modo più evidente verso sud.

Un altro fattore importante sono stati i cambiamenti glacio-eustatici del livello del mare, infatti dai numerosi pozzi perforati nella pianura di Pisa e dai rilevamenti di superficie si hanno ritrovamenti di sedimenti di origine fluviale, di età recente sepolti sotto altri di facies marina nel sottosuolo retrolitorale, e più verso il mare, si trovano più in profondità i sedimenti dei lidi del sistema deltizio tardo-olocenico dell’Arno.

In superficie sono riscontrabili calcareniti e sabbie del Pleistocene superiore e nelle zone in vicinanza di Arno e Serchio si trovano, per uno spessore di 30-40 m, le sabbie e limi di Vicarello che affiorano a Coltano, Castagnolo, Palazzetto e lungo il bordo meridionale della pianura di Pisa, dal Mortaiolo al fianco destro della Caldera. Le sabbie e limi di Vicarello giacciono sopra limi fluvio-palustri, a loro volta ricoprenti il livello dei conglomerati dell’Arno e del Serchio riconducibile al Wurm II (Trevisan, Tongiorgi, 1953). Oltre alla sabbie e limi di Vicarello c’è un’altra formazione riferibile al Pleistocene superiore e si tratta delle sabbie di Ardenza.

Queste giacciono sul terrazzo di Livorno, inciso durante la trasgressione eustatica tirreniana, su formazioni del Pleistocene inferiore, del Pliocene e dell’alloctono ligure (Barsotti, 1974).

Inoltre hanno, a differenza delle precedenti, uno spessore molto minore, infatti difficilmente superano i 5 m e tale differenza è dovuta al fatto che questa formazione si è deposta su un terreno eustatico praticamente stabile che non ha subito i processi erosivi e sedimentari olocenici, mentre le sabbie e limi di Vicarello si sono deposte nell’area subsidente della pianura di Pisa soggetta a processi erosivi e deposizionali delle ultime fasi del Pleistocene superiore e di quelle oloceniche.

Questi depositi alluvionali, in prevalenza sabbiosi e limosi o argillosi e limosi, sono distribuiti

nella maggior parte della pianura e risalgono all’Olocene, quando c’è stato il

sovralluvionamento dovuto al livello del mare che è risalito durante la deglaciazione

postwurmiana e allo stesso tempo è aumentato lo sbarramento a mare ad opera del sistema dei

lidi del delta dell’Arno.

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In questi sedimenti prevalgono le sabbie nelle zone vicine ai corsi fluviali dell’Era, del Serchio e dell’Arno; le argille e le torbe nelle zone più lontane dai corsi d’acqua, che per questo sono rimaste più basse e più soggette a impaludamenti.

2.1.1 Struttura a lame e cotoni

Lungo il litorale troviamo una fascia di sedimenti sabbiosi e limo argillosi originati da un sistema olocenico di lidi, dune e lagune, e paduli retrostanti. Questa fascia ha un’estensione massima verso l’interno di 7 km, all’apice del delta dell’Arno, e non è mai inferiore ai 4 km (figura 2.1.2).

I lidi, detti anche cotoni, sono allineati al litorale, sono poco elevati e rappresentano barre emerse per sovraccumulo di sedimenti, prima trasportati dalla deriva litoranea e poi scaricati sulle spiagge dal getto di riva, sono stati in seguito stabilizzati dalla vegetazione. Le dune dette tomboli sono invece più elevate (6-8 m) e irregolari rispetto ai lidi per la loro origine eolica. Le aree lagunari e palustri, dette anche lame, corrispondono ai solchi tra barra e barra e, come i lidi, hanno un andamento parallelo al litorale.

Figura 2.1.2: Carta geomorfologica schematica della Pianura Settentrionale Pisana (Banti et al., 1988 )

lame e cotoni

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2.2 Idrogeologia della pianura pisana

L’assetto idrodinamico delle acque sotterranee dipende dalle formazioni permeabili del sottosuolo pisano e dalle acque dolci e marine che vi si insediano.

Le acque del sottosuolo della pianura provengono, oltre che dalle piogge, da falde in collegamento con il Monte di Vecchiano e, in vicinanza del mare e in profondità, dal cuneo di penetrazione delle acque marine. Apporti superficiali di torrenti non esistono e quelli del Serchio sono molto scarsi, fatta eccezione per rare esondazioni, che in passato sono state anche disastrose, ma che ora sono meno frequenti per il rinforzamento degli argini.

Gli ambienti e le forme in cui è avvenuta la sedimentazione e il tipo di materiale depositato hanno provocato una differenziazione idrogeologica delle formazioni della serie stratigrafica e ciò comporta una variazione della permeabilità e di altre caratteristiche idrodinamiche tra i vari livelli del sottosuolo. Tale differenziazione esiste anche in senso orizzontale, in funzione della distanza dal mare e dai corsi d’acqua tributari di sedimenti.

Il movimento delle acque, la loro quantità e qualità dipendono quindi dalla geometria dei vari acquiferi che si sono formati, dalle loro caratteristiche idrodinamiche e dalle continuità idrauliche che ci sono tra di loro e le aree di alimentazione meteorica superficiale e marina. Il deflusso delle acque sotterranee dipende dal livello del mare che, in funzione della permeabilità dei bacini, regola anche la pressione piezometrica e, quindi, determina la differenziazione in falde freatiche o in pressione.

Gli acquiferi in cui avviene la circolazione ipogea della Pianura di Pisa sono costituiti da strati di livello variabile, ciascuno caratterizzato da differenti valori dei coefficienti di permeabilità e di immagazzinamento, e a volte si presentano discontinui e lenticolari. Solo le acque che circolano in orizzonti continui ed omogenei hanno caratteristiche di falda ben definibili, mentre per gli acquiferi che sono tra di loro più o meno interconnessi è difficile individuare le variazioni piezometriche e gli eventuali scambi idrici.

Le condizioni geologiche della sedimentazione hanno fatto sì che si formassero acquiferi migliori e di maggior potenzialità in determinate zone ed a profondità preferenziali. Esistono così varie falde sovrapposte che possono essere tra loro coalescenti e ciascuna è caratterizzata da una propria piezometria, legata, questa, alle caratteristiche idrodinamiche degli acquiferi, alle zone di alimentazione, alle zone di fuga e alle opere di captazione delle acque.

La pianura è caratterizzata, un po’ ovunque, da una prima falda superficiale freatica che è alimentata direttamente dalle precipitazioni ed è in scambio idrico con la rete idrica minore.

Questa falda non è molto ricca ma è sempre presente nelle sabbie dunari, dove è in contatto

con le acque marine sottostanti. In prossimità del mare si può trovare ad una profondità di

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qualche decimetro, fino ad affiorare nelle depressioni dove crea specchi d’acqua perenni o stagionali, favorendo anche una copertura stagionale spontanea, mentre verso l’interno, tale falda, la possiamo trovare ad una profondità di qualche metro. Le falde in pressione sono più profonde, hanno sede in acquiferi sovrapposti e le loro altezze piezometriche, anche se differenti, in genere non risalgono al di sopra del piano di campagna.

L’andamento altimetrico dell’acquifero e della falda tende a decrescere verso la costa, inoltre il tetto dell’acquifero è molto più irregolare rispetto alla superficie piezometrica della falda a causa delle differenze di deposizione. La falda risulta essere più regolare in ragione delle perdite di carico dell’acqua, che crescono gradualmente con il defluire delle acque sotterranee verso il mare. Per la specificità delle falde in pressione abbiamo anche che i livelli della falda sono ovunque più alti rispetto al tetto dell’acquifero (Dini, 1976).

Il contatto tra imponenti dune sabbiose formatesi all’epoca della sedimentazione quaternaria e livelli permeabili sottostanti più estesi può portare ad un collegamento idraulico degli acquiferi fino al piano di campagna. Da questo deriva un passaggio di acque tra le diverse falde che si può estendere fino in superficie, ma non si crea nessuno scompenso idrogeologico, in quanto le differenze di livello piezometrico tra le varie falde collegate, sono in genere molto piccole. Questa situazione però, rende le acque profonde più vulnerabili all’inquinamento e può essere riscontrata in corrispondenza delle dune di San Rossore e di quelle di Coltano.

La situazione stratigrafica può differire dal quadro generale fin qui fatto, a seconda della zona presa in considerazione, ma può essere specificata solo dove adeguate prospezioni forniscono gli elementi necessari alla sua ricostruzione(f igura 2.2.1).

Figura 2.2.1: Schema della circolazione ipogea in corrispondenza del lago di Massaciuccoli

(da Ghezzi, 1986)

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2.2.1 Considerazioni sulla situazione idrogeologica:

Sulla base del quadro idrogeologico fornito si possono fare alcune considerazioni:

? Le acque superficiali facenti parte della rete idrica minore sono in contatto diretto con la falda freatica, ma questa assume interesse dove in superficie ci sono terreni più o meno permeabili, come ad esempio terreni sabbiosi. Con questo tipo di terreni avvengono scambi attivi, fra acque superficiali e sotterranee, che possono essere di ravvenamento o di drenaggio.

? La circolazione idrica superficiale influenza la circolazione ipogea solo dove i terreni permeabili superficiali sono in contatto con acquiferi più profondi ed è in questi casi che gli scambi fra acque superficiali e sotterranee possono interessare le falde inferiori.

? Poiché gli alvei del Serchio e dell’Arno sono in genere scarsamente permeabili, gli

scambi tra le acque di questi fiumi e quelle sotterranee avvengono molto

difficilmente. Inoltre tali scambi sono maggiori se andiamo verso monte, dove i

materiali alluvionali subalvei sono più grossolani. Esempi sono rappresentati dai

pozzi dell’acquedotto di Filettole, sul Serchio, e dalle possibili influenze delle piene

dell’Arno sui livelli delle acque di Uliveto (Cavazza, 1975).

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2.3 Evoluzione del percorso del fiume Serchio dall’era pliocenica all’età moderna

2.3.1 Notizie storiche ed evoluzione del nome: dall’Ausar a Serchio

Le più antiche notizie storiche sul fiume Serchio risalgono al geografo greco Strabone (vissuto dal 64 a.C. al 21 circa d.C.), il quale scrive nel suo trattato “Geographica” che Pisa nasce fra due fiumi confluenti, l’Arno e l’Ausar, che provengono uno da Arezzo e l’altro dall’Appennino.

Successivamente ne parla lo scrittore latino Plinio il Vecchio (vissuto dal 23-24 al 79 d.C.) nella sua opera “Naturalis Historia” dove afferma che Pisa è situata fra i fiumi Auser ed Arno.

Bisogna attendere la metà del V secolo d.C. per avere altre notizie sul Serchio e ce le fornisce il poeta Claudio Rutilio Namaziano che descrive il suo ritorno in patria, compiuto via mare a causa delle pessime condizioni delle pianure toscane, nel poemetto “De reditu”. Egli scrive che la sua prima tappa è Pisa, che i fiumi Arno ed Ausur cingono con acque gemelle.

Cassiodoro, uomo politico e letterato del VI secolo, in due epistole scritte per conto del re Teodorico, ordina di mantenere navigabili i fiumi Arno ed Anser per il trasporto di legname con cui costruire le navi da guerra.

Infine Gregorio Magno, papa dal 590 al 604, racconta, in un brano dei suoi “Dialoghi”, del miracolo compiuto dal vescovo Frediano di Lucca. Quest’ultimo avrebbe cambiato il corso del fiume Ausarit, che scorreva presso le mura della città e che spesso inondava la campagna danneggiando le coltivazioni, con un semplice rastrello.

Tutti questi scrittori ci presentano il fiume con un nome diverso: Ausar (Strabone), Auser (Plinio il Vecchio), Ausur (Rutilio Namaziano), Anser (Cassiodoro), Ausarit (Gregorio Magno) ed il fiume continuerà a cambiare nome nei secoli successivi, come scritto in alcuni documenti altomedievali, che riportano il nome del fiume con numerose variazioni grafiche intorno, però, a due tempi principali: Auser ed Auserculus. Il corso orientale veniva chiamato Auser (Ausere, Ausare, Ausure, Osare) e quello occidentale Auserculus (Auserculo, Auserclo, Serculo, Serclo, Serchium). Non si sa a quando risale questa doppia denominazione e il motivo che l’ha causata, ma potrebbe risalire al tempo in cui l’Auser era il corso principale e l’Auserculus (piccolo Auser) quello secondario. In seguito, invece, l’Auser sparisce e l’Auserculus (oggi chiamato Serchio) diventa il corso principale.

2.3.2 Evoluzione geologica

Prima dell’età pliocenica ci fu il sollevamento delle Apuane e degli Appennini e nel mezzo si

formarono grandi conche che successivamente si riempirono d’acqua. Vennero a crearsi così

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una serie di laghi, tra cui i più importanti erano quelli di Castelnuovo e di Barga. Queste conche non erano vallate di erosione e neanche bacini prodotti dalla formazione di argini glaciali e alluvionali, ma sinclinali formatisi durante il sollevamento delle rocce circostanti, nei quali si raccolsero le acque del Serchio e degli altri corsi d’acqua che scorrevano dalle montagne.

Durante il Pliocene il Serchio terminava il suo percorso in questi laghi e la sua foce si trovava a Sesto di Moriano, all’inizio dell’altra grande depressione che diverrà poi la piana di Lucca (De Stefani, 1887).

I laghi che si trovavano nell’alta valle del Serchio erano disposti a scala, in modo che le acque del fiume, dipartendosi dal più elevato, scendevano via via agli altri, finché traversatili tutti raggiungevano il mare (De Stefani, 1876).

Alla fine del Pliocene, con il progressivo sollevamento delle montagne ed il ritiro del mare, i laghi si svuotarono e le acque della conca di Castelnuovo si aprivano la strada attraverso una gola strettissima e profonda fra le rocce (Masini, 1937).

Il Serchio proseguì il suo cammino attraverso gli strati emersi percorrendo in senso longitudinale la valle. Si aprì in questo modo la sua strada fra le montagne, dalle sorgenti fino a Sesto di Moriano e modellò così quella valle incassata che oggi è la valle del Serchio, mantenendo sostanzialmente lo stesso tracciato, ma abbassando il suo profilo di circa 200 metri (De Stefani, 1887).

Durante il Pliocene, a causa del sollevamento regionale e del progressivo ritiro del mare, la conca passò da un regime marino ad un regime lagunare e lacustre favorito anche dallo svuotamento dei laghi della Garfagnana. La depressione lucchese fu interessata anche in seguito da periodi di sollevamento tettonico e da cicli di sedimentazione lacustre e fluviale. Si formarono così i rilievi delle colline di Montecarlo e delle Cerbaie, che separarono la piana di Lucca da quella della Val di Fievole. Accanto a questi rilievi, in tempi ancora successivi, si formarono le depressioni di Fucecchio ad Est e quella di Bientina ad Ovest (Nardi et al., 1987).

Il passaggio da un regime lacustre ad un regime fluviale e fluviodeltizio provocò il protrarsi della foce del Serchio, che allungò il suo percorso di circa 34 km e arrivò a scaricare le sue acque in Arno nei pressi di Calcinaia (Masini, 1937).

Durante il Pleistocene si ha un progressivo innalzamento del letto dell’Arno, per cui le acque

del Serchio furono costrette a cercarsi un altro sbocco. Il fiume si spinse verso Sud Ovest,

riuscendo prima a tracimare e poi a incidere la soglia di Ripafratta, che da golfo marino passò

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a valle incassata. Grazie a questa nuova via, il Serchio raggiunse nuovamente l’Arno ed il mare (Paderi, 1932).

2.3.3 Epoca preistorica

In epoca preistorica l’orografia della piana lucchese era, nei suoi aspetti principali, simile a quella di oggi e cioè chiusa a settentrione dalle Apuane e dalle Pizzorne, col monte Pisano di fronte e con due sbocchi, l’uno sulla depressione di Bientina e l’altro su quella di Ripafratta (Masini, 1956).

Nella pianura correvano libere le acque del Serchio, le quali disegnavano una ragnatela di rami principali e di piccoli corsi. I rami più importanti erano due: il primo scorreva ad Est della pianura, confluiva nella depressione di Bientina e poi andava a finire in Arno; il secondo scorreva ad Ovest della pianura, si dirigeva verso la stretta di Ripafratta per poi confluire in Arno e anche nel mar Ligure.

Alcuni studiosi ritengono che in questo periodo il Serchio sia stato un affluente dell’Arno presso Pisa. Altri sono dell’opinione che già allora il fiume abbia avuto la sua foce direttamente nel mare Ligure. E’ probabile che il delta dell’Arno e quello del Serchio si confondessero fra di loro, per cui mentre un ramo del Serchio confluiva nell’Arno, un altro scaricava le sue acque in mare (De Navasques, 1899).

Il ramo orientale del fiume formava una zona paludosa o un lago presso Bientina a causa di depositi alluvionali dell’Arno che costituivano un ostacolo al deflusso del Serchio. Questa ipotesi è stata avvalorata dalla scoperta di una piroga nel padule di Bientina, cioè una barca scavata in un tronco d’albero adatta alla navigazione di laghi e usata dai primitivi italici all’età del ferro (Paderi, 1932).

Nei secoli successivi continuano a cambiare le condizioni idrografiche della depressione di Bientina. Scompare o diminuisce notevolmente la superficie lacustre o paludosa a causa di una minore alimentazione da parte dell’Auser che ha subito lavori di arginazione. Si pensa anche a uno spostamento dell’Arno a Sud delle sue stesse alluvioni, in modo da poter ricevere più facilmente le acque del Serchio e da consentirne un rapido deflusso.

2.3.4 Età romana

I corsi del Serchio che attraversavano la piana rappresentarono un problema per

l’insediamento delle popolazioni, ma al tempo stesso contribuirono al sorgere del centro

abitato, infatti le acque del fiume furono molto importanti per le coltivazioni agricole,

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l’allevamento del bestiame, la pesca. I corsi d’acqua furono anche utilizzati come vie di comunicazione e consentirono il commercio e lo scambio dei prodotti agricoli.

Il toponimo Lucca, da una radice “luk”, luogo paludoso, di origine celto-ligure, ci fa capire che si tratta di un villaggio, e in seguito di una città, fondata in vicinanza delle acque.

L’antico piano della città, ricostruito dagli storici e dagli archeologi, ricorda quello di un

“castrum” di forma quadrata. Il lato Nord delle mura romane ha però un orientamento irregolare, mentre gli altri tre lati sono tendenzialmente rettilinei ed ortogonali, la costruzione e l’orientamento di questo lato fu condizionato dalla presenza del fiume e dalle sue pericolose piene (Sommella & Giuliani, 1974).

Nel primo secolo a.C. i nuovi insediamenti nel territorio di Lucca e la costruzione di strade resero necessarie ingenti opere di canalizzazione e di arginatura dei rami del fiume, al quale fu impedito di correre libero attraverso la campagna, evitando così di danneggiare le coltivazioni e di ostacolare il transito nelle strade. Anche la depressione del Bientina fu bonificata per consentire intensi e stabili insediamenti umani.

Per quel che riguarda il ramo occidentale del fiume, dopo aver superato la stretta di Ripafratta, esso doveva confluire nell’Arno presso Pisa, come risulta dalle testimonianze di Strabone

“Pisa giace fra due fiumi confluenti: l’Arno e l’Ausar”, di Plinio il Vecchio “Pisa è situata fra i fiumi Auser ed Arno”, e di Claudio Rutilio Namaziano “l’Arno e l’Ausur cingono Pisa con acque gemelle”.

La testimonianza di questi scrittori, relativa alla confluenza dei due fiumi, può essere difficilmente contraddetta anche se non esistono prove geografiche a dimostrarne il vero e quindi può essere considerata abbastanza precisa (Masini, 1956).

Bisogna anche tenere conto del fatto che in epoca romana la costa marina era più arretrata di quella attuale di circa 5 km, quindi fino a San Pietro a Grado, e che il corso finale dell’Arno prima della sua rettifica, avvenuta nel 1340-1341, era alquanto tortuoso.

Un documento antichissimo, la Tavola Peutingeriana, una carta disegnata da anonimo nel II secolo d.C., sembrerebbe avvalorare la tesi di una foce diretta in mare, contraddicendo Strabone e gli altri scrittori su una confluenza del Serchio in Arno presso Pisa. Bisogna tener presente però che la tavola che oggi possediamo è una copia eseguita nei secoli successivi, quando la foce del Serchio era già sicuramente in mare. Questo fatto potrebbe avere influenzato l’anonimo copista.

Nel V secolo, col decadere della potenza romana e l’arrivo delle invasioni barbariche, la

pianura lucchese subì un brusco peggioramento, cessarono i lavori di bonifica e di

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sistemazione dei corsi d’acqua, la cura e la vigilanza delle strade e dei ponti. Il fiume alluvionò la campagna e le parti più basse del territorio diventarono paludi (Paderi, 1932).

Questa ipotesi è confermata dal poeta Claudio Rutilio Namaziano, il quale nel 1416 d.C. fu costretto a compiere via mare il viaggio da Roma a Pisa per ritornare nella Gallia a causa delle pessime condizioni della campagna toscana.

Gli anni 570-580 furono caratterizzati da una piovosità eccezionale e vi furono inondazioni ed allagamenti causati dalle piene del Serchio. Il vescovo di Lucca, Frediano, vide i danni arrecati alle campagne e decise di porvi rimedio. Gregorio Magno descrive la miracolosa deviazione del fiume, costretto a seguire il rastrello del santo, ma è probabile che il vescovo abbia posto fine agli allagamenti facendo costruire una solida arginatura che impedisse al fiume di recare altro danno (Donati, 1784).

Dopo l’intervento del vescovo Frediano, non abbiamo notizia di altri lavori eseguiti sui rami del fiume nel periodo longobardo e, successivamente in quello carolingio. In quel tempo deve essere stata data particolare attenzione al Serchio per assicurare, soprattutto, la transitabilità delle strade, visto che Lucca era diventata in quel periodo un importante centro stradale per le comunicazioni tra Nord e Sud (Natali, 1994).

2.3.5 Periodo altomedievale

Grazie a documenti storici, all’ausilio della toponomastica, alla fotografia aerea, allo studio dei sedimenti e dei depositi alluvionali e all’esame dei dati rilevabili dalla carta ipsometrica è possibile ricostruire, con buona approssimazione, il tracciato dei corsi del fiume che in quel periodo attraversavano la pianura lucchese.

Sono stati rintracciati un corso orientale, uno occidentale e altri rami che si dipartivano da quelli intrecciandosi fra loro disegnando una fitta ragnatela di corsi d’acqua.

Il Serchio una volta entrato nelle pianura lucchese bagnava innanzitutto alcuni terreni della Brancoleria e poi la Pieve di Sesto di Moriano (Barsocchini, 1853). Da Sesto il fiume si dirigeva verso Est gettandosi su Saltocchio (Guidi & Parenti, 1910), lambisce Marlia e prima di San Pietro a Vico il fiume si suddivide in due grandi rami:

? Il corso occidentale (Auserculus): era spostato verso Est rispetto al corso attuale del

Serchio (Barsocchini, 1853). Costeggiava la piana morianese, la collina di Monte San

Quirico e la piana di Sant’Alessio e presentava un corso tortuoso, non rettilineo come

ora, e un alveo continuamente modificato dalle piene. Anche nei pressi di Monte San

Quirico la riva sinistra del fiume era spostata più ad Est rispetto all’attuale, mentre la

riva destra lambiva la base della collina di San Quirico. Nella piana di Sant’Alessio,

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invece, il corso del fiume era spostato verso occidente (Bindoli, 1931). Poi veniva raggiunta Nave, il Ponte del Marchese e quello di San Pietro, Montuoso e quindi Ripafratta, Vecchiano, l’Arno ed il mare.Dopo San Pietro a Vico si distaccava un ramo del fiume che si dirigeva verso l’Acquacalda e poi verso la località detta

“Tumba”. Da qui piegava verso occidente e poi verso mezzogiorno costeggiando la cinta delle mura romane di Lucca (Mencacci & Zecchini, 1982). Questo ramo si riunisce al Serchio nei pressi di Montuolo (Paderi, 1932)

? Il corso orientale (Auser): era il ramo del fiume che dopo Marlia si dirigeva verso Lammari (Ambrosiani, 1980). Probabilmente era il ramo più antico, quello che proprio per questo è stato chiamato anche Paleoserchio, il quale dopo avere attraversato la pianura ad Est di Lucca, riempiva la depressione del Bientina formando un lago e poi scaricava le sue acque in Arno mediante un emissario detto Serezza (Nardi, 1987).Da Lammari il fiume descriveva un grande arco a falce di luna e raggiungeva Lunata, poi veniva il vilaggio di Antraccoli, così chiamato per essere posto in mezzo ai rami del fiume, e poi quello di Gurgite. Da qui scendeva verso Capannoni e Tassignano, bagnando la località detta Quarto o Canubbia, continuava verso il padule di Bientina, seguendo in gran parte il percorso dell’attuale corso Rogio.

Nei pressi di Antraccoli e di Gurgite (Pieve San Paolo) si distaccava un ramo dell’Auser che andava verso occidente scorrendo a poca distanza a sud di Lucca e bagnava le località di Toringo, Mugnano, Sorbano, Berciano, Ronco, Salissimo, Pontetetto, Vicopelago, Fagnano, Meati, Gattaiola, Montuoso, dove confluiva nel Serchio (Castagnoli, 1948).

2.3.6 Dall’età comunale in poi

Dalla fine del 1100, con l’affermarsi delle istituzioni comunali, la regolazione delle acque del Serchio rappresentò uno dei maggiori problemi per il governo lucchese. Gli impegni erano rivolti, soprattutto, a liberare la città e la campagna dai pericoli e dai danni causati dalle inondazioni.

Il problema principale era quello di riunire in un solo alveo i corsi del fiume e probabilmente il primo lavoro, atto a soddisfare questo scopo, fu la costruzione di un grosso e forte muro a Saltocchio. Questo muro è stato costruito nei primi anni del 1300 a cura di Amedeo Fiadone e doveva impedire alle acque di scorrere verso Sud-Est, interrompendo così il corso orientale (Donati, 1784).

I lavori di arginazione non dovettero andare avanti , infatti, lo storico fiorentino Giovanni

Villani afferma che nel 1342 la pianura di Lucca era ancora attraversata da tre rami del fiume

(16)

(il corso occidentale, quello orientale e il corso che da San Pietro a Vico si gettava sulla città).

Egli narra nella sua “Cronica” che l’esercito fiorentino, per raggiungere i pisani asserragliati sul colle San Quirico, passò due rami del fiume, ma non riuscì a superare il terzo.

Sul finire del XV secolo si ripresentò il problema di regolare il corso del fiume, che aveva abbandonato il vecchio letto e si era sparso per le campagne di San Pietro a Vico. Si ha così una svolta decisiva per i lavori di arginazione con la costituzione di una speciale magistratura per il fiume, l’ “Offizio sopra il fiume Serchio, avvenuta nel 1505. Nel 1538, l’Offizio, deliberò di riunire in un solo alveo, dal ponte di Moriano fino a quello di San Quirico, i rami del Serchio.

L’argine grande di Saltocchio”, come venne chiamato, fu costruito negli anni 1552-1553, secondo un progetto dell’ingegnere Giovanni Maria Cambi.

Il 14 Ottobre 1569 l’Offizio deliberò il prolungamento della nuova arginatura, dal Ponte di San Quirico fino a quello di San Pietro, e i lavori vennero eseguiti da prete Piero della Lena nel 1588. I nuovi margini non bastarono e nel 1623 una grossa piena travolse nuovamente gli argini dalla parte di levante e le acque del Serchio che allagarono la campagna lucchese, tornarono a scaricarsi nel lago di Bientina. Lo stesso avvenne con la piena del 1695.

Il 20 Agosto 1699 fu decretata la costruzione di un nuovo argine, “argine reale”, che doveva andare dal Ponte di Moriano a quello di San Quirico. L’argine fu costruito nel 1728, purtroppo però, la sua altezza era sempre troppo bassa e non riuscì ad evitare altre inondazioni.

Nel 1761 fu chiamato a far parte della magistratura sul fiume, l’esperto in idraulica e ingegneria, Gian Attilio Arnolfini, il quale cominciò col sostituire le gabbionate di legname ripiene di ghiaia con solidissime scogliere formate da grossi massi di pietra. Vennero costruite 12 miglia di robusti argini che resistettero alla piena del 1772 (Donati, 1784).

Dal 1775 al 1785 il governo granducale aveva provveduto a rettificare anche la parte finale del corso del Serchio, da Vecchiano a Migliarino, eliminando le anse e le tortuosità dell’antico alveo (che prese il nome di fiume Morto) e spostando la foce verso Ovest. Tutti i lavori svolti consentirono un deflusso più rapido in mare delle acque del fiume.

Nel 1812 una nuova piena dimostrò ancora la pericolosità del Serchio e fu chiamato a far

parte della magistratura del fiume l’architetto Lorenzo Nottolini. Egli portò a termine

l’arginatura iniziata da Arnolfini, progettò e diresse i lavori di arginazione delle due rive dal

ponte di Moriano fino a Ripafratta.

(17)

Gli argini costruiti da Nottolini costituiscono l’arginatura attuale e il Secchio, finalmente

vinto, scorre, dal ponte di Moriano in poi, in un letto artificiale e pensile sulla pianura e le

piene non sono più riuscite a rompere le rive e a inondare le campagne.

(18)

2.4 Il percorso del fiume Serchio oggi

Il fiume Serchio nasce nell’alta Garfagnana, da due rami uno che scende dalle Alpi Apuane e l altro dagli Appennini (figura 2.4.1).

Il ramo che nasce dalle Alpi Apuane ha alcune sorgenti tra la cima del monte Pisanino (m 1947 slm) e quella del Pizzo d’Uccello (m 1718 slm) all’interno della conca di Orto di Donna e altre oltre la piana di Gorfigliano sul versante opposto del monte Pisanino. Da queste sorgenti si origina il cosiddetto Serchio di Gramolazzo che oggi è sbarrato da una diga e forma un lago assai esteso; il Serchio di Gramolazzo è detto anche “il Fiume di San Michele”

dal nome della chiesa di Sant’Angelo situata lungo il suo corso.

Il ramo che nasce dagli Appennini, invece, ha le sue origini sia nella vallata di Soraggio

“Serchio di Soraggio” dove sono identificabili più sorgenti perenni, sia nei boschi di Dalli.

sotto il Passo di Pradarena (m. 1579 slm), fra la cima Belfiore (m.1810 slm) ed il monte Sillano (m. 1847 slm) “Serchio di Sillano” questi due corsi d’acqua scendono insieme dopo essersi riuniti verso Piazza del Serchio.

In realtà, tra tutte le sorgenti nessuna di queste può essere ritenuta la vera sorgente del fiume, in quanto esso nasce da una fitta ragnatela di sorgenti e di infiltrazioni subalvee e non c’è una sorgente particolarmente importante o più ricca delle altre; infatti soltanto dopo che tutti i rami e i corsi si sono riuniti in uno solo oltre Piazza al Serchio, sotto le gole di San Donnino, si forma veramente il fiume. Da qui scende quindi, verso Castelnuovo e poi verso la piana di Lucca, scorrendo in direzione da Nord-Ovest a Sud-Est e segnando con il suo corso la naturale divisione fra il massiccio delle Apuane e la catena degli Appennini. Oltrepassato Castelnuovo, il fiume è costretto a compiere una grande curva per superare le rocce di Monte Perpoli, e raggiunge, quindi il Ponte di Campia attraverso una strettissima gola incassata fra i monti. La valle si apre nuovamente ed il fiume lambisce sulla sinistra i pianori e colline di Barga, di Coreglia e di Ghivizzano, fino ad incontrare la gola di Calavorno, dove la valle stessa si restringe nuovamente, ed a sfociare quindi nell’ampio pianoro di Fornoli; qui incontra la Lima: il suo maggiore affluente proveniente dai monti dell’Abetone; forse per effetto della confluenza della Lima, il Serchio cambia adesso la sua direzione da Sud-Est in Sud.

La vallata si apre di nuovo ed il Serchio, oltrepassate le ardite arcate del ponte del Diavolo,

lambisce sulla destra le colline di Borgo a Mozzano, il piano di Diecimo e la conca di

Valdottavo.

(19)

Superate le ripide strette di Rivangaglio, dove le Penne di Sesto scendono a precipizio nelle acque del fiume, il Serchio si affaccia finalmente, a Sesto di Moriano, nella pianura di Lucca e quindi termina il suo libero corso.

Infatti da qui in avanti il fiume scorre, oggi, in un alveo artificiale e pensile sulla piana, dove sorge Lucca, per dirigersi verso la foce in direzione Sud-Ovest. Dopo aver costeggiato le colline di Moriano, di San Quirico e di Sant’Alessio, il Serchio raggiunge il Ponte San Pietro e quindi Montuolo; superata la stretta di Ripafratta piega bruscamente verso Nord-Ovest, bagna Vecchiano e si getta finalmente nel mare Ligure, con una foce situata a pochi chilometri a Nord di quella dell’Arno. A valle di Ripafratta, in estate, il fiume resta quasi asciutto perché le sue acque sono utilizzate per l’irrigazione dal Canale Macinante; dopo Vecchiano si riempie nuovamente di acqua perché l’abbassamento del fondale provoca un fenomeno di rincollo dal mare.

Così dopo 103 chilometri di percorso termina il viaggio del Serchio con un tracciato che corrisponde a quello antichissimo dalle sorgenti fino a Sesto di Moriano, fatta eccezione per i laghi di Castelnuovo e di Barga esistenti in era geologica; da Sesto di Moriano fino alla foce invece, come visto in precedenza ha subito nella storia una serie di modifiche sostanziali, che hanno più volte cambiato il suo percorso.

Figura 2.4.1: carta del bacino del fiume Serchio

(20)

2.6 L’uomo e il fiume: storia della fruizione antropica del tratto terminale del Serchio

Non esiste una documentazione certa sull’uso della foce del Serchio nell’antichità per natura della costa acquitrinosa che ha subito nel tempo fenomeni di subsidenza e numerose ingressioni e regressioni marine, gli studi paleontologici si sono indirizzati soprattutto verso le grotte site nel territorio del Comune di Vecchiano, le quali potevano fornire una sequenza diacronica delle culture.

Gli scavi condotti dal centro di Studi Archeologici di Lucca, dal Gruppo Archeologico “A. C.

Blanc” e dalla Soprintendenza Archeologica per la Toscana fra il 1975 e 1980 hanno evidenziato un uso delle cavità naturali come luogo di sepoltura da parte delle popolazioni neolitiche e dell’età del Bronzo (III-II millennio a.C.). Tali rinvenimenti non permettono di determinare in modo preciso l’utilizzazione del territorio, ma sicuramente saranno state svolte le attività di caccia, pesca e raccolta.

Dalla fine del III sec. a.C. e fino alla prima metà del III sec. a.C. la fascia costiera che va dall’Arno alle Alpi Apuane è stata popolata dagli Etruschi i quali vi crearono insediamenti portuali, in aree lagunari e alla foce dei corsi fluviali, che servivano da scalo per le navi che raggiungevano i mercati liguri, provenzali e della Spagna meridionale.

Dopo il declino degli Etruschi non ci sono informazioni che ci aiutino a definire gli insediamenti nell’area oggetto di studio, almeno fino alla fine del I sec. a.C. Sul litorale erano situati porti usati come approdo per attività commerciali e militari, infatti Pisa era una base militare romana, e nell’entroterra si trovavano piccoli insediamenti ad economia agricolo- pastorale, oltre che caccia e pesca.

Fra il 42 e il 27 a.C. Ottaviano determinò un riassetto della città e del territorio pisano che fu sottoposto a centuriazione. Le fattorie che vennero costruite furono inserite nel sistema centuriale e furono attive fino al V sec. d.C. provvedendo alla sussistenza e alla commercializzazione dei prodotti agricoli.

Grazie a testimonianze documentarie e cartografiche e alla fotografia aerea possiamo fare un

quadro ben definito degli insediamenti presenti nel territorio in epoca medievale. La

documentazione permette di cogliere la bonifica delle paludi e la messa a coltura dei terreni,

in connessione con lo sviluppo dell’insediamento e con la viabilità fluviale e terrestre. I

rilevamenti demografici di Marco della Pina mostrano un aumento della popolazione tra il

XVI e il XVII sec. e tale popolamento ha come asse di sviluppo il corso del Serchio (Della

Pina, 1984). I villaggi di San Frediano, Avane, Filettole e Nodica, oggi tutti nel comune di

Vecchiano, si attestavano su un territorio diversificato da un punto di vista geomorfologico,

(21)

esteso in parte nella fascia collinare lungo il Serchio, in parte nella pianura che va dal fiume al lago di Massaciuccoli. Le realtà agrarie che si trovavano sul territorio in quel periodo sono rimaste invariate ed erano rappresentate da colture boschive e pascolo nelle zone a maggior declività, da coltivazioni arboree nella bassa collina, da coltivazioni agricole nelle zone alluvionali affrancate dalle acque del Serchio e del padule e, infine, da risorse venatorie e ittiche nelle zone paludose. La caccia e la pesca rimangono, per la popolazione, un’importante risorsa destinata all’autoconsumo o al supporto e al completamento dell’attività agricola.

Ad un così vario assetto territoriale corrispondono diversi modi e sistemi insediativi che si differenziano per densità, morfologia dell’abitazione e per l’impiego di materiali da costruzione. Negli ultimi decenni del ‘700 il Granduca Pietro Leopoldo scrive: “La campagna di là dal Serchio è sufficientemente coltivata e popolata… .le case sono tutte lungo il Serchio ed i terreni delle comunità formano una striscia la quale principiando da monti d’Avane va fino a Migliarino, parallela al Serchio e larga due miglia, la quale è molto ben coltivata e piantata di alberi, poi vi è una striscia di semente a grani e sagine senza alberi e finalmente le pasture che foman le gronde del padule e poi il padule medesimo” (Banti et al., 1988) I piccoli centri abitati, che nel medioevo sorgevano intorno alle chiese e sui luoghi fortificati, sono diventati la matrice di insediamenti sparsi nelle zone di pianura asciutta. Alla fine del XVIII sec. la zona più popolata è la pianura e presenta diversi tipi di abitazione. Ci sono le fattorie con gli edifici agricoli e le abitazioni raggruppati l’uno accanto all’altro, ci sono le grandi tenute, come a Migliarino e Vecchiano, ci sono insediamenti sparsi derivanti dall’esistenza di proprietà parcellizzate. Si sviluppano, intorno alla corte, nuclei abitativi con infrastrutture locali di uso collettivo, dove però una compartimentazione degli spazi assicura l’individualità di ogni famiglia. Sul padule troviamo le capanne dei pescatori che vi permangono fino al XIX sec.

2.6.1 Le carte dell’Archivio Salviati

Per la conoscenza più approfondita del territorio comprendente la foce del Serchio sono di fondamentale importanza le carte dell’Archivio Salviati (alcune sono riportate da figura 2.6.1 a 2.6.3), tali carte nate per rappresentare l’estensione dei possedimenti delle grandi fattorie Salviati di Migliarino e di Vecchiano, sono un prezioso documento perché ritraggono un gran numero di particolari riguardanti le condizioni geografiche, fisiche e antropiche della zona e la loro evoluzione dalla seconda metà del XVII a quella del XIX secolo.

Tutto il materiale dell’Archivio Salviati (5000 registri di commercio e amministrazione

patrimoniale, 600 pergamene dal secolo XII al secolo XVIII, una miscellanea di 300 buste,

(22)

292 mappe e disegni) è stato affidato nel 1984 dalla famiglia Salviati all’Archivio di Stato di Pisa e depositato presso la Scuola Normale Superiore. Tale archivio è un documento di grande importanza in quanto, la famiglia Salviati di origine fiorentina, ebbe un ruolo di rilievo nella storia toscana, e si distinse anche nello scenario italiano ed europeo del Quattro-Cinquecento, sia per le attività commerciali e bancarie che svolgeva, che per gli stretti legami con la famiglia Medici.

La costituzione del consistente patrimonio fondiario nel pisano da parte dei Salviati ha inizio dalla metà del ‘400, infatti si hanno notizie che avevano grossi interessi commerciali che nel 1440 avevano portato alla nascita di un loro banco di commercio in Pisa.

La scelta di acquisire territori nella pianura che si estende alla destra del fiume Serchio, rispecchiava la tendenza di quell’epoca delle famiglie benestanti fiorentine di andare alla ricerca di terreni caratterizzati da una situazione ambientale degradata, scarsamente coltivati e bisognosi di bonifica, queste caratteristiche infatti li rendeva disponibili immediatamente e a basso prezzo.

I beni che compongono attualmente la tenuta di Migliarino appartenevano alla famiglia pisana

degli Orlandi e alla chiesa di S. Niccolò di Migliarino e una parte furono ottenuti dalla Mensa

Arcivescovile. Un componente della famiglia che acquistò tra i primi una parte consistente di

terreni fu Jacopo di Giovanni Salviati genero di Lorenzo il Magnifico nel 1521. I proventi di

Migliarino furono legati per lungo tempo alla rendita della macchia (la cui estensione era

stimata nel 1721 in oltre 29000 staiora, cioè circa 1500 ha, di cui oltre il 50% derivava dal

livello di S. Niccolò; Banti et al., 1988) ed a una grossa attività di allevamento del bestiame e

dei suoi prodotti. Queste informazioni sull’utilizzo del territorio ci fanno dedurre che fino a

quel momento la natura del terreno a macchia e pastura, in parte paludoso, non mutò e questa

situazione restò invariata fino alla fine del ‘700, in quanto queste condizioni e il fatto che la

proprietà fosse condotta in affitto non avevano stimolato una vera e propria organizzazione di

fattoria. Nel 1711 ci fu il passaggio dal ramo romano a quello fiorentino della famiglia

Salviati, la tenuta fu disegnata da Vittorio Anastagi ingegnere dei Capitani di parte di Firenze,

questa purtroppo non si è conservata, ma, ci è giunta la raffigurazione degli edifici citati e si

può capire che ne esistevano solo pochi, testimonianza della scarsa attività umana. La

situazione appare lievemente mutata nel 1783, in cui fu fatta una stima della tenuta da cui si

rileva un incremento dei terreni coltivati, soprattutto quelli a viti e a pioppi, e un ampliamento

degli immobili per uso amministrativo. Un maggiore impulso alla trasformazione di questo

territorio, da parte dei Salviati, si riscontra dopo l’acquisto della fattoria granducale di

Vecchiano che era stata precedentemente affittata da Averardo Salviati, poi ceduta dallo

(23)

Scrittoio delle Possessioni, nel 1784 al cardinale Gregorio Salviati. Insieme alla fattoria infatti

vengono acquistati anche molti terreni che comprendono un uliveto,una vasta estensione di

prateria, e una altrettanto vasta estensione di paludi che “dalla prateria arrivano allo stato

Lucchese, al Lago di Massaciuccoli e al padule di Migliarino” (A.S., Buste I, 155, fasc.27,

Memoria della fattoria di Vecchiano e Ibidem, fasc. 14, libri di commercio e di

amministrazione patrimoniale, V, 11, cc.8-10). Per Migliarino gli interventi più significativi

di bonifica iniziano proprio in questo periodo, cioè ala fine del ‘700 con il passaggio dei beni

alle eredi del Cardinale Gregorio Salviati, Anna Maria Salviati Borghese e Laura Salviati

Duchessa d’Atri. E’ da questo momento che il territorio subisce una serie di trasformazioni

sostanziali, riscontrabili nella produzione di carte che in questo periodo si intensifica. Nel

1797, sotto la direzione dell’ingegnere Caluri (figura 2.6.2) e la supervisione dell’Ufficio dei

Fiumi e Fossi di Pisa, si arrivò alle colmate di una larga zona della tenuta (la prima in località

Le Tagliatelle, Tagliate, Serchio Vecchio, Lama di Biagio, l’Ugnone, la Romita A.S., libri di

commercio e di amministrazione patrimoniale, V, 123, Entrata e uscita della colmata che si fa

a Migliarino) che permetteranno nei decenni successivi,quando la proprietà passa a Camillo

Borghese e poi successivamente al fratello Francesco Borghese Aldobrandini, il costituirsi di

una vera e propria organizzazione di fattoria con più 300 poderi concessi a mezzadria. Alla

morte di quest’ ultimo nel 1839 il patrimonio Salviati di toscana passò ai suoi tre figli: Marco

Antonio principe Borghese, Camillo Borghese principe Aldobrandini e Scipione Borghese

duca Salviati, dai quali venne in gran parte venduto fra il 1843 e il 1848. Successivamente fu

fatta una transazione e il proprietario rimase il terzogenito Scipione al quale nel 1850 furono

assegnati tra l’altro, la fattoria di Vecchiano e la tenuta di Migliarino. Il duca decise di

impiegare un grosso apporto di capitali per miglioramento sia dal punto di vista agricolo che

edilizio della proprietà, a lui si deve la trasformazione della macchia di Migliarino fatta

dall’agronomo austriaco Keller, il quale in circa un trentennio, a partire dal 1854 portò a

termine lavori di bonifica idraulica e forestale, tramite la divisione della macchia in

compartimenti quadrati, la realizzazione di un reticolo di strade regolari e l’impianto del pino

domestico che poteva offrire una buona rendita. I lavori interessarono anche il nucleo

abitativo intorno alla vecchia fattoria, con la realizzazione della grandiosa villa padronale, e di

una serie di edifici destinati alla vita sociale della comunità che dipendeva dalla tenuta come

la nuova chiesa, la canonica in parte adibita a scuola maschile, il convento con la farmacia,

l’asilo e la scuola femminile, gestiti dalle suore di Carità.

(24)

Figura 2.6.1: Pianta di una porzione della Tenuta di Migliarino con i suoi scoli e i paduli circostanti, n° 174, (Anonimo, 1679), Centro Archivistico della Scuola Normale Superiore di Pisa, Archivio Salviati.

La mappa segnala la “Fossa Nuova di Valdestrat” che si affianca alla Fossa Magna. Si trattava

di un tentativo, purtroppo fallito, di prosciugare i terreni di parte del Padule Maggiore

utilizzando canali e idrovore azionati dal vento (Codini & Sbrilli, 1993).

(25)

Figura 2.6.2: Pianta della Tenuta di Migliarino appartenente a S. Em. Za il S.re Cardinale Duca Salviati fatta nell’anno 1792 in occasione di doversi destinare per Caccia Regia, n°181, (Giovanni Caluri ingegnere, 1792), Centro Archivistico della Scuola Normale Superiore di Pisa, Archivio Salviati.

La carta mette in evidenza le aree boscate , distinguendole dalle “chiuse” e dagli spiazzi

all’interno del bosco. Molta attenzione è prestata anche ai sentieri, alle strade e alle aree

agricole (Codini & Sbrilli, 1993).

(26)

Figura 2.6.3: Pianta dimostrativa delle Pasture di Migliarino, n°178, (Anonimo, sec. XVIII), Centro Archivistico della Scuola Normale Superiore di Pisa, Archivio Salviati.

Il disegno mostra i terreni a pascolo all’interno della Tenuta di Migliarino, che

comprendevano anche un podere della Mansa Arcivescovile di Pisa allivellato ai Salviati e un

altro podere appartenente alla famiglia Citti, con vedute prospettiche della casa di fattoria dei

Salviati, della chiesa di Migliarino, della torretta di Filicaia (Codini & Sbrilli, 1993).

(27)

2.6.2 L’uso della foce del Serchio nel ‘900

L’incremento della presenza umana alla foce del Serchio dagli inizi del novecento fino ad oggi può essere messo in relazione sia con lo sviluppo del polo abitativo di Migliarino che con l’avvento di nuove infrastrutture nell’area.

Il formarsi di un nucleo abitativo più consistente ebbe inizio come visto in precedenza nella metà del 1800, e questo si è accresciuto ulteriormente nel 900. Gli abitanti erano inizialmente i contadini che lavoravano per la famiglia Salviati, ma anche i pescatori che tenevano le loro imbarcazioni lungo il tratto terminale del fiume, e le persone che pensavano a traghettare persone e merci da una parte all’altra del fiume, prima che venisse costruito il primo ponte di Migliarino. Questo che inizialmente prese il nome di “Ponte presso Arbavola” (figura 2.6.4) fu costruito nel 1856 insieme alla nuova strada che portava da Viareggio a Pisa. A seguito dell’apertura del ponte in pochissimi anni la mole dei traffici era così aumentata che sorsero case, osterie e altri servizi.

Figura 2.6.4: foto del “Ponte presso Arbavola” all’ora di punta

La neonata ferrovia Pisa-Spezia chiese ed ottenne, dalla “Società anonima per la gestione del

ponte”, di far transitare i convogli sulla metà della carreggiata della massiccia costruzione in

pietra, ma dopo pochi anni si decise per un nuovo ponte in ferro solo per i treni, dato

l’aumento del traffico veicolare e di quello ferrato che rendeva insicura l’opera.

(28)

Dalla stazione partivano carri merci carichi di pinoli lavorati nella grande pinolaia dei Duchi, carri di carciofi coltivati nel piano (che erano fra i più ricercati d’Italia), enormi quantità di barbabietole da zucchero e di spinaci ed il paese cresceva ancora,venne costruito infatti un Mercato ortofrutticolo, la sede della pubblica assistenza, le case popolari, ed anche strutture di svago come il Teatro del popolo.

Un nuovo assetto alla zona fu dato agli inizi degli anni ’50 dal tracciato della nuova Aurelia, che va dalla discesa del ponte sul Serchio fino al passaggio a livello di Mezzamacchia, saltando la vecchia strada che lambiva la fattoria dei Salviati.

Alla nuova Aurelia è stata poi collegata la nuovissima autostrada Firenze-Mare che senza dubbio ha reso più facile l’accesso a tutta la costa che va da Vecchiano fino all’alta Versilia da parte degli abitanti dell’entroterra toscano, e ha conseguentemente aumentato nella stagione estiva la presenza antropica sulla foce del Serchio.

In prossimità della foce è presente un altro piccolo agglomerato di case che un tempo era

chiamato le “Case di Marina”, ed oggi può essere abbinata alla nuova realtà balneare del

comune di Vecchiano “Marina di Vecchiano”. Questa località era sempre stata un podere

Salviati dove c’era una fornace, per la vicinanza delle argille portate dal Serchio, e dove

venivano fabbricati tutti i mattoni occorrenti alla costruzione delle case coloniche ducali. Agli

inizi degli anni ’40, dato il difficilissimo accesso al mare per la proprietà privata, in queste

case furono ospitati segretamente i celebri sommozzatori guastatori della Decima Mas

(reparto degli assaltatori italiani). Gli equipaggi della Decima Mas si allenavano in Bocca di

Serchio per imparare a guidare i famosi mini sommergibili manuali chiamati i maiali (figura

2.6.5). I primi SLC (Siluri a Lenta Corsa) vennero costruiti nel 1935 e in pratica erano dei

siluri cavalcati da due assaltatori con respiratori ad ossigeno che permettevano la navigazione

in immersione. Una volta raggiunto il bersaglio la testa del siluro (due quintali di tritolo)

veniva sganciata e attaccata, al limite lasciata sotto, la nave nemica. Le prime esercitazioni

fatte in Bocca di Serchio servivano per prendere o mantenere la padronanza del mezzo e per

sperimentare nuove tattiche di attacco.

(29)

Figura 2.6.5: foto dei mini sommergibili della Decima Mas in Bocca di Serchio

A Marina di Vecchiano esiste ancora oggi un poligono di tiro militare che opera su un’area, di circa un ettaro, data in concessione al Ministero della difesa dal 1961 e che rappresenta l’ultimo residuo di utilizzo militare di tutta l’area compresa da Viareggio fino a Bocca di Serchio. Il poligono è a servizio di tutta la regione militare tosco-emiliana e viene utilizzato tra il 10 Ottobre e il 30 Aprile, mentre rimane inattivo in corrispondenza della stagione balneare. Alla fine di ogni esercitazione è prevista la bonifica del poligono da bossoli, proiettili e sagome.

La presenza di questo poligono è oggetto di accese polemiche, in quanto l’area dove risiede fa parte del Parco Naturale di Migliarino-S. Rossore-Massaciuccoli. Notevolissima, infatti in questa zona è la presenza di avifauna: sono oltre 200 le specie accertate di uccelli, tra migratori e stanziali.

Queste fa si che l’area risulti particolarmente interessante per le escursioni di tipo naturalistico e per il birdwatching non solo nelle stagioni autunnali e primaverili, ma anche in quelle invernali: in queste aree, gli acquatici ed i trampolieri sono i padroni incontrastati insieme ai germani reali.

Le due attività sembrano a molti incompatibili e a tal proposito sono state fatte anche delle

interpellanze parlamentari, essendo sia l’ente Parco, che il comune di Vecchiano contrari alla

presenza del Poligono. La questione però si trascina da anni e non è ancora risolta, e, rimane,

come altre, una delle contraddizioni di questa particolarissima area, in cui sembra sempre più

necessario il momento di prendere delle decisioni più forti per la sua tutela.

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