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1. LE PLANARIE: UN SISTEMA MODELLO PER STUDIARE LA RIGENERAZIONE

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INTRODUZIONE

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1. LE PLANARIE: UN SISTEMA MODELLO PER STUDIARE LA RIGENERAZIONE

Le planarie (Platelminti, Tricladi, Turbellari) sono vermi piatti a vita libera appartenenti ai Protostomi Lofocotrozoi (Fig. 1).

Le planarie possiedono una notevole capacità rigenerativa e una popolazione costante di cellule staminali pluripotenti (neoblasti). Presentano simmetria bilaterale e sono appiattite dorso-ventralmente. Sono organismi acelomati, privi di un sistema circolatorio, respiratorio e scheletrico. Caratteristica dei Tricladi, classe alla quale loro appartengono, è il sistema digerente ramificato, costituito da una ramificazione anteriore e due ramificazioni posteriori, e connesso col faringe, struttura muscolare estendibile, usata sia come bocca che come ano. Il tessuto connettivo tra la muscolatura della parete del corpo e l’intestino è chiamato parenchima (o mesenchima) e contiene vari tipi di cellule differenziate e i neoblasti. Anteriormente, sulla parte dorsale, sono presenti un paio di occhi semplici o ocelli, che consistono in cellule pigmentate e fotorecettori che proiettano al sistema nervoso i loro assoni. Il cervello è bilobato (gangli cefalici) e collocato ventralmente sul lato anteriore dell’animale. E’ inoltre connesso a due cordoni nervosi ventrali che si distribuiscono longitudinalmente (Rieger et al., 1991) (Fig. 2). La planaria si muove mediante combinazione di movimenti muscolari, secrezione di muco, e utilizzo del tessuto epidermico ventrale ciliato.

Figura 1: a) Rappresentazione schematica della suddivisione degli animali bilateri b) Immagine di una planaria (Dugesia japonica)

a b

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Normalmente le planarie sono organismi ermafroditi e spesso possiedono l’abilità di riprodursi sia asessualmente che sessualmente. Durante la riproduzione asessuata, non hanno gonadi mature e queste si formano ex novo quando gli animali cominciano a riprodursi sessualmente da cellule germinali primordiali (Curtis et al., 1902; Kobayashi et al., 2002; Sato et al., 2006; Wang et al.,2007).

Le planarie mostrano alta plasticità nel controllo della morfologia del corpo e turnover cellulare. L’omeostasi tissutale si verifica continuamente e produce il rinnovo di tutti i tipi di cellule. durante il digiuno si verifica una decrescita del corpo con una riduzione del numero totale di cellule (Bardeen, 1901; Grasso, 1959; Romero e Bagun҃a, 1981;Egger et al., 2007; González-Estevez et al., 2007). Quando il cibo diventa nuovamente disponibile, la planaria aumenterà di nuovo le sue dimensioni, aumentando il numero di cellule. Crescita e decrescita sono regolate da un equilibrio dinamico tra proliferazione cellulare, autofagia e morte cellulare (Figg. 3-4).

Figura 2: a-b) Rappresetazioni schematiche di una planaria.

e: occhi; cg: gangli cefalici; ov: ovario; yg:

ghiandole del vitello; t:

testicoli ; g: sistema digerente; ph: faringe; c:

apparato copulatore; vnc:

cordoni nervosi ventrali c) sezione trasversale

attraverso il faringe

a b

c

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Figura 3: Capacità omeostatica, riproduttiva e rigenerativa della planaria

Figura 4: Processo di crescita- decrescita (A) e

rigenerazione (B) nella planaria.

Durante la crescita la proliferazione cellulare sarà maggiore della morte cellulare, portando ad un aumento nel numero totale di cellule nel corpo. Durante la decrescita l’equilibrio si sposta verso la morte cellulare così che il numero totale delle cellule nel corpo della planaria diminuirà e la planaria sarà più piccola ph: faringe

Scalebar: 4mm

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2. RIGENERAZIONE NELLE PLANARIE

Le planarie sono in grado di ricostruire le parti mancanti del loro corpo, a partire da frammenti piccolissimi, tramite il processo di rigenerazione.

La rigenerazione delle planarie avviene per “epimorfosi” e “morfallassi”

(Morgan, 1901). Per morfallassi s’intende il processo attraverso il quale si rigenerano le parti mancanti del corpo tramite una riorganizzazione dei tessuti preesistenti.

L’epimorfosi è invece basata sull’attività di proliferazione cellulare e quindi la rigenerazione dipende dalla produzione di nuove cellule. Questi due processi non sono mutuamente esclusivi. E’ stato proposto un modello per il processo di rigenerazione:

all’inizio si ha un evento morfogenetico, che definisce un iniziale pattern ai confini dell’area fra le cellule del blastema e del post-blastema. Successivamente questo pre- pattern è amplificato grazie alla produzione di nuove cellule (Fig.5) (Salò e Bagun҃a, 1984).

Il primo evento che avviene dopo l’amputazione è la chiusura della ferita.

Questo è un passaggio molto veloce che si verifica entro 30 minuti dal taglio, grazie a contrazioni muscolari che fanno avvicinare l’epidermide dorsale e ventrale (Chandebois, 1980; Salò, 1984; Bagun҃a et al., 1994;) (Fig. 4B). I segnali molecolari che stanno alla base dell’inizio del processo di rigenerazione rimangono ancora

Figura 5: Modello morfallattico-epimorfico di formazione del pattern, riformazione e crescita durante la rigenerazione della planaria.

b: blastema; pb: post-blastema

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sconosciuti. Si pensa che l’interazione mesenchima-epidermide possa giocare un ruolo fondamentale (Kato et al., 2001).

Dopo la chiusura della ferita, si produce un’intensa attività mitotica dei neoblasti, soprattutto nel tessuto adiacente al blastema, chiamato post-blastema, generando così le cellule che formeranno il nuovo tessuto. Infatti, queste cellule migreranno nell’area del blastema e smetteranno di dividersi (Dubois, 1949; Morita e Best, 1984; Salò e Bagun҃a, 1984).

2.1 LA “CHIAVE” DELLA RIGENERAZIONE: I NEOBLASTI

Il termine neoblasto era in precedenza utilizzato per indicare cellule staminali putative coinvolte nella rigenerazione degli Anellidi e che originavano solo il tessuto mesenchimale (Randolph, 1892; Myohara, 2004). Solamente dopo fu utilizzato per descrivere le cellule staminali pluripotenti nelle planarie (Wolf, 1962; Morita e Best, 1984). Mediante esperimenti con raggi X (ai quali i neoblasti sono sensibili) e marcatura con Bromodeossiuridina (BrdU), è stata dimostrata l’importanza dei neoblasti nella formazione del blastema e la loro capacità di differenziarsi in tutti i tipi di cellule (Bagun҃a et al., 1989).

I neoblasti sono piccole cellule (6-10 µm) con un grande nucleo e citoplasma ridotto (Fig. 6-7). Il citoplasma è fortemente basofilo, ricco di ribosomi liberi e pochi mitocondri, inoltre contiene corpi cromatoidi, caratteristiche strutture poste vicine al nucleo che diminuiscono in numero durante il differenziamento (Coward, 1974).

Figura 6:

Immagine di due neoblasti al

microscopio elettronico (TEM). Frecce rosse: corpi cromatoidi; n:

nucleo; c:

citoplasma Scalebar: 6 µm

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La distribuzione dei neoblasti nel corpo della planaria è stata esaminata utilizzando dei marcatori molecolari. I neoblasti si rilevano in tutto il mesenchima tranne che nel faringe e nella zona anteriore agli occhi (Lender e Gabriel, 1965;

Bagun҃a, 1973; Newmark e Sánchez Alvarado, 2000) (Fig. 8). Diversi studi suggeriscono che i neoblasti costituiscono il 20-30% della popolazione totale di cellule (Bagun҃a, 1976; Romero e Bagun҃a, 1981; Hayashi et al., 2006) e che possono essere suddivisi in sottopopolazioni secondo la loro collocazione lungo gli assi antero- posteriore, dorso-ventrale e medio-laterale. Sebbene i neoblasti siano distribuiti in tutto il mesenchima, questa loro distribuzione varia tra le diverse specie di planaria. Diversi esperimenti dimostrano che i neoblasti mitoticamente attivi hanno un gradiente antero- posteriore con più cellule in divisione nella zona prefaringea rispetto alla parte posteriore della planaria (Bagun҃a, 1976; Salvetti et al., 2000). Questo dato è stato confermato anche utilizzando, come marcatore, l’istone fosforilato (H3P) (Oviedo e Levin, 2007). In D. japonica sono stati identificati tre diversi marcatori per neoblasti, DjMCM2, DjPCNA e DjPiwi-1 capaci di definire popolazioni distinte di neoblasti, definite da due domini laterali di espressione di DjMCM2 e DjPCNA e un dominio lungo la linea mediana costituito da neoblasti positivi per DjMCM2, DjPCNA e DjPiwi-1(Salvetti et al., 2000; Orii et al., 2005; Rossi et al., 2006). Geni espressi nei neoblasti, come bruno, Djcbc1, vasa, piwi e pumilio, si ritrovano espressi anche intorno al sistema nervoso. Interessante notare che questo dominio di espressione è tollerante a radiazione con raggi X (Shibata et al., 1999; Salvetti et al., 2005; Guo et al., 2006; Yoshida-Kashikawa et al., 2007).

Figura 7: Neoblasto al microscopio ottico Scalebar: 8 µm

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Figura 8: Distribuzione dei neoblasti in Schmidtea mediterranea (A) e Dugesia japonica (B).

A) Rivelazione immunologica whole-mount con anticorpo anti- DjPCNA. PCNA (Proliferating Cell Nuclear Antigen) è un marker dei neoblasti di planaria. i neoblasti si possono osservare in tutto il mesenchima tra le ramificazione del sistema digerente, ma non nel faringe (ph) o di fronte agli occhi (e)

B) Ibridazione whole-mount con DjMCM2. DjMCM2 (minichromosome maintenance) è un gene che docifica per una proteina coinvolata nella replicazione del DNA, espresso in maniera specifica nei neoblasti.

Scalebars: 2 mm

Due tipologie di neoblasti (tipo A e tipo B) sono state evidenziate mediante osservazioni al microscopio elettronico, sulla base della dimensione, dela struttura cromatinica e del numero di corpi cromatoidi (Higuchi et al., 2007). Il FACS ha mostrato che le cellule di tipo A sono neoblasti in divisione sensibili all’irraggiamento, mentre le cellule di tipo B sono radio-sensibili non in divisione (Hayashi et al., 2006;

Higuchi et al., 2007).

La disponibilità di cibo e la rigenerazione sono due processi che aumentano il tasso di divisione dei neoblasti. Durante la rigenerazione si osservano due picchi nel numero di mitosi, uno precoce a 4-12 ore e un secondo a 2-4 giorni a 17°C . Il picco precoce era stato interpretato ammettendo l’esistenza di una popolazione di neoblasti in fase G2 (Bagun҃a, 1974; Bagun҃a, 1976; Salò e Bagun҃a, 1984). Tuttavia, marcando i neoblasti con BrdU, combinati con la rivelazione per le cellule mitotiche con anti-H3P

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per studiare la durata della fase G2, questa ipostesi ha perso credibilità. La durata media della fase G2 è circa 6 ore, un tempo sufficientemente veloce per spiegare il primo picco mitotico (Newmark e Sànchez Alvarado, 2000). Recenti studi che confrontano la marcatura dei neoblasti con BrdU e l’espressione di pcna e nanos, dimostrano che non c’è sovrapposizione tra i clusters dorsali di pcna e nanos positivi e i neoblasti marcati con BrdU (Orii et al., 2005; Sato et al., 2006;), suggerendo che alcuni neoblasti potrebbero avere un ciclo cellulare arrestato (Nimeth et al., 2004).

I neoblasti sono pluripotenti e possono differenziare in tutti i tipi cellulari. Non è chiaro se si dividono asimmetricamente per generare un neoblasto e una cellula differenziata o se si dividono simmetricamente dando origine a cellule pluripotenti o solo cellule differenziate dipendentemente dagli stimoli delle cellule che circondano il neoblasto. Sono stati descritti almeno 20 tipi di cellule differenziate (Romero e Bagun҃a, 1981) (Fig. 9).

Figura 9: A) Una serie di passaggi di proliferazione possono portare a differenziamento. La determinazione cellulare è probailmente regolata da segnali che provengono dall’ambiente circostante.

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B) Gli stati di differenziamento potrebbero essere organizzati in una catena gerarchica di un differenziamento graduale

C) Alcune cellule differenziate derivate dai neoblasti

Per identificare specifici marcatori per i neoblasti sono stati messi a punto vari screening differenziali. Questi approcci hanno in comune il confronto tra planarie wild-type e planarie nelle quali sono stati eliminati i neoblasti. Per identificare i geni specifici per i neoblasti coinvolti nel modellamento della cromatina, nel metabolismo e nella trascrizione del RNA, sono state confrontate planarie wild-type con planarie irradiate con raggi X. Per identificare geni importanti per la citoprotezione, proliferazione e migrazioni dei neoblasti, sono stati presi in esame i due campioni sopraindicati e un campione di planarie esposto ad una bassa dose non letale di raggi X (Rossi et al., 2007). Infine, sono stati effettuati screening basati su esperimenti di RNA interference (RNAi) con 1065 geni selezionati da una libreria di cDNA derivati da blastemi di 2-3 giorni, quindi ricchi di neoblasti, e da teste di planaria (Reddien et al., 2005). Di questi geni, il 22.5% produce fenotipi anormali come conseguenza dell’ablazione funzionale mediante RNAi. Questi fenotipi riflettono le varie funzioni dei geni nell’omeostasi, nella proliferazione dei neoblasti e nel differenziamento del blastema durante la rigenerazione.

3.

METODOLOGIE RECENTEMENTE APPLICATE AGLI STUDI SULLE PLANARIE

Per molti anni la conoscenza sulle planarie si è basata su osservazioni morfologiche e indirette. Recentemente, molti passi in avanti sono stati fatti nel campo della biologia cellulare e della biochimica di rigenerazione in questi animali. Numerosi geni sono stati clonati, descritta la loro espressione e ottenute informazioni funzionali.

La descrizione di geni noti, come piwi (Reddien et al., 2005), bruno (Guo et al., 2006) e nanos (Sato et al., 2006; Handberg-Thorsager e Salò, 2007; Wang et al., 2007), ha migliorato la conoscenza dei neoblasti. Tuttavia, numerosi studi dovranno ancora essere condotti per descrivere più accuratamente le dinamiche dei neoblasti, la proliferazione e il differenziamento, come anche i meccanismi di citoprotezione che consentono la sopravvivenza di queste cellule staminali.

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In questi ultimi anni la potenzialità della biologia molecolare e della biochimica ha raggiunto livelli inaspettati e la disponibilità di strumenti bioinformatici, grazie ai quali le informazioni sono integrate, sta crescendo in modo esponenziale. Non sorprende che questi nuovi mezzi abbiano avuto una grande incidenza nella ricerca sulle planarie. Adesso è possibile seguire l’espressione di un gene effettuando ibridazioni in situ in animali interi, su sezioni o su cellule dissociate (Umesono et al., 1997; Cebrià et al., 1999; Salvetti et al., 2000), e anche localizzare e seguire i prodotti genici nello stesso tessuto utilizzando marcatura con anticorpi (Romero et al., 1991;

Cebrià e Newmark, 2005). In molti laboratori sono disponibili anche strumenti per le analisi funzionali e studi di perdita di funzione diventando uno standard per la ricerca.

Queste tecniche includono anche l’introduzione di una sonda di RNA a doppio filamento gene-specifico (double-strand RNA, dsRNA) nelle cellule di planaria. La sonda interagisce con l’RNA messaggero (mRNA) endogeno del gene e con gli elementi della via di segnale del RNAi, come Dicer o Piwi, causando la degradazione del mRNA, quindi il gene trascritto sarà eliminato. La sonda di dsRNA può essere introdotta attraverso iniezione, con il cibo o per immersione (Sánchez Alvarado e Newmark, 1999; Newmark et al., 2003; Orii et al., 2003). Esperimenti di transgenesi con approcci di guadagno di funzione sono stati applicati con successo in Girardia tigrina usando il promotore per l’opsina 3xP3 di Drosophila (González-Estevez et al., 2003; González-Estevez et al., 2007).

Altri approcci recenti includono proteomica e microarrays, che stanno facilitando il progetto “genoma” (Robb et al., 2008). Il genoma della planaria (800 MegaBasi) è stato sequenziato e l’assemblaggio di 90.000 contigs si sta svolgendo presso il Centro di Sequenziamento del Genoma nell’Università di Washington (http://genome.wurstl.edu/). Il progetto di sequenziamento del genoma fornisce un ottimo strumento grazie al quale la ricerca della biologia delle planarie può essere estesa, rendendo gli approcci più veloci e più facili, e introducendo la possibilità di analizzare i geni e la struttura dei loro domini con l’uso della bioinformatica.

4. LE HEAT SHOCK PROTEIN (HSPs)

Le cellule rispondono a stress ambientali, patologici e fisiologici inducendo la sintesi di proteine definite heat shock (HSPs), molto conservate tra tutti gli organismi.

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Il ruolo citoprotettivo delle HSPs è fondamentale per la risposta delle cellule a stress. I tipi di stress che possono influire sull’integrità e il funzionamento di una cellula sono di vari tipi, per esempio, radiazioni ionizzanti (raggi X), mancanza di nutrienti (digiuno) e shock termico.

Le HSPs sono state classificate in sei famiglie, essenzialmente sulla base del peso molecolare: HSP100 (100-110 kDa), HSP90 (83-90 kDa), HSP70 (66-78 kDa), HSP60, HSP40 e le piccole HSP (15-30 kDa). La famiglia delle HSP70 è la più conservata.

Le proteine appartenenti alla famiglia HSP70 si ritrovano in tutte le specie e la loro funzione è quella di favorire l’assemblaggio di complessi multimerici proteici e, come chaperones molecolari, di facilitare il folding intracellulare delle proteine.

Queste sono costituite da due domini funzionali: un dominio carbossiterminale (circa 25 kDa) contenente il sito di legame per il polipeptide ed un dominio amminoterminale (circa 40 kDa) contenente il sito di legame per ADP/ATP e che ha attività ATPasica. Funzionano come monomeri o come dimeri, riconoscendo porzioni di 7-8 residui amminoacidici. DnaK di Escherichia coli è un membro stress-inducibile della famiglia HSP70. Esso coopera con DnaJ (una HSP40) e GrpE nel formare un sistema chaperone ATP-dipendente coinvolto nei processi cellulari (Fig.11).

Figura 11: a) Struttura cristallografica HSP70. b) Meccanismo d’azione di HSP70 Le HSP70 possono essere indotte da vari tipi di stress come shock termico, stress ossidativo, analoghi di metalli pesanti e aminoacidi e quindi possono essere usate come marcatori di stress (Nollen e Morimoto, 2002; Mukhopadhyay et al., 2003). Nel topo, questa famiglia di proteine contiene almeno sette membri, di cui due sono

a b

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proteine inducibili da stress chiamate HSP70i (HSP70.1, HSP70.3) (Hunt and Calderwood, 1990; Perry et al., 1994) e proteine costitutivamente espresse (HSC70, Grp78, Grp75). I geni delle proteine inducibili, HSP70.1 e HSP70.3, sono collocati in tandem nel cromosoma 17 del topo e codificano proteine quasi identiche che differiscono solo per due residui aminoacidici (Hunt et al., 1993).

5. LA MORTALINA: UN MEMBRO PECULIARE DELLA

FAMIGLIA HSP 70

La mortalina, un membro non inducibile della famiglia HSP70, fu clonata ed identificata come un fattore di mortalità poiché si ritrova nella parte citosolica di fibroblasti embrionali di topo (Mouse Embryonic Fibroblasts, MEF) e in ibridi mortali ottenuti dalla fusione di cellule MEF e cellule immortali. Le cellule immortali (MN48- 1) sembrano non esprimere questa proteina nella loro porzione citosolica (Wadhwa et al., 1993a). Una forma allelica della mortalina, mot-2 fu trovata dopo nelle cellule immortali di topo. Questa differisce da mot-1, oltre per la differenza aminoacidica suddetta, per la localizzazione nella regione perinucleare nella cellula (Wadhwa et al., 1993b,c; Kaul et al., 2000a). Le due forme di mortaline murine hanno funzioni opposte. Una sovraespressione pancitosolica di mot-1 in cellule NIH 3T3 porta a senescenza cellulare. La mortalina perinucleare, espressa dal cDNA di mot-2, induce ad una trasformazione maligna di queste cellule (Wadhwa et al., 1993c; Kaul et al., 1998). Recenti studi biofisici hanno fornito nuovi indizi al mistero che c’è tra le funzione opposte dei due alleli della mortalina murina (Deocaris et al., 2006c). L’elica A mostra un’elevata conservazione della sequenza tra le proteine HSP70. La porzione distale delle eliche (B-E) mostra una conservazione di sequenza divergente. Le differenze dei due aminoacidi tra le due isoforme di mortalina murina si riscontrano dentro questa regione dell’elica C-terminale. La sostituzione della valina in posizione 618 in mot-1con una metionina in mot-2 si riscontra nell’elica C. La sostituzione dell’arginina in posizione 624 in mot-1 con la glicina in mot-2 si verifica vicino ad una curvatura dell’elica.

Il fenomeno della distribuzione subcellulare differenziale della mortalina in fibroblasti mortali ed immortali è conservato anche nell’uomo (Wadhwa et al., 1993b,

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Ran et al., 2000). Il cDNA della mortalina umana ha un’attività trasformante simile alla proteina mot-2 murina e quindi è detta hmot-2 (Kaul et al., 1998).

La mortalina umana è lunga 679 aminoacidi (peso molecolare 73.913 Da). La proteina precursore ha un peptide segnale mitocondriale di 46 aminoacidi ed è guidata da autofosforilazioni Ca-dipendenti. Le sue funzioni riguardano il controllo della proliferazione cellulare e di risposta agli stress (Kaul et al., 1993; Wadhwa et al., 1993b, 2002a). La struttura cristallografica della mortalina non è stata definita finora, ma, basandosi sulla sequenza, è atteso che abbia due domini principali: la regione ATPasica N-terminale e quella C-terminale uniti da un lato sensibile alle proteasi (Deocaris et al., 2006a) (Fig. 12).

Figura 12: Rappresentazione schematica dei domini principali della mortalina

La mortalina è un’importante proteina mitocondriale (Bhattacharyya et al., 1995) e gioca un ruolo centrale nella traslocazione delle proteine (Koehler, 2004; Rehling et al., 2004; Wiedemann et al., 2004). Ci sono due ipotesi controverse su come il macchinario della mortalina compia la sua funzione nel traslocare le proteine attraverso le due membrane mitocondriali: il modello della “trappola” (Strub et al., 2000; Geissler et al., 2001) e del “motore” (Glick, 1995; Horst et al., 1997; Voos et al., 1996; Deocaris et al., 2006a). E’ stata identificata una proteina di 15 kDa, Timl5/Ziml7 (Yamamoto et al., 2005), che si associa e coopera con la mortalina/mthsp70 per facilitare l’importazione di proteine che contengono una presequenza nella matrice. Seguendo la traslocazione delle proteine nei mitocondri, queste si assemblano al proprio stato oligomerico nativo per poi uscire nei vari compartimenti dell’organello dove svolgeranno le loro funzioni. Appena le pre- proteine sono importate nel mitocondrio interagiscono con la mortalina/mthsp70 e HSP60 non appena queste raggiungono la matrice (Mahlke et al., 1990; Langer and Neupert, 1991; Hartl et al., 1992).

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Come indica anche la varietà di nomi (mthsp70, GRP75, PBP74) con cui questa proteina è conosciuta, la funzione biologica della mortalina non è ristretta all’ambiente mitocondriale, infatti può essere trovata anche in regioni diverse della cellula (Ran et al., 2000; Poindexter et al., 2002). In parallelo, è stato dimostrato che può interagire con diverse proteine partners (Fig. 13). In cellule di ratto 3T3, la mortalina è coinvolta con la segnalazione mediata da FGF-1 (fibroblast growth factor-1). Le due proteine condividono la stessa nicchia cellulare e interagiscono fra di loro, grazie ad una tirosina fosforilata della mortalina (Mizukoshi et al., 1999, 2001). Anche enzimi coinvolti in modificazioni post-traduzionali essenziali per l’attività di alcune proteine, come MPD (mevalonate pyrophosphate decarboxylase), sembrano avere un nesso funzionale con la mortalina. La conferma che la mortalina sia coinvolta nella proliferazione cellulare si ha anche evidenziando che p53, in cellule trasfettate con mortalina, è trattenuta nello spazio perinucleare. Questo membro peculiare della famiglia HSP70 è anche associato al recettore dell’interleuchina-1, una citochina proinfiammatoria che media le risposte locali e sistematiche del sistema immunitario.

La mortalina è coinvolta nella internalizzazione del recettore di questa citochina (Sacht et al.,1999). Inoltre, interagisce anche con GRP94 (glucose related protein 94), membro della famiglia delle HSP90 (Takano et al., 2001). In altri studi è stata identificata come una delle proteine stimolate in cellule umane endoteliali esposte a livelli di superossidi subletali e quindi coinvolta anche in risposte a stress ossidativi (Mizukoshi et al., 2001).

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Figura 13: Diagramma che mostra le interazioni possibili della mortalina

Questi ruoli, propri della mortalina nei vertebrati, si riscontrano anche in alcuni invertebrati. Il bivalve Mya arenaria sviluppa una neoplasia simile, dal punto di vista molecolare, a tumori umani. Nelle cellule tumorali di questa specie si colocalizzano nel citoplasma p53 (Map53) e mortalina (Mamot). Inoltre, se si trattano queste cellule con MKT-077, un inibitore cationico della mortalina, si inibisce l’interazione tra la mortalina e p53, risultando in un trasporto di quest’ultimo dal citoplasma ai nuclei e, in ultimo, nell’apoptosi delle cellule tumorali (Walker et al., 2006).

Proteine HSP70, fra cui una mortalina, sono presenti come le molecole più abbondanti e più immunogeniche in molti parassiti, inclusi il platelminte Schistosoma japonicum, suggerendo l’ipotesi che queste proteine giochino un importante ruolo regolatorio nello sviluppo e nella patogenesi parassitaria (Scott e McManus, 1998).

Alcuni parassiti, infatti, sono esposti ad alti livelli di stress durante i diversi stadi del loro ciclo cellulare. Anche l’infezione in cellule ospiti è uno stress in quanto ci saranno cambiamenti nella disponibilità di nutrienti e nel sistema di difesa dell’ospite. Infine, è stato recentemente evidenziato che una molecola, simile alla mortalina, è coinvolta nella formazione sinciziale che porta alla produzione dei denti del riccio di mare con un meccanismo ancora sconosciuto (Alvares et al., 2007).

6. SCOPO DELLA TESI

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Una risposta adattativa per mantenere l’omeostasi cellulare sotto condizioni di stress rappresenta un attributo comune di tutti i sistemi viventi che hanno evoluto una varietà di strategie per riparare il danno e/o eliminare i componenti danneggiati. Nelle planarie, organismi bilateri unici per capacità rigenerativa e plasticità corporea, devono queste proprietà alle peculiare presenza di un sistema di cellule staminali pluripotenti, presenti nell’organismo adulto (i neoblasti). Queste cellule presiedono il turnover cellulare, la crescita e decrescita del corpo e la rigenerazione. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di investigare i meccanismi di citoprotezione che agiscono su queste cellule. In particolare, è stato caratterizzato il ruolo di un gene, Djmot, codificante un membro della famiglia HSP70 chiamato mortalina. Questo gene, espresso in maniera specifica a livello dei neoblasti, sembra essenziale per la loro sopravvivenza e per la loro attività proliferativa.

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