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La memoria cancellata nella Spagna franchista: traduzione e studio di Los niños perdidos di Laila Ripoll

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUISTICA E

TRADUZIONE

TESI DI LAUREA

La memoria cancellata nella Spagna franchista:

traduzione e studio di Los niños perdidos di Laila Ripoll

CANDIDATA

RELATORE

Chiara Gistri

Prof. Enrico Di Pastena

CONTRORELATRICE

Prof.ssa Rosa María García

Jiménez

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Dedico questa tesi a mia sorella Lisa ed esprimo la più profonda gratitudine

alla mia famiglia che mi ha accompagnato con pazienza in questo percorso di studi e di crescita personale.

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Indice

Premessa………7

Studio introduttivo………9

1. Laila Ripoll fra passato e presente………9

1.1 Il ricordo della Guerra civile. Verso un teatro della memoria…………...26

2. La Trilogía de la memoria………...47

2.1 Los niños perdidos……….53

2.1.1 Le fonti e i modelli……….53

2.1.2 I personaggi e il loro punto di vista………59

2.1.3 La dimensione ludica e metateatrale………..71

2.1.4 Il tono dell’opera tra grottesco ed esperpento………76

3. Commento traduttivo………...83

3.1 La traduzione di Los niños perdidos: problematiche e soluzioni………..90

Traduzione con testo a fronte………117

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Premessa

Questa tesi presenta la traduzione e lo studio dell’opera teatrale Los niños

perdidos, scritta dalla drammaturga contemporanea Laila Ripoll nel 2005. Il testo

tratta di uno degli episodi più bui nella storia della Spagna: la sottrazione di migliaia di bambini alle famiglie repubblicane messa in atto negli anni della dittatura franchista. La politica di Stato prevedeva infatti che i figli dei dissidenti incarcerati o uccisi dal regime fossero rinchiusi in orfanotrofi e centri di accoglienza. In queste strutture, i minori ospitati ricevevano un’educazione fortemente influenzata dall’ideologia franchista ed erano sottoposti a ogni sorta di violenza fisica e psicologica da parte di coloro che avrebbero dovuto proteggerli. L’autrice ci presenta quindi la storia di tre bambini e di un minorato mentale, la cui infanzia trascorsa nella soffitta di un orfanotrofio è quotidianamente violata dalle crudeli angherie della Madre Superiora. I protagonisti diventano così l’emblema di tutte le giovani vittime di questa tragica esperienza.

L’obiettivo del teatro di Ripoll è la creazione di una memoria storica collettiva. Uno dei principali temi affrontati è la Guerra civile, che spesso si erge a emblema di tutti quei conflitti che hanno scosso, e continuano a scuotere, le coscienze. Le sue opere si oppongono così all’oblio e al silenzio spesso imposto per nascondere scomode verità e danno voce alle vittime dimenticate dalla Storia.

Lo studio introduttivo si compone di tre parti. Nella prima è approfondita la traiettoria artistica della drammaturga e sono presentati alcuni testi di Ripoll che ruotano attorno al tema della Guerra civile e delle sue conseguenze, per mostrare come essi siano attraversati da alcune costanti tematiche e stilistiche. Viene inoltre evidenziato che questo interesse dell’autrice è dettato in parte dalle sue vicissitudini personali e allo stesso tempo risponde a una serie di cambiamenti storico-sociali che si ripercuotono inevitabilmente sulla letteratura. Molti dei testi di Ripoll sono ascrivibili alla corrente del teatro della memoria, un genere che inizia a svilupparsi a partire dagli anni ’80 del secolo scorso e si protrae fino ai giorni nostri.

La seconda parte è occupata dall’analisi di Los niños perdidos, che appartiene a una raccolta intitolata Trilogía de la memoria. In primo luogo, viene messo in risalto l’attento lavoro di ricerca e di documentazione svolto dall’autrice per la composizione dell’opera. In seguito, sono presi in esame la trama, caratterizzata da

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un gioco di depistaggio e di colpi di scena, i personaggi e il loro punto di vista, e infine lo stile dell’opera, contraddistinto da una forte componente grottesca e metateatrale.

L’ultima parte è composta dal commento traduttivo. Dopo una breve panoramica sul tema della traduzione per il teatro, sono affrontate le principali problematiche riscontrate durante la traduzione e le soluzioni di volta in volta adottate. L’attenzione è incentrata sul registro linguistico dell’opera. Il testo presenta molti dei tratti tipici della lingua colloquiale, che gli conferiscono una notevole ricchezza espressiva. Il commento affronta quindi le principali questioni linguistiche da un punto di vista lessicale, morfosintattico e fonetico.

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Studio introduttivo

1. Laila Ripoll fra passato e presente

Nata a Madrid nel 1964, Laila Ripoll è attualmente una delle voci più vive e impegnate del panorama teatrale spagnolo. Laureatasi presso la Real Escuela

Superior de Arte Dramático nel 1987, dopo quattro anni fonda la compagnia teatrale Producciones Micomicón con José Luis Patiño, Mariano Llorente e Juanjo Artero. La

sua formazione è poliedrica, in quanto Ripoll si è accostata al mondo del teatro con estrema versatilità, lavorando come attrice, drammaturga, costumista, scenografa e regista. Lei stessa ama definirsi “teatrista”1, indicando con questo termine la volontà di non specializzarsi in un campo specifico per poter così dominare tutti gli aspetti legati all’attività teatrale. Se infatti Ripoll entra nel mondo del teatro inizialmente come attrice2, oggi è conosciuta soprattutto per il suo lavoro di regista e di drammaturga.

Con la sua compagnia si dedica principalmente alla messa in scena di opere del teatro aureo, soprattutto di Lope de Vega. Come precisato da Laeticia Rovecchio Antón, questo interesse per il Siglo de Oro non rappresenta una novità o un caso eccezionale, poiché nel periodo storico in cui vive Ripoll sono molte le compagnie teatrali che si dedicano alla rappresentazione dei classici3. Fra le opere del Fénix rappresentate dalla compagnia Micomicón troviamo Los melindres de Belisa, El

acero de Madrid, La dama boba, Fuente Ovejuna, Arte nuevo de hacer comedias en este tiempo. Non mancano inoltre adattamenti di testi scritti da altri grandi nomi del

teatro spagnolo cronologicamente più vicini all’autrice, come Bodas de sangre di Federico García Lorca, Fulgor y muerte de Joaquin Murieta di Pablo Neruda, Teatro

de las circunstancias di Max Aub. L’obiettivo della drammaturga è tuttavia quello di

1 M. REIZ, “Conversación con Laila Ripoll”, in J. A. HORMIGÓN (dir.), Directoras en la

Historia del Teatro Español (1500-2002), vol. 3 (2005), p. 565.

2 Fra i lavori di Ripoll in qualità di attrice, Pérez-Rasilla ricorda in particolare la sua

partecipazione in El jardín de Falerina, di Calderón de la Barca, nella suggestiva messa in scena di Guillermo Heras del 1991 (E. PÉREZ-RASILLA, “La trilogía de la memoria, Laila Ripoll”, in L. RIPOLL, Trilogía de la memoria. Atra bilis, Los niños perdidos, Santa Perpetua, Artezblai, Bilbao 2013, p. 5).

3 L. ROVECCHIO ANTÓN, Memoria e identidad en el teatro de Laila Ripoll, Angélica

Liddell e Itziar Pascual, tesi di dottorato, Universitat de Barcelona, Barcellona 2015, p. 38.

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“attualizzare” questi testi e di adattarli alla realtà contemporanea, al fine di mostrare allo spettatore la loro atemporalità. L’eco dei classici si fa sentire anche in molte opere da lei composte, come ben riassunto nelle parole di Pérez-Rasilla:

La amalgama de préstamos, referencias o ecos procedentes de la mejor literatura española de todos los tiempos, desde La Celestina a Lorca, desde el Libro de buen

amor a Sanchis Sinisterra, de Cervantes a Valle-Inclán, de Quevedo a Antonio

Machado, de Galdós a Max Aub, no responde a la imitación ni a la emulación, no se ajusta a los paradigmas literarios en los que los textos utilizados fueron compuestos […]. Por el contrario, Laila Ripoll se sirve de sus materiales a su conveniencia, sin falsos escrúpulos, con irreverencia, [y con] la posibilidad de perder momentáneamente el respeto a la autoridad moral que los sustenta para restituir después el valor a estos materiales cuando se los emplea en otro contexto o con otros objetivos, sin dejar por ello de rendir alguna suerte de homenaje a quienes los crearon. No son citas ni argumentos de autoridad, son materiales literarios entendidos como acervo común con los que la dramaturga construye nuevos universos éticos y estéticos. Los suyos propios4.

La drammaturga instaura quindi un dialogo costruttivo con i classici, che rielabora in maniera personale e creativa. Nella sua produzione teatrale, “abitata da Goya, Valle-Inclán, Solana, Castelao o Francisco Nieva, gli elementi della tradizione spagnola mantengono la loro essenza pur acquisendo, allo stesso tempo, armonie che riflettono le tecniche sperimentali tipiche del XXI secolo”5.

Laila Ripoll ha diretto anche spettacoli di drammaturghi contemporanei, quali ad esempio Asesinato en la calle Illinois dell’autrice cilena Lucía de la Maza Cabrera,

Mihura Motel di Ignacio García May e Barcelona, mapa de sombras di Lluïsa

Cunillé. Queste rappresentazioni mostrano diverse affinità con le tecniche drammatiche che Ripoll utilizza nei propri testi:

Se percibe un gusto por el humor, que permite poner cierta distancia entre el texto y el lector/espectador, que también intenta frivolizar – no en el sentido de quitar importancia sino de crear una risa ácida – acontecimientos para construir una reflexión, así como el rescate de personajes o hechos históricos que corren en paralelo a su afán por retomar los hilos de su reivindicación de la memoria histórica6.

Ripoll, infatti, oltre che direttrice di scena, è anche autrice di numerosi testi teatrali, che le sono valsi il premio Ojo Crítico de Teatro de Radio Nacional de

España nel 2002, come riconoscimento della sua traiettoria artistica.

4 E. PÉREZ-RASILLA, “La trilogía de la memoria, Laila Ripoll”, pp. 7-8.

5 J. M. MORA, “La memoria scomoda di Laila Ripoll”, in L. RIPOLL, Santa Perpetua, trad. it

e postfazione di S. Trecca, Plectica, Salerno 2014, p. 5.

6 L. ROVECCHIO ANTÓN, Memoria e identidad en el teatro de Laila Ripoll, Angélica

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Prima di addentrarmi nell’analisi dell’opera da me tradotta in questa tesi, Los

niños perdidos, mi soffermerò su alcuni testi dell’autrice, in particolar modo su quelli

che trattano il tema della guerra e delle sue conseguenze sulla popolazione civile, per mostrare come la sua produzione teatrale sia attraversata da alcune costanti. La preoccupazione e l’interesse della drammaturga verso tematiche di stringente attualità sono indubbiamente frutto sia delle sue esperienze personali sia del periodo storico in cui vive, attraversato da importanti mutamenti politico-sociali che inevitabilmente si ripercuotono sulla letteratura.

L’obiettivo del teatro di Ripoll è la creazione di una memoria storica collettiva. Le sue opere danno voce alle vittime dei più atroci conflitti nella storia della Spagna e dell’Europa intera. Si oppongono all’oblio e al silenzio molto spesso imposto per celare scomode verità. Ci troviamo davanti a un teatro combattivo, che si nutre del passato per affermare il proprio impegno nel presente. Le tematiche affrontate rendono spesso il teatro di Ripoll crudo e violento, ma sempre sincero e rivendicativo. In questo universo drammatico, un posto di rilievo occupa il ricordo della Guerra civile, uno degli avvenimenti che più di tutti ha scosso la Spagna del XX secolo. È questo un argomento particolarmente caro a Ripoll, considerate anche le sue vicissitudini personali. Lo dichiara lei stessa in un’intervista:

A mí el tema de la Guerra Civil me obsesiona muchísimo, probablemente por antecedentes familiares. Soy nieta de exiliados, eso marca. […] Mi abuelo nunca hablaba del tema, pero mis abuelas hablaban muchísimo. […] Yo no puedo vivir de espaldas a esto. Me pone los pelos de punta, siento que es algo que le debo a mi gente, a mis abuelos, a tanta gente que se quedó en el camino. […] Las cosas que yo escribo es porque las quiero vomitar: son cosas que me remueven […]7.

La necessità della memoria storica è dunque secondo l’autrice un elemento imprescindibile e necessario per la vita presente, sia per la sua sia per quella della società intera. Infatti, come continua Ripoll nella stessa intervista, l’errore oggi spesso commesso dagli spagnoli è quello di non volere ricordare le proprie origini, di disprezzare i classici, la tradizione, il teatro e la cultura popolare8. Ma senza conoscere il proprio passato non può esserci futuro e il rischio è che gli avvenimenti

7 J. HENRÍQUEZ, “Entrevista con Laila Ripoll”, in Primer Acto, 310 (2005), pp. 119-120. 8 J. HENRÍQUEZ, “Entrevista con Laila Ripoll”, p. 121.

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più bui e tragici della Storia si ripetano. È dunque opportuno che la cultura, e il teatro in particolare, parlino della memoria9.

Il recupero del passato, tuttavia, non è da leggersi solo in chiave storico-politica, ma anche come l’intero bagaglio di tradizioni e di cultura popolare ereditato dai predecessori. Per questo motivo, sia la storia spagnola ed Europea in generale, sia la tradizione classica sono entrambi elementi fortemente presenti nella produzione teatrale di Ripoll.

La memoria della Guerra civile e più in generale dei conflitti che hanno scosso la Spagna (e non solo) è il fulcro tematico attorno al quale si sviluppa il corpus teatrale dell’autrice, la quale affronta tale argomento nelle sue varie sfaccettature: l’esilio, la violenza esercitata contro i più deboli, come le donne e i bambini, e la volontà di rendere loro giustizia, il fanatismo religioso. La Guerra civile è l’emblema della repressione e della violenza che trascendono qualsiasi luogo ed epoca storica. All’interno di questo nucleo si possono individuare altre costanti stilistiche nelle opere di Ripoll, quali la presenza dei morti in scena, una forte componente onirica e soprannaturale, l’utilizzo del monologo come elemento rivelatore, l’umorismo grottesco, l’importanza attribuita alla dimensione musicale.

La ciudad sitiada (1996), la prima opera scritta dall’autrice, segna un punto di

svolta nella sua traiettoria artistica, come da lei stessa dichiarato10. Durante un soggiorno con la propria compagnia in El Salvador, paese sconvolto dalla guerra civile, la drammaturga ha avuto modo di sperimentare in prima persona l’orrore di quanto accadeva in Suchitoto, uno dei centri maggiormente colpiti dal conflitto11. Questa drammatica esperienza ha offerto a Ripoll lo spunto per la composizione dell’opera, articolata in una successione di monologhi e di dialoghi espressi dai personaggi per testimoniare quanto accaduto loro.

9 «Creo que nadie quiere alzheimer y una cultura tampoco debería […] Supongo que es

importante que en la dramaturgia se hable de la memoria como pasado para poder superarlo» (L. RIPOLL, “España no ha superado su pasado y así la sociedad no se regenera”, intervista di Saioa Camarzana, El Cultural, 14 gennaio 2014, on line: <https://www.elcultural.com/noticias/buenos-dias/Laila-Ripoll/5777>. Consultazione del 14 agosto 2018).

10 «A partir de entonces me dediqué a escribir, porque dije: yo tengo algo que contar y necesito

hacerlo y creo que la gente me escucha. Y dejamos de trabajar con textos de autores» (L. RIPOLL, “Santa Perpetua y la Trilogía Fantástica”, in Primer Acto, 377, 2001, p. 28).

11 Nel 1996, la compagnia ricevette una borsa di studio dal Ministero della Cultura per andare a

rappresentare in alcuni paesi del Sudamerica, come El Salvador, Guatemala, Panamá, Nicaragua e Costa Rica, alcuni dei quali sconvolti dalla Guerra civile (D. LADRA, “La Trilogía de la Memoria, Laila Ripoll”, in Primer Acto, 346, 2014, p. 268).

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La scena è dominata da “cascotes y ruinas entre los que los habitantes de la ciudad sitiada desempeñan sus trabajos cotidianos”12. Come precisa Eszter Katona, il tema della guerra e l’ambientazione conferiscono una certa unità alla storia, anche se non è presente una vera e propria trama: i personaggi vivono in un presente abitato dall’incubo di un passato che chiede di essere ricordato13. La barbarie e la violenza

sono ormai divenuti quotidiani per gli abitanti della città assediata, tanto da essere percepiti come “normali”14. Questa apparente normalità è turbata di tanto in tanto

dall’irruzione dei bombardamenti aerei e in seguito si ricompone come se nulla fosse successo. La guerra civile di El Salvador (1980-1992), al centro dell’opera, si erge a emblema di qualsiasi conflitto in cui è la popolazione civile a pagare il prezzo più alto. È interessante notare a tal proposito che nell’opera i personaggi sono identificati solamente attraverso nomi comuni (Mujer, Madre, Muchacha, Niño, Hombre I, Hombre II y Hombre III), una prassi ricorrente nell’universo drammatico di Ripoll, popolato da voci anonime che la Storia ha privato di identità. Allo stesso modo, il periodo storico e il luogo degli avvenimenti rimangono vaghi e indeterminati. L’opera acquista così una dimensione fortemente simbolica e universale e parla del dolore di tutti coloro che sono stati e sono tuttora vittime dei più atroci massacri, siano quelli della Guerra civile spagnola, delle guerre mondiali e di tutti quei conflitti che continuano a scuotere la coscienza collettiva.

Oltre alla guerra, due motivi ricorrenti nel testo sono la fame e la violenza, soprattutto sulle donne, che nei loro monologhi ricordano le angherie subite da parte di uomini senza scrupoli. Questi due temi sono rilevanti, come mostrerò successivamente, anche in Los niños perdidos. Appare evidente già in questa prima opera, anche se ancora in misura minore, una delle tecniche maggiormente usate da Ripoll per trattare temi particolarmente spinosi: il ricorso all’umorismo grottesco. Pérez-Rasilla sottolinea infatti come nel testo, la denuncia della barbarie, la violenza, il dolore, la fame siano accompagnati da una forma particolare di umorismo, nero e grottesco15. Questo tipo di comicità, in cui tragico e comico si mescolano, rende più

12 L. RIPOLL, La ciudad sitiada. El árbol de la esperanza, La Avispa, Madrid 2003, p. 9. 13 E. KATONA, “El tema de la guerra en La ciudad sitiada de Laila Ripoll”, in Anagnórisis.

Revista de investigación teatral, 12 (2015), p. 160.

14 «Una cosa monstruosa y terrible se convierte en cotidiana» (J. HENRÍQUEZ, “Entrevista

con Laila Ripoll”, p. 124).

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sopportabile la crudeltà di ciò che viene rappresentato e a poco a poco diventerà una costante nella produzione teatrale della drammaturga16.

In La ciudad sitiada è inoltre presente l’eco della tradizione classica, in quanto, come ricorda Katona, l’opera si ispira, oltre che alle vicissitudini personali dell’autrice, alla tragedia cervantina El cerco de Numancia17. Numanzia era

un’antica roccaforte celtiberica, difesa eroicamente dai propri abitanti contro gli attacchi dei romani nel II secolo a.C. Secondo la leggenda, dopo oltre un anno di assedio, i numantini tentarono un ultimo disperato attacco contro le fortificazioni romane. Il fallimento dell’impresa spinse i superstiti a bruciare la città e a gettarsi fra le fiamme. La popolazione divenne così simbolo di una collettività coraggiosa e unita contro la repressione. Cervantes, nella sua opera, crea un personaggio allegorico, la Ciudad; analogamente Ripoll, attraverso la voce e i pensieri di vittime anonime, dà vita a un personaggio collettivo, unito davanti al dolore. In entrambe le opere sono le donne che incitano gli uomini a immolarsi per difendere la loro città. Pur non rivelando mai chi sia il vero nemico del popolo, la drammaturga ne mostra l’intento di intimidire la popolazione e di costringerla a vivere in un clima di terrore e di miseria. Il nucleo tematico della tradizione classica è quindi recuperato e riadattato alla realtà contemporanea.

La prima opera di Ripoll a trattare il tema della Guerra civile spagnola e delle sue conseguenze è La frontera (2003), che ha come protagonisti un nonno e suo nipote, rispettivamente il Viejo e il Joven. Seppur dotato di presenza scenica, il nonno è uno dei tanti redivivi che popolano i testi di Ripoll, la quale si serve di questa figura per parlare dell’esilio dei repubblicani spagnoli. La Guerra civile ha infatti obbligato il nonno a emigrare in Messico, paese nel quale il nipote è cresciuto. Dal canto suo, il giovane vuole partire per gli Stati Uniti non perché obbligato dalle circostanze esterne, ma perché spinto dal desiderio di una vita migliore. Il Joven, seppur malvolentieri, trasporta sulla schiena il corpo del nonno defunto, che rappresenta il peso di un passato difficile da sostenere. Il ricordo di un trauma personale e collettivo, ovvero l’esilio degli spagnoli in Messico, appare al giovane remoto, sconosciuto e un ostacolo al proprio progetto di emigrazione. Dal canto suo, il nonno

16 In La ciudad sitiada, è il tema della fame ad assumere un tono grottesco, come si può notare

nel dialogo della scena III. Hombre I e Hombre II, davanti al cadavere malridotto di un cane, si chiedono se sia il caso di mangiarlo, viste le condizioni in cui versa il corpo dell’animale. Alla fine desistono dal proprio intento perché “es verdad que apesta y está lleno de gusanos” (L. RIPOLL,

La ciudad sitiada. El árbol de la esperanza, La Avispa, Madrid 2003, p. 14).

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si afferra al nipote e cerca di convincerlo a non dimenticare le proprie origini storico-culturali.

I due protagonisti non divergono dunque solo per le cause della loro migrazione, ma anche per il modo di considerare il proprio passato. Il Viejo sente una forte nostalgia delle proprie origini, simboleggiate dalla chiave di casa che egli ancora conserva. È la sua ragione di vita, l’unico ricordo che gli resta e che vorrebbe trasmettere al nipote, come eredità di una memoria culturale e collettiva. Il giovane però si mostra restio (“JOVEN: […] le recuerdo que son sus recuerdos, abuelo, no los míos”18). Alla fine riuscirà a liberarsi dal corpo del nonno, ma non dalla chiave, che il Viejo è riuscito a infilargli in tasca di nascosto prima di sparire per sempre. Questo gesto sta a significare la necessità di ricordare il proprio passato, che dà forma al presente di ogni individuo e ne determina il futuro. L’opera si riallaccia al secondo libro del poema epico virgiliano, l’Eneide, in cui, a seguito della caduta di Troia, Enea fugge sorreggendo l’anziano padre Anchise sulle spalle19. Bisogna tuttavia

notare che l’atteggiamento del Joven si distingue nettamente da quello dell’eroe troiano, per il quale il corpo del padre non rappresenta affatto un peso da sostenere.

Il tema dell’esilio è ripreso in un’altra opera dell’autrice, scritta un anno dopo La

frontera, Que nos quiten lo bailao. In questo testo, tuttavia, “Laila Ripoll se centra

concretamente en el momento de las despedidas, de las separaciones entre familiares, lo que dota al texto de una fuerte carga emotiva. Para ello, se presentan toda una serie de voces que se entrecruzan en pequeños diálogos, monólogos, que permiten conectar la vivencia de cada personaje”20. Alison Guzmán afferma che l’opera si presenta come una specie di collage, la cui azione drammatica è un omaggio alla Abuela Amparo, spagnola esiliata a causa della Guerra civile, che ha vissuto la

18 L. RIPOLL, La frontera, in S. GUTIÉRREZ POSSE (et al.), Exilios: 18 obras de teatro de

autores argentinos, españoles y mexicanos, Editorial Biblos, Buenos Aires 2003, p. 18.

19 «Caro mio padre, adunque, - soggiuns'io - com'è d'uopo, in su le spalle a me ti reca, e mi

t'adatta al collo acconciamente: ch'io robusto e forte sono a tal peso: e sia poscia che vuole: ch'un sol periglio, una salute sola fia d'ambedue […] Uscia già d'Ida la mattutina stella, e 'l dí n'apria, quando in dietro mi volsi, e vidi Troia fumar già tutta; e de la ròcca in cima, e di sovr'ogni porta inalberate le greche insegne; onde né via, né speme rimanendomi piú di darle aíta, cedei; ripresi il carco, e salsi al monte» (P. VIRGILIO MARONE, L’Eneide, trad. it. di A. Caro, Ulrico Hoepli Editore S.p.A., Milano 1991, pp. 49-51, versione elettronica on line: <https://www.liberliber.it/mediateca/libri/v/vergilius/eneide/pdf/eneide_p.pdf>. Consultazione del 27 settembre 2018).

20 L. ROVECCHIO ANTÓN, Memoria e identidad en el teatro de Laila Ripoll, Angélica

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maggior parte della propria vita in Marocco21. Nell’opera si intrecciano dialoghi e monologhi di differenti personaggi, l’azione si svolge in luoghi e tempi diversi, ma la figura di Amparo domina su di essi. Le scene che servono per universalizzare il tema dell’esilio e della migrazione si alternano ad altre più intime e nostalgiche. Anche Amparo, come il Viejo di La frontera, sente una profonda malinconia a causa dell’abbandono del proprio paese e della propria famiglia, soprattutto del fratello Ignacio. Amparo e Ignacio, esattamente come il nonno e il nipote di La frontera, divergono per il modo in cui si avvicinano alla memoria del passato. Per la donna ricordare è una ragione di vita: suo marito e suo figlio sono morti e rammentare i momenti passati con loro è per lei un modo per sentirli ancora vivi accanto a sé. Per suo fratello, invece, che ha perso moglie e figlio in un incidente, questo esercizio di memoria è troppo doloroso per poter essere affrontato (“IGNACIO: […] no quiero

saber, no quiero recordar, no quiero ser”22).

Un altro elemento fondamentale all’interno dell’opera è la presenza della radio, che, mettendo in comunicazione fra loro i personaggi attraverso la dedica di alcune canzoni, permette di rompere la distanza che li separa e, opponendosi all’oblio, sottolinea la necessità del ricordo dei propri cari. Alla fine dell’opera, poco prima di morire, Amparo conversa con il fantasma del defunto marito, Miguel. Sulla donna vengono quindi proiettate immagini di persone che si salutano alla stazione, migranti, barche che salpano, così che Amparo diventa simbolo dell’esiliato di qualsiasi epoca e luogo23. Lo sradicamento dalla propria terra e la conseguente perdita della propria identità culturale sono percepiti come un’ulteriore brutale forma di violenza, che si aggiunge a quella della guerra.

Altrettanto drammatica è la separazione narrata in El convoy de los 927 (2008), che ha per protagonista una famiglia di repubblicani spagnoli bloccata al confine con la Francia mentre tenta di scappare in cerca di un futuro migliore. Come spiega Laeticia Rovecchio Antón, l’opera si basa sul documentario omonimo diretto nel 2005 da Montse Armengou e Ricard Belis e il numero del titolo si riferisce alla deportazione di 927 repubblicani spagnoli dalla città francese di Angoulême al

21 A. GUZMÁN, La memoria de la Guerra Civil en el teatro español: 1939-2009, tesi di

dottorato, Universidad de Salamanca, Salamanca 2012, p. 260.

22 L. RIPOLL, Que nos quiten lo bailao, in ADE, 105 (2005), p. 68.

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campo di concentramento di Mauthausen avvenuta nel 194024. In quell’anno, infatti, intere famiglie che avevano cercato di oltrepassare la frontiera francese vennero costrette a salire su un treno che le avrebbe condotte a una morte certa, lo stesso convoglio che pochi anni dopo porterà gli ebrei presso i campi di sterminio. Ripoll vuole mettere in risalto che gli spagnoli sono stati i primi a subire una simile barbarie, nonostante la loro vicenda sia stata dimenticata dalla Storia e sia sconosciuta alla maggior parte del pubblico. Sente perciò la necessità di rendere giustizia alle vittime raccontando questo episodio, che può così entrare a far parte della memoria collettiva nazionale. Le vicende sono filtrate dal ricordo di Ángel Mayor, ormai diventato adulto, che rimemora i fatti che lo hanno visto protagonista da bambino insieme ai genitori e ai suoi due fratelli:

ÁNGEL MAYOR: Siete mil españoles pasaron por Mauthausen. Los que sobrevivieron no llegaron a dos mil… Hace ya sesenta años largos y a este episodio, como a otros muchos de nuestra historia reciente, convendría ir poniéndolo en orden. Me llamo Ángel, he sobrevivido a dos guerras y al convoy de los 92725.

Tuttavia questo personaggio rivive i ricordi del dopoguerra attraverso il suo alter

ego più giovane, Ángel Niño. Ecco allora che l’azione si svolge in due momenti

storici distinti, il 1940 e l’epoca attuale, in un viavai spazio-temporale ricorrente nel teatro di Ripoll. Questa tecnica le permette di mostrare che l’esperienza traumatica vissuta è talmente forte da rimanere viva nella mente nonostante il tempo trascorso, ma anche di presentare i fatti dalla prospettiva infantile, una caratteristica che sarà di fondamentale importanza in Los niños perdidos e che dota il testo di una maggiore carica emotiva. In El convoy de los 927, solo Ramiro, il fratello di Ángel, giungerà al campo di sterminio, mentre il treno su cui si trova il resto della famiglia rientrerà in patria. Il ritorno in Spagna, tuttavia, non allevia la sofferenza della famiglia, che sconterà le conseguenze del tentativo di fuga (“MADRE: Nada, hijos, no tenemos nada. Las nuevas autoridades nos han confiscado todas las propiedades por rojos”26). In quest’opera, la drammaturga si serve di una storia intima e personale per ricostruire una memoria collettiva nazionale. Le vicende della famiglia protagonista,

24 L. ROVECCHIO ANTÓN, Memoria e identidad en el teatro de Laila Ripoll, Angélica

Liddell e Itziar Pascual, p. 41.

25 L. RIPOLL, El convoy de los 927, in La Ratonera: Revista asturiana de teatro, 25 (2009), p.

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infatti, hanno riguardato molte altre persone ed è quindi un dovere dare loro voce e riconoscere pubblicamente quanto successo.

L’orrore dei campi di sterminio è al centro di un’altra opera scritta da Laila Ripoll nel 2014 in collaborazione con Mariano Llorente, El triángulo azul. Anche in questo caso, come precisa Laeticia Rovecchio Antón, la fonte ispiratrice dell’opera è costituita da una serie di documenti storici sullo sterminio degli spagnoli nel campo di concentramento di Mauthausen, fra cui Els catalans als camps nazis (1977) di Montserrat Roig, Francisco Boix: el fotógrafo de Mauthausen (2002) di Benito Bermejo, Mauthausen, una mirada española (2008) di Aitor Fernández Pacheco27. Il triangolo di colore azzurro che dà il titolo al libro è il simbolo degli apolidi, ovvero di quei cittadini depredati della propria nazionalità dal governo spagnolo. Se in El

convoy de los 927 le vicende erano filtrate dal ricordo di un unico personaggio,

nell’opera scritta da Ripoll e Llorente la situazione è diversa, in quanto:

El triángulo azul recoge las voces de distintos deportados, presentadas desde otra

oscilación temporal: las acciones ocurridas entre los años de 1940-1945 – durante la reclusión en el campo nazi – y el testimonio del personaje de Ricken desde su casa de Colonia en 1965. En este sentido, el paso de un testimonio único a otro colectivo se acerca a la tarea del género cinematográfico documental, al ceder la voz a más de un protagonista, todos ellos encargados de reconstruir una vivencia compartida. […] En efecto, Llorente y Ripoll no sólo rescatan la heroicidad de unos presos capaces de poner su vida en peligro para dar a conocer las fotografías que tomaron los nazis en los campos, sino que les dan entero protagonismo28.

Anche in quest’opera, quindi, troviamo una figura “mediatrice”, Ricken, che ha il compito di riallacciare il passato al presente degli spettatori. Si tratta di un personaggio realmente esistito: era l’ufficiale delle SS direttore del Servizio di Identificazione Fotografica all’interno del campo, un uomo colto, emblema delle contraddizioni dell’animo umano (“RICKEN. […] siempre he creído que el arte nos acerca a Dios, que nos convierte en mejores personas […] Sé que no soy una mala persona. De mi padre, hombre recto, bueno y sabio, recibí en herencia el amor por la pintura, por los libros, por el idioma alemán”29).

27 L. ROVECCHIO ANTÓN, “El triángulo azul: el teatro-testimonio de Mariano Llorente y

Laila Ripoll”, in Cuadernos AISPI, 7 (2016), p. 97.

28 L. ROVECCHIO ANTÓN, “El triángulo azul: el teatro-testimonio de Mariano Llorente y

Laila Ripoll”, p. 99.

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Ricken, sotto questo aspetto, ricorda la figura del Comandante tedesco di

Himmelweg, uno dei testi più noti di Juan Mayorga30. Bisogna tuttavia riconoscere che Ricken manifesta un forte senso di colpa per quanto commesso, un sentimento totalmente estraneo al Comandante. L’ufficiale del campo, pur non sporcandosi direttamente le mani di sangue, è testimone diretto delle torture a cui sono sottoposti i prigionieri. È la stessa autrice a descriverlo, affermando che si tratta di un personaggio reale ma allo stesso tempo allegorico. L’uomo rappresenta il tentativo di giustificare l’ingiustificabile, è il rimorso, la corruzione, la paura, la follia e alla fine, schiacciato dal senso di colpa, la morte31. I suoi ricordi si basano sulla rischiosa avventura di quegli spagnoli che riuscirono a salvare le fotografie scattate nel campo, rivelatesi poi fondamentali per incriminare i vari capi nazisti nei processi di Norimberga, e sulla storia di un gruppo di internati che chiesero e ottennero l’autorizzazione per rappresentare una rivista musicale. Le fotografie svolgono dunque un ruolo fondamentale nella storia. Anche in questo caso si può stabilire un parallelo con la già citata opera di Mayorga. Così come in Il cartografo (Varsavia

1:400.000) la mappa del ghetto di Varsavia rappresenta la possibilità di preservare il

ricordo di una parte della città, allo stesso modo le fotografie di El triángulo azul simboleggiano la volontà di conservare la memoria di quanto avvenuto nel lager.

Concesse dalla Asociación Amical de Mauthausen e dal Museo de Historia de

Cataluña, Katona precisa che Ripoll non le include nelle didascalie, ma le proietta

sulla scena, come diretta testimonianza di quanto accaduto32. Questa scelta è in linea con le teorie sceniche di Erwin Piscator, uno fra i primi a utilizzare immagini filmiche in teatro, in contrasto con la rappresentazione “in diretta” degli attori, per evidenziare che la realtà è catturata dalla camera, mentre gli attori simboleggiano l’illusione teatrale33. L’onnipresenza della Leika utilizzata da Ricken per registrare

tutto ciò che avveniva nel campo, insieme alle istantanee eroicamente recuperate dagli spagnoli, fanno parte integrante dell’allestimento e sono un segno palpabile di quanto avvenuto.

30 Il testo, insieme a El cartógrafo (Varsavia 1:400.000) e JK, è raccolto in J. MAYORGA,

Teatro sulla Shoah, trad. it. e studio introduttivo di E. Di Pastena, Edizioni ETS, Pisa 2014.

31 L. RIPOLL, “Algunas notas sobre El triángulo azul”, in ADE, 152 (2014), p. 118.

32 L. ROVECCHIO ANTÓN, “El triángulo azul: el teatro-testimonio de Mariano Llorente y

Laila Ripoll”, p. 101.

33 L. ROVECCHIO ANTÓN, “El triángulo azul: el teatro-testimonio de Mariano Llorente y

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Accanto all’elemento visivo, in questa come in altre opere di Ripoll, assumono fondamentale importanza anche i molteplici effetti sonori presenti nell’opera. Il ricorso alla musica fa sì che l’opera si trasformi in un “sainete grotesco y carnivalizado”34. È soprattutto la rappresentazione messa in scena dagli spagnoli

reclusi nel campo che conferisce al testo un tono grottesco. Come sottolinea Ripoll,

Esos españoles obtuvieron, por primera vez en la historia de los campos de concentración, una licencia para hacer teatro. Fue el único colectivo que lo consiguió. […] no optaron por un texto importante: escribieron ellos mismos una parodia, una revista musical, un cabaret, y se disfrazaron de mujeres, con pelucas y todo lo demás, y se divirtieron muchísimo, porque era para ellos la única manera para sobrevivir. Mi teatro está hecho de esto: la pretensión de contar el horror mediante el humor, hasta el humor ingenuo35.

La comicità grottesca è utile sia per la creazione, sia per la ricezione dell’opera. Svolge quindi una funzione liberatoria per i protagonisti delle vicende, permettendo loro di sopravvivere alla barbarie, e per il pubblico, poiché attenua l’orrore di quanto rappresentato. La musica popolare diventa quindi simbolo di resistenza, la possibilità di sopravvivere all’inferno: il proposito dei numeri musicali che intervallano ironicamente il racconto di Ricken sembra essere quello di interrompere la catastrofe, l’orrore, lo scorrere implacabile della Storia36.

Il ricorso al grottesco è inoltre fortemente presente in altri due grandi scrittori del calibro di Primo Levi e di Jorge Semprún, che hanno vissuto entrambi sulla propria pelle le atrocità dei campi di concentramento. Per loro, “l’umorismo e il riso servono da strumenti di sopravvivenza; combattono l’oppressore e insieme la paura di ridursi a un vuoto involucro di pelle e ossa cui vivere o morire è indifferente”37. In alcuni passi di La tregua di Primo Levi, superstite di Auschwitz, “il tono vivace e divertito della caricatura si rivela essere uno degli strumenti attraverso i quali sono descritti i frequenti episodi ai limiti del reale, che si arricchiscono di particolari resi straordinari

34 L. ROVECCHIO ANTÓN, “El triángulo azul: el teatro-testimonio de Mariano Llorente y

Laila Ripoll”, p. 103.

35 Citazione presente in S. TRECCA, “Funciones dramatúrgicas de la música en las puestas en

escena de Cancionero repúblicano y El triángulo azul, de Mariano Llorente y Laila Ripoll”, in J. ROMERA CASTILLO (ed.), Teatro y música en los inicios del siglo XXI, Editorial Verbum, Madrid 2016, p. 257.

36 S. TRECCA, “Funciones dramatúrgicas de la música en las puestas en escena de Cancionero

repúblicano y El triángulo azul, de Mariano Llorente y Laila Ripoll”, p. 245.

37 C. MORELLI, Un riso che turba e disturba: Der nazi & Der friseur di Edgar Hilsenrath e

Mein Kampf di George Tabori. Esempi di grottesco e witz nella letteratura della Shoah, tesi di dottorato, Università degli Studi di Bergamo, Bergamo 2008, p. 26.

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anche grazie all’ironia e al linguaggio provocatorio dello scrittore”38. Fra i

personaggi caricaturali e grotteschi del lager troviamo così il Moro di Verona,

bestemmiatore incallito che “bestemmiava in continuazione, ma non

macchinalmente; bestemmiava con metodo e con studio, acrimoniosamente, interrompendosi per cercare la parola giusta, correggendosi spesso, e arrovellandosi quando la parola giusta non si trovava: allora bestemmiava contro la bestemmia che non veniva”39. C’è poi Trovati, nei cui discorsi “il vero, il possibile e il fantastico

erano intrecciati in un groviglio vario e inestricabile”40. È inoltre presente Cantarella

che, rifugiatosi nel bosco, e “vestito soltanto di un perizoma […] fabbricava pentole e padelle con grande abilità e diligenza religiosa”41.

Jorge Semprún, scrittore spagnolo emigrato in Francia a seguito dello scoppio della Guerra civile e imprigionato presso il campo di Buchenwald, esprime in toni simili a quelli di Primo Levi alcune memorie del lager. Jean Le Bitoux evidenzia ad esempio la rievocazione grottesca presente nel libro Le mort qu’il faut, in cui Semprún, fra le varie vicende narrate sulla vita nel campo, racconta quella di un kapò omosessuale, decaduto dalle proprie funzioni42.

Vorrei concludere questa sezione dedicata alle opere principali di Laila Ripoll che affrontano il tema della guerra nelle sue varie sfaccettature con due testi che trattano di un altro episodio buio nella storia della Spagna, stavolta decisamente più recente: gli attentati terroristici avvenuti a Madrid l’11 marzo 2004. Nelle opere in questione,

Once de marzo e Pronovias, entrambe del 2004, il tema della guerra e dei conflitti

armati si intreccia con quello del fanatismo religioso, considerata la matrice islamista degli attacchi. E in effetti il tema della religione, o meglio della manipolazione della religione da parte dell’uomo, è al centro di altre opere della drammaturga, quali El

38 M. DI FLORIO GULA, “Tra i sorrisi di Primo Levi: alcuni appunti sugli aspetti comici e

umoristici de La tregua”, in Northeast Modern Language Association, XXXII (2009-2010), p.

103, on line:

<https://www.buffalo.edu/content/dam/www/nemla/NIS/XXXII/v32a5_difloriogula.pdf>. Consultazione del 25 settembre 2018.

39 P. LEVI, La tregua, Einaudi, Torino 1963, p. 115. 40 P. LEVI, La tregua, Einaudi, Torino 1963, p. 116. 41 P. LEVI, La tregua, Einaudi, Torino 1963, pp. 176-177.

42 «Camminava lungo il pozzo nero, osservando i corpi denudati per metà, le cosce, i culi, i

sessi offerti allo sguardo […] Nelle latrine si incontravano anche i nuovi arrivati nel cosiddetto campo di quarantena, cioè i deportati che erano stati appena strappati al mondo di fuori, alla vita di prima. Quelli, insomma, la cui freschezza era ancora apprezzabile. Appetibile, dunque, per qualcuno che aveva fame di corpi maschili. Naturalmente, era tra i più giovani che cercava una preda, o una vittima consenziente, o un partner. Non era impossibile: uno sguardo di desiderio, uno scambio suggerito, una tenerezza offerta o proposta, una disperazione da condividere» (J. LE BITOUX, Il triangolo rosa. La memoria rimossa delle persecuzioni omosessuali, trad. it. di R. Bugliani, Manni Editori, Cesario di Lecce 2003, p. 106).

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día más feliz de nuestra vida (2001), Santa Perpetua (2011) e Los niños perdidos

(2005). Pronovias e Once de marzo mostrano le conseguenze dell’attentato attraverso le vicende di quattro donne, ma in due modi completamente diversi fra loro: “el humor negro y grotesco, y el profundo desgarro, respectivamente”43.

Entrambe le opere formano parte di una raccolta di testi coordinata da Alfonso Simón e intitolata Once voces contra la barbarie del 11-M.

Parlare di queste due pièces induce necessariamente ad aprire una breve parentesi sul tema del corpo nelle arti e, in particolare, nel genere teatrale. A tal proposito, Laurence afferma che:

Las guerras, las relaciones de fuerza, son una constante en el ser humano y definen su trayectoria desde el comienzo de los tiempos. Así, es conveniente preguntarnos: ¿cómo se definen estas guerras por la toma del poder? Con violencia y muerte, obviamente, con la sumisión de la población, con el asesinato, heridas y mutilaciones, con la división de los cuerpos, en resumidas cuentas. Este cuerpo, sin el cual no podemos vivir y que nos permite actuar en la sociedad, está herido, mutilado, lo que lleva consigo consecuencias inaguantables en nuestra relación con los demás, con el mundo y con la vida. Frente al ideal del cuerpo difundido por la sociedad, se erigen cuerpos mutilados, rotos, almas heridas que desean darse a conocer y expresar sus vivencias, a pesar de la constante negación de la sociedad para otorgarles tan anhelada visibilidad44.

Le varie forme artistiche, soprattutto quelle visive, spesso assumono deliberatamente il compito di dare visibilità a questi corpi straziati dalle guerre e dalla violenza, in alcuni casi anche con un esplicito intento provocatorio. Nel teatro, la presenza fisica degli attori sul palco permette di raggiungere efficacemente questo obiettivo, in quanto “si la palabra es una «jaula», el cuerpo adquiere mayor relevancia y, por tanto, asume un fuerte componente expresivo y comunicador por sí solo”45. Il corpo diviene dunque il principale veicolo di comunicazione in teatro e questo suo protagonismo talvolta giunge a rappresentazioni estreme, soprattutto nel XX secolo, sconvolto da atroci conflitti e barbarie. Infatti,

El siglo XX alcanza unos límites bastante sombríos como consecuencia de los estragos históricos, por lo que algunos autores parten de una visión siniestra de lo orgánico, influenciados por George Bataille, Artaud, Hans Bellmer y sus inquietantes

43 L. ROVECCHIO ANTÓN, Memoria e identidad en el teatro de Laila Ripoll, Angélica

Liddell, p. 367.

44 A. LAURENCE, “Una lectura del teatro de Laila Ripoll: cuerpos de mujeres rotos”, in

Álabe, 16 (2017), p. 3.

45 L. ROVECCHIO ANTÓN, Memoria e identidad en el teatro de Laila Ripoll, Angélica

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muñecas, junto a manifestaciones más recientes como los sacrificios animales de Wols, o las automutilaciones de Günter Brus46.

Il nuovo millennio porta avanti questa tendenza, rifiutando la visione idealista del “cuerpo sano y joven, el cuerpo narcisista”, per rivendicare “esa parte maldita sometida a la temporalidad, al dolor, y en último extremo a la muerte”47. Laila Ripoll

si colloca su questa linea di pensiero, “por su relación con la corporalidad, el interés por la historia y los grandes conflictos de la humanidad”48, come si evince da molte sue opere che portano in scena corpi feriti e deturpati49.

Once de marzo racconta la storia di una madre che ha perso la figlia adolescente

nell’attentato di Madrid. L’opera inizia con il monologo della donna che racconta la

routine della ragazza la mattina della tragedia. Il palcoscenico è vuoto e quindi lo

spettatore segue lo sviluppo dell’azione solo attraverso la voce della madre. Nessun personaggio evocato nella storia ha un nome proprio. Ciò suggerisce ancora una volta la volontà dell’autrice di dotare di carattere generale e universale una vicenda intima e personale, così che tutti coloro che hanno perso un figlio in una simile tragica circostanza possano identificarsi con la protagonista. La seconda parte si concentra invece sugli avvenimenti successivi all’attentato, le cui conseguenze sono vissute attraverso il mezzo televisivo. La madre, infatti, non ricevendo notizie della figlia, inizia a cercarne le tracce nelle immagini trasmesse in televisione. In questo modo, “el espectador vive en primera persona el dolor, la desesperación y la angustia de la búsqueda. […] Buscamos desesperadamente indicios del paradero de la adolescente en el escenario o entre líneas, intentando así reunificar la realidad”50. Nelle immagini trasmesse restano solo frammenti della giovane, il cui corpo, ormai irrimediabilmente mutilato, viene restituito alla famiglia in “una enorme bolsa de basura”51. È facile a questo punto intuire i significati allegorici racchiusi nell’opera.

46 A. LAURENCE, “Una lectura del teatro de Laila Ripoll: cuerpos de mujeres rotos”, p. 3. 47 A. VÁSQUEZ ROCCA, “Las metáforas del cuerpo en la filosofía de Jean-Luc Nancy: nueva

carne, cuerpo sin órganos y escatología de la enfermedad”, in Nómadas. Revista Crítica de

Ciencias Sociales y Jurídicas, 18 (2), 2008, p. 8, on line: <https://revistas.ucm.

es/index.php/NOMA/article/view/27537>. Consultazione del 30 settembre 2018.

48 A. LAURENCE, “Una lectura del teatro de Laila Ripoll: cuerpos de mujeres rotos”, p. 3. 49 Oltre a Once de marzo y Pronovias, ne sono un esempio La ciudad sitiada, El árbol de la

esperanza, El triángulo azul. Sulla stessa linea si colloca anche un’altra drammaturga

contemporanea, Angélica Liddell. Per un approfondimento sul tema del corpo nel teatro di quest’ultima rimando a L. ROVECCHIO ANTÓN, Memoria e identidad en el teatro de Laila

Ripoll, Angélica Liddell e Itziar Pascual, pp. 505-537.

50 A. LAURENCE, “Una lectura del teatro de Laila Ripoll: cuerpos de mujeres rotos”, p. 5. 51 L. RIPOLL, Once de marzo, in A. SIMÓN, Once voces contra la barbarie del 11-M,

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Il corpo “frammentato” è rimesso insieme nel sacco dell’immondizia ma ciò non basta a restituire armonia e unione alla realtà. La vita della giovane è stata spezzata, così come quella di sua madre. Inoltre, il vuoto del palco è il simbolo del vuoto lasciato dalla perdita di un figlio nell’animo dei suoi cari.

Totalmente diverso è il registro adottato in Pronovias, nella definizione di Laurence “una obra con un regusto amargo, que usa el esperpento y el humor negro”52. In questo caso le tre donne protagoniste sono ben visibili sul palco e hanno un nome. Si tratta di Bea, Clari e Dependienta, ovvero “Commessa”, e l’azione si svolge in un negozio di abiti da sposa che dà il nome all’opera. Sia Bea, la futura sposa, sia Clari, la damigella d’onore, mostrano sulla propria pelle i segni dell’attentato: la prima ha una grossa cicatrice sulla testa e cammina con le stampelle, mentre la seconda ha perso una gamba ed è sorda. Anche in questo caso siamo davanti a due corpi mutilati. Nonostante la loro condizione, tuttavia, le due donne mostrano una grande forza d’animo. Ciò che colpisce è la loro capacità di autoironia, infatti sono presenti diversi spunti umoristici all’interno del testo. La tensione fra comico e tragico è tenuta costantemente viva dalla drammaturga nel corso di tutta l’opera. L’autoironia ha un effetto catartico per Clari e Bea e le aiuta ad accettare e ad amare i loro corpi, nonostante le difficoltà quotidiane a cui vanno incontro (“CLARI. ¿No hemos aprendido a subir y bajar escaleras? ¿No hemos aprendido a dormir sin dar una brinca a cada minuto? ¿No hemos aprendido a vivir con nuestro cuerpo como si estuviera entero?”53). Al contrario, né la Dependienta, né il pubblico riescono a farsi coinvolgere completamente da tale senso dell’umorismo54, mostrando così una forma di disagio che paradossalmente è del

tutto estranea alle due protagoniste. I loro corpi sono ben lontani dal rientrare nei canoni di bellezza imposti dalla società. L’opera, oltre che un omaggio a tutti i sopravvissuti degli attentati che ancora ne portano su di sé le cicatrici, è per Ripoll un grido di denuncia, in quanto:

Nuestra sociedad destaca por su falta de compromiso y de solidaridad frente a las víctimas de conflictos. La población, después de lanzar su mirada compasiva, se olvida de ellas, prefiriendo apartar los ojos para no ver las consecuencias de las atrocidades cometidas, sin aportarles soluciones económicas o laborales. De esta

52 A. LAURENCE, “Una lectura del teatro de Laila Ripoll: cuerpos de mujeres rotos”, p. 6. 53 L. RIPOLL, Pronovias, in A. SIMÓN, Once voces contra la barbarie del 11-M, p. 157. 54 Quella della Dependienta è “una risilla falsa que es más una mueca que otra cosa” (L.

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forma, Laila Ripoll lanza un ataque mordaz a una sociedad hipócrita y contradictoria que mira con lástima a las víctimas o aparta la mirada55.

Se in Once de marzo Ripoll rinuncia volontariamente a identificare i personaggi e a mostrarli in scena per dotare i fatti di una dimensione universale, in Pronovias dà visibilità e voce ai sopravvissuti agli attentati che la società non vuole vedere o fa finta di non vedere. L’obiettivo è fare in modo che la società non si dimentichi né di coloro che hanno perso la vita in una tale circostanza, né di coloro che, seppur sopravvissuti, portano addosso i segni di quanto accaduto e continuano la loro vita fra molte difficoltà. Anche in questo caso, alla violenza della guerra, si aggiunge la brutalità di un sistema economico-sociale escludente, che, in virtù di un presunto canone di bellezza e di accettabilità, mina l’identità profonda e la dignità dell’essere umano.

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1.1 Il ricordo della Guerra civile. Verso un teatro della memoria

Come precedentemente sottolineato, la predilezione di Ripoll per il tema della memoria storica della Guerra civile non è solo il riflesso del suo vissuto e di quello dei suoi cari. Il trattamento di questa tematica è anche frutto di importanti cambiamenti in ambito sociale e storico-politico che si verificano nel Paese dopo il conflitto civile e che continueranno lungo tutto il corso del XX secolo, per giungere fino agli anni in cui si trova a scrivere la drammaturga. Tali mutamenti hanno inevitabilmente forti ripercussioni sulle creazioni artistiche e letterarie.

La Guerra civile è uno dei conflitti su cui è stato scritto il maggior numero di opere. Già negli anni ’70, María José Montes osservava come nessun altro avvenimento nella storia del Paese avesse generato un numero di testi tanto significativo56. Verso la metà degli anni ’80, secondo gli studi pubblicati da Maryse Bertrand De Muñoz, si contavano più di tremila opere letterarie riferite al tema57. Ad ogni modo, queste affermazioni devono fare i conti con un’altra realtà, alquanto paradossale. Come continua la stessa Maryse Bertrand De Muñoz, “lo que es propiamente literatura no ha sido muy estudiado. […] Las pocas investigaciones literarias se han centrado principalmente en el género de la novela”58. Ne consegue

che il genere teatrale, nonostante conti anch’esso una grande quantità di opere relative alla Guerra civile, è stato spesso escluso dall’analisi. Questa teoria è confermata recentemente anche da Anabel García Martínez, secondo cui mancano studi specifici sul tema della Guerra civile nel teatro contemporaneo, in quanto si tende a prediligere altri generi letterari memorialistici, quali ad esempio il romanzo59. Inoltre, sebbene abbondino le opere critiche che analizzano il conflitto da un punto di

56 «La guerra española desencadena en el mundo la bibliografía más copiosa que ningún otro

periodo de la historia de España originó. […] No ha existido un hecho de la historia española que haya tenido más repercusión literaria que esta guerra de 1936 a 1939» (M. J. MONTES, La

Guerra Española en la creación literaria: ensayo bibliográfico, in Anejos de «Cuadernos Bibliográficos de la Guerra de España 1936-1939», Universidad de Madrid, Madrid 1970, pp.

8-10).

57 M. BERTRAND DE MUÑOZ, “Bibliografía de la creación literaria sobre la Guerra Civil

Española”, in ALEC, 11 (1986), p. 358.

58 M. BERTRAND DE MUÑOZ, “Bibliografía de la creación literaria sobre la Guerra Civil

Española”, p. 365.

59 A. GARCÍA MARTÍNEZ, El telón de la memoria: La Guerra Civil y el franquismo en el

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vista storico-politico, mancano studi specifici dedicati al ricordo e alla memoria del conflitto civile60.

Nonostante gli studi lo abbiano spesso trascurato, in realtà il mezzo artistico teatrale, grazie alla varietà di stili e tecniche a cui può fare ricorso, è capace di creare una significativa mise en abîme del conflitto messo in scena. Inoltre, sarebbe opportuno analizzare più approfonditamente come il ricordo e l’impatto generato dalla Guerra civile sia cambiato nel corso del tempo, dagli anni della dittatura franchista, passando per l’epoca della Transizione, fino ad arrivare ai giorni nostri. Considerata l’ampiezza di questo lasso temporale, non possono esservi dubbi sul fatto che l’approccio a un simile tragico avvenimento sia stato soggetto a cambiamenti nel corso del tempo.

Come mette bene in risalto Guzmán, la drammaturgia che si occupa del conflitto civile si caratterizza per tre aspetti principali: il ruolo fondamentale della storia, attraverso il ricorso a personaggi che ne sono stati protagonisti, la presenza dominante della memoria e l’unione di realtà ed elementi soprannaturali61. Tuttavia di questi tre elementi è il secondo a rappresentare una vera novità, in quanto, “la dramaturgia de la posguerra, por vez primera, echa mano expresamente del papel de la memoria escurridiza y alterable a la hora de escenificar las belicosidades de 1936”62. Un altro aspetto interessante messo in luce da Guzmán è la differenza fra memoria implicita e memoria esplicita63. La prima caratterizza la drammaturgia dell’immediato dopoguerra e mette in scena il conflitto civile senza mostrare espressamente il ruolo della memoria nella rappresentazione. L’azione drammatica, che segue l’ordine cronologico degli avvenimenti, si svolge generalmente durante l’epoca della guerra, oppure, se ambientata in un periodo immediatamente precedente o successivo al conflitto, vi fa riferimento mediante il ricorso al dialogo. La seconda, invece, che si afferma soprattutto a partire dagli anni ’80, mette esplicitamente in risalto il ruolo della memoria nella messa in scena. Si stabilisce quindi un dialogo fra due epoche storiche, quella della guerra e una successiva. Le tecniche impiegate per rappresentare questo tipo di memoria sono molteplici, fra cui

60 «La bibliografía específica dedicada a la memoria de la guerra y del franquismo, si la

comparamos con la que países como Francia, Italia o Alemania han generado sobre sus respectivas memorias nacionales de Vichy, del fascismo o del afortunado fracaso del Reich de los mil años, ha sido parca» (A. REIG TAPIA, La cruzada de 1936. Mito y memoria, Alianza, Madrid 2006, p. 19).

61 A. GUZMÁN,La memoria de la Guerra Civil en el teatro español: 1939-2009, p. 20. 62 A. GUZMÁN, La memoria de la Guerra Civil en el teatro español: 1939-2009 , p. 21. 63A. GUZMÁN, La memoria de la Guerra Civil en el teatro español: 1939-2009 , pp. 23-24.

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l’ordine non lineare degli eventi, la meta-teatralità, il monologo, la presenza sul palco dei morti, la soggettività del ricordo64.

È innegabile, dunque, che nel corso degli anni vi sia stata un’evoluzione, lenta e graduale, sia nel numero di opere teatrali che trattano il tema della guerra civile sia nel modo in cui tale tragico avvenimento viene ricordato. Questa trasformazione in ambito artistico-letterario è in linea con le vicende storico-politiche del Paese.

Come giustamente sottolineato da Paloma Aguilar Fernández, nello studio sulla memoria della Guerra civile, il soggetto depositario del ricordo è collettivo, ma ciò non significa necessariamente che le memorie individuali relative a quanto accaduto siano le stesse:

Ciertamente, la memoria individual y la memoria colectiva coexisten y, si bien no siempre coinciden, lo importante para la estabilidad de un régimen es que no entren en graves contradicciones. Las diferencias entre lo que uno ha vivido y la memoria oficial, que suele ser la dominante en los medios de comunicación, en los discursos, y a veces también en la literatura, en el cine, e incluso en la arquitectura […], no han de diferir, hasta el extremo de no poder coexistir, si se quiere lograr una cierta estabilidad política. […] Tras la Guerra Civil, España ha de enfrentarse a un panorama de memorias divididas. Buena parte de la memoria de los vencidos ya no reside en nuestro país, sino en el exilio, y las que permanecen están silenciadas por la represión y la censura; en realidad no existen más que a nivel familiar, y no siempre, debido al miedo. […] Los esfuerzos de socialización política a través del discurso oficial son evidentes. Se trata de imponer una visión maniquea del pasado […]65.

Queste memorie divise, dunque, rappresentavano un grave pericolo per il regime, che cercò di affermare una “visione ufficiale” del recente passato nazionale. Aguilar Fernández sostiene che l’azione propagandistica si muoveva essenzialmente in due direzioni: presentare la guerra come il risultato inevitabile e necessario di una situazione critica che non prospettava altre vie d’uscita e legittimare la dittatura, in quanto unico strumento in grado di garantire stabilità al Paese66. Qualsiasi altra versione alternativa e discordante con quella ufficiale era sottoposta a una ferrea censura.

La cultura, da intendersi lato sensu come generatrice di informazione, arte, letteratura e depositaria della memoria storica di un Paese, viene attentamente

64 Come è già stato messo in risalto, questo tipo di memoria è presente in molti testi di Ripoll,

fra cui Los niños perdidos, e sarà una delle principali caratteristiche del teatro della memoria.

65 P. AGUILAR FERNÁNDEZ, Memoria y olvido de la Guerra Civil española, Alianza

Editorial, Madrid 1996, p. 26.

66 P. AGUILAR FERNÁNDEZ, Memoria y olvido de la Guerra Civil española, p. 64. Per un

approfondimento sui principali strumenti propagandistici di cui si serviva il regime si rimanda al capitolo del libro Fuentes de socialización política, pp. 86-136.

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supervisionata nei regimi totalitari e spesso impiegata come strumento di legittimazione del potere e di affermazione di un’ideologia. Negli anni della dittatura franchista, solo pochi autori vennero autorizzati a scrivere la versione ufficiale del conflitto civile e della storia recente: la presenza di voci dissidenti poteva mettere a repentaglio la stabilità dell’ordine costituito, perciò il regime non esitò a mettere a tacere o ad allontanare chiunque tentasse di diffondere una visione alternativa del passato67. Il teatro non fu esente da tale situazione, al contrario, si rivelò uno degli ambiti maggiormente colpiti. Il 15 luglio del 1939 venne stabilita “la censura oficial en las obras, teatrales, líricas y partituras musicales”68. La Guerra civile divenne un

argomento difficile da trattare, anche e soprattutto in teatro. Infatti, una tematica di per sé già così violenta, non poteva che amplificare il proprio impatto sul pubblico se presentata sul palcoscenico. Fu così che,

Las dramatizaciones de la Guerra civil durante la dictadura franquista sufrieron los reiterados golpes de la censura, que las juzgaba a varios niveles: textual y espectacular por un lado, ideológico (o temático) por el otro. Además, siendo el asunto tan reciente y sufrido, tanto los autores, como el público, no tenían gana de reflexionar sobre ello, hecho que llevó, además, al problema de la autocensura por parte de los dramaturgos69.

La censura del regime e quella che gli stessi drammaturghi si autoimposero, per la vicinanza cronologica ed emotiva agli avvenimenti, incisero pesantemente sulla produzione teatrale dell’epoca. Come messo in luce da César Oliva, se la scena spagnola durante i primi tre decenni del XX secolo era caratterizzata da varietà di generi e contenuti, la situazione cambiò drasticamente dopo la fine del conflitto70. Uno dei generi maggiormente rappresentati in questo periodo fu la commedia di intrattenimento e di evasione, particolarmente adatta alle circostanze del momento, in quanto portava in scena temi e personaggi “innocui” e non aveva altro intento se non quello di divertire71. Ad ogni modo, Oliva precisa che il regime non riuscì nell’intento di creazione di un teatro propriamente fascista, perciò furono sostanzialmente tre i generi che propose sulle scene: drammi storici, scelti

67 M. FOX, “El recuerdo de la Guerra Civil en el teatro español del siglo XXI”, in J. ROMERA

CASTILLO (ed.), Tendencias escénicas al inicio del siglo XXI, Visor Libros, Madrid 2005, p. 551.

68 C. OLIVA, Teatro español del siglo XX, Editorial Síntesis, Madrid 2002, p. 142. 69 M. FOX,“El recuerdo de la Guerra Civil en el teatro español del siglo XXI”, p. 551. 70 C. OLIVA,Teatro español del siglo XX, p. 138.

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accuratamente al fine di inculcare la nuova ideologia; repliche di titoli particolarmente significativi per l’epoca e, infine, opere della tradizione classica72.

Nonostante il clima repressivo, vi furono anche autori che, seppur in modo indiretto, diedero vita a forme teatrali che si discostavano dall’ideologia imperante, come ad esempio Antonio Buero Vallejo, Alfonso Sastre, Lauro Olmo per citare solo alcuni nomi. Questi drammaturghi gettarono le basi per la creazione della cosiddetta

generación realista, caratterizzata da anticonformismo e spirito critico. Il nome di

questo gruppo di autori deriva dalla volontà di criticare il teatro evasivo del dopoguerra per portare in scena la realtà della vita quotidiana73. Come è facilmente intuibile, tuttavia, anche i drammaturghi di questa corrente dovettero fare i conti con la censura, che intervenne sui loro testi con tagli, modifiche e veti.

Un altro tipo di teatro alternativo all’ideologia franchista fu quello praticato dagli autori costretti all’esilio in Sudamerica. Si tratta di un teatro “a caballo entre el recuerdo, el sueño y la realidad”74, frutto delle più svariate vicissitudini personali di

questi drammaturghi. Ne deriva una estrema varietà di tecniche e stili, anche se il continuo riferimento alla Spagna, la terra abbandonata, è il filo comune di questa produzione teatrale. Dunque, come ben riassumono le parole di Floeck,

Sólo en el teatro del exilio fue posible configurar el pasado reciente desde una perspectiva distinta […]. En la España franquista los dramaturgos tuvieron que buscar metodos y trucos ingeniosos para realizar un «teatro posible» y engañar la censura o contentarse con escribir un «teatro imposible» o un «teatro silenciado» destinado únicamente a los cajones75.

La fine della dittatura (1975), e la successiva epoca della Transizione, non modificarono in maniera radicale la situazione in quanto la politica perseverò

72 C. OLIVA, Teatro español del siglo XX, p. 140. Lo studioso cita fra i drammi storici,

caratterizzati da un forte spirito patriottico, La Santa Hermandad (1933) di Eduardo Marquina,

Santa Isabel de España (1933) di Mariano Tomás e La Santa Virreina (1939) di José María

Pemán, e fra le repliche El divino impaciente (1933) dello stesso Pemán e Teresa de Jesús (1933) di Marquina. Sottolinea inoltre che il recupero dei classici giocò un ruolo fondamentale nel panorama teatrale del dopoguerra. Il riferimento alle passate epoche gloriose, con i loro eroi nazionali, venne riadattato alle esigenze del regime per giustificare ed esaltare la “cruzada gloriosa”.

73 Cfr “Drama realista frente a la comedia”, in C. OLIVA, Teatro español del siglo XX, pp.

171-217. Lo scrittore precisa che «la generación realista quedó como un gesto, una intención de ruptura de todo lo que era aquel teatro español» e che il suo scopo «fue contestar realmente, más que realistamente, lo que veían en los escenarios».

74 C. OLIVA, Teatro español del siglo XX, p. 164.

75 W. FLOECK, “Del drama histórico al teatro de la memoria. Lucha contra el olvido y

búsqueda de identidad en el teatro español reciente”, in J. ROMERA CASTILLO (ed.),Teatro y música en los inicios del siglo XXI, Editorial Verbum, Madrid, 2016, p. 187.

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