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CAPITOLO 1 IL LAVORO MINORILE. QUADRO GENERALE

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CAPITOLO 1

IL LAVORO MINORILE. QUADRO GENERALE

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1.1. Dati fondamentali sul lavoro minorile

Quantificare con precisione il lavoro minorile nel mondo è assai difficile, a causa della naturale tendenza di questo fenomeno a rimanere nell’ombra.

In mancanza di cifre esatte, l’OIL1 (Organizzazione Internazionale del Lavoro) stima che siano

coinvolti nel fenomeno circa 218 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni. Di questi circa 126 milioni sono impiegati in forme di lavoro pericoloso per il loro sviluppo psico-fisico.

Considerando la fascia d’età compresa tra i 5 e i 14 anni (più utile a tenere conto dei bambini lavoratori in età di scuola dell’obbligo) sono circa 191 milioni i bambini che lavorano nel mondo. Il settore agricolo continua a essere quello con la maggior presenza di piccoli lavoratori (69%), nell’industria la quota si attesta al 9% e nei servizi al 22%. La regione Asia/Pacifico è quella con il più alto numero di bambini lavoratori con oltre 122 milioni di minori che lavorano. Questi costituiscono il 20% del totale dei bambini asiatici della stessa età.

Nell’Africa subsahariana i bambini lavoratori sono 49,3 milioni. È la regione con la più alta incidenza di minori impiegati in rapporto al totale dei bambini. Nell’area America latina e Caraibi sono 5,7 milioni e costituiscono il 5% della popolazione infantile regionale. Nelle restanti regioni (un gruppo eterogeneo in cui sono compresi i paesi industrializzati e i paesi con economie in transizione, il Medio Oriente e il Nord Africa) sono 13,4 i milioni di bambini impiegati precocemente. L’OIL, fornendo queste stime relative al 2004, registra come si sia verificata una importante diminuzione (del10%) rispetto alle stime del 2000. I maggiori progressi si registrano nella regione America latina e Caraibi, dove il numero di minori che lavorano è diminuito di due terzi negli ultimi quattro anni. I progressi più lenti si registrano in Africa subsahariana, dove la piaga del lavoro minorile rimane a livelli allarmanti.

A causa dell’assenza di dati certi, non ci sono nuove stime in riferimento ai paesi industrializzati. Nel 2000 si stimavano in 2,5 milioni i minori al di sotto dei 15 anni impiegati nel lavoro minorile nei paesi industrializzati.

QUADRO 1

MINORI LAVORATORI SUL TOTALE DELLA POPOLAZIONE (%)

REGIONI POPOLAZIONE TOTALE (mil.di) POPOLAZONE DI MINORI CHE LAVORANO (milioni) MINORI LAVORATORI SULLA POPOL. TOTALE (%) Asia e Pacifico 3.902.404.193 122.300.000 31,17 Africa subsahariana 770.300.000 49.300.000 6,4

America Latina e Caraibi 569.133.474 5.700.000 1,1

Altre regioni 1.358.162.333 13.400.000 61,3

Totale 6.600.000.000 190.700.000 100

FONTE: DATA AND STATISTICS, UNICEF, 2007

Come si deduce dai dati del Quadro 1, la percentuale maggiore rimane nella regione dell’Asia e Pacifico, ma la percentuale dell’America Latina e Carabi risulta consistente considerando la minori popolazione rispetto a quella della regione precedente, per cui il fenomeno del lavoro infantile

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sembra avere ampia diffusione nella regione Latinoamericana.

In America Latina e Carabi2, area nella quale rientra il Perù, paese analizzato nella presente

tesi, con 5,7 milioni di minori lavoratori, significa che la proporzione di questi ultimi è approssimativamente di 5 minori ogni 100.

In diversi paesi dell'America Latina il tempo dedicato ai lavori domestici è molto significativo, specialmente per le femmine durante la giornata.

La maggior parte dei minori lavoratori presenti in America Latina di età compresa tra i 5 ed i 14 anni sono concentrati nel settore agricolo, seguito dal settore dei servizi. Parte dei minori coinvolti nel settore dei servizi lavorano nel settore informale, di solito senza paga- lavorano a beneficio delle loro famiglie o semplicemente per avere un posto dove dormire- e non hanno nessuna protezione da parte dei loro datori di lavoro.

Le cifre relative al fenomeno del lavoro minorile, come è noto, sono discordanti, per l'estrema difficoltà di rinvenire dati omogenei e completi, ascrivibile anche alla diffusa presenza del lavoro dei minori nell'ambito della cosiddetta economia “sommersa” o informale.

Non si può infine trascurare il fatto che il termine “lavoro minorile” comprende un insieme eterogeneo di attività: sotto tale definizione sono stati infatti inquadrati, soprattutto dai dati forniti dall'OIL, diversi fenomeni, che vanno dalle attività domestiche e di cura (o comunque svolte in un contesto familiare), al lavoro esterno o forzato, sino all'impiego di minori in attività illecite o allo sfruttamento sessuale degli stessi nella prostituzione o nell'industria pornografica.

1.2. Definizione di lavoro minorile e le tre posizioni di fronte al lavoro minorile

La definizione di lavoro “minorile” o “infantile e adolescenziale” valida a livello internazionale, e che viene adottata nella presente tesi, fa riferimento alla Convenzione n. 138 dell'OIL3 che

raccomanda “un'età minima lavorativa che non deve essere inferiore all'età stabilita per completare la scuola dell'obbligo, e comunque non inferiore a 15 anni”.

Nel dibattito internazionale viene utilizzata la distinzione tra child labour e child work: la prima espressione indica il lavoro sfruttato, svolto solitamente all'esterno del nucleo familiare con modalità tali da impedire la frequenza scolastica e caratterizzato da basso salario e mansioni pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo psicofisico del minore; la seconda invece si riferisce a lavori non lesivi, realizzati dal bambino per la propria famiglia, non impeditivi in genere della frequenza scolastica.

Un elemento da sottolineare è l'emergere di tre diverse opzioni metodologiche che caratterizzano il dibattito a livello internazionale:

1. l'approccio abolizionista perseguito dall'OIL che mira allo sradicamento del lavoro minorile; 2. l'approccio pragmatico, che riconoscendo la realtà del lavoro minorile e la difficoltà di

eliminarlo - almeno in una prospettiva del breve periodo - valuta come possibili, interventi che, non escludendo a priori il fatto che un bambino possa lavorare, mirano a raggiungere almeno un miglioramento delle condizioni in cui l'attività lavorativa viene espletata, con l'eliminazione delle forme peggiori di sfruttamento (prospettiva sostenuta, tra gli altri da UNICEF, così come da numerose ONG);

2Lavoro minorile in America Latina e Caraibi, in “Programma per la promozione della Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro”, International Labour Office, Ginevra 2006.

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3. l'approccio della valorizzazione critica che non giudica il lavoro minorile come dannoso “in sé” né lo ritiene un fenomeno sempre e comunque da stigmatizzare, ma ne sottolinea anche una possibile valenza positiva nello sviluppo personale del minore ed in relazione al suo coinvolgimento nella vita della comunità di appartenenza, quale componente importante dei processi di socializzazione e quale risposta razionale alle possibilità limitate di cui le famiglie e i bambini dispongono in molti contesti, in particolare in molti Paesi in via di sviluppo (Pvs).

Questo approccio non giustifica lo sfruttamento, ma in primo luogo valorizza i bambini lavoratori perché potenziali attori di critica agli ingiusti meccanismi sociali che costituiscono per lo sfruttamento stesso un fertile terreno.

In questo senso, e superando un approccio al fenomeno che spesso risente di un'impostazione “eurocentrica” che si scontra con la realtà dei Paesi del Sud del mondo, i fautori della valorizzazione critica evidenziano il significato positivo che il lavoro può assumere per il minore, quale strumento non solo per fornire alla propria famiglia un sostegno, ma anche per raggiungere un'autostima utile per la costruzione dell'identità del soggetto.

I sostenitori di un simile indirizzo si pongono in modo critico non solo nei confronti della rappresentazione “tradizionale” del bambino quale emerge dai principali documenti internazionali, ma anche dalla stessa visione adultocentrica di cui essa appare espressione. Viene giudicato indispensabile il coordinamento di azioni concrete e della stessa legislazione internazionale con i bambini lavoratori, valorizzandone le concrete esperienze e la percezione che essi hanno della loro situazione e appoggiandone altresì l'associazionismo auto-organizzato, anche per evitare che la concreta attuazione o implementazione di iniziative legislative possa produrre conseguenze negative non preventivate.

In una simile prospettiva, si sostiene la necessità che le organizzazioni dei bambini e adolescenti lavoratori (NATs - Niños y Adolescentes Trabajadores) acquisiscano considerazione e visibilità quali attori emergenti e protagonisti del dibattito internazionale. L'esperienza dei NATs valorizza, infatti, un processo di rivendicazione sociale e di partecipazione “dal basso”, rispetto al quale il lavoro appare come una forma di coinvolgimento nella vita sociale ed economica della propria comunità e come uno strumento di costruzione di identità sociale.

Questi movimenti, gestiti e diretti dagli stessi NATs, consentono ai bambini di riflettere sulla propria esperienza di lavoratori, di scambiarsi opinioni, di decidere quali rivendicazioni portare avanti attraverso la pratica collettiva e le esperienze di cooperazione e solidarietà. Inoltre, la ormai dimensione internazionale di tali movimenti, con i legami consolidati tra i NATs dell'America Latina e le analoghe organizzazioni africane e indiane, ha permesso alle proposte da essi formulate di acquisire un respiro globale e agli stessi di presentarsi come validi interlocutori rispetto ai rappresentanti delle organizzazioni internazionali che elaborano politiche e interventi normativi riguardanti il lavoro dei minori.

Sebbene anche molte organizzazioni internazionali4 riconoscano oggi l'importanza di questi

4 la Convenzione n.182 dell'OIL auspica che i programmi d'azione da essa previsti siano definiti e attuati anche consultandosi con le organizzazioni dei lavoratori interessati, ove esistano.

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movimenti, in realtà essi sono tuttavia ancora poco ascoltati, trascurando così l'utile apporto di idee e esperienze che potrebbero giovare al legislatore, non solo internazionale, ma anche interno, nell'attuazione di nuove strategie per un approccio diverso al fenomeno del lavoro dei minori, più realista e consapevole del concreto contesto socio-economico su cui si vuole incidere con gli strumenti normativi o con i diversi programmi d'azione.

1.3. La normativa a livello internazionale

La Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989.5

Il testo fondamentale in materia è la Convenzione6 sui Diritti dell’Infanzia e

dell’Adolescenza, (CRC, Convention on the Rights of the Child), approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel Novembre 1989 ed entrata in vigore il 2 novembre 1990.

Con questa convenzione i diritti del fanciullo7 assumono una nuova veste più ampia in quanto

vengono riconosciuti i diritti economici, sociali e culturali. Per la prima volta, dunque, le Nazioni Unite si soffermano sul minore non solo come soggetto passivo di una protezione riconosciutagli a livello internazionale, ma come un soggetto attivo che agisce all'interno della società.

Di particolare importanza è l'art. 32 contro lo sfruttamento economico e contro il lavoro che lede la salute e l’educazione dei minori, che enuncia: “Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento del lavoro economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”.

Per attuare gli scopi e gli impegni previsti, vengono delineate diverse tipologie di misure: legislative, amministrative, sociali ed educative, nel presupposto che una sinergia di interventi in settori differenti ma interdipendenti sia necessaria per il raggiungimento di risultati soddisfacenti.

Ancora una volta, dunque, a livello internazionale si formula la considerazione che solo una politica globale a favore dell'infanzia possa effettivamente assicurare la garanzia dei diritti dei minori in genere.

La Convenzione, in particolare, chiede agli Stati l'utilizzo di almeno tre strumenti minimi di tutela: 1. la fissazione di un'età minima di ammissione al lavoro;

2. la regolamentazione adeguata all'orario di lavoro e delle condizioni di impiego;

3. la previsione di appropriate sanzioni per garantire che la Convenzione venga applicata a tutela del diritto del fanciullo di essere preservato dallo sfruttamento economico.

Poiché la Convenzione incide sui diritti economici, sociali e culturali, essa rimette ai singoli stati che vi aderiscano la scelta delle misure da adottare in sua applicazione, in base alle risorse nazionali disponibili. A causa della sua portata universale, la piena e concreta attuazione dei principi in essa contenuti è da taluni contestata, dati i diversi contesti economici, sociali e culturali di ogni paese.

La Convenzione è a tutti gli effetti un documento completo in materia, occupandosi di previdenza e sicurezza sociale, sfruttamento economico, orario e condizioni lavorative. Inoltre, non

5Allegato I, A.

6 Amsterdam Child Labour Conference, 86 Session, Targeting the Intolerable, Geneva 1998.

7 Secondo la definizione della Convenzione sono "bambini" (il termine inglese "children", in realtà, andrebbe tradotto in "bambini e adolescenti") gli individui di età inferiore ai 18 anni (art. 1), Allegato I, A

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omette di menzionare l'interesse superiore del fanciullo e lo stretto legame tra il suo benessere e i diritti e doveri dei genitori.

In quanto dotata di valenza obbligatoria e vincolante, obbliga gli Stati che l'hanno ratificata a uniformare le norme di diritto interno a quelle stabilite dalla Convenzione e ad attuare tutti i provvedimenti necessari ad assistere i genitori e le istituzioni nell'adempimento dei loro obblighi nei confronti dei minori.

Di fondamentale importanza è il meccanismo di monitoraggio previsto dall'art. 44: tutti gli Stati sono infatti sottoposti all'obbligo di presentare al Comitato dei Diritti dell'Infanzia un rapporto periodico (a 2 anni dalla ratifica e, in seguito, ogni 5 anni) sull'attuazione, nel loro rispettivo territorio, dei diritti previsti dalla Convenzione.

La Convenzione sollecita i Governi ad impegnarsi per rendere i diritti enunciati prioritari e per assicurarli nella misura massima consentita dalle risorse disponibili.

Le Convenzioni dell'OIL8

L'Organizzazione Internazionale del Lavoro, fin dalla sua nascita nel 1919, ha svolto un ruolo di rilievo nella lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile: d'altra parte, già nella sua Costituzione è affermato solennemente l'impegno a proteggere l'infanzia, riconoscendo tale obiettivo come essenziale al perseguimento della giustizia sociale e della pace universale.

L'evoluzione delle politiche dell'OIL in materia di lavoro di minori si può suddividere in tre fasi, caratterizzate da un progressivo sviluppo ed ampliamento degli strumenti e delle strategie d'azione:

1. fino alla seconda metà degli anni Sessanta, l'Organizzazione opera mediante la predisposizione di testi di convenzioni e raccomandazioni, con l'obiettivo di incidere sulla regolamentazione del lavoro minorile a opera degli Stati membri, tramite l'individuazione dei principi e delle regole minime di protezione, in grado di costituire modello e stimolo per gli ordinamenti nazionali.

2. a partire dagli anni Ottanta: il lavoro dei minori diventa uno dei temi centrali del rapporto del Direttore generale alla Conferenza internazionale del lavoro e, allo stesso tempo, si inizia a riconoscere il ruolo importante e sempre più incisivo giocato dalle attività dirette alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica e dei Governi.

3. dagli anni Novanta con la creazione, nel 1992, del Programma internazionale per l'eliminazione del lavoro minorile (IPEC).

8 L’OIL, con sede a Ginevra, è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che persegue la promozione della giustizia sociale e il riconoscimento universale dei diritti umani nel lavoro.

L’OIL formula, sotto forma di Convenzioni e di Raccomandazioni, le norme internazionali in materia di lavoro.

Nel sistema delle Nazioni Unite è l’unica organizzazione a struttura tripartita : lavoratori, imprenditori e governi vi sono rappresentati con pari dignità negli organismi esecutivi.

La Costituzione dell’OIL fa parte dei trattati di pace della Conferenza di Versailles, alla fine della Prima Guerra Mondiale ; la prima Conferenza internazionale del lavoro si tiene a Washington nell’ottobre del 1919.

Gli anni tra la Prima e la Seconda guerra mondiale sono per l’OIL di intensa attività normativa: vengono adottate ben 67 Convenzioni e 66 Raccomandazioni, soprattutto in materia di condizioni e di orari di lavoro.

Obiettivi e finalità dell’organizzazione vengono confermati e nuovamente definiti nel 1944 quando la Costituzione originaria è affiancata dalla cosiddetta Dichiarazione di Filadelfia.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’iniziativa dell’OIL si caratterizza per il lancio dei programmi di cooperazione tecnica e per un deciso impulso alla promozione dei diritti umani, che culmina nella Dichiarazione sui principi e diritti fondamentali nel lavoro (1998).

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La Convenzione n. 138 del 1973 sull’età minimia ammissione al lavoro9.

L'OIL rappresenta il punto di riferimento, e il promotore delle azioni promosse a livello internazionale sul lavoro minorile. Esso in particolare promuove e segue la redazione di documenti internazionali che, aperti alla firma degli Stati, individuino specifici standard minimi di protezione, diversi a seconda del settore dell'economia considerato.

Dagli inizi del secolo scorso si sono susseguiti molteplici trattati con contenuti molto specifici, in particolare dedicati all'età minima di ammissione al lavoro.10 Successivamente, è nata l'esigenza

di adottare un atto generale che stabilisca un'età professionale valida a prescindere dall'attività esercitata. Questa necessità si è concretizzata nella Convenzione n. 138 del 1973, unitamente alla Raccomandazione n. 14611, che costituisce ancora oggi il riferimento fondamentale. Essa infatti

non solo ha sostituito la maggior parte delle convenzioni precedenti, ma ha esplicitato l'obiettivo dell'eliminazione totale del lavoro minorile, impegnando gli Stati aderenti a perseguire delle politiche nazionali dirette ad assicurarne l'effettiva abolizione.

Tale strumento normativo prevede che l'età minima per l'ammissione all'impiego o al lavoro non possa essere inferiore all'età prevista per il completamento della scuola dell'obbligo, e in ogni caso, che non debba essere inferiore ai 15 anni.

In Paesi in cui le economie e le istituzioni non siano sufficientemente sviluppate è consentito, in deroga alle previsioni richiamate, di fissare l'età minima di ammissione al lavoro a 14 anni, previa consultazione con le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori.

Il limite dei 15 anni di cui si è detto, è elevato a 18 anni in relazione a qualsiasi tipo di impiego o lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui è svolto, possa danneggiare la salute, l'incolumità o la morale dei giovani.

Infine, la Convenzione prevede che le leggi e i regolamenti nazionali possano consentire l'impiego, in lavori leggeri, di minori di età compresa tra i 13 ed i 15 anni, a condizione che tali lavori non siano pericolosi per la salute e la crescita e non pregiudichino la frequenza alla scuola, la capacità di apprendimento o la partecipazione a corsi di orientamento professionale.

La Convenzione permette inoltre ai Paesi in via di sviluppo di limitarne inizialmente l'ambito di applicazione, ma indica alcuni settori per i quali la Convenzione deve essere applicata (industrie estrattive e manifatturiere, edilizia e lavori pubblici, elettricità, gas e acqua, servizi sanitari, trasporti, magazzini e comunicazioni, piantagioni e altre aziende agricole sfruttate per scopi commerciali); da tale elenco sono però escluse le aziende familiari di piccole dimensioni che producono per il mercato locale e non impiegano regolarmente lavoratori salariati.

Nonostante il tentativo di riservare una certa attenzione alle concrete realtà socio-economiche dei Paesi membri dell'OIL, prevedendo i margini di flessibilità nell'applicazione di cui si è detto, la

9 Allegato I, B.

10 Le convenzioni OIL, pur facendo parte di un organico sistema di protezione dei minori lavoratori e pur sottintendendo lo stesso scopo, sono frazionabili in tre gruppi. Il primo determina l'età minima di avviamento al lavoro in funzione dei diversi settori produttivi e delle specifiche attività cui i minori possano essere impiegati. In tale gruppo rientrano convenzioni quali per esempio la Conv. n. 5 del 1919 sull'età minima per l'assunzione nell'industria. Il secondo gruppo ha come oggetto comuni limitazioni: dalla riduzione dell'orario lavorativo alle mansioni cui i minori possono essere adibiti. Rientrano la Conv. n.6 e la n. 79 che definiscono i lavori nel settore industriale e non industriale cui i minori possono essere addetti. Nel terzo gruppo rientrano qui documenti che si occupano della protezione dei minori da avviare al lavoro attraverso la previsione di visite mediche che accertino l'idoneità fisica e mentale alla specifica attività lavorativa. Tra le convenzioni, vi è la n.77 del 1946 per i settori industriali.

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Convenzione per lungo tempo ha raccolto pochissime ratifiche: solo 34 fino al l'entrata in vigore dell'IPEC nel 1992. Attualmente gli Stati che hanno ratificato la Convenzione sono 150. Tra questi vi sono il Perù, dal 13 novembre 2002, e l'Italia dal 28 luglio 1981.

Il testo della Convenzione n. 138 non lascia dubbi quanto ad un approccio “abolizionista”, infatti, obiettivo dichiarato è la “totale abolizione del lavoro minorile”; opzione che però finisce per produrre degli effetti controproducenti: se da un punto di vista legale i minori al lavoro al di sotto di un certo limite di età non debbono esistere, ciò comporta che tali minori, ove di fatto lavorino, si vedano confinare in una clandestinità che preclude loro ogni rete protettiva.

Paradossalmente, l'approccio rigorosamente abolizionista finisce per escludere e criminalizzare il minore: in nome della protezione contro lo sfruttamento, l'accesso del minore al lavoro “legale” viene impedito o limitato, e il risultato che si ottiene è quello di spingere, in molti casi, il minore a un lavoro clandestino, senza diritti, senza regole e senza alcuna protezione sociale.

La Convenzione N. 182 del 1999 contro le forme più intollerabili di sfruttamento12.

La Convenzione n. 182 dell'OIL relativa alla proibizione delle forme più gravi e intollerabili di sfruttamento del lavoro minorile e all'azione immediata per la loro eliminazione è stata adottata dalla Conferenza dell'OIL, svoltasi a Ginevra nel giugno 1999, ed è entrata in vigore il 19 novembre 2000.

Il nuovo strumento adottato dall'OIL si compone di sedici articoli, di cui i primi otto regolano gli aspetti sostanziali della materia considerata, mentre i successivi dettano regole procedurali relative alle modalità di ratifica, all'entrata in vigore, alla denuncia e alla revisione della Convenzione. Nell'individuare l'ambito dei soggetti tutelati, il testo convenzionale specifica che ai propri fini il termine “bambino” (child nel testo inglese) è riferibile a ogni soggetto minore di 18 anni, facendo propria la nozione a suo tempo già adottata dalla Convenzione della Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 e delimitando così con chiarezza l'ambito di applicazione delle disposizioni.

Nucleo centrale della presente Convenzione è l'individuazione delle “forme peggiori di lavoro minorile” che sono definite all'art.3:

tutte le forme di schiavitù o a essa assimilabili, quali la vendita o la tratta di minori, la servitù per debiti, il lavoro forzato od obbligatorio, incluso l'arruolamento nei conflitti armati (lett.a); l'impiego, l'ingaggio o l'offerta di minori ai fini di prostituzione o per la produzione di materiale pornografico o di spettacoli pornografici (lett.b);

a fini di attività illecite, quali, in particolare, la produzione e il traffico di droga (lett. c);

qualsiasi tipo di lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui si svolge, rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore (lett. d).

Nell’articolo 4 la Convenzione rimette alle leggi nazionali (o a disposizioni comunque emanate da autorità competenti interne dei singoli Paesi), previa consultazione delle organizzazioni dei datori e dei lavoratori interessati, l'individuazione delle tipologie di lavoro da inquadrare nel divieto, tenendo conto degli standard internazionali e di quanto previsto nei paragrafi 3 e 4 della Raccomandazione dell'OIL n. 190, approvata unitamente alla Convenzione: tale Raccomandazione suggerisce che, nell'individuare i lavori soggetti al divieto di cui all'art.3, lett.d, si considerino le tipologie che vengono indicate quali: lavoro che esponga i bambini ad abusi

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fisici, psicologici o sessuali, lavoro svolto in ambiente insalubre, lavoro svolto in condizioni di particolare penosità.

Successivamente, all'art. 6 la Convenzione individua nel metodo della concertazione trilaterale tra istituzioni governative, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali lo strumento più opportuno per progettare e implementare programmi d'azione diretti a eliminare in via prioritaria le più gravi forme di sfruttamento. Si stabilisce, in aggiunta, che tali programmi siano definiti e attuati non solo sulla base di una consultazione con le istituzioni pubbliche e con le organizzazioni dei lavoratori o dei datori di lavoro, ma anche tenendo conto all'occorrenza, delle opinioni di altri gruppi interessati, riconoscendo in questo modo il ruolo della società civile.

Agli Stati parte si chiede l'impegno non solo a stabilire sanzioni (penali o di altra natura) per garantire l'effettività delle previsioni convenzionali, ma, in una diversa ottica, preventiva e riabilitativa, anche l'impegno ad adottare misure effettive per prevenire l'impiego di bambini nelle forme di sfruttamento individuate come intollerabili, a rimuovere gli stessi da tale attività e a promuovere la riabilitazione e l'integrazione sociale. E' altresì richiesto, all'art. 7, ai Paesi parte di garantire l'accesso all'istruzione di base gratuita e, ove sia possibile e opportuno, alla formazione professionale a tutti i minori sottratti alle forme peggiori di lavoro considerate, riservando una specifica e particolare attenzione alla situazione delle bambine.

Se da un lato la Convenzione n. 182 può considerarsi una convenzione di codificazione, nella misura in cui contempla fattispecie che paiono essere già vietate dal diritto internazionale consuetudinario, dall'altro essa assume comunque un significato importante dal momento che istituzionalizza il ruolo giocato dalla società civile (e dunque anche dalle stesse organizzazioni dei minori lavoratori) nella lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile, anche se poi è necessario verificare il loro reale coinvolgimento.

Il Programma Internazionale per l'eliminazione del lavoro minorile

L'azione dell'OIL nella lotta contro il lavoro minorile ha subito un nuovo impulso a seguito della creazione, nel 1992, del Programma Internazionale per l'eliminazione del lavoro minorile (IPEC), che si prefigge di eliminare gradualmente il fenomeno del lavoro minorile, accanto alle azioni immediate richieste dalla Convenzione n.182 per l'eliminazione dello sfruttamento, rafforzando la capacità dei Paesi di far fronte al problema e promuovere un vasto movimento internazionale di sostegno a tale azione.

Soggetti prioritari dell'intervento sono i bambini lavoratori in condizioni di schiavitù, in condizioni pericolose, particolarmente vulnerabili, con una specifica attenzione per le bambine lavoratrici.

Gli orientamenti operativi attorno ai quali ruota il Programma sono l'educazione, il potenziamento della legislazione di tutela, l'intervento diretto sul campo e la mobilitazione sociale. Sulla base del presupposto che il fenomeno, vasto e complesso, possa essere risolto nel lungo periodo solamente all'interno dei paesi stessi, l'IPEC si adopera per sostenere gli sforzi nazionali, per dare priorità all'eliminazione delle forme di lavoro più pericolose e intollerabili e per insistere sull'adozione di misure di prevenzione.

Gli Stati che hanno adottato il Programma promuovono una serie di attività che costituiscono la strategia operativa dell'IPEC:

1. analisi obiettiva della situazione nazionale per scoprire la natura e la vastità del problema, 2. individuazione delle politiche nazionali per combattere il fenomeno;

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3. potenziamento delle attuali e creazione di nuove strutture istituzionali;

4. divulgazione della presenza significativa del lavoro minorile nella comunità e nei luoghi di lavoro;

5. promozione e miglioramento delle legislazioni protettive.

Per il raggiungimento degli obiettivi dell'IPEC è indispensabile un'attività di concertazioni tra governi e parti sociali, ONG, scuole e università. In particolare, la cooperazione con i datori di lavoro è essenziale, perchè essi, a titolo individuale o come associazioni di categoria, dovranno realizzare i progetti concreti per reprimere il lavoro minorile.

1.4. Dichiarazioni Internazionali dei Movimenti di bambini e adolescenti lavoratori

13

Le Convenzioni dell'OIL e delle Nazioni Unite sono molto importanti, anche a livello internazionale, per quanto riguarda l'impegno nello sradicare qualsiasi forma di sfruttamento dei minori. In alcune, come per esempio la Convenzione n. 182 dell'OIL, ribadiscono la necessità di coinvolgere la società civili e le organizzazioni di minori lavoratori nella definizione degli interventi per la lotta allo sfruttamento.

Nella realtà, però, questo coinvolgimento non risulta essere così facilmente applicato e l'opinione dei bambini lavoratori organizzati non viene presa in considerazione. Non viene prestata la giusta attenzione alla opinione dei diretti interessati relativamente al significato che essi attribuiscono al loro lavoro e relativamente alla questione delle forme intollerabili di lavoro in seguito alla Convenzione n. 182.

Nel corso degli anni, a partire dal 1996, i movimenti dei bambini e adolescenti lavoratori dell'America Latina, Africa e Asia si sono riuniti in Incontri Internazionali firmando loro Dichiarazioni attraverso le quali ribadiscono l'importanza della loro partecipazione e del loro coinvolgimento nella presa delle decisioni relative alla questione del lavoro minorile e il riconoscimento e rispetto delle loro organizzazioni.

Dichiarazione di Kundapur, primo incontro internazionale di NATs.

Nel 1996, a Kundapur in India, 34 delegati NATs, rappresentanti 33 paesi di America Latina, Africa e Asia tennero il primo incontro a livello internazionale dei Movimenti NATs.

Il confronto e l'analisi delle loro esperienze portarono alla stesura di dieci punti che servirono come base per il protagonismo e la solidarietà internazionale dei NATs:

4. Noi vogliamo che vengano riconosciuti i nostri problemi, le nostre iniziative, le nostre proposte e i nostri processi di organizzazione.

5. Noi siamo contro il boicottaggio dei prodotti fabbricati dai bambini. 6. Noi vogliamo rispetto e sicurezza per il nostro lavoro.

7. Noi vogliamo un'educazione dai metodi adatti alla nostra situazione. 8. Noi vogliamo una formazione professionale idonea al nostro contesto. 9. Noi vogliamo avere accesso a buone condizioni sanitarie.

13 Allegato II.

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10. Noi vogliamo essere consultati per ogni decisione che ci riguarda, locale, nazionale ed internazionale.

11. Noi vogliamo che sia scatenata una lotta contro le ragioni che sono all'origine della nostra situazione e in primo luogo la povertà.

12. Noi vogliamo che ci siano attività più numerose nelle zone rurali, per far si che i bambini non siano obbligati ad andare in città.

13. Noi siamo contro lo sfruttamento del nostro lavoro, ma siamo favorevoli al lavoro dignitoso e con orari adatti alla nostra educazione ed al nostro svago.

I NATs ribadirono la necessità di un'azione concreta contro lo sfruttamento e la possibilità di svolgere un lavoro in condizioni degne. Con questo ultimo i NATS intendendo quelle forme lavorative che si svolgono con orari, salari e in luoghi adeguati e diano lo spazio necessario all’istruzione e al gioco. L’educazione rimane quindi alla base anche del percorso lavorativo e spesso è possibile proprio grazie al lavoro che i bambini stessi svolgono.

In aggiunta, richiesero il riconoscimento del loro ruolo e coinvolgimento relativamente al tema del lavoro minorile con la richiesta di far parte alle conferenze allo stesso titolo degli altri partecipanti (per esempio se vi sono presenti 20 ministri, ci dovranno essere 20 NATs).

Dichiarazione di Huampanì, Perù, Incontro Latinoamericano

Nel 1997 in Perù, a Huampanì distretto di Chaclacayo, Lima, si svolse il quinto incontro Latinoamericano dei Caraibi e il I Mundialito di NATs e venne approvata la Dichiarazione di Huampanì composta da dieci punti.

La Dichiarazione parte dalla considerazione delle seguenti premesse discusse dai NATs e dai collaboratori che li accompagnano:

riconoscimento che il lavoro minorile è una questione rilevante in tutto il mondo e che si ripercuote profondamente nella vita di ogni bambini e nella sua famiglia ed a livello e economica e sociale in generale;

l'esistenza di un dibattito in diversi spazi istituzionali, politici, professionali e sociali;

l'esperienza di organizzazioni sociali di bambini e adolescenti, che hanno realizzato anche diversi incontri a livello nazionale, continentale e internazionale, e di organismi governativi e non che operano nell'ambito del lavoro infantile;

la richiesta dei bambini e degli adolescenti di essere considerati come soggetti sociali e aventi il diritto di vivere una vita degna;

il problema che gli Stati non hanno adottato politiche sociali idonee alla realtà locale e la legislazione vigente, che incentiva politiche di taglio abolizionista, risulta ambigua e non ha preso in considerazione le opinioni dei bambini e adolescenti lavoratori manifestate nei loro incontri a diversi livelli

In conseguenza a quanto sopra descritto i NATs adottarono la dichiarazione finale nella quale rivendicarono il diritto a un lavoro degno e condannarono lo sfruttamento economico e l'abuso dei bambini. Inoltre richiesero il protagonismo di bambini e adolescenti e maggiori politiche educative che articolino educazione e lavoro e che prendano in considerazione la specificità del ruolo sociale dei NATs. Invocarono gli organismi internazionali e multilaterali affinché elaborino strumenti

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giuridici che considerino la complessa e diversa natura del lavoro infantile distinguendo lo sfruttamento della mano d'opera infantile dalle altre forme di lavoro che contribuiscono allo sviluppo integrale del NAT. Esigettero il riconoscimento e il rispetto del diritto di opinione e di associazione previsti dalla Convenzione Intenzionale dei Diritti del bambino, con il dovuto riconoscimento della personalità giuridica delle organizzazioni dei bambini, bambine ed adolescenti lavoratori.

Infine il decimo ed ultimo punto è di particolare importanza in quanto richiese l'inserimento dei NATs organizzati, nella discussioni riguardanti i loro problemi, all'interno dell'OIL in considerazione della sua struttura tripartita14

Dichiarazione di Dakar, secondo incontro internazionale di NATs.

Nel 1998 a Dakar, in Senegal, si svolse il secondo incontro internazionale tra i movimenti NATs di Africa, America Latina e Asia.

In questo incontro i NATs dibatterono sulla Convenzione n. 182 dell'OIL relativa alle “forme intollerabili” di lavoro dei bambini e dichiarano di essere contrari alla prostituzione, allo sfruttamento economico, alla schiavitù, ma ribadirono che per loro queste sono attività delittuose e non lavori. Per questo richiedono ai Dirigenti politici di effettuare anch’essi questa distinzione.

In aggiunta, i NATs chiesero all'OIL di poter partecipare alla prossima conferenza che l'Organizzazione avrebbe tenuto per poter esprimere la loro opinione sulla Convenzione n. 182 In ultimo i Nats dichiararono di non prendere parte alla Marcia Globale15 perché i loro promotori

non coinvolsero i NATs nella organizzazione e perché non possono marciare contro il loro lavoro.

Dichiarazione di Berlino, terzo incontro internazionale di NATs.

Nel 2004, a Berlino, Germania, si svolse il Secondo Incontro Mondiale dei NATs con l'obiettivo di rafforzare il Movimento Mondiale, creato dai Nats nell'Incontro del 2002 a Milano, di analizzare la situazione economica e politica dei minori lavoratori e di proporre e pianificare azioni per la dignità dei bambini lavoratori.

I NATs nella loro dichiarazione finale chiesero che le organizzazioni dei Diritti dell'Infanzia e del Lavoro, tra cui l'OIL e la “Marcia Globale”, riconsiderassero le loro politiche di sradicamento del lavoro minorile in generale. Questo perché secondo i NATs tali politiche non prendevano in considerazione le realtà dei bambini e degli adolescenti lavoratori e il fatto che non in tutti i casi il lavoro minorile significhi sfruttamento. Ribadirono ancora loro volontà di “discutere con dette organizzazioni affinché riconoscano il nostro diritto di proporre soluzioni ai nostri problemi così come la validità dei nostri processi di organizzativi

”.

Dichiarazione di Siena, quarto incontro mondiale di NATs.

Il quarto incontro Internazionale si svolse a Siena, Italia, nell'ottobre del 2006 a cui

14 I 3 istituti principali dell’OIL- Conferenza Internazionale del Lavoro, Consiglio di Amministrazione e Ufficio Internazionale del Lavoro- sono formati da una struttura tripartita (governi, datori di lavoro, lavoratori), caratteristica unica e distintiva dell’Organizzazione. I NATs chiedono di essere coinvolti in qualità di lavoratori.

15 Il 20 novembre 1997, Giornata internazionale dei Diritti del Fanciullo, viene lanciata la campagna internazionale sulla Marcia Globale contro il lavoro minorile e si tratta della mobilitazione più significativa del lavoro minorile.

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parteciparono i delegati dei NATs di America Latina, Africa e Asia.

L'obiettivo dell'Incontro ere il rafforzamento del Movimento Mondiale e la creazione di un piano triennale di azioni comuni a tutti i NATs.

I delegati decisero e stabilirono nella dichiarazione finale che il loro Movimento Mondiale fosse composto da:

1. Assemblea Generale, massima espressione del Movimento Mondiale di Bambini e Adolescenti Lavoratori e rappresenta una quarantina di paesi di Africa, Asia e America Latina.

L’Assemblea è formata da tre delegazioni continentali, ognuna delle quali è composta da 9 bambini e adolescenti lavoratori e 4 adulti accompagnatori.

L’Assemblea si riunisce ogni tre anni per scambiare esperienze e rinnovare il piano di azione generale. La prossima Assemblea si terrà in Africa nel 2010.

2. Comitato Mondiale con i compiti di coordinare le attività del Piano di azione deciso dall’Assemblea Generale, promuovere lo scambio di informazioni ed esperienze tra i movimenti nazionali e continentali, la comunicazione e lobby internazionale con governi, agenzie internazionali, media e la ricerca di risorse.

3. Il Comitato Mondiale è composto da 3 delegazioni continentali, ciascuna costituita da 3 bambini/e e adolescenti e 1 adulto. Il Comitato si riunisce ogni due anni.

Il Piano di Azione triennale fornisce un indirizzo operativo al Movimento Mondiale riguardo la tutela dei diritti dei minori e la promozione delle proposte dei bambini, bambine e adolescenti lavoratori del Movimento. Il Piano si articola in 5 aree:

1. Formazione e “capacity-building”: promozione di attività formative volte a migliorare la conoscenza dei diritti dei bambini, a sviluppare nuove competenze professionali (stage), e a scambiare le esperienze di vita dei membri dei movimenti nazionali; promozione di ricerche-azione partecipate e di percorsi formativi rivolti a bambini e adolescenti, datori di lavoro, genitori, maestri, polizia, ecc.;

2. Organizzazione: rafforzamento dei Movimenti nazionali e continentali; coinvolgimento dei bambini più emarginati; creazione di reti con agenzie nazionali e internazionali, gruppi di appoggio, istituzioni, governi, ONG;

3. Comunicazione e informazione: divulgazione di informazioni sulle realtà dei Movimenti, sulle best practices e sulla partecipazione di bambini, bambine e adolescenti, coinvolgendo i media a livello mondiale;

4. Relazioni politico-giuridiche: ricerca di alleanze tra il Movimento e le istituzioni politiche e giuridiche;

5. Lavoro in condizioni degne: promozione di attività economiche volte a incrementare i redditi dei bambini lavoratori nella prospettiva di un’economia solidale, ad esempio istituendo esperienze produttive, laboratori artigianali, attività di microcredito; promozione di condizioni di lavoro che rispettino i diritti all’istruzione, alla formazione, al riposo, alla malattia, alla giusta remunerazione e proporzionati allo sviluppo psicofisico del minore.

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I Movimenti dei Bambini e Adolescenti Lavoratori sono presenti in America Latina, Africa e Asia fin dagli inizi degli anni ’70; queste organizzazioni locali sono un fondamentale e spesso unico strumento di tutela e di promozione dei loro diritti.

I Movimenti hanno progetti d’azione che toccano le seguenti linee: educazione ai diritti, istruzione, salute, ricreazione, partecipazione, organizzazione. I principi che guidano questo percorso sono quelli del protagonismo di bambini e adolescenti, del rispetto dei diritti e della valorizzazione critica del lavoro.

I Movimenti di Bambini e Adolescenti Lavoratori hanno un’organizzazione e delle metodologie pedagogiche che portano i bambini stessi alla consapevolezza dei propri diritti e a un lavoro costante perché questi siano rispettati, trovando forme alternative e risolutive a sfruttamenti, soprusi, discriminazioni e ingiustizie.

Attraverso i processi di “organizzazione” i bambini e gli adolescenti lavoratori escono da una condizione di isolamento individuale, iniziano un percorso di reciproco riconoscimento come gruppo sociale. A partire da questo riconoscimento, che è la base di un’identità collettiva, cominciano a riunirsi, a discutere dei loro problemi, a proporre azioni e a organizzare iniziative di risposta. Lungo questo percorso possono giungere a livelli sempre più complessi che prevedano anche la costruzione di una soggettività pubblica e politica, ossia la trasformazione dell’identità di gruppo in una capacità di mobilitazione e di protagonismo prima locale, poi nazionale e infine internazionale.

La “partecipazione” è fondamentale nell’azione dei Movimenti. L’organizzazione dei Bambini e Adolescenti Lavoratori è il luogo sociale in cui si tenta di recuperare la completezza del diritto democratico anche per l’infanzia e l’adolescenza. Ciò significa che il bambino e l’adolescente partecipa a pieno titolo alla “sua” organizzazione recuperando al suo interno lo statuto di una completa cittadinanza. Per esempio, i Movimenti hanno una struttura democratica di elezione sia dei propri delegati che dei collaboratori adulti. Anche la gestione e la rappresentanza delle organizzazioni dei Bambini e Adolescenti Lavoratori, tanto nella quotidiana dimensione del quartiere come nell’ampio orizzonte di un movimento internazionale, è prerogativa degli stessi bambini e adolescenti lavoratori delegati a rappresentare i loro compagni.

La partecipazione di cui da qualche anno parlano anche le grandi agenzie internazionali e che i bambini e adolescenti lavoratori organizzati vivono da 30 anni, è lo strumento principale che porta alla consapevolezza della propria situazione. Chiamata in modo più completo “protagonismo” include tutto il lavoro che va dal confronto a livello sociale, a un percorso educativo di percezione delle proprie possibilità e dei propri diritti, per arrivare a trovare soluzioni comuni per migliorare le condizioni di vita e di lavoro degli stessi bambini lavoratori e dell’infanzia in generale.

Di seguito verrà presentato e delineato in generale il MANTHOC- Movimiento de Adolescentes y Ninos Trabajadores Hijos de Obreros Cristianos ( Movimento di Adolescenti e Bambini Lavoratori Figli di Operai Cristiani), movimento di bambini lavoratori del Perù che nacque a Lima. Nei capitoli successivi della presente tesi sarà analizzato il quadro storico e socio-economico del Perù nel periodo e la sua natura di nuovo movimento sociale.

MANTHOC: un quadro generale

Il Perù fu il primo paese latinoamericano dove si tentò di creare movimenti sociali di bambini lavoratori di forma indipendente. La prima iniziativa fu quella del MANTHOC.

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In seguito sono sorti altri gruppi ed organizzazioni di bambini lavoratori e di strada, in parte spontaneamente, e in parte come risultato di un lavoro pedagogico realizzato da Organizzazioni Non Governative (ONG) gestite da persone adulte che promuovevano la partecipazione e l'autorganizzazione dei bambini.

La maggior parte di queste organizzazioni è limitata a certe città o a certi quartieri di tali città, realizzano degli scambi di esperienze, tuttavia non hanno ancora realizzato un’organizzazione comune e una strategia di azione unitaria.

Nel 1976, nel contesto della dittatura militare di Francisco Morales Bermudez, il Perù attraversava una forte crisi economica che ebbe come conseguenza l'aumento dei prezzi, licenziamenti di massa e una dura repressione contro il movimento sindacale operaio e quello popolare, molto attivi in quel periodo.

In questo contesto la organizzazione Gioventù Operaia Cristiana (JOC – Juventud Obrera Cristiana) decise di organizzare e lavorare con i bambini e adolescenti per far fronte alla realtà di questi ultimi e delle loro famiglie, caratterizzata dalla precarietà a causa dei licenziamenti o per il loro impiego in condizioni poco adeguate.

I bambini e gli adolescenti lavoratori (NATs – Ninos y Adolescentes Trabajadores) aiutavano le loro famiglie lavorando, per avere un’ulteriore entrata per pagare gli studi o altre necessità.

A fronte di questa situazione alcuni giovani della JOC del sud di Lima vollero appoggiare i bambini lavoratori affinché si sviluppassero come soggetti autocoscenti, attivi e solidali, capaci di trovare risposte collettive alla precaria situazione delle loro vite. In base alla loro esperienza, i giovani della JOC erano convinti che i bambini lavoratori fossero obbligati a imparare ad “essere autosufficienti”, e in tal modo fossero in grado di rappresentare i loro propri interessi. Per raggiungere quest’ultimo scopo era necessario per i NATs uno spazio di vita sociale nel quale fossero rispettati e ascoltati come bambini lavoratori.

Nell'estate del 1979, dopo tre anni di attività, i NATs decisero che la loro organizzazione si sarebbe chiamata MANTHOC in quanto la maggioranza dei NATs che vi partecipava era figlia di operai cristiani licenziati.

Elemento vincolante e caratterizzante dei vari gruppi che agiscono nel MANTHOC era ed è la necessità di lavorare.

Inizialmente, alcuni bambini avrebbero voluto che il movimento diventasse un sindacato di NATs con il fine di aiutare altre organizzazioni negli scioperi e nelle proteste. Per loro il MANTHOC avrebbe dovuto essere un'organizzazione di classe, vale a dire uno strumento di azione, invece di una comunità. Tuttavia la maggioranza dei NATs non volle creare un sindacato, bensì una comunità, uno spazio dove discutere e relazionarsi.

Come agisce e si organizza il MANTHOC

Il MANTHOC ha come finalità la promozione il protagonismo, l'organizzazione e partecipazione dei bambini, bambine ed adolescenti lavoratori affinché esercitino i loro diritti e migliorino la qualità di vita, contribuendo in questo modo a forgiare una società giusta e solidale.

La copertura di azione del MANTHOC si estende a 11 regioni del paese della zona urbano e rurale popolare: Lima, Cajamarca, Loreto, Ucayali, Ayacucho, Ancash, Arequipa, Amazzonia, Puno, Cusco e Lambayeque.

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che lavorano, studiano e vivono con i loro genitori o familiari.

La direzione del MANTHOC è a carico dei delegati NATs, appoggiati da persone adulte che assumono il ruolo di collaboratori e che li accompagnano nel loro processo di sviluppo integrale, tanto individuale quanto collettivo.

Il Movimento è formato dai vari gruppi di NATs che sorgono nei quartieri (barrios) delle città e sono accompagnati da collaboratori. Tali gruppi, di fatto, sono luoghi dove i bambini apprendono e si formano grazie a loro stessi: si riuniscono settimanalmente per discutere delle loro esperienze e preparare azioni e creano così un mondo proprio, con forme di espressione e di socializzazione proprie; sorge una cultura specifica che non solo mette in evidenza la capacità creativa dei NATs, ma allo stesso tempo rafforza la loro coscienza e volontà di combattere per una vita che non sia solo di pena e di miseria.

Il Movimento è organizzato gerarchicamente dal basso verso l'alto. La sua base sono infatti i suddetti gruppi locali, ognuno dei quali elegge un delegato e il gruppo dei delegati forma il Coordinamento a livello regionale. Il livello più alto è formato dai delegati di ogni città o regione che si riuniscono nella Coordinamento Nazionale nato per la prima volta nel 1986 e che si riunisce a intervalli regolari solo se necessario. In quest’ultimo livello i delegati discutono dei loro problemi e delle attività e analizzano la situazione dei bambini lavoratori nel Perù e progettano azioni comuni a livello nazionale.

Nel 1986 l'Assemblea Nazionale dei Delegati decide di ampliare la sua azione e offrire una serie di servizi ai NATs, per questo crea l'Associazione16 MANTHOC, con sede a Lima, che rappresenta

legalmente il Movimento e risponde alle necessità e alle domande dei NATs. L'associazione conta con un gruppo di collaboratori che formulano, implementano e valutano i programmi ed i progetti in diversi campi quali salute, educazione, formazione lavorale, promozione dei diritti dei bambini e partecipazione e organizzazione dei NATs.

I collaboratori non dirigono i gruppi, bensì sostengono i NATs nel trovare la forma di organizzarsi in maniera indipendente e sviluppino una prassi nella quale siano soggetti attivi.

L'associazione ha quattro programmi su scala nazionale: Casa di Promozione Integrale, Educazione, Lavoro.

A partire dal 1996 il MANTHOC partecipa in ambito internazionale come base del MNNATSOP (Movimento Nazionale di Bambini, Bambine ed Adolescenti Lavoratori Organizzati del Perù) e partecipa agli Incontri Mondiali di Nats, in precedenza descritti.

I principi fondamentali del MANTHOC

Il MANTHOC, sin dalle sue origini, ha puntato sull’organizzazione e partecipazione cosciente dei NATs, nella prospettiva che diventino soggetti protagonisti nei processi sociali, economici e culturali della vita quotidiana.

Il MANTHOC guida ed orienta la sua azione istituzionale attraverso i seguenti principi:

E' un'organizzazione autonoma costituita da bambini ed adolescenti lavoratori accompagnati da collaboratori adulti;

Promuove il protagonismo organizzato dei NATs come attori della loro storia;

16 Il Movimento è il cuore dell'organizzazione, ma nella totalità Movimento e Associazione possono essere pensate come una “dualità organica”.

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E' in funzione di tutti i NATs senza distinzione di razza, ideologia, sesso e religione. Concepisce i bambini e gli adolescenti come attori e soggetti sociali di diritto; Ha dimensione nazionale ed una vocazione internazionale;

Sviluppa una pedagogia dei NATs e per i NATs, tenendo in considerazione la loro esperienza e trasformandola in apprendimento.

L'azione istituzionale si basa su tre pilastri fondamentali:

1. Concezione del bambino: il MANTHOC, già da prima dell'esistenza della Convenzione dei Diritti del Bambino, considera il bambino come soggetto ed attore sociale del suo sviluppo individuale e collettivo

2. Valorizzazione critica del lavoro dei bambini e degli adolescenti : il lavoro è un diritto umano fondamentale, quindi si valorizza ciò che realizzano i NATs e facendo in modo che il lavoro sia esercitato in condizioni adeguate e che permetta loro di sviluppare capacità ed abilità e che diventi parte del loro processo di socializzazione, apprendimento e realizzazione personale. Tuttavia vengono criticati e denunciati lo sfruttamento e le condizioni dannose in cui lavorano i NATs.

3. Protagonismo: esprime il grado di autonomia, iniziativa e presenza organizzata che hanno i NATs nella società, il loro agire come soggetti sociali, economici e culturali, politici ed etici in ogni campo delle interrelazioni sociali (per esempo: nel quartiere, nel posto di lavoro, nella scuola, nella famiglia...).

Il MANTHOC, e l’Associazione, risulta essere un’organizzazione complessa con una lunga e varia esperienza nel campo del lavoro minorile. La sua caratteristica fondamentale è quella di essere una “comunità” più che uno strumento di azione, che fornisce ai NATs uno spazio per discutere dei loro problemi, delle loro necessità e delle possibili azioni.

Un termine chiave per il MANTHOC è la formazione, attraverso la quale i bambini imparano a crescere insieme in modo partecipativo e, sebbene sia considerata principalmente come un processo, sembra avere risultati positivi nella vita dei NATs perché dà loro la possibilità di valorizzare la loro situazione e sviluppare ambizioni appropriate e realiste. E attraverso l'Associazione, il MANTHOC vuole arrivare a comprendere la massa dei minori lavoratori e non essere quindi una comunità chiusa.

Infine, il focus sulla partecipazione e il protagonismo dei NATs dà una concezione di questi ultimi come soggetti sociali.

Con queste sue caratteristiche e la specificità della valorizzazione critica del lavoro minorile, il MANTHOC si trova in una posizione “in contrasto” con quella più diffusa in ambito internazionale e rappresentata dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro.

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