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Capitolo 1 Risonanza magnetica per immagini

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Risonanza magnetica per immagini

1.1 Vantaggi

Le caratteristiche peculiari che contraddistinguono la risonanza magnetica come tecnica di screening sono:

• la sua non invasività;

• l’uso di radiazioni elettromagnetiche a basso contenuto energetico che pur consentendo di ottenere un eccellente contrasto tra i tessuti molli e tra tessuti stazionari e sangue circostante con ricchezza d’informazione istopatologiche, non presentano potere ionizzante risultando quindi poco dannose per l’organismo umano;

• assenza di limitazione relativamente alla finestra di indagine;

• largo campo di vista.(Field Of View) con il conseguente vantaggio di ottenere immagini bidimensionali statiche e dinamiche orientate su qualsivoglia piano dello spazio;

• buona risoluzione spaziale;

• controllo del movimento e riduzione degli artefatti dovuti al flusso sanguigno ed al respiro;

• valutazioni quantitative accurate e riproducibili indipendenti da assunzioni geometriche.

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1.2 Generazione del contrasto

La possibilità di poter discriminare differenti parti del distretto corporeo nelle immagini di risonanza magnetica e quindi la capacità di generare contrasto, deriva dalle diverse proprietà magnetiche dei tessuti, informazioni contenute nel segnale di RM emesso dal campione sotto osservazione, dopo l’eccitazione generata dall’applicazione di un campo statico Bo e di un impulso a radio frequenza B1. Le diverse concentrazioni di atomi di idrogeno, sottoforma di molecole d’acqua, nei tessuti analizzati o all’interno di uno stesso tessuto ne sono un esempio.

É infatti ben chiaro che più è elevata la densità protonica, intesa come numero di protoni per unità di volume, e maggiore sarà l’intensità del segnale di RM ricevuto e che tale segnale dipenda anche dall’interazione tra i singoli protoni, misurata considerando il tempo di rilassamento trasversale T2, e tra protoni e reticolo attraverso il tempo di rilassamento longitudinale T1.

Per definizione T2 rappresenta il tempo necessario affinché lo sfasamento dei nuclei determini la riduzione della componente trasversale del vettore di magnetizzazione del 63%, mentre T1 è il l’intervallo necessario affinché il 63% dei nuclei riacquisti il proprio stato di equilibrio dopo che un impulso in RF ne ha modificato la posizione di 90° rispetto alla posizione di riposo (Figura 1.1 a, b). A titolo informativo per un campo Bo=1,5 Tesla i valori di T1 e T2 sono rispettivamente 800msec e 45msec.

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a) b) Figura 1.1: a) Tempo di rilassamento longitudinale;

b) Tempo di rilassamento trasversale

Tale contrasto può essere enfatizzato giocando anche sul parametro TR (tempo di ripetizione), tempo intercorrente tra due impulsi RF. Un TR lungo consente infatti alla magnetizzazione totale M di tornare in posizione parallela a Bo accentuando l’intensità del segnale acquisito mentre la attenua in maniera considerevole se non è sufficiente a garantire l’annullamento della componente trasversale del vettore di magnetizzazione causando l’applicazione del successivo impulso RF solo alla componente di M parallela al campo statico che risulta, rispetto a quella iniziale, attenuata.

Tale processo reiterato provoca il fenomeno della saturazione consistente nella riduzione progressiva dell’ampiezza del segnale fino al totale annullamento che a livello visivo si manifesta sull’immagine con la perdita di informazione su un particolare del tessuto. Ciò talvolta può risultare un vantaggio qualora si voglia eliminare per esempio una presenza superflua come il grasso per evidenziare meglio i tessuti circostanti.

Esiste infine un ultimo parametro detto tempo di eco TE (tempo tra l’impulso di eccitazione RF e il centro dell’eco) che va tenuto in considerazione per la generazione di immagini con maggior contrasto possibile tra i tessuti. In corrispondenza del picco di eco l’ampiezza della magnetizzazione traversa dipende da TE e dal T2 del tessuto secondo una legge del tipo exp(-TE/T2).

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Va precisato che nelle immagini di risonanza magnetica il contrasto è determinato soprattutto alle basse frequenze spaziali mentre le più alte frequenze contengono i dettagli.

1.3 Localizzazione spaziale del segnale emesso

Problema basilare oltre a quello della generazione del contrasto è di identificare i distretti corporei dai quali provengono i segnali di risonanza magnetica emessi con la finalità di generare immagini presentate su piani 2D suddivisi in matrici di punti detti pixel l’intensità dei quali codifica l’ampiezza dei segnali emessi dalla corrispondente regione sotto osservazione.

Tale obiettivo viene raggiunto attraverso l’ausilio di gradienti di campo magnetico applicati lungo le direzioni degli assi x,y,z e quindi sovrapposti al campo statico Bo generando complessivamente un campo che varia secondo le tre coordinate. Ciò comporta, un cambiamento della frequenza di precessione dei protoni vista la proporzionalità diretta di quest’ultima con il campo applicato, e conseguentemente la variazione di essa in funzione della posizione spaziale.

Attivando opportunamente tali gradienti è possibile ottenere tre tipi di codifica lungo le tre direzioni spaziali dette rispettivamente eccitazione selettiva, codifica di frequenza codifica di fase.

Applicando un impulso a 90° contemporaneamente all’attivazione di un gradiente perpendicolare alla fetta desiderata si ottiene l’eccitazione di una slice consentendo solo ai protoni contenuti in essa di essere perturbati. Vista la piccola banda del impulso a 90° (Δw) la larghezza della fetta esaminata è data da Δz=Δw/yGz.

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La codifica di frequenza sfrutta la proprietà fisica suddetta della proporzionalità tra frequenza e campo nella direzione dell’attivazione del gradiente. W(x)= γ (Bo+xGx) (Figura 1.2).

Dall’informazione frequenziale del segnale acquisito è quindi possibile risalire alla posizione dell’oggetto lungo la direzione del gradiente di campo.

Infine con l’ultimo tipo di codifica si ottengono, durante l’attivazione del gradiente, i cambiamenti della fase della precessione dei protoni l’entità dei quali dipende dall’ampiezza del gradiente,dal tempo totale in cui esso rimane acceso oltre che dalla posizione lungo la direzione della codifica di fase. Ai fini della formazione dell’immagine RM questo ultimo gradiente di codifica viene attivato e disattivato più volte variandone opportunamente la sua ampiezza.

Esso presenta, rispetto a quello di frequenza una direzione perpendicolare.

La ripetizione di queste sequenze porta all’acquisizione di una serie di segnali digitalizzati e memorizzati in una matrice detta K-spazio (Figura 1.3).

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Figura 1.3: Rappresentazione schematica di una sequenza per la generazione dell’immagine RM.

Figura 1.4: Segnale RM acquisito, con gradiente attivo in funzione della posizione spaziale delle molecole di idrogeno.

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1.4 Sequenze di impulsi RF 1.4.1 Inversion Recovery

La sequenza invertion recovery (IR) (Figura 1.5), consiste in un impulso a 180° seguito,dopo un tempo TI detto tempo di inversione, da un impulso a 90°. Essa permette la misurazione del tempo di rilassamento spin-reticolo di piccoli campioni e la creazione di contrasti tra pixel di intensità dipendente dal valore di T1 in immagini di risonanza magnetica. In tal caso vanno applicate varie coppie di impulsi. L’intensità del segnale immediatamente prima dell’impulso a 90°risulta proporzionale ,in un esperimento IR,all’ampiezza di Mz al tempo T1: S= Mo(1-2exp(-TI/T1)) dove Mo rappresenta la magnetizzazione di equilibrio e T1 il tempo di rilassamento spin –reticolo del campione.

Figura 1.5: Sequenza IR.

Si riporta in Figura 1.6 l’andamento di Mz in funzione del tempo. In essa appare ben chiara la dipendenza di Mz da T1.

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Figura 1.6: Mz in funzione del tempo in una sequenza IR.

1.4.2 Spin-Echo(SE)

La sequenza base (Figura 1.7), consiste in un impulso a 90° seguito da uno a 180° dopo un tempo pari a TE/2 intendendo per TE il tempo di eco. Tale sequenza consente di correggere la disomogeneità di campo magnetico, lasciando solo il segnale di decadimento dovuto al rilassamento spin-spin, grazie all’impulso a 180° (impulso rifocalizzante). L’ampiezza dell’eco al tempo TE è data da S2=S1exp(-TE/T2).

Si applica quindi un impulso a 90°: a causa della variazione inevitabile dell’ampiezza del campo magnetico applicato, i momenti magnetici perdono man mano l’accordo di fase. Ciò provoca la riduzione della componente trasversale di M. Considerando il sistema di riferimento relativo rotante in senso orario a velocità ωo , è come se il vettore di magnetizzazione del campione relativo si muovesse in senso antiorario, qualora la sua velocità risultasse inferiore ad ωo e in

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senso orario nel caso opposto. Ciò provoca un decadimento del segnale di risonanza magnetica di tipo esponenziale exp(-t/T*2 ).

Si applica dopo un tempo TE/2 un impulso di 180°. Il ventaglio dei momenti magnetici che prima si allontanava dall’asse y viene ora ribaltato sull’asse -y .In tal caso i vettori di magnetizzazione, continuando a precedere nello stesso verso di prima, al tempo TE si allineano lungo l’asse –y, consentendo alla componente di magnetizzazione trasversale di raggiungere la sua ampiezza massima. Successivamente i momenti si sfasano di nuovo e il segnale di risonanza conseguentemente decresce (Figura 1.8).

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Figura 1.8: Esperimento SE visto dal sistema di riferimento rotante.

1.4.3 Gradient-Echo(GRE)

Tale tipo di sequenza (Figura 1.9) consente di risolvere i problemi connessi alla misura del segnale di decadimento della magnetizzazione traversa immediatamente dopo l’eccitazione dell’impulso a 90°. Si utilizza, infatti, un gradiente di lettura che rifasa tra loro gli spin generando un segnale di eco.

Si applica inizialmente un impulso a 90° al campione immerso nel campo magnetico esterno Bo permettendo agli spin di essere in fase tra loro. Successivamente si applica un gradiente di campo magnetico negativo. Esso porta gli spin a precedere con velocità dipendente dalla posizione occupata da ognuno portandoli quindi ad uno sfasamento ‘ordinato’. Si applica quindi un gradiente di campo magnetico positivo. Esso provoca un cambiamento del senso di rotazione degli spin e quindi un successivo rifasamento che dà origine al GRE. Tale eco ha la stessa ampiezza della magnetizzazione traversa immediatamente dopo l’impulso a 90°. Successivamente al tempo di eco gli spin tornano a sfasarsi tra loro e la magnetizzazione decade.

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Figura 1.9: Sequenza GRE

1.5 Nozioni basilari sul k-spazio

Il k-spazio è il dominio della trasformata di Fourier dell’immagine di risonanza magnetica che si vuole ottenere. In esso,infatti,vengono memorizzati i campioni dei segnali acquisiti. Ogni campione della matrice di k-spazio con componenti kx,ky,kz (k sta per numero d’onda k=2п/λ) contiene informazioni sull’intensità dei vari contorni dell’immagine tenendo in conto che ciascuna di esse può essere decomposta nella somma di onde seno e coseno con differente frequenza e orientamento. Ogni coefficiente dà quindi un’indicazione pesata delle onde suddette.

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Le coordinate del k-spazio vengono denominate frequenze spaziali e si misurano in cicli per unità di lunghezza. Esse sono il corrispettivo delle coordinate x,y del dominio spaziale contenente l’immagine che è possibile ottenere semplicemente effettuando una trasformazione inversa di Fourier.

Il k-spazio ingloba in se il quadrante positivo e negativo con al centro la frequenza spaziale nulla (kx=0,ky=0).Man mano che ci si allontana da essa i suoi punti corrispondono a sinusoidi che presentano frequenze sempre più alte (Figura 1.10).

Figura 1.10: Un singolo punto nel k-spazio corrisponde ad un andamento sinusoidale di una specifica frequenza

ed orientazione nell’immagine RM

La zona centrale da informazioni sulla struttura grossolana dell’immagine mentre regioni più lontane dal centro codificano i dettagli.

Il passaggio dall’informazione grossolana a quella più fine è graduale e va quindi dal centro alla periferia.

I dati contenuti nel k-spazio sono numerici ossia rappresentano un insieme discreto; pertanto occorre usare, come algoritmo di ricostruzione, la Fast Fourier Transform (FFT) per il calcolo della DFT.

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Quest’ultima è una serie matematica il cui numero di termini corrisponde al numero dei campioni della curva da trasformare. Tali termini vengono sommati per calcolare un pixel nell’immagine di RM finale.

La DFT 2D è implementata come tante FFT separate ,una per ogni riga del k-spazio. Su di esse vengono successivamente calcolate tante FFT lungo le colonne quante sono le colonne del k-spazio;per intendersi se tale ambiente di lavoro contiene 256 righe e 256 colonne la ricostruzione dell’immagine richiede in tutto 512 FFT.

Talvolta può risultare più vantaggioso, per ridurre il tempo di acquisizione dei dati, analizzare solo una parte di esso focalizzandosi per esempio sulla zona positiva e su poche righe del settore negativo grazie alla tecnica dell’half-Fourier. Esistono altri parametri su cui si può intervenire per modificare il tempo totale di acquisizione dipendendo questo ultimo dal tempo di ripetizione(TR), dal numero di codifiche di fase (Ny), dal numero di sezioni Nz e in fine dal numero di acquisizioni(ripetizione di acquisizione o NEX); Ttot=NEX*NzNyTR.

Occorre comunque prestare molta attenzione prima di effettuare la riduzione di questi parametri perché va raggiunto un compromesso con altri fattori ad essi collegati la cui dimenticanza provocherebbe perdita di informazione dell’immagini da ottenere e quindi degrado dei contenuti desiderati.

Una riduzione di λ con λ <1 del TR provocherebbe infatti una riduzione del SNR di √λ con conseguente variazione del contrasto tra i tessuti. Modificando invece i numerici codifica di fase e di sezione il contrasto non viene modificato anche se potrebbero presentarsi fenomeni di volume parziale. Esistono due modi per ridurre Ny o Nz.

Si mantengono costanti il campo di vista lungo la direzione y e (o) z:essendo il campo di vista dato da Ly=ΔyNy è ovvio che se Ny si riduce di un fattore λ con λ<1 la risoluzione spaziale peggiorerà dello stesso fattore benché l’SNR aumenti di 1/√λ e il tempo di acquisizione si riduca di λ.

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L’altra strategia da seguire, qualora non sia possibile alterare la risoluzione spaziale, è di tenere costante quest’ultima modificando Ny o Ly.In tal caso il Ttot si riduce di λ a discapito dell’SNR che cala di √λ.

Se l’SNR è alto si può intervenire anche sul numero di acquisizioni riducendole ad una. Per ottenere un SNR accettabile si possono utilizzare bobine RF dalle forme particolari quali per esempio piccole bobine di superficie o array di bobine.

Figura

Figura 1.2: Applicazione dei gradienti
Figura 1.3: Rappresentazione schematica di una sequenza  per la generazione dell’immagine RM.
Figura 1.5: Sequenza IR.
Figura 1.6: Mz in funzione del tempo in  una sequenza IR.
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